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La vergine del Supramonte: Antonia Mesina (1919-1935) tra mito e realtà
La vergine del Supramonte: Antonia Mesina (1919-1935) tra mito e realtà
La vergine del Supramonte: Antonia Mesina (1919-1935) tra mito e realtà
E-book181 pagine2 ore

La vergine del Supramonte: Antonia Mesina (1919-1935) tra mito e realtà

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Info su questo ebook

Il più noto dei dodici efferati omicidi di donne e bambine commessi in Sardegna durante il fascismo è quello della sedicenne Antonia Me­sina, grazie alla mistificazione che ne è stata fatta da parte del mondo cattolico, che ha trasformato la ragazza di Orgosolo in una icona di “martire della purezza” come quella di Maria Goretti. L’omicidio di An­tonia Mesina, però, non è affatto diverso da quello delle altre donne uccise nell’Isola, nello stesso periodo, nel tentativo di una violenza car­nale. Né quest’ultimo è l’unico motivo che scatena l’inaudita violenza degli assassini contro le donne da loro massacrate, perché con esso con­corrono l’estorsione, la vendetta privata e la rapina. Le tragiche vicende di queste dodici donne e bambine vengono ricostruite in questo libro sulla base di un’ampia documentazione archivistica inedita, a partire dall’assassinio della dodicenne Vanda Serra di Aidomaggiore, trucidata dal parroco del paese e dalla sua amante.
LinguaItaliano
EditoreNOR
Data di uscita7 mag 2023
ISBN9788833091310
La vergine del Supramonte: Antonia Mesina (1919-1935) tra mito e realtà

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    La vergine del Supramonte - Alberto Vacca

    cop_la-vergine-del-supramonte_I.jpg

    Alberto Vacca

    Antonio Areddu

    La vergine

    del Supramonte

    Antonia Mesina tra mito e realtà

    (1919-1935)

    nor

    Ìnditze

    1. Omicidi di donne in Sardegna durante il fascismo

    2. L’assassinio di Antonia Mesina

    3. L’istanza di grazia e la fucilazione di Giovanni Catgiu

    4. La creazione del mito e la beatificazione di Antonia Mesina

    Gli Autori

    Colophon

    1. Omicidi di donne in Sardegna durante il fascismo

    Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’assassinio di Antonia Mesina – diventato assai noto in virtù della beatificazione della ragazza da parte del papa Giovanni Paolo II nel 1987 – non costituisce un caso isolato nella Sardegna del periodo fascista, durante il quale si verificano tanti altri omicidi contro le donne. Essendo questo libro dedicato all’analisi dell’omicidio della Mesina, si è ritenuto opportuno, per meglio comprenderlo e contestualizzarlo, dedicare una trattazione agli altri efferati delitti compiuti in Sardegna contro le donne dal 1925 al 1941, nonostante l’introduzione della pena di morte per tale tipo di reati da parte del regime fascista, avvenuta con l’approvazione del nuovo codice penale (codice Rocco) nel 1930 e la sua entrata in vigore il 1° luglio 1931¹.

    Le vicende qui di seguito narrate riguardano dodici vittime tra donne e bambine che vengono uccise per motivi di estorsione, vendetta personale, violenza carnale, compimento di rapine.

    Per estorsione vengono assassinate le bambine Vanda Serra di dodici anni e Maria Molotzu di sei-sette anni.

    Per vendetta personale vengono uccise la bambina Assunta Nieddu di otto anni, la giovane sposa Giuliana Demurtas, la madre di famiglia Rosaria Nieddu.

    Per violenza carnale vengono trucidate l’adolescente Antonia Mesina, la giovane madre di famiglia Giovanna Gusai, la giovane Vittoria Pilliu e l’anziana Maria Boi.

    A scopo di rapina vengono massacrate Maria Siccardi, Raimonda Picchiri e Maria Orrù.

    1.1 L’assassinio della bambina Vanda Serra (7 gennaio 1925)²

    Il primo degli atroci omicidi che qui si ricostruiscono viene compiuto ad Aidomaggiore (OR), paese agro-pastorale collocato in un avvallamento sotto l’altopiano di Abbasanta, che nel censimento del 1921 registra 911 abitanti³.

    Il ricco possidente Giovanni Serra, sindaco di Aidomaggiore, dopo essere stato abbandonato dalla giovane moglie Amalia Porrà, da lui sposata in tarda età, che porta con sé i due figli più piccoli, vive solo con la figlia dodicenne Vanda che, la sera del 7 gennaio 1925, non rientra nell’abitazione paterna. Stanco di aspettarla, il padre manda le sue domestiche in giro per il paese per cercarla. Poiché, però, le ricerche danno esito negativo, si rivolge alla locale arma dei carabinieri. Intanto la notizia della scomparsa della bambina si diffonde in tutto il paese e molti compaesani partecipano alla sua ricerca che non dà un risultato positivo. Successivamente alcune persone, guidate dall’assessore anziano Salvatore Mascia, decidono verso la mezzanotte di perquisire tutte le case del paese, non omettendo quella dello stesso Mascia. Giunte nell’abitazione di Giuseppa Rosa Ziulu, nata il 24 gennaio 1895, la trovano chiusa perché quest’ultima si trova in casa del parroco Giovanni Spanu, nato il 13 maggio 1876, per tenere compagnia alla sorella uterina di lui, Maria Antonia Salis, rimasta sola, essendo il fratello partito per Oristano. Chiamano, perciò, la Ziulu e, quando arriva, entrano nella sua casa. Nell’ultimo vano, costituito da un magazzino, rinvengono per terra un lenzuolo bianco avvoltolato. La Ziulu, interrogata, risponde che si tratta di biancheria sporca. Sennonché, illuminato meglio il vano e sollevato il lenzuolo, scoprono che sotto di esso vi è il cadavere di Vanda Serra.

    Nuovamente interrogata, la Ziulu risponde che quel cadavere deve essere stato portato in casa sua a sua insaputa. La cosa però appare inverosimile perché la porta della casa era chiusa a chiave e la finestra del magazzino munita di inferriate. Il Mascia, perciò, dichiarata in arresto la Ziulu e – fatto custodire il cadavere da Francesco Vidili, Antonio Marras e Giuseppe Pala – riferisce subito il fatto all’arma dei carabinieri, che ne informa, verso le due del mattino del giorno 8, il tenente Francesco Cabiddu della Tenenza di Ghilarza. Giunto immediatamente ad Aidomaggiore, il tenente Cabiddu, coadiuvato dai suoi dipendenti, esegue verso le ore tre una perquisizione nella casa della Ziulu, dove rileva due grandi macchie nerastre sul pavimento della camera da letto, una chiazza di sangue sulla coperta di un letto e degli stracci intrisi di sangue e di fango nel buco di un muro del cortile. Vengono inoltre rilevate tracce di violenza e di lesioni sul cadavere della bambina che portano a concludere che si sia in presenza di un omicidio.

    La donna, per qualche ora, nega di aver compiuto l’omicidio, ma poi dichiara esplicitamente all’arma dei carabinieri di essere stata lei a uccidere la bambina. Confessa che, verso le ore 17:00 del 7 gennaio, mentre la bambina passa di fronte alla sua abitazione – ritornando dalla casa di Cecilia Ara, dove si reca ogni giorno per apprendere il ricamo – la chiama e la invita a entrare. Una volta attirata in casa sua senza sospetti, la conduce nella camera da letto, l’afferra per il collo, la butta per terra e la colpisce alla testa con una scure uccidendola. Poi ne trasporta il cadavere nel magazzino, dove è stato rinvenuto. Soggiunge inoltre di averla uccisa per ottenere dal padre la somma di 85.000 lire che le serviva per pagare dei debiti; di essersi recata, dopo la sua morte, presso la casa di Giovanni Serra e di avere buttato dentro la sua casa, da una finestra, una lettera anonima da lei stessa scritta qualche giorno prima, contenente la richiesta della predetta somma.

    La sussistenza del delitto di omicidio risulta, oltreché dalla confessione della Ziulu, dall’ispezione dei luoghi eseguita il giorno 9 dal giudice istruttore di Oristano, da tutti gli atti generici della causa e infine dalla perizia medica la quale conclude che la bambina è deceduta in seguito a grave commozione cerebrale dovuta alla frattura della base del cranio, a diffusa emorragia cerebrale nonché all’emorragia riscontrata nel polmone sinistro. Le indagini portano subito a ritenere che il delitto non sia stato commesso solo dalla donna, ma che abbia concorso in esso anche il parroco del paese, Giovanni Spanu, del quale la sentenza della Sezione d’accusa della Corte d’appello di Cagliari del 3 novembre 1925 traccia il seguente profilo:

    Lo Spanu è il parroco di Aidomaggiore, ma non ostante questa sua qualità e non ostante la sua età di circa anni cinquanta, egli risulta un uomo vizioso, dedito al vino non solo ma anche ai piaceri venerei tanto che in casa sua furono rinvenuti eccitanti, preservativi e ordigni atti a rendere più voluttuoso l’amplesso; egli nel 1923 ebbe al suo servizio la giovane Pala Giovanna, con promessa di matrimonio ne ottenne i favori e quando costei mostrò pentimento per essere caduta in peccato mortale la schernì; egli dunque risulta uomo non solo indegno dell’abito sacerdotale, non solo capace di peccati, ma anche capace di gravi delitti come colui che non ha coscienza né dei suoi doveri di sacerdote né di quelli di onesto cittadino. Risulta che egli si appropriò persino di una piccola somma dovuta ad un suo sacrista!

    Nel 1923 la Ziulu Giuseppa Rosa rimase sola in casa propria poiché l’unico suo fratello col quale essa conviveva fu ucciso e quindi essa, fra l’altro, si trovò in possesso di un discreto patrimonio. Fin dopo l’uccisione del fratello suddetto si insinuava nell’animo della Ziulu recandosi di frequente nella casa di lei e riuscendo non solamente a sedurla rendendola incinta, ma riducendola moralmente in piena balìa di esso Spanu tanto che la Ziulu era diventata non solo oggetto di piaceri per esso Spanu, ma eziandio strumento passivo e senza volontà ai voleri di lui⁴.

    Nei suoi interrogatori la Ziulu precisa di avere la prima volta ceduto a forza ai voleri del prete e di essere andata, dopo essere restata incinta, su suo consiglio, a Cagliari, dove l’8 marzo 1924 partorisce un feto morto⁵.

    La partecipazione dello Spanu all’omicidio di Vanda Serra viene rivelata dalla Ziulu che – dopo l’iniziale confessione in cui si è assunta tutta la responsabilità del delitto – si decide a raccontare la verità nei successivi interrogatori subiti da parte degli inquirenti.

    La sua ricostruzione dell’omicidio è così descritta dalla sentenza precedentemente citata:

    Alcuni giorni prima che la Vanda venisse uccisa, lo Spanu insinuava alla Ziulu, la quale verso le Finanze dello Stato era debitrice di somme rilevanti per tasse di successione, che era il caso di chiedere al ricco possidente Serra Giovanni, sindaco del paese, la somma di lire 85.000; che all’uopo era il caso di attirare la Vanda in casa di essa Ziulu e quindi ucciderla; poi mandare una lettera al Serra con la quale gli si chiedesse la detta somma se voleva riavere la figlia. Soggiunse la Ziulu che il delitto si sarebbe dovuto commettere in un giorno in cui egli si sarebbe dovuto recare ad Oristano e sarebbe andato a pernottare a Domusnovas Canales; che in seguito a tali accordi la sera del 7 gennaio si doveva commettere il delitto, ed infatti, come sempre racconta la Ziulu, le cose sarebbero andate così: lo Spanu ad una certa ora sarebbe partito a cavallo da Aidomaggiore per Domusnovas e la Ziulu quando la Vanda verso le ore 17 sarebbe passata davanti la casa di essa Ziulu, costei la doveva chiamare dentro e trattenerla in casa; lo Spanu partito a cavallo onde far vedere la sua partenza sarebbe poi nascostamente ritornato in paese e rientrato in casa della Ziulu. Infatti, secondo il racconto della Ziulu, costei riuscì a chiamare ed a trattenere in casa la Vanda, lo Spanu poco dopo ritornò in casa della Ziulu, costui, la Ziulu e la Vanda entrarono nella camera da letto; lo Spanu quindi prese la Vanda per la gola stringendola fino a farla cadere; per tre o quattro volte la Vanda si rialzò ed altrettante volte lo Spanu l’afferrò; infine, caduta la Vanda per terra, si fece portare una scure dalla Ziulu e con la scure colpì la Vanda per cui costei morì e poi fu portata dove fu rinvenuta cadavere⁶.

    Giovanni Spanu, però, nega la propria responsabilità ed eccepisce a prova della sua innocenza il suo alibi: al momento della commissione dell’omicidio si trovava fuori del territorio di Aidomaggiore. Indica come testimoni dei suoi spostamenti del 7 gennaio il maresciallo dei carabinieri Giovanni Maria Marras e i carabinieri Antonio Melcarne, Angelo Usai e Pietro Angius. Essi però non confermano la sua versione dei fatti. Dalla testimonianza dei carabinieri, con i quali lo Spanu afferma di essersi recato a Domusnovas Canales, emerge che essi sono partiti da Aidomaggiore da soli e che prima che siano stati raggiunti dallo Spanu vi è una lacuna di oltre un’ora, dalle 16:30 alle 17:45, durante la quale non è stato in loro compagnia.

    Ed è questa l’ora in cui viene consumato l’omicidio di Vanda Serra. Inoltre il teste Giovanni Flore depone che la sera del 7 gennaio – mentre lavora in un orto del fratello Bachisio – vede, verso le ore 17:30, lo Spanu attraversare frettolosamente col suo cavallo la scorciatoia impervia che conduce a Domusnovas Canales. Da tale testimonianza la Sezione d’accusa deduce che lo Spanu – tornato indietro dopo la sua partenza da Aidomaggiore e compiuto l’omicidio in casa della Ziulu – abbia fretta di raggiungere i carabinieri perché essi possano accertare il suo alibi. Un altro elemento a carico dello Spanu è costituito dalla dichiarazione della Ziulu secondo la quale egli le avrebbe consigliato, nel caso in cui l’omicidio fosse stato scoperto, di dire di averlo commesso perché istigata dai propri parenti. Ebbene, interrogato dagli inquirenti sulle motivazioni che avrebbero spinto la Ziulu al delitto, lo Spanu, che ignora la sua dichiarazione, risponde che essa deve essere stata indotta al delitto dai suoi parenti, confermando così la veridicità di quanto affermato dalla Ziulu. Oltre a ciò, disposta sulla persona dello Spanu una perizia medica, viene constatato che sul dorso della sua mano sinistra e sul suo avambraccio sinistro vi sono quattro piccole abrasioni di data recente dovute a unghiature, prodotte evidentemente dalla bambina mentre tentava di difendersi dall’aggressione del suo assassino. Infine, la Sezione d’accusa esclude che la Ziulu abbia potuto commettere da sola il delitto perché, essendo affetta da tubercolosi ossea, le sue mani e le sue forze sono molto deboli. Essa, dunque, deve avere avuto un complice e questo non può che essere lo Spanu, che esercitava la sua influenza su di lei da qualche anno.

    Preso atto di tutte le risultanze istruttorie e della requisitoria del procuratore generale del re, la Sezione d’accusa, con sentenza del 3 novembre 1925, rinvia lo Spanu e la Ziulu davanti alla Corte d’assise di Cagliari per rispondere dei delitti di sequestro di persona, omicidio aggravato dalla premeditazione e tentata estorsione.

    Il processo contro gli imputati si svolge presso la Corte d’assise di Cagliari convocata in Oristano che, con sentenza emessa il 19 marzo 1926, condanna all’ergastolo lo Spanu e a trenta anni di reclusione la Ziulu perché li ritiene colpevoli di sequestro di persona e di omicidio aggravato dalla premeditazione in danno di Vanda Serra e di tentata estorsione in danno del padre Giovanni.

    Contro la sentenza di condanna lo Spanu e la Ziulu ricorrono in Cassazione. La Suprema Corte, con sentenza del 15 ottobre 1926, rigetta il ricorso dello Spanu. Accoglie invece quello della Ziulu, limitatamente però alla quantificazione della pena. Pertanto, annulla la sentenza impugnata su tale capo e rinvia alla Corte di assise di Cagliari perché, senza la presenza di giurati, applichi la pena legale.

    La Corte di assise di Cagliari, in sede di rinvio, quantifica la pena da infliggere alla Ziulu in venticinque anni e dieci mesi di reclusione.

    La Ziulu, però, non sconta per intero tale pena perché, durante il periodo della detenzione, usufruisce di cinque indulti, in virtù dei quali ottiene il condono di quattordici anni di reclusione. Viene scarcerata il 2 ottobre 1937 e rientra

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