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Il Naulahka
Il Naulahka
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E-book291 pagine4 ore

Il Naulahka

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Info su questo ebook

Un romanzo d’avventura, nella migliore tradizione di Kipling. Colorado, ultimi anni dell’Ottocento. Giovane e intraprendente, Nicholas Tarvin ha due obiettivi nella vita: sposare la ragazza di cui è innamorato, Kate Sheriff, e convincere gli impresari di un’importante linea ferroviaria a far passare i propri treni da Topaz, il paese dove vive. Kate rifiuta le proposte del giovane e parte per l’India, per raggiungere l’ospedale di una missione e curare i malati di quella regione. Intanto Nicholas conosce la moglie dell’impresario, Mrs. Mutrie, e si mette d’accordo con lei per ottenere il passaggio della ferrovia in cambio di una preziosa collana che la donna sogna da tempo: il Naulahka, custodito come oggetto sacro dal Marahajah di Rhatore. Anche Nicholas parte allora per l’India. Il giovane inizia le proprie trame per recuperare il gioiello e la ragazza la sua attività missionaria. Entrambi sono ostacolati dalla moglie del Maharaja, Sitabhai che cerca di farli uccidere, perché intuisce le mire di Nicholas e non perdona a Kate di aver salvato con le sue cure l’erede al trono del principato, che essa voleva eliminare. In un crescendo di avventure degno di Indiana Jones, i due americani affronteranno sempre nuovi pericoli.
LinguaItaliano
Data di uscita5 lug 2021
ISBN9788892966505
Il Naulahka
Autore

Rudyard Kipling

Rudyard Kipling (1865-1936) was an English author and poet who began writing in India and shortly found his work celebrated in England. An extravagantly popular, but critically polarizing, figure even in his own lifetime, the author wrote several books for adults and children that have become classics, Kim, The Jungle Book, Just So Stories, Captains Courageous and others. Although taken to task by some critics for his frequently imperialistic stance, the author’s best work rises above his era’s politics. Kipling refused offers of both knighthood and the position of Poet Laureate, but was the first English author to receive the Nobel prize.

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    Anteprima del libro

    Il Naulahka - Rudyard Kipling

    GEMME

    frontespizio

    Rudyard Kipling – Wolcott Balestier

    Il Naulahka

    ISBN 978-88-9296-650-5

    © 2013 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    I

    Ci fu una lite tra un uomo e una donna,

    tanti anni fa, all’inizio dei tempi.

    Ma ciò che si dissero i due

    non sta tutto in un verso.

    «Non posso vivere con te, caro.»

    «Non posso vivere senza di te, amore.»

    Erano giovani e sinceri entrambi,

    e testardi come la pietra di paragone.

    Auchinleck’s Ride

    Nicholas Tarvin sedeva al chiaro di luna sul ponte che incrociava il canale di irrigazione di Topaz, ciondolando i piedi sull’acqua. Accanto a lui c’era una ragazza bruna dagli occhi tristi, che guardava la luna. Aveva la carnagione scura delle ragazze che non si curano del vento, della pioggia, del sole e nella tristezza del suo sguardo c’era la malinconia irremovibile di chi conosce le grandi montagne, le distese della prateria, le angosce della vita. Al tramonto, nelle loro stanze, le donne del West si coprono gli occhi con la mano, scrutando i monti o le praterie spelacchiate in attesa del ritorno dei loro uomini. Una vita dura è sempre più dura per una donna.

    Kate Sheriff, da quando aveva imparato a camminare, aveva sempre vissuto con gli occhi ardenti volti a occidente, sulla natura selvaggia. Si era addentrata in quello spazio desolato seguendo la ferrovia. Fino al momento di andare a scuola, non aveva mai vissuto in un luogo dove i treni correvano in entrambe le direzioni. Spesso era rimasta a lungo, con la famiglia, alla fine di una linea per vedere le prime luci dell’alba della civiltà, portate dall’energia elettrica. Ma nelle terre sempre nuove dove ogni anno era chiamato il padre ingegnere non c’erano nemmeno lampioni. C’era un saloon sotto una tenda e una baracca dove vivere, e dove talvolta dover ospitare gli operai assunti dal padre. Ma non furono solo queste esperienze a plasmare la ragazza di ventitré anni che sedeva accanto a Tarvin e che aveva appena detto che lui le piaceva, ma che un dovere la chiamava altrove.

    Questo dovere, così pensava, le imponeva di andare in Oriente, per migliorare la condizione delle donne dell’India. Era un’ispirazione venutale due anni prima, alla fine del secondo anno alla Saint Louis School, dove era andata per completare l’educazione che si era data da sé nella solitudine dei campi.

    Era una missione nata in un pomeriggio di aprile, riscaldato dal primo alito di primavera. Il verde dei germogli e la luce del sole fuori l’avevano tentata a non assistere a una conferenza sull’India tenuta da una donna indiana; ma, trattandosi di un obbligo scolastico, aveva finito per ascoltare il racconto di Pundita Ramabai sulla misera condizione delle sue sorelle. Era una storia straziante e le ragazze, lasciando le offerte che con strani accenti erano state loro richieste, ne uscirono molto impressionate, bisbigliando nei corridoi, finché una risata nervosa ruppe la tensione e fece ripartire le chiacchiere.

    Kate si allontanò con gli occhi bassi, le guance rosse e le movenze meccaniche di una persona ammantata dallo Spirito. Andò subito nel giardino del collegio, lontana da tutti, e passeggiò per i viali contornati di fiori, esaltata, arricchita, sicura, felice. Aveva trovato se stessa. Se ne erano accorti anche i fiori, le foglie nuove degli alberi e lo splendore del cielo. Andava a testa alta, voleva ballare, addirittura piangere. Le pulsavano le tempie; il sangue scorreva ardente nelle vene; a ogni passo, si fermava per tirare un respiro profondo. Fu allora che trovò la sua vocazione.

    Tutta la sua vita avrebbe dovuto trarre respiro da quel momento; l’avrebbe dedicata al servizio che le era stato rivelato quel giorno, come un tempo capitava ai profeti: a esso votava la sua forza, la sua immaginazione, il suo cuore. L’angelo del Signore le aveva dato un ordine. Lei ubbidiva con gioia.

    E ora, dopo due anni passati a diventare infermiera specializzata, era ritornata a Topaz, desiderosa di seguire la sua vocazione in India, e aveva scoperto che Tarvin sperava che lei rimanesse lì e lo sposasse.

    «Chiamalo come vuoi» le aveva detto Tarvin, mentre lei guardava la luna «dovere, vocazione femminile, oppure, come l’ha chiamato stasera in chiesa quel missionario impiccione, portare la luce a chi sta nelle tenebre. Non ho dubbi che tu sappia come dirlo: di nomi per questa roba orientale te ne hanno insegnati abbastanza. Ma, per quanto mi riguarda, è una sciocchezza.»

    «Non dire così, Nick! È una missione.»

    «La tua missione è quella di stare a casa. Se non la senti, ho l’incarico di avvisarti io» disse Tarvin. Gettò un ciottolo nel canale, guardando accigliato l’acqua corrente.

    «Nick caro, come puoi pretendere, dopo quello che hai sentito stasera, di costringere qualcuno che è libero di stare a casa oppure di andarsene?»

    «Be’, per lo Spirito Santo, di questi tempi qualcuno deve pur costringere le ragazze a rimanere a casa! Voi donne siete diventate così: appena possibile, disertate. È la strada dell’onore.»

    «Disertare!» sbuffò Kate e gli puntò gli occhi addosso.

    «Be’, come lo chiameresti? La ragazza che conoscevo alla sezione dieci l’avrebbe chiamato così. Kate, cara, ripensa ai vecchi tempi; ricordati di quella che eri, di quello che eravamo, e dimmi se non l’avresti chiamato così anche tu. Hai un padre e una madre, no? Non puoi dire che sia giusto abbandonarli. E hai un uomo accanto a te su questo ponte che ti ama come se stesso: che ti ama. E che piaceva un po’ anche a te. No?»

    La abbracciò e lei per un po’ non si oppose.

    «Tutto questo non significa più niente per te? Non ti pare di avere una vocazione anche qui, Kate?»

    La costrinse ad alzare lo sguardo e per un attimo la fissò negli occhi, con malinconia. Erano bruni e il chiaro di luna li rendeva più profondi.

    «Credi di aver diritto a trattenermi?» disse lei, dopo un momento.

    «Crederei a qualunque cosa, per trattenerti. Ma no, non ho diritti… o almeno non tali che tu non possa ignorarli. Ma tutti abbiamo dei diritti. Se non ci rifletti ora, te ne pentirai più tardi. Questo è quello che voglio dire.»

    «Non stai prendendo le cose sul serio, Nick» disse lei, divincolandosi.

    Tarvin non comprese e disse con allegria: «Altroché! Non ci sono cose serie che non prenderei in giro pur di compiacerti».

    «Lo vedi: non sei serio.»

    «C’è una cosa su cui sono serio» le sussurrò all’orecchio.

    «Quale?» e si voltò dall’altra parte.

    «Non posso vivere senza di te.» Si chinò verso di lei e aggiunse a voce più bassa: «E poi, Kate… non voglio».

    Kate si morse le labbra. Aveva una sua volontà. Discussero seduti sul ponte finché non udirono un orologio dall’altro lato del canale che suonava le undici. L’acqua scendeva dai monti sopra di loro; si trovavano a mezzo miglio dalla città. Il silenzio e la solitudine strinsero Tarvin nell’angoscia, non appena Kate si alzò e disse decisa di dover tornare a casa. Lui si rese conto che intendeva dire andare in India, e la sua volontà si arrese per il momento a quella della donna. Si chiese se fosse la stessa volontà con cui si guadagnava da vivere, la volontà che a ventott’anni l’aveva reso un uomo di successo a Topaz, che ora lo stava portando al parlamento del Colorado e che un giorno l’avrebbe portato molto oltre. Si scosse con disprezzo, ma si dovette dire che dopo tutto Kate era solo una ragazza, anche se ne era innamorato, prima di raggiungerla e di dirle, mentre si girava verso di lui: «Bada, piccola, così finirai male».

    Lei non rispose e tirò dritto.

    «Non butterai la tua vita per questa storia dell’India» proseguì lui. «Non lo permetterò. Tuo padre non lo permetterà. Tua madre darà di matto e io sarò lì a fomentarla. Se non sai cosa fare della tua vita, lo sappiamo noi. Sai quanto ti costerebbe quello che vuoi fare? Il paese dove vuoi andare non è buono neanche per i topi; è un brutto paese, un gran brutto paese: dal punto di vista delle persone, del paesaggio, della produzione. Non è posto per uomini bianchi, figurarsi per donne bianche; non c’è clima, non c’è governo, non c’è irrigazione; e c’è il colera, c’è il caldo, ci sono guerre interminabili. Trovi tutto sui giornali della domenica. Resta qui, piccola!»

    Kate si fermò un momento sulla strada per Topaz e lo guardò in faccia alla luce della luna. Lui le prese la mano e, con tutta la sua forza di volontà, attese le sue parole.

    «Sei un brav’uomo, Nick» e qui abbassò gli occhi «ma il 31 salperò per Calcutta.»

    II

    Attento all’uomo contrastato in amore,

    il vapore trova sempre uno sfogo.

    Ritirati dalla sua strada

    e liberagli il campo.

    The Buck and the Saw

    Per partire da New York il 31, Kate avrebbe dovuto lasciare Topaz non più tardi del 27. Era già il 15. Tarvin si preparò a sfruttare nel modo migliore il tempo rimanente. Andò a trovarla ogni sera, e ogni sera provò a persuaderla.

    Kate lo ascoltava con il contegno più gentile possibile, ma anche con una terribile fermezza agli angoli della bocca e con il triste desiderio di farlo contento, se avesse potuto, che lottava nei suoi occhi con un senso di inutilità ancora più penoso.

    «Devo andare!» protestava. «È la mia vocazione. Non posso eluderla, non possono evitarla, devo partire.»

    E Tarvin, mentre lei gli diceva queste cose, non poteva non rispettare quel solenne dovere che la allontanava da lui, come se avesse udito il grido di quelle misere donne, lontano ma inconfondibile, che le opprimeva il cuore, e gli orrori e i tormenti che la chiamavano giorno e notte. L’implorava in ogni modo di restare, ma l’eco dolorosa del grido che essa udiva non risuonava strana o inconcepibile nel suo cuore generoso. Tarvin le ricordava soltanto che c’erano altre grida, altre persone da ascoltare. Anche lui aveva bisogno di lei; e lei di lui, se si fosse fermata a sentire. Avevano bisogno l’uno dell’altra, e quella era la cosa più importante. Le donne dell’India potevano aspettare: sarebbero passati a trovarle più tardi, dopo l’arrivo della Three C a Topaz, quando lui sarebbe diventato ricco. Intanto sarebbero stati felici, si sarebbero amati. Ingegnoso e innamorato com’era, sapeva cosa voleva e sceglieva le parole più suadenti per farlo sembrare quello che voleva lei. Negli intervalli tra le sue visite, Kate doveva spesso rafforzare la sua risolutezza. Non trovava molto da rispondere. Non aveva il dono dell’eloquenza come Tarvin. Aveva l’indole calma, profonda e senza voce di chi può solo sentire e agire.

    Aveva anche il coraggio ostinato e silenzioso proprio di quell’indole, altrimenti avrebbe ceduto, rinunciando alla decisione presa nel giardino del collegio quel giorno di primavera di due anni prima. Il primo ostacolo erano stati i suoi genitori. Si erano rifiutati fermamente di farle studiare medicina. Desiderava essere sia dottoressa che infermiera, pensando che in India sarebbe stata utile in entrambe le mansioni. Ma siccome poteva seguire soltanto una strada, si era accontentata di studiare alla scuola per infermiere di New York. I suoi genitori gliel’avevano data vinta, scoprendo stupiti che l’abitudine a cedere aveva fatto loro dimenticare come opporsi alla sua gentile ostinazione.

    Quando Kate espose le sue idee alla madre, lei si pentì di non averla fatta crescere senza educazione, all’aria aperta. Era perfino dispiaciuta che il padre di sua figlia avesse trovato infine un impiego diverso da quell’orribile ferrovia. Ora i treni correvano in due direzioni da Topaz. Di ritorno dal collegio, Kate aveva trovato binari che proseguivano verso ovest per cento miglia e la sua famiglia era ancora lì. La ferrovia li aveva superati. Suo padre aveva comprato dei lotti edilizi ed era troppo ricco per trasferirsi. Aveva rinunciato alla sua missione ed era passato alla politica.

    L’amore di Sheriff per sua figlia aveva la stessa mediocrità che lo contraddistingueva in tutto. Ma era anche un affetto radicato, come capita spesso nelle mentalità grette, e contemplava l’indulgenza che si concede a una figlia unica. Si era abituato a dire «Kate ha fatto la cosa giusta» e di solito la lasciava fare. Ora avrebbe voluto che la sua ricchezza le fosse d’aiuto, e Kate non aveva il cuore di dirgli come pensava di impiegarla. A sua madre aveva confidato tutto; al padre aveva detto soltanto che voleva prendere il diploma di infermiera. Sua madre ne soffrì in segreto con la rassegnata fierezza, quasi allegra, propria delle donne cui la vita ha insegnato ad aspettarsi sempre il peggio. Fu una prova dura per Kate deludere sua madre, ed era una ferita al cuore sapere di non poter diventare ciò che i suoi genitori si aspettavano da lei. Per quanto le loro attese non fossero precise – volevano semplicemente che al ritorno a casa continuasse a essere una ragazza come tutte le altre – lei ne comprendeva bene le ragioni e pianse moltissimo, poiché era convinta che le fosse stato ordinato qualcosa di diverso.

    Questa fu la prima difficoltà. Tra la sacralità di quei momenti in giardino e la dura prosa che li avrebbe dovuti realizzare, la dissonanza crebbe sempre di più. Era dolorosa e talvolta straziante; ma lei andava avanti, non sempre con la stessa forza o lo stesso coraggio, non sempre nel modo più saggio, ma sempre avanti.

    La vita alla scuola per infermiere fu una crudele delusione. Non si aspettava che la strada che aveva intrapreso fosse tutta rose e fiori; ma dopo un mese poté ridere amaramente della differenza tra i suoi sogni religiosi e la realtà effettiva. I sogni riguardavano la sua vocazione, la realtà non ne teneva minimamente conto. Aveva sperato di alleviare la miseria, di poter aiutare e dar sollievo fin dai primi giorni del suo apprendistato. Le toccò scaldare il latte ai poppanti.

    Le sue altre incombenze erano altrettanto lontane dalle funzioni di un’infermiera. Cercando di capire come le altre ragazze mantenessero vivi i loro ideali, seppur impegnate in un lavoro così diverso, si accorse che la maggior parte non ne aveva. Andando avanti, quando le furono affidati i bambini, e poi con il vero lavoro di infermiera, scoprì come il suo obiettivo la isolasse. Le altre erano lì per ragioni pratiche. Tranne una o due, pareva che avessero imparato a fare le infermiere come avrebbero potuto apprendere a far la sarta. Erano lì per capire come guadagnare venti dollari a settimana, e questo la scoraggiava ancora di più del lavoro cui era costretta per prepararsi alla sua missione. Le ciarle della ragazza dell’Arkansas, che parlava delle sue storie con i giovani dottori della clinica, seduta su un tavolo con le gambe penzoloni, erano il colpo di grazia. E in più c’era da considerare il cibo cattivo, il poco dormire, le ore di riposo insufficienti, la crudele lunghezza delle ore assegnate al lavoro, la tensione nervosa di dover sopportare quella vita anche soltanto dal punto di vista materiale.

    In aggiunta al lavoro che condivideva con le altre, prendeva lezioni di lingua hindi; e ringraziava sempre l’infanzia che l’aveva fatta crescere sana e robusta. Altrimenti avrebbe dovuto spesso cedere e presto, cedendo, sarebbe venuta meno al suo dovere, poiché cominciava finalmente ad aiutare chi soffriva. Fu questo che alla fine la riconciliò con lo squallore in cui si svolse tutto il suo apprendistato.

    Gli aspetti ripugnanti del mestiere di infermiera non la preoccupavano. Al contrario, man mano scoprì che le piacevano. E quando, alla fine del primo anno, le fu assegnata, sotto la guida di un’altra infermiera, una corsia dell’ospedale femminile, cominciò a rianimarsi in vista del suo obiettivo, che le rendeva interessanti e persino belle le operazioni chirurgiche, poiché erano d’aiuto e la aiutavano a essere d’aiuto.

    Da allora, continuò a lavorare con strenua efficienza verso la sua meta. Soprattutto, voleva essere competente: esperta e capace. Il giorno in cui quelle povere donne sepolte vive si fossero affidate a lei, avrebbero dovuto trovare un’intelligenza solida ed esperta. Le prove che dovette superare furono molte, ma la consolava sapere che le sue donne la amavano e dipendevano dal suo andirivieni. La sua dedizione la mandava avanti. Divenne caposala, e in quella lunga, spoglia corsia dove incoraggiò così tante pazienti all’ultima partenza, convivendo con la morte e affrontandola continuamente, dove placò dolcemente sofferenze indicibili, imparando le note dell’angoscia, senza ascoltare nessun suono tranne i mormorii del dolore e del sollievo, scandagliò una notte la parte più profonda di se stessa, ed ebbe conferma, dentro di sé, della sua vocazione. Si consacrò a essa con una gioia rinnovata che andava oltre quella della prima scoperta.

    E ora, ogni sera, alle otto e mezza, il cappello di Tarvin si attaccava all’appendiabiti nell’atrio di casa sua. Lo riprendeva tristemente poco dopo le undici, dopo aver trascorso il tempo a parlare con lei della sua missione, passando dal persuadere all’ordinare, dall’implorare all’indignarsi. Lo sdegno riguardava il progetto di Kate, ma poteva spostarsi anche su di lei. Non solo lei era in grado di difendere le sue idee e se stessa, ma riusciva anche a rimanere calma, arte ignota a Nick, che spesso faceva terminare i loro incontri in maniera brusca e anticipata. Poi la sera seguente tornava a sedersi davanti a lei in penitenza, con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani, e l’implorava sommessamente di non essere dissennata. Non durava molto, e quelle sere finivano spesso con il tentativo di infonderle buon senso battendo le dita sul bracciolo della poltrona.

    Nessuna tenerezza poteva far desistere Tarvin dal bisogno di convincere gli altri a pensarla come lui, ma era un bisogno allegro e a Kate non dispiaceva. Le piacevano così tante cose di lui, che spesso, quando erano seduti uno di fronte all’altra, lei lasciava vagare la sua fantasia, come durante le sue vacanze di scolaretta, pensando a un eventuale futuro al suo fianco. Ma poi la riportava subito indietro. Adesso aveva altro a cui pensare, anche se tra lei e Tarvin c’era qualcosa di diverso che con chiunque altro. Avevano vissuto nella stessa casa nella prateria alla fine dei binari e ogni giorno si erano alzati insieme per iniziare la stessa vita desolata. Il sole portava un grigio mattino sulla pianura triste e di notte li lasciava soli in mezzo alla terribile vastità del silenzio. Andavano insieme a rompere il ghiaccio nel fiume limaccioso, vicino alla baracca, e Tarvin le portava il secchio. Molti altri uomini vivevano sotto lo stesso tetto, ma solo Tarvin era gentile. Tutti correvano a fare quello che lei chiedeva loro di fare, ma Tarvin preveniva i suoi desideri, li realizzava mentre lei dormiva. C’era sempre così tanto da fare. Sua madre aveva una famiglia di venticinque persone, di cui venti erano suoi ospiti: uomini che lavoravano con diversi compiti agli ordini di Sheriff. Gli operai addetti a costruire la ferrovia vivevano in enormi baracche là intorno, in dimore temporanee o in tende. Gli Sheriff avevano una casa; vale a dire, vivevano in un edificio con dei tetti sporgenti, delle finestre che si potevano alzare o abbassare e una veranda. Ma le comodità finivano lì, e madre e figlia lavoravano da sole, con l’unica assistenza di due muscolosi svedesi, poco pratici di cucina.

    Tarvin la aiutava e lei imparò a contare su di lui. Lei lasciava che lui la aiutasse e Tarvin le voleva bene per questo. Il lavoro condiviso, la mutua dipendenza, l’isolamento li legarono l’uno all’altra. Quando Kate lasciò la baracca per il collegio, tra loro c’era una tacita intesa, la cui essenza, naturalmente, dipendeva dal fatto che lei la rispettasse. Al ritorno dalle vacanze, tuttavia, il suo comportamento non negava il patto, ma nemmeno lo confermava, e Tarvin, di solito irrequieto e insistente, non volle forzare i suoi diritti su di lei. Non era un diritto che avrebbe potuto portare in tribunale.

    Questo atteggiamento durò finché pensava di averla alla sua portata, mentre immaginava per lei un futuro normale. Ma quando Kate disse che sarebbe andata in India la situazione cambiò. Tarvin non pensava più alla cortesia, al rispetto o all’appropriatezza di aspettare di essere accettato formalmente quando le parlò sul ponte e poi le sere successive. Stava male perché aveva bisogno di lei e voleva trattenerla.

    Ma sembrava che Kate stesse andando via, malgrado tutte le sue parole, malgrado tutto il suo amore. Di questo era riuscito a convincerla, nel caso servisse a qualcosa; e in effetti servì a ferirla.

    Nel frattempo, Kate gli stava costando molto, per varie ragioni, e teneva abbastanza a lui da capirlo. Ma se lei gli avesse detto di non sperperare così tanto tempo e attenzioni, lui le avrebbe risposto di non affliggersi per questo: Kate gli interessava più degli affari o della politica e sapeva perfettamente quel che stava facendo.

    «Lo so» rispondeva Kate. «Ma dimentichi in che posizione delicata mi metti. Non voglio essere responsabile della tua sconfitta. Il tuo partito dirà che l’ho progettata io.»

    Tarvin disse qualcosa di positivo sul suo partito e Kate replicò che forse a lui non importava, ma a lei sì. Non poteva permettere che dopo le elezioni si dicesse che lui avesse trascurato la campagna per lei e che il seggio, per conseguenza, fosse andato a suo padre.

    «Ovviamente» aggiunse con franchezza «voglio che al parlamento del Colorado vada papà e non tu, ma non voglio ostacolarti nel tuo obiettivo.»

    «Non pensare nemmeno che tuo padre ottenga il seggio, piccola!» esplose Tarvin. «Se questa è la tua maggior preoccupazione, puoi dormire tranquilla, finché la Three C non verrà a Topaz. Quest’inverno andrò io a Denver e faresti meglio a pensare di accompagnarmi. Ti piacerebbe essere la moglie di un deputato e vivere a Capitol Hill?»

    A Kate, Tarvin piaceva al punto da prenderlo quasi sul serio, quando affermava con presunzione che la differenza tra

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