La casa della luna nera
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La casa della luna nera - Gianmarco Dosselli
Martina
PARTE PRIMA
Il sogno di Simone: vivere in una qualunque piccola mansarda di una qualunque località della zona collinare denominata Franciacorta, zona del Bresciano, famosa per i suoi vini diffusi anche a livello internazionale. Sogno avveratosi due anni fa, trovandola presso un paese limitrofo al lago d'Iseo, dietro pagamento di un canone ridicolo. La mansarda incorporata
a un edificio di vecchia costruzione; una casa dall'aspetto tetro, come tetro il colore esterno: grigio foncé. Chiamata la casa della Luna Nera
, o Lilith, figura astrologica associata alla femminilità. Casa battezzata
e nominata per volere di un sindaco del posto, nel lontano 1939, convintosi del mito della Luna Nera, un misterioso satellite orbitante intorno alla terra. Un'opera quasi truce costruita mediante la realtà bruta d'ogni giorno fascista
, che veleggiò in quell'epoca. I tasselli di pietra come copertura al perimetro della mansarda erano quasi sul nero. Se un qualsiasi regista dell'horror avesse veduto tale casa così siffatta, avrebbe ottenuto qualche film horror in sede. L'edificio, nonostante tutto, pareva combaciasse con la casa del pazzo Norman Bates, di Psycho
, film di Hitchcock.
A piano terra era la dimora di una famiglia messinese composta da genitori e due gemelli quattordicenni, liceali iniziati; al piano successivo v’era un dimezzato appartamento riservato a un giovane extracomunitario somalo, che lasciò famiglia e città marina di Chisimaio, in cerca di fortuna e pane in Italia. Mise piede come clandestino che gli provocò un'atroce attesa; dovette attendere undici mesi – il tempo doveroso per perdere i diritti civili nel suo Paese – prima di poter ottenere il permesso di soggiorno per protezione umanitaria. Ci arrivò anche per sfuggire alle persecuzioni somale perché omosessuale; ora come ora le sue carte apparivano regolari come il suo permesso di soggiorno. Ciò che non piaceva a Simone era la presenza dello straniero e il fastidio vederselo sotto lo stesso tetto.
Il male più ostinato in Simone era ben altro: quello di sentirsi provvisoriamente abbandonato, tormentato da un decreto attuato dalla magistratura che gli impediva di riunire e di manifestare con le componenti neo-naziste. Niente cameratesche bevute né riunioni politiche nel covo né un cinema con la fidanzata o la pizza con gli amici. Ma solo per poco ancora; il termine previsto ai primi giorni di settembre. Per la polizia, Simone era un ideologo del pensiero skin; per la sua condanna in corso gli competeva l’obbligo di non partecipare a riunioni private o pubbliche
. Alla sua pari, altre teste rasate
sanzionate: non potevano usufruire delle uscite serali o notturne. Il motivo per cui Simone fu costretto a questa punizione
ebbe inizio tre mesi fa quando con due amici molestarono una ragazza ebrea di nome Golda. Quest’ultima, ferita, raccontò alla polizia che era appena uscita dal centro medico quando i tre la costrinsero a ripetere slogan di estrema destra. Per arricchire l’opera macabra, i tre nazistelli
le incisero una svastica sul seno sinistro. L’ebrea e un coraggioso testimone oculare fornirono una descrizione dettagliata degli assalitori. La polizia individuò, in Simone, un perfetto identikit noto come Furia nazi
, ferocemente antisemita e di eccezionale intelligenza e doti oratorie. Spesso abituato a inculcare nelle riunioni concetti come quello della supremazia della razza ariana
.
Quando lo prelevarono dalla sua abitazione, i militi individuarono e sequestrarono bandiere, alcuni bastoni, pistole ad aria compressa, stelle ninja, coltelli, distintivi e mercanzia nazionalsocialista e fascista. Ed era spiegato l’organigramma di Azione Nera Skinheads 4
, l’associazione costituitasi davanti a un notaio di Iseo. Sotto al direttivo composto da due capi c’erano gruppi d’azione formati da una decina di militanti e coordinati da un responsabile. Queste strutture avevano compiti definiti in maniera rigorosa e il rispetto della struttura gerarchica era d’altra parte alla base dell’accettazione tra i soci. C’era il gruppo d’azione propaganda, quello di sicurezza, del minuto mantenimento (in gergo militare i soldati che si occupano della manutenzione), il centro conferenze e manifestazioni, la redazione di una rivista trimestrale. Gli obiettivi che si prefiggeva Simone erano il ricorso alla violenza e il modo per seminare atti di discriminazione e sentimenti di odio nei confronti degli stranieri e diversi. Contro gli ebrei partecipò, protetto dall'oscurità, con spray alla deturpazione con scritte antisemite a diversi edifici, condite dalle immancabili svastiche. Contro i diversi
partecipò all’assalto di alcuni loro locali riservati ai party, imbrattandoli con uova e letame.
Fin da fanciullo aveva imparato a odiare il cristianesimo perché le sventure della sua famiglia massacrata per gelosie dinastiche, si erano verificate in una corte che favoriva il cristianesimo stesso. Morirono il padre e le due sorelle; la madre, incinta di lui, si salvò per miracolo e dopo tre mesi di degenza ospedaliera partorì Simone che, alfine, lo rifiutò. La dichiarazione della nascita venne resa da chi assistette al parto, mentre nome e cognome gli fu attribuito dall'ufficiale dello stato civile che dovette eseguire le indicazioni e i limiti indicati dall'ordinamento vigente. Non avendo altri stretti parenti per la garanzia del neonato, questi finì in un orfanotrofio. Negli anni successivi fu relegato in Spagna sotto la sorveglianza oppressiva di un monsignore e di gesuiti che gli inculcarono un cristianesimo fatto di riti esteriori. Una volta dodicenne, colto da una crisi nervosa a causa della frequente ora di religione, spezzò l'ostensorio che gli fu dato da portare in sacrestia. Qualche giorno dopo mise due cubetti di naftalina nelle ampolline e rovesciò l'incenso consumato nella navicella.
Maggiorenne, ritornò in patria alla ricerca di una nuova vita. Bussò
a una Cooperativa sociale finalizzata all'inserimento nel lavoro di persone svantaggiate e ottenne un provvisorio ex monolocale sito in una caserma comunale e un immediato impiego fisso presso un ufficio postale lacustre laddove strinse saldamente amicizia con il direttore, persona tutta animata nel mondo hitleriano. Simone scoprì in lui una tale simpatia che preferì abbracciare le sue ideologie. Fu spesso ospite a cena da lui. Dopo ogni abbuffata ci fu una riunione in una stanza colma di collezione di modellini di armi, uniformi tedesche della IIª Guerra mondiale ed emblemi e libri nazisti. Il solito discorso ebbe come tema l'antisemitismo per il quale Simone fu preso da grande entusiasmo. La lunga e triste esperienza di fanciullo e di adolescente finì così col generare nel suo animo un’accanita violenza.
Ora eccolo lì: un ventiseienne squinternato.
Lanciò un’occhiata al telefono e infine al cellulare; poteva telefonare alla sua ragazza, fare qualche conversazione anche stupida e senza senso o scambiare qualche barzelletta. Per l’ennesima volta disertò le due apparecchiature. S’accese una sigaretta, l’ultima del secondo pacchetto quotidiano. Alla debole luce della lampada a muro vide, sgomentato, davanti a uno specchio da parete, che sudava peggio di un uomo pauroso. Aveva la barba di dieci giorni e, sotto l’abbronzatura, era livido. Ritornò a rivedersi allo specchio. Qualcosa di anormale stava dentro di esso… Un’immagine sfocata in movimento. Come era possibile? Suggestione?
«È uno specchio fasullo che volutamente distorce le immagini. Ogni specchio ti modifica l’apparenza.»
Un grido di terrore uscì dalla bocca di Simone. Si girò, impaurito, ad osservare un uomo dalla faccia raggrinzita e brutta che gli fece un pessimo effetto.
«Chi va là! Come siete entrato.» balbettò in preda al panico, il naziskin.
«Ho forzato la porta, la più delicata che esista di questo misero edificio. Nemmeno sentisti i rumori. Un gioco da ragazzi. Prima che mi presenti avrei da raccontare una storiella.»
«Poco importa a me la storiella. Fuori, o chiamo la polizia. Detesto gli esseri schifosi.»
Le frasi ebbero un effetto sorprendente allo sconosciuto che non si perse d’animo e rispose al ragazzo con un colpo di pistola. Il proiettile si conficcò in una parete. Simone provò immenso timore. Si gettò a terra, rovesciando pure la sedia. Ebbe l’ordine di rialzarsi.
«Sei obbligato a udire la storia.» replicò lo sconosciuto. «La vita scorre serena e calma. Tu, ogni giorno, esci da casa per andare a lavorare in Posta e torni sempre puntuale. Ami la vita e vuoi godertela il più possibile. Ed ecco che succede l’impensabile. Ti imbatti, per strada, in una ragazzina di sedici anni fresca come una rosa e con meno cervello di una zucchina. Quella ragazzina la adottai orfana all'età di quattro anni. Le volevo bene; era una paffuta bambola. Tu e i tuoi giannizzeri l’avete sfregiata. Per di più, tu, bastardo, hai stuprato lei… la mia cara Golda. Il giudice non ti ha riconosciuto come vile aggressore. Ha creduto, invece, considerando mezza pazza
e falsa la mia Golda, nonostante lei puntasse il dito accusatore verso la tua persona.»
«L’esame ginecologico non ha indicato nessun segno di stupro.» si difese Simone.
«Pagami il danno, altrimenti t'ammazzo!»
«Caspio; la vicenda è chiara. È qui per soldi, mostro lurido rimbambito! Dovreste averne bisogno assai di gruzzoli, vero? Scior, me so mia che a fa i so còmod. (Signore, io non sono qui a fare i suoi comodi) Non commisi nessun reato.»
«E il testimone-accusatore?»
«Non posso prendermela con lui. Quel testimone era convinto di quello che diceva nel senso della buona fede. Purtroppo, non ha mai avuto il minimo dubbio sul mio conto; era apparso all'ultimo istante: che cosa potrebbe aver veduto?»
«Infame. Racconti solo fesserie per salvarti.» scattò l'aggressore sentendo montare la rabbia dentro di sé.
Questi non andò più oltre con il suo frasario minaccioso. Alle spalle del trasgressore, un intruso regalò
a Simone l'atto di salvezza. Il padre putativo di Golda si piegò a 90° gradi per un colpo subìto ad un'anca. L'intruso-salvatore ritornò con il secondo attacco
: lanciò in avanti il piede destro. La punta della scarpa colpì il polso dell'uomo armato. Il colpito sentì un dolore folgorante serpeggiargli su per il braccio. L'arma gli sfuggì dalle dita. Simone, all'improvviso, si tuffò in avanti mirando il colpo al basso ventre del minacciatore; questi scivolò lungo il pavimento fermandosi cinque metri più in là completamente sonato. Il naziskin si raschiò la gola; negli occhi passò un buio di tempesta. A quell'intruso-salvatore puntò una mano contro il petto, a respingerlo.
«Non mi piaci e non ti ringrazio, Abdi. Hai messo piede, per la prima volta, nella mia mansarda: questo particolare non lo tollero. Ora sparisci; saprò da me come cavarmela con questo farabutto che mi vuole morto.»
Abdi, il somalo, scosse la testa, mordendosi il labbro; non gli era piaciuto il modo di dire che Simone aveva appena ammesso.
«Udito sparo secco e caduta sedia. Io corso qua per capire perché colpo pistola. Pensato intervenire credendoti minacciato o ferito da malfattore. Volevo io a te mio intervento prezioso.» disse il somalo, sperando che la voce non tradisse il disagio nel suo parlato italiano quasi perfetto e brillante. «Vedo tutto andato bene. Io contento per te, per...»
«Basta così! Ora sparisci, altrimenti infetti il mio immune covo di tuoi germi.» lo interruppe con uno scatto nervoso.
«Va bene; io togliere disturbo. Sono felice che tutto qui andato bene.» mormorò mascherando a stento la mortificazione.
«Sparisci, sbrigati! O speri che ti chieda, come ricompensa, sesso a letto tra noi.» disse il naziskin con una punta di aggressività.
Abdi lo salutò dalla porta d'ingresso. L'africano era un ragazzo smilzo, con un'espressione sicura e decisa, ben costruito per la sua età.
Il viso del nazista divenne glaciale dovendo, or ora, risolvere un incomodo problema: richiamare gli odiati sbirri per prelevare l'inerme intruso che, lemme lemme, stava per ridestarsi. Gli occhi dell'uomo brillarono di una luce spietata. Simone intervenne, con forza, puntando verso l'uomo l'arma.
«Non mi stupisco che sia a conoscenza di tante cose sul mio conto, signor Mocellin. Ora resti lì e attenda l'arrivo di coloro che la preleveranno.»
L'uomo disobbedì al naziskin; fece uno sforzo per drizzarsi, ma ricadde all'indietro. Le gambe gli si piegarono. Fece un passo avanti, imprecò e cadde a terra di schianto. In altre circostanze, Simone sarebbe stato sensibile all'umorismo di quella situazione, ma per il momento non riusciva ad apprezzarlo. Sul tardi i poliziotti prelevarono Mocellin che sfoderò un ghigno e tese i polsi quando glielo permettevano le catene delle manette. Il fallito
aggressore abbozzò un impercettibile sorriso al naziskin, ma immediatamente la sua faccia ridivenne di marmo.
«Non interverrò al suo processo. Non la denuncerò e né chiederò un indennizzo, e in questo modo intuirà quanto vale la mia generosità per un mascalzone armato.» ridacchiò Simone. «Mi prendo l'esempio dai famosi Jedi di Star Wars.»
Qualche istante dopo apparve un personaggio dal viso tipicamente meridionale. Aveva un aspetto ieratico che un provetto osservatore poteva identificare come un lacchè di vecchi manieri, pronto a pronunciare nomi e titoli degli arrivati. Salvatore De Petro, l'altro coinquilino.
«Salvatore, accomodati...»
«Ho notato una marea di poliziotti. Abdi mi ha raccontato tutto.»
«Abdi è un ficcanaso. Mai bravo tappare la bocca.» ringhiò Simone con finto stupore. «Ama appiccicare me in cospetto di lui.» chiese alla fin fine. Smise di ghignare ma il suo volto si contrasse in una smorfia cattiva.
«Per questo che lui ti segue: gli piaci.» rispose Salvatore con tono assente.
«Il somalo bisogna trattarlo in modo che se n'avesse a ricordare per un pezzo.» disse, inesorabile.
Il messinese emanò un'espressione frastornata verso Simone, che lo gratificò di un sorriso disarmante.
«Lo scorso anno il tuo maglione prese fuoco mentre dedicasti al barbecue e Abdi intervenne con l'estintore. Lo ringraziasti in malo modo.»
«Vero!» ammise Simone a bassa voce come se parlasse a sé stesso. «Se non fosse stato per lui sarei morto carbonizzato o ustionato.»
«Stavolta, il somalo ti ha liberato da un probabile assassino. Pensaci: l'odio è una gioia che dura solamente un giorno; l'amicizia un sentimento che ti può allietare in eternità. Offri a lui la tua amicizia.»
«È un obbligo?»
«Dovere, direi. Anche mia moglie desidera che tu stringa amicizia con lui. Sai, ce lo siamo chiesti. Desideriamo che in questa palazzina, così tetra, esista buona armonia tra i coinquilini.»
«Con tutti voi De Petro sono in buona armonia.»
«Non sempre. Scordi il nostro litigio due mesi fa per l'androne trovato sozzo. Scordi dei miei figli spesso in diverbio con te. Potrei dire che sono pochezze, ma con Abdi tu esageri.»
«Non deviare il mio morale.» grugnì Simone, ansimando. «Abdi emana cattivo odore, il classico odore di tutti i negri e i barboni. Ha puzza aspra, pungente, di sudore, di ascelle, di capelli mai lavati, di mani che entrano nei bidoni della spazzatura per cercare un fondo. Quell'odore che quando lo incontri cerchi in tutti i modi di scendere dal bus.»
«Oh, sì... particolare vero anche se è inutile recriminare sugli odori di pelle. Lui ti ha salvato due volte e va premiato; credo che nessuno più di lui se lo sia meritato.» confermò De Petro automaticamente, avvicinandosi decisamente verso il corridoio abbellito da simboli nazisti e orologi con svastiche nella cassa. «Non sono fuorilegge queste simbologie? Vedute sconcertanti per gli ospiti, ma essendo casa tua libero di abbellire pareti secondo i tuoi gusti.»
«Poc'anzi i poliziotti le hanno ammirate. Nessuna contestazione, per fortuna.»
«Ovvio, manca il ritratto di Hitler. Sai, lui soffriva di problemi digestivi, flatulenza e dolori allo stomaco e per questo fu consigliato di mangiar poca carne. Ad ogni modo lasciami dire che questa tua hall mi è sconveniente. Si dice che chi non riesce a ricordarsi di caricare l'orologio ha tendenze suicide. Ne vedo fermi ben quattro.»
«Hai un pensiero morboso.» disse Simone. Abbassò le palpebre concentrando tutti i suoi pensieri su un vuoto assoluto
, buio e senza visioni.
De Petro lo salutò. Ridiscese le scale. Bussò alla porta dell'appartamento del somalo. La luce di una lampada permise al siciliano di farsi un'idea della situazione poco brillante per lo straniero. Le stanze in cui si trovava erano piuttosto piccole: un cucinino, un bagno indecoroso, uno sgabuzzino e cameretta senza molte speranze di muoversi. Il contratto d'affitto era regolarmente registrato ed eseguita la relativa denuncia antiterrorismo.
L'altra metà dell'appartamento che tempo fa occupava l'intero primo piano, era riservata come laboratorio di pittura la cui apertura privata avveniva uno-due giorni la settimana. A possederla in proprietà era l'assessore dei Servizi sociali regionali, Gualtiero Cavalli, lo stesso proprietario del locale occupato da Abdi. A tempo perso l'assessore coltivava l'hobby tanto amato dal padre e dal nonno, e gestiva un negozio iseano di colori e cornici.
«Ti preparerò dei panini con maionese, insalata e tonno; poi, verrò a spegnerti la luce affinché tu possa dormire serenamente.» gli disse Salvatore.
«Troppo buono, Salvatore. No panini. Vado dormire.»
De Petro scoppiò a ridere ma il somalo lesse negli occhi dell'altro un'esitazione, un evidente senso di sorpresa.
«Un letto matrimoniale. Hai aggiunto l'altra piazza tanto da accorciare ancor più lo spazio. Per chi? Uomo o donna di compagnia?»
«Fratello mio. Io bisogno aiuto. Venire per me, per ragioni umanitarie. Permesso soggiorno adeguato. Espatrio Somalia autorizzato.»
De Petro fece una smorfia.
«Bello che ti ritrovi la compagnia di un fratello e che ti possa assistere. Finalmente cesserai far vita da anacoreta. Auguro che il nostro rissoso inquilino della mansarda non assumi scariche elettriche da scatenare l'inferno qua dentro. Spero non accada, e comprenda la ragione della presenza di tuo fratello.»
«Io, islamico, buon pensiero vostro Dio che diffonderà sapienza dentro testa di Simone.»
«A volte, non è nella cultura di Dio manifestare nel sentimento umano. Sono convinto che Dio non sarebbe capace manomettere l'alter ego dentro il corpo di un nazista ateo e che detesta ogni paramento sacro.»
Il somalo inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. Fece accomodare il suo gentile coinquilino in una stanza delle più piccole e lo obbligò a leggere un quadretto di ceramica appeso a una parete scrostata e scolorita. "Dio insegnò all'umanità in quel primo giorno di Natale come doveva essere un uomo: dare e non prendere, servire e non spadroneggiare, nutrirsi e non divorare. C. Kinsley".
Per un istante Salvatore parve sul punto di cedere, ma si riprese.
«Sì. Che Simone possa essere, un giorno, questo determinato uomo.»
«Lo sarà.» sentenziò Abdi. La sua faccia manifestò una franca ammirazione.
De Petro annuì con