Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Gli elementi del diavolo
Gli elementi del diavolo
Gli elementi del diavolo
E-book275 pagine3 ore

Gli elementi del diavolo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Gli elementi del diavolo è tratto dal romanzo "Due cuori di seta", il primo volume della saga Il nobile casato dei Kingsdale.
Le quattro parti del romanzo sono stata suddivise, tra cui questo capitolo, riproposto e rieditato.
La storia si concentra sul vampiro Arum Kinsdale, impegnato in una missione contro il rivale Zetesis nella San Francisco odierna.
Quest'ultimo, grazie ad un rito, ha risvegliato un antico demone per chiedergli aiuto nella conquista del governo della razza di vampiri.
Arum ha il compito di fermarlo, poiché l'intento del demone è quello di catturare anime umane affinché possa ritornare di carne.
Si reca quindi nella città californiana sotto copertura per cercare quattro streghe elementali, indispensabili per il fine. Difatti, solo con l'energia di streghe in grado di controllare gli elementi terra, aria, fuoco, acqua, è possibile aprire un portale per rispedire il demone nella sua dimensione.
Nella sua ricerca dunque, incontra Kimberly Stanford, una comune liceale che tuttavia, nasconde molto di più e si rivela essere una delle prescelte alla missione. Ma non solo, negli occhi della ragazza, il vampiro ci rivede Cassandra, sua defunta moglie, uccisa per mano dello stesso Zetesis.
Kimberly da canto suo ha un essere ed una vita tormentata, fatta di solitudine e incubi che la tormentano, di un passato che sente non appartenerle.
Eppure, stando al fianco di Arum, la ragazza scopre lati di sé che non conosceva e si riscopre, si riconosce.
Riusciranno a restare uniti nel loro nascituro amore? Come sconfiggeranno il demone e Zetesis?
immergiti in un'avventura ricca di avventura, intrighi, amori, battaglie, per momenti.. magici.

"Quattro donne.quattro cuori. Anime in fermento, esplosione di potere. E lui era lì, immobile, a fissare con i suoi occhi di ghiaccio, la furia che aveva creato.
Osservava Kimberly, la sua tempesta perfetta. L'acqua che dissetò il suo cuore. L'elemento che da alla vita, non per niente ha resuscitato il cuore di un povero diavolo."
LinguaItaliano
Data di uscita13 set 2015
ISBN9786050415919
Gli elementi del diavolo

Leggi altro di Elèonore G. Liddell

Correlato a Gli elementi del diavolo

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Gli elementi del diavolo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Gli elementi del diavolo - Elèonore G. Liddell

    Elèonore G. Liddell

    Gli elementi del diavolo

    Le informazioni di cui sopra costituiscono questa nota del copyright: © 2015 di Elèonore G. Liddell. Tutti i diritti riservati.

    Distribuito da Streetlib Selfpublish

    Narcissus

    Sede legale:

    Via della Regione, 20

    95037 San Giovanni La Punta CT

    Italia

    Contatti:

    Simplicissimus Book Farm

    Email: publish@streetlib.com

    Sede operativa:

    Villa Costantina, 61

    60025 Loreto AN

    Italia

    In un’era ormai in tumulto e le anime allo sbaraglio, c’era fin troppa brama di potere, uno stile di vita che nei clan di vampiri non era ancora sfumata.

    Nel calar della sera sulla città di San Francisco, Zetesis aiutato dai suoi seguaci, era pronto a un’impresa che considerava epica. Credeva di sapere quel che stava per compiere, ma in realtà non era così. Evocare il potentissimo demone HeiShin era cosa da pazzi, ma nonostante le suppliche e gli avvertimenti dei suoi seguaci, Zetesis era deciso a completare il rito e di salire al potere per governare su tutti gli altri clan, in particolar modo quello del suo più antico rivale.

    Era tutto pronto, sistemato con devota cura ogni minimo particolare. Zetesis tracciò il cerchio magico e i suoi seguaci fecero il resto. Poche parole per formulare l’annunciazione del rito, il cerchio si illuminò, del fumo nero salì minacciosamente dal centro e all’improvviso, una violenta esplosione con una colonna di luce argentea che dal cerchio magico si fece impetuosa, squarciando come se fosse carta il tetto del magazzino. Un evento che non restò indifferente, a nessuno.

    1

    Il suo suono era martellante. Dalle lenzuola di flanella fece uscire stancamente la mano e spense quella fastidiosa presenza che la strappava dai sogni e auspicava ogni volta a mettere a dura prova i suoi nervi, la sveglia.

    Era un nuovo giorno di fine ottobre per Kimberly Stanford. Si alzò dal letto e con la mente organizzò un elenco di cose da fare per la giornata, controllando il calendario appeso dall’altra parte della stanza. Dopo tre settimane era segnato il suo diciottesimo compleanno. Davanti allo specchio si spazzolò i lunghi capelli scuri color oro con qualche mèches blu notte che teneva in modo da formare una deliziosa trama quando li legava in una semplice treccia. Era una pettinatura ordinata e comoda, con una texture particolare che aveva sempre adorato, perché il blu faceva da cavallo di battaglia per ogni scelta che doveva compiere in oggetti, abiti e via dicendo. Il tutto creava un’armonia perfetta con i suoi occhi azzurri e pagliuzze verdi, sembrava quasi avesse intrappolato il mare nell’iride.

    Dalla cucina salì l’urlo della madre. 

    «Kim la colazione è pronta!» la ragazza si affacciò alla porta della stanza cercando di mantenere un tono calmo.

    «Scendo subito mamma.» Infilò la divisa del suo liceo e completò la missione di risveglio indossando una spilla raffigurante uno scorpione, suo segno zodiacale.

    Un’ultima occhiata davanti e lo specchio e si sentì pronta. Ma non solo. Ogni tanto restava paralizzata qualche secondo a contemplarsi il viso nello specchio, come se al risveglio non si riconoscesse mai. Così come non riconosceva quelle persone che chiamava famiglia. Ma non ci badò nemmeno quella mattina e si affrettò a scendere in cucina.

    A tavola, abbondantemente apparecchiata, v’erano ad aspettarla sua madre ed il suo fratellino Alex.

    Quest’ultimo chiese del padre.

    «E’ già uscito al lavoro tesoro, non dimenticare di portare al parco Billy questo pomeriggio» lo avvertì la madre, riferendosi al maltese dal manto candido e morbido come un batufolo di cotone.

    Kim spostò lo sguardo sulla tv.

    «Ne parlano ancora?» chiese alla madre.

    «Già, ormai sono due giorni che va avanti questa storia, al notiziario non fanno altro che discutere di quest’abbagliante luce sul porto nel cuore della notte. Io resto convinta si tratti di ufo.»

    La ragazza fece una smorfia a quelle parole.

    «Mamma ti prego! ufo! ma quando mai, non dirlo a nessuno mi raccomando, o ti prenderanno per pazza! una spiegazione logica ci dev’essere per forza.» Finì di consumare la colazione e uscì di casa in tutta fretta per recarsi a scuola, il tugurio , come sovente usava definirlo.

    Percorse l’intero isolato, per raggiungere quello successivo, dove viveva la sua migliore amica, Joanna Pierce. Era una ragazza magrolina, coi capelli neri arruffati e il viso tempestato di lentiggini, compagna di giochi e di avventure di Kimberly da undici anni.

    Salutò l’amica con la mano.

    «Hei Kim, ciao! oggi ci porta mia madre a scuola, tutto bene?»

    «Ciao Jo, si sto bene, grazie. Sono solo ancora un po’ assonnata, stanotte ho dormito male» annuì Kim mentre l’amica la squadrava.

    «Scommetto che hai avuto un altro dei tuoi strani incubi con l’acqua.» 

    Kim abbassò lo sguardo.

    «Già. Una cosa del genere. Sai sempre tutto tu Jo, ti basta uno sguardo per capirmi» esclamò facendola arrossire.

    «Sì.. be’ siamo amiche da molto.. dai andiamo, mia madre è già in macchina che ci aspetta.»

    Salirono nell’auto e dopo un breve scambio di saluti e convenevoli tra Kim e la madre di Jo, partirono alla volta della scuola, discutendo sugli ultimi avvenimenti del quartiere e del mondo, sulla condotta riprovevole di Alex con la madre di Kim che disperata, oramai non sapeva più che pesci pigliare con quel disobbediente diavoletto. Jo chiese come ultima cosa se l’amica fosse riuscita a terminare il compito di algebra che avevano assegnato per casa.

    «E’ stato complicato, ma alla fine ne sono venuta a capo! poi in classe ti faccio vedere, non preoccuparti.» rispose Kim e silenziosamente la ringraziò voltandosi di scatto verso il finestrino, con lo sguardo perso nel vuoto e le lentiggini sfumate da un leggero rossore che a Kimberly parve inconsueto da parte della ragazza. Non era timida e non aveva motivo di imbarazzarsi per l’aiuto e la preoccupazione dell’amica. Ma non ci diede troppa importanza, probabilmente Jo aveva ben altri pensieri per la testa in quei giorni e di sicuro non erano legati all’algebra o all’aiuto gratuito che ci si scambia fra amiche.

    Inoltre aveva ancora quel senso di smarrimento, di déjà vu provocatele dai sogni che la tormentavano.

    Ma ad ogni modo, no, la sua amica del cuore aveva pensieri più profondi, sebbene Kim non se ne rendesse totalmente conto.

    Arrivarono a destinazione, il loro liceo era uno stabile in decadenza ma ancora accogliente. Un giardino fiorito, curato dall’associazione verde della scuola. Un campo da football, dove i ragazzi più belli giocavano e venivano ammirati dalle ragazze più scatenate e dalle predatrici cheerleaders . Campi da tennis e di pallavolo sia maschili che femminili, aule speciali per corsi come cucito, cucina, arte. Insomma, un liceo a cui non mancava nulla nonostante l’avanzata età dell’edificio e la trascurata  manutenzione e interesse del preside Manford. Kimberly e Joanna si fecero strada tra la folla di studenti che andavano e venivano coi libri tra le braccia nel cortile e nell’ingresso, frementi come api che portano il miele all’alveare. I gruppetti di ragazzi erano già tutti ammassati a scambiarsi pettegolezzi e informazioni stuzzicanti su ciò che accadeva nel liceo. C’erano i bulletti, i nerd, le cheerleaders e così via.

    Come in qualsiasi altra scuola, era normale che ci fossero questi gruppi che sembravano catalogare con etichette i ragazzi in base ai loro stili di vita, filosofia di pensiero, sport o classe sociale. E come ogni ragazza liceale che si rispetti, anche Kimberly aveva la sua acerrima nemica. Dafne Hoffman, la classica pettegola e rompiscatole che dà noia ad una comunissima ragazza, appartenente a nessun gruppo specifico di categorie, odiava particolarmente Kim, sebbene non avesse mai compreso il reale motivo di tanto astio. Ad accompagnare Dafne c’erano Liz e Wanda, due giovani tenniste. Jo fece una smorfia di dissenso.

    «Stanno sempre lì in agguato quelle tre barbie, ma non hanno nulla da fare?» Kim alzò le spalle.

    «Comportati come se nulla fosse, ignoriamole, magari oggi ci va bene e non ci dicono nulla» si sorprendeva ogni giorno a chiedersi perché mai doveva subirsi la fastidiosa presenza di tre ragazzine, quasi come se non si sentisse lei stessa una ragazza liceale, ma qualcun altro. Qualcos’altro. Di certo, quella mattina si sentiva piuttosto strana, più del solito.

    Continuarono a camminare disinvolte chiacchierando tranquillamente, quando sentirono la voce squillante di Dafne.

    «Hey Joannina, non ti sei ancora lavata il muso da quelli schizzi di terra? e tu Berlyna sempre con quella parrucca in testa?» rise compiaciuta delle sue battute di gusto discutibile accompagnate dalle smorfie divertite delle sue compagne.

    «Hey Dafneuccia, sempre con quella sirena in gola tu?!» esordì di getto Kim. La ragazza si congedò mandando a quel paese Kimberly e Joanna le diede uno strattone.

    «Ma sei impazzita?! quella di sicuro si vendicherà! Le hai risposto a tono davanti a tutti!»

    Kim sorrise divertita. «Si ma hai visto che faccia ha fatto? ne è valsa decisamente la pena!»

    Joanna scosse la testa. «Sì è stato divertente lo devo ammettere, ma resta comunque una cattiva idea, sai bene che è meglio evitarla altrimenti non finirà mai di scocciarci e prenderci in giro davanti a tutti!»

    Kim le mise una mano sulla spalla. «Dai sta’ tranquilla, pensiamo ad algebra.. sta per suonare la campanella» ed entrarono in classe. L’ora di algebra sembrava non finire mai, come se il tempo restasse fuori dalla porta nell’esatto istante in cui tutti gli studenti entrarono nell’aula. Perlomeno questa era la sensazione percepita da Kimberly e Joanna, quest’ultima proprio non poteva soffrire quella materia e di tanto in tanto spiava gli appunti dell’amica.

    Le ore successive scivolarono più velocemente, finché arrivò l’ora di pranzo e quindi la tanto agognata pausa. Le due amiche presero posto al tavolo, assieme ad altre compagne di classe. Nel vassoio di Kimberly c’erano le sue solite tre bottigliette d’acqua, Joanna la guardò con aria interrogativa.

    «Io non capisco proprio come fai a bere tanto in una giornata! sono anni che me lo chiedo» sorrise.

    «Ah non lo so! sento sempre il bisogno di bere, te l’ho già detto un mucchio di volte oramai! è quasi come se l’acqua per me fosse l’ossigeno che respiriamo, non so se mi spiego»

    Joanna scosse il capo. «No a dire il vero no, per me rimane un mistero! comunque, senti Kim» il viso della ragazza si oscurò lievemente.

    «Dimmi Joanna..»

    «Stasera ti va di uscire? ho bisogno di parlarti ed è importante» chiese con tono malinconico che fece preoccupare Kim.

    «Solito posto?» si riferiva ad un bar a due isolati dal loro quartiere dove erano solite andarci la domenica pomeriggio o di tanto in tanto quando avevano voglia di chiacchierare e sfogarsi. Per il divertimento sceglievano quasi sempre il bowling o qualche locale dove ci si poteva scatenare col ballo, tanto amato da Kimberly.

    «No non lì, stavolta ti vorrei portare in un posticino più appartato e silenzioso. Fidati di me.. non è nemmeno molto distante.»

    Con un rapido sorso Kimberly scolò l’ultima bottiglietta d’acqua.

    «Va bene allora.. ma dimmi, si tratta di Phil.. giusto?»

    Joanna si fece ancora più scura in viso. «Già.. dai finiamo qui e andiamocene» masticò l’ultimo pezzo di bistecca stopposa della mensa e prese in mano il vassoio.

    Phil era il ragazzo di Joanna, erano fidanzati da circa un anno e mezzo, ma la loro storia sembrava una telenovela. Si erano presi e lasciati già due volte, perché Joanna si sentiva sempre troppo insicura, assalita da paure e dubbi che esternava a fatica e ci riusciva solamente con la sua migliore amica. Phil era sempre paziente e gentile, amava molto Jo e avrebbe perdonato qualsiasi suo comportamento o capriccio. Era un ragazzo come stanti, fisicamente tonico, capelli corti castani e un sorriso simpatico, di quelli che quando si incontrano, mettono in pace l’animo.  Era il classico tipo che ogni madre desidererebbe vedere accanto alla propria figlia.

    Kimberly suppose che l’amica fosse nuovamente in crisi e pensava di lasciare una terza e forse definita volta il suo fidanzato, sebbene le parve oltremodo strana la decisione di appartarsi in un locale più silenzioso. Di solito a Joanna i luoghi pubblici con molta gente, voci e suoni, piacevano.

    Mentre uscivano dalla mensa, continuava a interrogarsi su questo particolare e le tornarono alla mente una serie di episodi e di giornate trascorse con l’amica e il fidanzato in questione. In particolare si rammentò di un freddo pomeriggio di febbraio, in cui tutti e tre andarono a fare shopping. Joanna quel sabato si era letteralmente scatenata, fece spese folli e Phil senza nemmeno dire una parola di lamentela, si fece carico di tenerle le borse e i pacchi degli acquisti e manteneva stampato sul suo viso glabro, il suo abitudinale sorriso gentile. A Kimberly disse persino che sarebbe stato disposto a portare anche la sua borsetta contenente un paio di stivali che aveva acquistato in una delle tante boutique, ma lei gli rispose negativamente, provando disagio. Pensò che doveva avere un’infinita pazienza con Jo. Come se non bastasse, soffiava un forte vento e faceva ancora più freddo del solito tra i brevi inverni che caratterizzano San Francisco. Joanna indossava un capotto rosso, vestito lungo di lana color topo, calze nere e stivali rossi. A Phil quel colore proprio non piaceva, ma a Joanna non importava, altro segno che Phil era gentile e paziente, poiché secondo la logica di Kimberly, lui le avrebbe dovuto dire che il rosso non lo aggradava né le donava come tipo di tonalità. Kimberly invece era vestita di blu, come sempre. Di azzurro precisamente, la stessa tonalità dell’acqua.

    Già, l’acqua, l’elemento che dà la vita, prezioso per ogni creatura. Kimberly si soffermò su quel ricordo, quando ad un certo punto della loro gita a suon di shopping, era talmente stanca di girare e il povero Phil-portatutto le faceva così pena, che non vedeva l’ora di sedersi da qualche parte e bere una cioccolata calda per rifocillarsi, ma Joanna non ne voleva assolutamente sapere ed era decisa a terminare i suoi acquisti e allora desiderò che piovesse. Espresse quel desiderio con tutta la forza che aveva, sentendo ogni singola molecola del suo corpo vibrare, la mente aprirsi in una sorta di spazio-tempo paralleli e il desiderio diventò formula.

    Fai che piova, fai che piova, fai che piova.

    Lo disse nella sua mente con maggiore intensità fino a che una goccia di pioggia le punzecchiò la guancia. Poi due. Un giorno solleticato da un timido sole, si trasformò in un pomeriggio di tempesta. Dal cielo scesero goccioloni d’acqua gelida, accompagnati da piccolissimi agglomerati di ghiaccio. I tre ragazzi corsero a rifugiarsi nel bar più vicino. Kimberly parve sconvolta e si sentì improvvisamente stanca, come se avesse scalato una montagna con uno zaino sulle spalle da duecento kili.  Joanna l’aiutò a sedersi, mentre Phil sistemò gli acquisti e ordinò bevande calde per tutti. Dopo pochi minuti il fenomeno cessò e i raggi del sole fecero nuovamente capolino tra le nuvole grigie cariche di quella rabbiosa tempesta. Fu un qualcosa di inspiegabile per tutti, soprattutto per Kimberly, che si domandò se fosse una coincidenza oppure qualcosa di più arcano, sebbene la logica imponeva a una insolita coincidenza, per l’appunto.

    Kim tornò alla realtà, strattonata dall’amica che voleva salutarla. Ma era ancora distratta, da quell’episodio, uno fra i tanti, che vedeva protagoniste lei e l’acqua. C’era forse un qualche legame speciale tra lei e l’acqua? o tutto ciò che le capitava, erano solo coincidenze dettate da qualcosa in cui la logica ci arrivava a fatica, ma comunque ci poteva arrivare? decise di non far fare guerra ai neuroni per il momento, doveva andare a prendere al parco il fratello, tornare a casa per i compiti, farsi un bagno ed infine cenare velocemente per poi uscire ed incontrare l’amica.

    Le cose da fare erano molte e il tempo si sa, quello è tiranno. Dopo aver salutato altre sue compagne di corso di algebra e di letteratura, uscì dalla scuola e si avviò verso il quartiere che portava al parco dove Alex era solito andare a giocare con Billy. Un grande parco sempre ben curato e pulito, dove vi era allestito un angolo per tenere i cani e lasciarli liberi di correre e giocare, ed un altro angolo in cui vi erano disposte alcune giostre per bambini ed un chiosco di ciambelle e hot dog, per i quali il piccolo Alex andava matto. Aveva già dieci anni, ma per quei hot dog regrediva ad un bambino di due anni, tanta era la smania ed i capricci per poterli divorare.

    Mentre camminava a passo svelto, Kimberly si ritrovò con la testa fra le nuvole ancora una volta, con quei pensieri sui suoi trascorsi avvenimenti riguardanti l’acqua. Ogni tanto le piaceva credere che fosse opera della magia. Che cos’è la magia? per lei era quasi una forza superiore, ma invisibile e impercettibile, un fastidioso sassolino nella scarpa della realtà, motivo di insulto alla logica. Ma la affascinava, moltissimo. Tant’è che di tanto in tanto si scopriva ad ammirare la vetrata di un negozio di articoli di alchimia, che si trovava proprio in quella strada. Era un quartiere tranquillo, con un piccolo negozietto di generi alimentari e altri negozi di souvenir per turisti, una farmacia e quel fulcro dell’anti-logica. Sì, la ragazza era profondamente ed inconsciamente affascinata, nonché attratta dal mondo della magia, dell’occulto, ma non lo voleva ammettere a se stessa perché in fondo aveva paura, sentiva paura per l’ignoto. Fu cresciuta con un’educazione basata sul concreto, il massimo di anormale a cui credevano i suoi genitori, erano gli alieni.

    Quel giorno si sentì particolarmente attirata dal locale, come se una vocina nella sua testa le ordinava di avvicinarsi. E così fece. Nell’insegna sopra la porta d’entrata del negozio vi era scritto il nome Sibilla’s Eye. Come guidata da una forza misteriosa, aprì la porta ed entrò. Si guardò intorno incuriosita. Una tiepida luce illuminava debolmente l’interno, gli scafali erano puliti e ordinati in cui si poteva trovare praticamente di tutto. Dai vari oggetti d’alchimia, incensi, candele, libri sulla stregoneria, boccette e fiale per le pozioni, statuette raffiguranti la Dea e altri gadget della stessa, tovaglie e accessori per creare il personalissimo altare. Questo mondo per lei era del tutto nuovo, ma si sentiva emozionata poiché lo trovava bellissimo. Una donna le si avvicinò.

    «Salve cara» salutò questa. Era una signora alta, dai lunghissimi capelli argentati, indossava una tunica arancione e verde kaki. Sebbene dal portamento e dalla voce si capiva che era una donna matura, il viso fresco e gli occhi dal travolgente magnetismo, non lasciavo trapelare un’età definita.

    Kimberly titubante ricambiò il saluto. «Buongiorno.. è lei Sibilla? la proprietaria intendo»  la donna le sorrise amorevolmente, come una zia sorride ad una nipote.

    «Certo cara, Sibilla è il nome che mi diedero alcuni wiccan della zona, ma in realtà il mio nome è Rhonda, piacere di conoscerti.. non  è la prima volta che ti vedo, sai.»

    Kimberly trasalì. «Be’ in effetti ogni tanto, mentre passo di qui, do un’occhiata alla sua vetrina. Non so nemmeno io il perché, la cosa mi affascina ma non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi e oggi.. sono addirittura entrata.. volevo vedere com’era dentro e le faccio i miei complimenti, molto bello e soprattutto sembra essere interessante.»

    La donna le prese le mani. «Stai tranquilla.. sono lieta ti piaccia, qui troverai qualsiasi cosa ti serva, qualsiasi risposta. Mai letto nulla sulla magia, vero?» Kimberly rifletté sul fatto che anni addietro svolse una sua ricerca personale sull’argomento in biblioteca.

    «No, sinceramente nulla di serio» guardò le mani di Rhonda, ornate da lunghissime unghie.

    «Evidentemente sei una strega naturale, non aspiri a diventare quel che si dice una wiccan, ovvero non ti soffermi su una filosofia vera e propria, ma ne sei attratta. Sei quel che si dice una strega naturale.»

    Kimberly le lanciò un’occhiataccia. «Ma che sta dicendo? non sono mica una fattucchiera io! non mi interesso a questi abracadabra, ho solo detto che ne sono leggermente affascinata, così come ero affascinata da Babbo Natale quando ero bambina.»

    Rhonda le strinse le mani. «E non ti chiedi il motivo? o meglio, non riesci a trovare una ragione plausibile a questo? suvvia mia cara, non mentire a te stessa. Tu sei attratta dal mondo della magia perché nel tuo cuore sei una strega. Io lo vedo, lo sento, hai un’aura potentissima e un’energia dentro di te che non ho mai percepito in nessun seguace di religioni celtiche, in shamani o in altre streghe. Sembri quasi unica, solo che tu non lo sai ancora.. sarai capace di grandi imprese, te lo leggo negli occhi.»

    Kimberly si liberò bruscamente dalla presa. «Non ho mai pensato di poter essere una strega! tutto questo mi sembra così assurdo.. e lei mi fa paura» si voltò e fece per uscire, ma la donna tentò di bloccarla.

    «Ora sei confusa mia cara, ma tornerai.. io lo so, tornerai.. l’accettazione è lunga e difficile, ma imparerai.»

    La ragazza uscì dal negozio sbattendo la porta e correndo verso la fine del quartiere.

    Si chiese se Rhonda avesse ragione. Se fosse davvero una strega? avrebbe

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1