Baby blue
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In un crescendo di episodi inquietanti, Anna dovrà arrendersi e credere all’impossibile, e si spingerà al limite ultimo dell’amore materno per salvare i suoi figli da un destino che le appare inverosimile, eppure inevitabile.
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Anteprima del libro
Baby blue - Flavia Giordano
strada
Ben arrivato
Da qualche parte, nella sua testa di bambino, qualcosa gli suggeriva di stare all’erta.
Strizzò gli occhi per cercare di vedere meglio attraverso le piccole sbarre di legno bianco, mentre la sensazione di pericolo non accennava a diminuire.
Per mesi i suoi genitori lo avevano preparato con amore a quel giorno, e alla fine si era arreso docilmente all’idea che un fratellino non sarebbe stato un ostacolo all’amore che i suoi provavano per lui.
Alla fine si era convinto, e non aveva più avuto quegli incubi terribili in cui lo abbandonavano per dedicarsi al nuovo arrivato. Anzi, nelle ultime settimane aveva sentito crescere in sé una viva curiosità per l’esserino che mamma portava in grembo. Chissà quanto sarebbe dovuto passare prima di poter giocare insieme?
Qualcosa si mosse al di là delle sbarre, e Sasha sentì un formicolio salirgli lungo la schiena. Il cuore accelerò insieme al respiro.
Il carillon sopra la culla si mosse leggermente, tanto che si chiese se stesse respirando talmente forte da farlo oscillare anche a quella distanza.
Un paio di note si sparsero nella stanza, cogliendolo di sorpresa.
Nel fare un passo indietro urtò la pila di scatoloni che aveva alle spalle, facendoli cadere.
Giocattoli di gomma si sparsero sul pavimento, gemendo in varie lingue di gomma.
Sasha si portò una mano alla bocca per la sorpresa e per cercare di non urlare, ma ormai era troppo tardi.
Un attimo di silenzio, un movimento un po’ più veloce da dietro le sbarre di legno e suo fratello neonato, tornato a casa da meno di un’ora e deposto nella culla con la massima attenzione dal padre, proruppe in un pianto che sembrò entrargli sotto pelle.
***
Paul fece non poca fatica, una volta calmato il figlioletto e rimessolo a dormire nella culla, a individuare Sasha, seduto seminascosto dietro un'altra pila di scatole.
Vide la punta di una scarpa fare capolino da dietro un cartone, e l’idea di sgridare il figlio maggiore scomparve immediatamente, in un moto di tenerezza.
Girando intorno alla colonna di contenitori trovò il bambino seduto a terra, con il viso nascosto dalle braccia incrociate sulle ginocchia.
Si abbassò verso di lui e gli accarezzò dolcemente i capelli.
«Che ci fai nascosto qui dietro?».
Sasha alzò la testa quel tanto necessario perché gli occhi spuntassero da sopra le braccia.
«Niente…», bofonchiò a mezza voce.
Con un piccolo sbuffo di fatica il padre si mise a sedere per terra, davanti a lui.
«Controlli che tutto sia come io e la mamma ti avevamo detto?» chiese con un sorriso, cercando la complicità del bambino.
Sasha lo guardò per un po’ da sopra la barriera delle proprie braccia, poi prese coraggio e alzò la testa del tutto:
«Non mi avevate detto che la mamma non sarebbe tornata a casa con lui, però».
Paul, com’era capitato sempre più spesso nell’ultimo periodo di crescita di suo figlio, rimase molto colpito e per un attimo senza parole per l’acume che Sasha, a soli cinque anni, riusciva a dimostrare.
Lo guardò intensamente, in quegli occhi nocciola sempre allegri che adesso lo fissavano seri da sotto un caschetto di capelli biondo cenere.
«Hai perfettamente ragione tesoro, ma lo sai che si tratta solo di qualche giorno. I medici vogliono che la mamma sia in splendida forma quando tornerà a casa».
Il bambino tenne lo sguardo fisso sul viso del padre, tanto che l’uomo si chiese se non stesse pensando che era deprecabile da parte di un genitore raccontare bugie ai figli. Il sorriso che gli rivolgeva tremò lievemente, mentre si sforzava di mantenerlo in modo innaturale.
Sasha annuì e si aprì in un grosso sorriso che gli illuminò gli occhi e aprì il cuore di Paul.
«Allora, che ci facevi qui dentro?».
Paul si alzò e allungò una mano verso il figlio, per aiutarlo ad alzarsi.
«Tina voleva dare un’occhiata a Jack più da vicino!», rispose il bambino, con tono serio ma sguardo divertito.
Il carillon dietro di loro emise altre due note, ma con il padre nella stanza Sasha non ci fece neanche caso.
Paul si voltò dando uno sguardo distratto alle api di stoffa che vibravano impercettibilmente, attaccate ai loro cordini di nylon trasparente. Allungò un mano e le fermò, stringendo il cerchio di legno che le univa.
«Tina era curiosa di vedere il tuo fratellino?», chiese con aria complice, tornando a rivolgere totalmente la sua attenzione al bambino.
Lui annuì con aria allegra, e fece qualche passo verso la culla, girando intorno al padre.
«Voleva essere sicura che fosse tutto ok».
«Aveva dei dubbi?».
Ogni volta che parlava con suo figlio della sua amichetta immaginaria, Paul rimaneva sempre in bilico tra il divertito e l’incuriosito.
Il figlio doveva davvero essere dotato di una fantasia eccezionale, a giudicare dalle cose che ogni tanto immaginava uscire dalla bocca della coetanea Tina.
Sasha si strinse nelle spalle.
«Non lo so, ha detto solo che voleva avvicinarsi e guardarlo. Poi però ha cambiato idea. Ha detto che non serve guardarlo mentre dorme».
«Sono perfettamente d’accordo con Tina, lo sai? Perché non scendiamo un po’ in giardino a giocare a palla? Ti andrebbe?».
Sasha si precipitò a stringere la mano del padre, e cercò di tirarlo verso la porta, saltando di gioia.
Paul si portò l’indice della mano libera dalla stretta del figlio verso le labbra, facendogli segno di fare meno confusione, ma Sasha non dava segni di voler diminuire il trotto di gioia che stava improvvisando. Stava per prenderlo in braccio per sollevarlo di peso, quando Sasha si bloccò di colpo, con aria assorta.
«Tina dice che non possiamo andare a giocare, adesso».
Paul si girò verso la culla, più o meno nel punto dove vedeva dirigersi lo sguardo di Sasha.
«Ah sì? E perché non possiamo?».
Sasha alzò le mani in un gesto di stizza.
«Non lo so! Sta lì affacciata sulla culla e dice che non possiamo giocare. Uffa!».
Paul aggrottò la fronte, e mosse qualche passo verso la culla. Immaginò una bambina bionda di cinque anni, come il figlio l’aveva sempre descritta, che si sporgeva sopra di essa in punta di piedi.
Si avvicinò stando attento a non fare il benché minimo rumore, fino a quando non riuscì a scorgere il secondogenito. Con sua enorme sorpresa lo trovò completamente sveglio, con gli occhi aperti che lo seguivano in ogni movimento.
Si sporse sulla culla appoggiando le mani alle sbarre, indeciso sul da farsi. Era sveglio, ma non piangeva… questa era una combinazione che non aveva mai visto nella sua pregressa esperienza con Sasha in fasce.
Sentì solo vagamente il sussurrò di Sasha rivolto all’amica:
«Perché dici così?».
Neanche il tempo di chiedergli cosa gli stesse dicendo Tina, che il neonato proruppe in un pianto disperato.
Sogni
Due giorni prima
Anna si sentiva in carcere, prigioniera del suo stesso corpo dolorante.
Aveva partorito da meno di due ore, e l’anestetico stava lentamente svanendo. Cercò di mettersi seduta più comodamente sul letto, ma la sensazione dei punti che le tiravano sul basso ventre la fece desistere.
Sbuffò sonoramente.
Se suo marito fosse stato ancora lì gli avrebbe chiesto un bicchiere d’acqua, ma c’era solo lei e la sua vicina di letto schizofrenica, in quella stanza illuminata a malapena dalla luce che filtrava dal corridoio.
Paul aveva detto ridendo che Jack era un bambino sanissimo e bellissimo,