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Snehild. La veggente di Midgard
Snehild. La veggente di Midgard
Snehild. La veggente di Midgard
E-book426 pagine5 ore

Snehild. La veggente di Midgard

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Info su questo ebook

Snehild viene al mondo nel bel mezzo di una sanguinosa guerra. La madre fugge attraverso i boschi e raggiunge la città di Himlinge, dove Snehild cresce. Quando, però, la potente sacerdotessa della città, Ragnfrid, sospetta che Snehild abbia capacità superiori alle sue, decide che è necessario sbarazzarsi di lei.Ispirata alla mitologia nordica, la serie "La veggente di Midgard" è ambientata nella Danimarca dell'età del ferro. Una storia avvincente di donne forti, vendetta, destino e favore degli dèi, in un'epoca in cui la passione e l'onore dominano il campo di battaglia.-
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2023
ISBN9788726922523

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    Anteprima del libro

    Snehild. La veggente di Midgard - Anne-Marie Vedsø Olesen

    Snehild - La veggente di Midgard

    Translated by Bruno Berni

    Original title: Vølvens vej - Snehild

    Original language: Danish

    Copyright © 2022 Anne-Marie Vedsø Olesen and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726922523

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Ricordo i giganti,

    nati nell’antichità,

    mi allevarono

    in tempi lontani.

    Nove mondi ricordo,

    nove donne di magia,

    e l’albero del destino

    nascosto nel fango.

    La profezia della veggente

    Prologo

    Asdis percepisce di nuovo il bambino che scalcia, poi un peso, una pressione verso terra, come un risucchio dalle radici di Yggdrasil. Il seme che porta in seno da molti mesi come un piccolo di lupo, irrefrenabile e forte.

    Ora vuole uscire. Lo avverte. È giunto il momento.

    Fuori cade la neve. Ha cominciato ad alzarsi il vento e le raffiche fanno scricchiolare la porta di legno, ma il vento non entra perché nel corso dell’autunno lei ha chiuso con cura tutte le fessure.

    Poi sente il rumore. Dapprima è come un’inquietudine nell’aria, un turbinante stormo di elfi, questo fa in tempo a pensare prima che il boato diventi così reale da farle comprendere la minaccia.

    Non c’è tempo da perdere, non ha mai esitato e non esiterà ora, afferra il mantello di pelliccia e il coltello, si precipita fuori nella sera buia e comincia a correre.

    Ci sono grida, vociare, echi.

    Asdis corre tra le capanne, evita gli uomini armati, deve uscire dal villaggio, allontanarsi verso i margini del bosco. Percepisce il fuoco alle sue spalle, crepitio e bagliori di fiamme, e sente grida di battaglia e lame che si scontrano.

    Una freccia le sfiora la testa, ma lei non grida né si volta a guardare. Per sopravvivere bisogna agire con determinazione, senza dubbi né sentimenti, questo l’ha sempre saputo. Nel momento del pericolo non c’è posto per i sogni elfici.

    La neve è aumentata, è un fitto e gelido turbinio, come un soffio di Niflheim, ma va bene così, il vorticare dei fiocchi è per lei un riparo dagli sguardi ostili.

    E quando infine riesce a entrare tra gli abeti, ringrazia la neve che cade.

    Le grida alle sue spalle sono più deboli, hanno cambiato carattere, ora ci sono meno ruggiti di uomini e più strilli di donne.

    Deve addentrarsi nel bosco. Deve correre finché non riuscirà più a sentire il combattimento.

    Un dolore lancinante la attraversa, come ghiaccio e fuoco, come l’acqua della creazione dell’abisso del Ginnungagap che ora le scorre lungo le gambe. Si piega crollando a terra carponi.

    La neve è alta, le mani affondano e si fanno troppo fredde, ma non riesce ancora ad alzarsi. Ansima dal dolore, il corpo è teso come l’arco del nemico e riesce ancora a sentirli, lontano, sa che deve alzarsi e andare avanti. Non può partorire qui. Altrimenti moriranno entrambi.

    Ma ha le doglie e si sono rotte le acque. Non ha molto tempo per trovare un giaciglio adeguato.

    Quando i dolori le danno tregua, Asdis si alza piano. Si soffia il fiato caldo sulle mani e si stringe meglio intorno al corpo il mantello di pelliccia. È stato creato cucendo insieme molte piccole pelli di volpe e le è stato sempre utile.

    La neve spinge a terra i rami degli abeti, la nevicata ha reso silenzioso l’interno del bosco, il vento sibila sopra le cime degli alberi e lei avanza a passi pesanti che scricchiolano nella neve alta. I fiocchi freddi le scendono sulle ciglia e si sciolgono sulle guance.

    C’è un riparo di legno sulla riva del torrente, lo usano i pescatori e con la luce del giorno non avrebbe problemi a trovarlo. Ma nell’oscurità vede solo fiocchi di neve scintillanti e il cielo notturno non ha luna o stelle che possano guidarla.

    Si chiede perché gli antichi eroi e i severi dèi infurino a tal punto quella notte.

    Deve provare a trovare quel riparo. È la sua unica speranza.

    Il bambino spinge ancora, lei boccheggia, la neve la investe, è il gigante Fornjot che ha chiamato a raccolta tutta la sua stirpe, Frosti, Sne e Kári del Vento, il mondo è fatto solo di abeti coperti di neve, dolore al ventre e gelo alle mani e ai piedi.

    Le lacrime le scorrono sulle guance, vorrebbe tanto stringere il piccolo tra le braccia. Ma non è una gigantessa, non può sconfiggere la stirpe di Fornjot, il vento, il gelo e la neve, non possiede la forza di una dea. Per la prima volta pensa che comunque quella notte morirà. Non si può combattere contro il destino.

    I dolori ritornano più forti, cade di nuovo carponi come un animale.

    Potrebbe essere un cane o una volpe, oppure un lupo, potrebbe essere un piccolo gatto al caldo davanti al fuoco, pensa, e si arrabbia con se stessa per quei sogni elfici. Portano solo morte.

    Vorrebbe essere un lupo, il dolore la pervade, di nuovo fuoco e ghiaccio, il tormento è insopportabile, nausea e sudore freddo, ha le dita livide e lo sguardo vaga verso la morte mentre migliaia di lame le attraversano il ventre.

    I mulinelli di neve la avvolgono, la vista vacilla e si riempie di macchie scure. E vede la morte che arriva a cavallo di un lupo enorme.

    Le dà il benvenuto: «Dolce morte» ansima rivolta alla gigantessa quando arriva un’altra ondata di doglie.

    La gigantessa scende dal lupo, le briglie tornano a posto da sole, sembrano dei serpenti, briglie di vipere lisce e squamose che si avvolgono intorno al collo dell’animale.

    Asdis percepisce lo sfinimento della morte, scorre verso Helheim, il grigio paese dei morti, e va bene così, perché non ce la fa più.

    Protende la mano verso la donna.

    Delle braccia forti la sollevano.

    Poi si libra tra i fiocchi di neve, nella notte, nel nulla.

    «Calma» le dice la gigantessa.

    Asdis è coricata su un giaciglio asciutto di rami d’abete. Il riparo ha tre lati, le riesce di vedere la notte. All’entrata c’è un piccolo fuoco acceso. Il lupo con le vipere non si vede, solo la bufera di neve che sembra essere aumentata di forza. Forse il lupo era solo una visione di sogno.

    «Tu non sei la morte?» chiede Asdis alzando lo sguardo su un volto smunto incorniciato da capelli grigiastri e scarmigliati.

    «Certo che no» ride la donna. «Io sono Hyrrokin della stirpe dei giganti. Non devi aver paura, l’ho già fatto prima d’ora. Sento la testa del bambino. Tra poco dovrai spingere più forte che puoi».

    La gigantessa Hyrrokin le ha allargato le gambe e le ha infilato dentro le dita.

    L’ululato del vento cresce e quando arrivano ancora le doglie le sembra che il vento si trasformi in parole che riesce a comprendere.

    «Le Norne» dice Hyrrokin sorpresa e getta uno sguardo nell’oscurità. Poi abbassa gli occhi su Asdis e le ordina di spingere.

    «Lì, lì, sono tre!» grida Asdis mentre spinge fuori disperazione e dolore.

    Le tre figure indistinte sono lì fuori sotto il frassino e lei le riconosce e le ode, continua a spingere, le voci delle Norne sono il vento, le loro parole sono fiocchi di neve nella bufera e il bambino scivola fuori.

    Le Norne gridano contro i cieli di neve

    Urd dice:

    Guercio era tuo padre,

    tu hai bevuto dalla stessa fonte.

    Verdandi dice:

    Nelle tempeste burrascose di Frosti

    hai trovato il tuo essere e il tuo nome, Snehild.

    Skuld dice:

    Regni e re ti dovranno il sangue,

    pesa le parole, porta il ferro nel cuore.

    Le Norne gridano con triplice gioia:

    Non visto per la progenie di Ask ed Embla,

    ma non per Snehild:

    L’ascia omicida,

    la promessa infranta,

    la terra divisa,

    il respiro del lupo e l’inganno degli dèi.

    Segui il tuo sentiero, figlia della visione,

    abbraccia il tuo onore così non scomparirai

    con il sole del crepuscolo nelle fauci del lupo.

    Parte prima

    Verdandi

    1

    Un tratto andava verso l’alto e sul tratto c’era qualcosa che somigliava a un naso appuntito. Le dita di Snehild scivolavano sui segni. Il segno successivo sembrava una casa con il tetto che stava per crollare.

    Mamma Asdis si era fatta prestare il bastone da Brynjulf. Era fatto di legno di faggio e pieno di segni incisi. Brynjulf Sguardo di Corvo era speciale, sapeva interpretare le rune ed era il più importante consigliere del re. Tutti ne avevano un po’ paura, tranne Asdis, che parlava spesso e a lungo con lui e dopo era sempre contenta.

    Snehild capiva il significato di quegli incontri. Quando era piccola si era sempre immaginata come sarebbe stato avere un padre. Ora aveva cominciato a chiedersi se Brynjulf sarebbe stato un buon padre. Era intelligente e potente, ma sembrava indifferente nei confronti della piccola Snehild. Non la guardava né le parlava quando andava a trovare sua madre.

    Asdis diceva che le rune contenevano il potere degli dèi. E diceva che Snehild un giorno avrebbe dovuto interpretare le rune. Intanto avrebbe imparato sua madre.

    «Snehild, adesso!» il tono di voce di Asdis era inequivocabile.

    Snehild si alzò controvoglia e andò verso la porta. Dovevano uscire a raccogliere erbe.

    Quando dalla capanna buia uscì all’aperto, la tarda estate la abbagliò: la luce del sole era forte, il cielo bianco, e nonostante il primo giallo autunnale qui e là ai limiti del bosco, la maggior parte degli alberi aveva ancora la chioma verde scuro, i prati in fiore disegnavano un mare di piante variopinte, i cespugli erano rigonfi di bacche e all’orizzonte si scorgevano i campi dorati dei grandi proprietari.

    Abitavano ai margini della città. Himlinge era un ricco centro, situato nella parte orientale del regno di Sialand, e la residenza di re Tormod e della regina Grid era nota ovunque. Dei mercanti con i loro carretti erano diretti al mercato, c’erano contadini che portavano tuberi e cacciatori con le pelli, e un venditore di idromele si era sistemato davanti al conciatore e gridava freneticamente.

    Asdis e Snehild seguirono la strada di terra battuta che usciva da Himlinge e la madre cominciò a interrogarla sulle erbe medicinali che era possibile trovare in quella stagione.

    «Falsa ortica bianca» rispose Snehild dopo qualche esitazione. «Borsa di pastore, bardana maggiore».

    «Asdis, aspetta!».

    Il grido veniva dalle loro spalle, Snehild si voltò e vide la somma sacerdotessa Ragnfrid, con i suoi capelli rossi, che si avvicinava a passi rapidi.

    Si fermarono ad aspettarla.

    «Cosa posso fare per te?» disse Asdis con tono freddo quando Ragnfrid le ebbe raggiunte.

    Snehild si allontanò un po’. Le girava la testa e vedeva delle macchioline. Era come se l’aria tra le due donne fosse tinta di sangue di battaglia.

    «La pace di Freja» salutò Ragnfrid. «È vero che stai imparando le rune? Asgar ha visto Brynjulf che ti consegnava un bastone runico».

    «Cosa accade tra Brynjulf e me riguarda solo gli dèi» rispose Asdis. «Sei gelosa? Ho visto come gli fai gli occhi dolci».

    «Io sono la lingua degli dèi a Midgard» disse Ragnfrid con l’aria di chi cerca di soffocare uno scatto d’ira. «Sai benissimo che la magia runica appartiene solo ai pochi eletti. Come noi sacerdoti. O Brynjulf, che è consigliere ed emissario del re. Tu non sei nessuna delle due cose, Asdis».

    Asdis evitò di rispondere, il suo volto rimase impassibile, si voltò e chiamò Snehild.

    «Snehild, vieni, ho promesso alla regina Grid altra corteccia di salice».

    Si allontanarono lasciando lì Ragnfrid infuriata. Snehild comprese che sua madre aveva nominato appositamente la regina Grid, perché Ragnfrid aveva cercato di umiliarla. Conoscere la regina conferiva potere.

    Una volta uscite dall’abitato, Snehild chiese a sua madre perché lei e Ragnfrid non si sopportavano.

    «A volte è così, tra gli adulti».

    «Mamma, ho dodici anni. Capisco bene quella cosa di Brynjulf».

    Asdis la guardò. Un merlo stava cantando, le pratoline erano in fiore. A Snehild sembrava che qualcosa di spiacevole si nascondesse dietro quell’assolata giornata estiva, qualcosa che era stato messo in moto dallo scontro tra sua madre e Ragnfrid.

    «Farfaraccio maggiore» disse Asdis, chinandosi a strappare con tutte le radici il fusto con l’infiorescenza rossastra. «Lo riconosci dall’odore, prova a spezzare il fusto. La radice cura le ferite».

    Snehild provava una crescente irritazione. Troppo spesso sua madre ignorava le sue domande e quando questo accadeva, lei si sentiva impotente.

    «Quello» continuò Asdis indicando un grappolo di fiori azzurrini che arrivava a metà della gamba di Snehild. «Dimmi cos’è quello».

    «Quella è una buglossa comune» rispose Snehild di malavoglia. «Si usa per la tosse e il dolore».

    Asdis colse il risentimento che covava sotto le sue parole.

    «Sei diventata brava» disse con tono dolce e la fissò. «Un giorno chiederanno consiglio anche a te. Non manca molto al sacrificio d’autunno. Ti sei meritata di venire con me alla festa che ci sarà dopo. Ormai dovresti essere abbastanza grande».

    2

    Ragnfrid stava entrando nell’abitato. Le serviva un nuovo pugnale e andavano incise delle rune sul manico. Doveva esercitare una forza particolare quando lo usava per i sacrifici, e voleva assicurarsi che fosse pronto per l’imminente sacrificio d’autunno.

    La casa di Ragnfrid era ai margini del bosco, fuori dall’abitato di Himlinge. Le era stata assegnata la dimora della precedente somma sacerdotessa Frejdis, che sorgeva in una posizione pratica rispetto al boschetto sacro, e ogni mattina all’alba Ragnfrid salutava gli dèi prima di andare alla residenza del re per ascoltare e consigliare.

    Come al solito avanzava a passi rapidi, non sopportava chi trascinava i piedi senza costrutto e apprezzava di vedere i contadini che nei campi a ovest erano tutti impegnati a mietere. Ogni persona libera dava una mano. Si stava avvicinando un temporale. Davanti a lei avanzavano i carri diretti nell’abitato e vide un piccolo gruppo di guerrieri di re Tormod armati di lance, che cambiavano la guardia ai lavori per costruire la palizzata.

    I pensieri di Ragnfrid tornarono all’incontro con Asdis il giorno prima. Doveva intervenire nei confronti di quella donna, del suo desiderio di imparare le rune. Il dominio delle rune non era per tutti e Ragnfrid non poteva permettere che il potere dei sacerdoti venisse indebolito.

    Fin da quando era una ragazzina lentigginosa con le lunghe trecce, lei aveva sognato di diventare sacerdotessa, di essere l’unica in grado di comprendere la volontà degli dèi e invocare il loro aiuto. Da bambina aveva seguito con attenzione i blót stagionali, ovvero i sacrifici, e poi il dísablót, il blót della vittoria e l’alfeblót. Aveva ascoltato le voci del bosco e del fiume e avvertito la presenza degli dèi toccando particolari pietre e tronchi. Si era esercitata ad andare in trance, aveva catturato piccoli animali come bisce e topi sacrificandoli con sassi affilati da lei stessa. Si era attaccata alla gonna delle vere sacerdotesse tormentandole finché non le avevano mostrato le ciotole sacre e il membro di cavallo imbalsamato. La sua costanza era stata notata e alla fine l’avevano presa come apprendista.

    Ragnfrid superò gli schiavi che stavano erigendo la palizzata intorno a Himlinge sotto la sorveglianza del mastro costruttore Eik. Tra poco sarebbe arrivata dal fabbro, vicino alla residenza reale, dove Brynjulf faceva da consigliere al re. Il pensiero le scaldò il corpo. Dopo essere stata dal fabbro doveva trovare qualche commissione da fare alla residenza del re.

    Le rune non erano l’unico motivo per cui detestava Asdis. Non sopportava che Asdis avesse rubato l’attenzione di Brynjulf.

    Quell’uomo aveva portato inquietudine nella sua vita. Tre volte si erano incontrati in un amplesso, e tutte e tre le volte era sembrato un viaggio oltre Midgard. Aveva provato un’estasi che non aveva mai nemmeno sognato, che anzi aveva sempre creduto di poter trovare solo nell’incontro con gli dèi e non in un normale rapporto con un uomo mortale.

    Pensava molto a quell’estasi. Il corpo le formicolava quando ripensava a Brynjulf, ma allo stesso tempo tutto questo le faceva nascere dubbi sulle sue capacità come sacerdotessa. I suoi riti erano solo immaginazione? Durante le trance viaggiava davvero sull’arcobaleno Bifrost fino ad Asgard, la dimora degli dèi? Non ne era più sicura.

    Ragnfrid continuò attraversando l’abitato fino alla bottega del fabbro. Capitava che fosse pigro e lei si era preparata delle parole dure che lo spronassero a terminare il pugnale. Il sacrificio d’autunno era importante e lei era la persona più importante del rituale. Gli occhi di tutti sarebbero stati fissi sulla somma sacerdotessa. Quelli del re, della regina e di Brynjulf.

    Le tornò in mente l’immagine di una ragazzina bionda. La figlia di Asdis. Snehild l’aveva fissata in modo strano, sembrava quasi che potesse guardarle dentro. Somigliava a un piccolo elfo.

    Ragnfrid fu presa dall’inquietudine. C’era qualcosa di singolare nella ragazzina e quella sensazione non le piaceva. Avrebbe voluto cacciare da Himlinge madre e figlia.

    3

    Snehild si toccò ancora una volta i capelli per capire se era possibile vedere che li aveva tagliati un po’ dal lato sinistro. Era una fortuna che li avesse folti e mossi. Si era pentita della sua reazione irritata.

    Dovevano uscire per andare al sacrificio d’autunno e Asdis le aveva pettinato i capelli arruffati, quasi bianchi, anche se lei insisteva per farlo da sola. Non era più una bambina e quando infine Asdis le aveva volto le spalle, per l’irritazione lei aveva afferrato le forbici.

    Per fortuna l’irritazione era passata. Adesso era solo tesa. Dopo il sacrificio nel bosco sacro sarebbe andata con loro alla festa nella residenza del re.

    «Ma solo per un po’» aveva sottolineato Asdis. «Gli ospiti berranno come Thor dal calderone di Ægir e tu devi tornare a casa prima che l’idromele li faccia impazzire».

    Sua madre era davvero attraente. Il rosso era un colore raro e prezioso e la tunica che le aveva donato la regina Grid la faceva apparire nobile. Snehild invece era una comune ragazza di villaggio con la sua tunica grezza e marrone. Ma era pulita e pensava che nonostante tutto i capelli pettinati le stavano proprio bene.

    Molti altri stavano uscendo dall’abitato diretti verso il boschetto dietro i tumuli. Il sole autunnale splendeva attraverso brandelli di nuvole leggere, era una giornata calda e intorno a loro c’erano voci allegre ovunque. Alle loro spalle i campi mietuti di Sialand erano pieni di stoppie dorate di orzo e frumento e si stendevano fino all’orizzonte a nord e ovest, finché arrivava lo sguardo, e davanti a loro, verso sud, c’era il bosco di faggi che, dicevano, si estendeva fino al fiume Tryggveld e forse persino sull’altra sponda, nel paese degli elfi.

    Asdis stava raccontando di quella volta che aveva partecipato a un sacrificio umano. Si era appena trasferita a Himlinge, Snehild era piccolissima e a lei badava una vicina, e come esperta di erbe aveva assistito i sacerdoti nella preparazione di misture calmanti per la vittima. Era un giovane e gli aveva dato un miscuglio forte di valeriana, giusquiamo nero e capsule di papavero, che lo aveva portato ad accogliere la morte con tranquillità. Lo avevano fatto sdraiare sulla pietra sacrificale e gli avevano aperto la giugulare in modo che il sangue potesse scorrere nel sacro vaso di Odino.

    «Spero che i sacerdoti non abbiano mai più bisogno di me» disse Asdis. «Fu una giornata pesante. Pioveva forte e la gente aveva paura. Ma Tormod vinse la guerra. Gli dèi avevano accettato il sacrificio».

    Snehild si chiese come dovesse essere abbandonarsi a quel destino. Affermavano che era un onore, ma lei non si sarebbe mai arresa senza opporre resistenza. Se l’avessero costretta avrebbe preferito non avere erbe calmanti. Anche andando incontro alla morte avrebbe mantenuto la dignità e il pieno possesso dei sensi.

    Ma quella giornata era gaia, il raccolto dell’anno era stato ricco e dovevano essere sacrificati solo degli animali come ringraziamento.

    Poco più avanti camminava il piccolo Krimbjørn che teneva la mano della madre Birla. Snehild lo salutò con un cenno. Sembrava spaurito mentre si avvicinavano ai tumuli che sorgevano in una zona acquitrinosa poco fuori dal bosco.

    Nonostante la differenza di età, Krimbjørn era uno dei pochi amici di Snehild. Qualcosa in lei teneva a distanza la maggior parte degli altri. Forse il suo strano pallore. Era come un elfo trasparente, le aveva detto una volta Krimbjørn toccandole con devozione i folti capelli crespi e bianchi che le stavano ritti in testa come i semi di un soffione.

    C’erano in tutto sette collinette e si diceva che i primi re e le prime regine di Himlinge, nei tempi antichi, fossero stati sepolti lì dentro, che le loro ossa dessero forza alla terra e che in caso di necessità potessero essere richiamati dal Valhalla per proteggere la città reale dal nemico. Sembrava una cosa giusta che il bosco sacro fosse proprio lì vicino.

    Seguirono il sentiero tra i tumuli, la gente cominciava ad abbassare la voce e un’atmosfera di devozione cominciò a diffondersi tra le persone che si erano raccolte lì.

    Non era possibile dire se fosse il pensiero delle ossa o l’imminente sacrificio, ma d’improvviso a Snehild sembrò di sentire l’erba giallastra dei tumuli che sussurrava nel vento:

    Proprio così, forte nata con la neve: con il ferro nel cuore e il sangue nello sguardo calpesti l’arcobaleno Bifrost. La tua lingua di fiamme parla la lingua della Norna, hai trovato il tuo occhio nella fonte.

    Il frassino che cresceva sulla cima del colle più alto protendeva i suoi rami verso il cielo, spuntò uno splendido arcobaleno, archi lilla, verdi, rossi e gialli salivano come celesti sentieri verso la Asgard degli dèi. Canne e giunchi di palude iniziarono a ondeggiare, lei ondeggiava con loro, le foglie che scendevano dal frassino erano come le stelle cadenti del giorno e lei cadeva dal cielo verso la terra, da Asgard verso Midgard.

    Asdis la afferrò. «Lascia andare quei sogni degli elfi, non ti fanno bene!».

    L’arcobaleno era scomparso. Il frassino non protendeva più i suoi rami.

    «Ma ho visto l’arcobaleno» mormorò con tono aspro. Era impossibile che vedere Bifrost fosse un brutto segno.

    Seguirono gli altri tra i pini sul limitare del bosco, superarono il gruppo di snelle betulle e giunsero infine nel boschetto di faggi.

    Ragnfrid era in piedi accanto alla pietra sacra. Aveva il volto dipinto con dei cerchi rossi intorno agli occhi e delle strisce bianche sulla fronte, sulle guance e sul mento. Dietro di lei c’erano due sacerdoti e due sacerdotesse, tutti con il volto dipinto nello stesso modo. Ciascuno custodiva un animale legato che sarebbe stato sacrificato: una pecora, una capra, un maiale e un cane. Il cane mugolava e il maiale tirava con forza la fune che lo legava. Solo la pecora e la capra erano accovacciate tranquille.

    Tutti si affollarono in cerchi concentrici sotto gli alberi. Il suolo era coperto di foglie cadute, al di sopra delle quali le chiome dei faggi portavano il precoce splendore autunnale e l’ombra del fogliame copriva il bosco come una scintillante cupola punteggiata di macchie di luce solare.

    Tutte le voci ammutolirono quando re Tormod e la regina Grid giunsero per ultimi insieme ad Aslak e Roald. La folla si aprì per lasciarli passare, finché giunsero davanti a Ragnfrid e ai suoi sacerdoti.

    Snehild guardava i ragazzi con curiosità. Era passato un anno dall’ultima volta che li aveva visti, e come lei erano cresciuti e ora avevano l’aspetto di due giovani uomini. Aslak aveva qualcosa di luminoso. Era di una bellezza così affascinante che poteva sembrare quasi un figlio del dio Balder, che si diceva fosse il più bello di tutti. Tutti a Himlinge lodavano la bellezza di Aslak. Suo fratello Roald aveva un aspetto del tutto diverso, somigliava più a un orso, era selvaggio e arrogante e nessuno avrebbe detto che erano gemelli. Non era stato ancora deciso chi dei due dovesse ereditare il titolo di re e a Himlinge si discuteva continuamente del diritto di successione.

    I sacerdoti portarono a Ragnfrid la capra sistemandola sulla pietra come prima vittima sacrificale. Lei evocò gli dèi con voce melodiosa, uno dopo l’altro: Odino e Frigg, Thor e Sif, Tyr e Njord e Balder e Freja, e alla fine Frej. Poi bevve da un grande boccale di bronzo, sollevò il coltello e parlò a Frej dell’animale che gli avrebbero mandato per ringraziare del raccolto.

    Il coltello affondò nella gola della bestia, il sangue usciva in piccoli schizzi pulsanti e la sacerdotessa accanto a lei raccolse in un catino più sangue che poteva.

    Tormod si avvicinò alla pietra sacrificale e con il sangue Ragnfrid gli dipinse una riga sulla fronte. Alla fine la capra fu appesa a un albero a testa in giù in modo che l’ultimo sangue potesse scorrere nel catino.

    Tutti esultavano. La prima vittima sacrificale era stata inviata.

    L’animale successivo fu il maiale. Aveva iniziato a grugnire quando la capra era stata uccisa e ora strideva da far male al cuore. Tirava i legacci e altri quattro uomini dovettero avvicinarsi per aiutare i sacerdoti a tenere sulla pietra l’animale che strillava.

    Ragnfrid era impassibile. Con voce ferma chiese a Odino la saggezza mentre immergeva il coltello nella gola del maiale. Quello si agitò emettendo un paio di striduli strilli che spinsero diversi dei presenti a coprirsi le orecchie. Poi rimase immobile e in silenzio.

    Grid si fece avanti e ricevette anche lei una striscia di sangue sulla fronte.

    La seduta si ripeté con la pecora e il cane e ora toccò ai gemelli farsi segnare la fronte con il sangue. Lo sguardo di Roald era teso, mentre Aslak sembrava impassibile. Con la pecora Ragnfrid chiese a Thor la vittoria e con il cane chiese a Njord commerci vantaggiosi.

    Quando distesero il cane sulla pietra sacrificale, Snehild pensò al suo cane Kræ, ormai morto. Avevano amato quel piccolo cane e lo avevano viziato a tal punto che aveva la sua personale porticina nella capanna, in modo da poter entrare e uscire quando voleva. Quel cane continuava a guaire e scodinzolare allo stesso tempo e lei ne aveva compassione, avrebbe voluto accarezzarlo e consolarlo.

    Ferro nel cuore, sangue nello sguardo. Non doveva essere tenera. Il futuro era solo di chi era forte nel corpo e nell’animo, pensò, costringendo se stessa a osservare ogni singolo dettaglio del sacrificio.

    Al ritorno verso la dimora reale c’era un’atmosfera eccitata. Tutta la città avrebbe festeggiato fino a tarda notte.

    «Quella tunica ti sta bene» disse la tessitrice Birla, che aveva portato il dono ad Asdis una luna prima del previsto e ora camminava insieme a Snehild e a sua madre.

    Era una pregiata tunica rossa che i reali le avevano donato per aver curato il mal di ventre mensile della regina Grid. E con la tunica era arrivato anche l’invito ai festeggiamenti per il sacrificio d’autunno, alla residenza del re.

    «Già, alcuni di noi dovranno accontentarsi di festeggiare nel piazzale» continuò Birla. «Tu andrai con quelli altolocati. Del resto te lo meriti, sono anni che lavori a vantaggio di tutti qui a Himlinge. Cosa dai a Grid? Corteccia di salice? Finalmente la gente non ti incolpa più per essere stata l’unica che si è salvata quando quei fuorilegge hanno assalito il tuo villaggio. Pensa che ora hanno conquistato anche Vallev. Non capisco perché re Tormod non fa qualcosa per fermare Gisle e i suoi briganti di Egedal».

    «Sono ancora molti a guardarmi male e a reputarmi falsa o pazza» disse Asdis.

    «Questo non significa niente, la gente è semplicemente invidiosa. Ma la tua storia era pur strana. Credevo che tutti l’avessero dimenticata, tu non ne parli da anni. Per me non ha nessuna importanza, una può andare a letto con chi vuole e il fatto che le creature magiche ogni tanto si facciano vive per intrattenersi un po’ con noi mortali è sicuramente vero».

    Giunsero alla piazza dove erano stati sistemati tini di idromele e arrostiti maiali sui fuochi all’aperto. I primi arrivati stavano già cominciando a riempire i corni per bere e i boccali.

    Asdis si avvicinò a Brynjulf non appena ebbero attraversato la piazza.

    «Porto con me Snehild all’inizio,» disse Asdis «si può fare, no?».

    Brynjulf gettò un rapido sguardo a Snehild.

    «Quanti anni ha?».

    «Dodici. Ma è sveglia per la sua età. Sarà in grado di cavarsela».

    «Saggia cosa». Lui la osservò un po’ meglio. «Ha anche delle doti?».

    «Sì» disse Snehild prima che sua madre avesse il tempo di rispondere. Finalmente aveva la possibilità di essere notata. «Conosco già le erbe, devo imparare le rune e voglio conoscere i nove mondi di Yggdrasil. E poi voglio imparare a combattere con le armi».

    Brynjulf la fissò sorpreso, poi scoppiò a ridere.

    «Non ti definirei proprio saggia, se credi di poter sollevare una spada

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