Fiorirà l'aspidistra: Ediz. integrale
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George Orwell
George Orwell (1903–1950), the pen name of Eric Arthur Blair, was an English novelist, essayist, and critic. He was born in India and educated at Eton. After service with the Indian Imperial Police in Burma, he returned to Europe to earn his living by writing. An author and journalist, Orwell was one of the most prominent and influential figures in twentieth-century literature. His unique political allegory Animal Farm was published in 1945, and it was this novel, together with the dystopia of 1984 (1949), which brought him worldwide fame.
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Anteprima del libro
Fiorirà l'aspidistra - George Orwell
Capitolo 1
L’orologio batté le due e trenta. Nel piccolo ufficio in fondo alla libreria del signor McKechnie, Gordon – Gordon Comstock, ultimo membro della famiglia Comstock, ventinove anni ma già conciato abbastanza male – se ne stava a oziare dietro il tavolo, aprendo e chiudendo col pollice un pacchetto da quattro penny di sigarette Player’s Weights.
I rintocchi ordinati di un altro orologio, più lontano – quello del Principe di Galles, dall’altra parte della strada – scossero l’aria stagnante. Con una certa fatica Gordon si drizzò sulla sedia e s’infilò il pacchetto di sigarette nella tasca interna della giacca. Avrebbe dato qualunque cosa per fumarne una ma gliene erano rimaste soltanto quattro. Era mercoledì e non avrebbe ricevuto la paga fino a venerdì. Sarebbe stato terribile rimanere senza tabacco quella stessa sera e tutto il giorno successivo.
Irritato anche solo all’idea di non aver tabacco per l’indomani, si alzò e diresse verso la porta la sua figura sottile e piccola, dalle ossa delicate e i movimenti nervosi. La manica destra della giacca era lisa sul gomito, e davanti mancava il bottone in mezzo; i pantaloni di flanella, belli sciupati, erano macchiati e stropicciati. Anche guardandolo in piedi si poteva notare come le sue scarpe avessero bisogno d’una risuolatura.
Quando si alzò i quattrini tintinnarono nella tasca dei pantaloni. Egli conosceva precisamente quanti soldi possedesse: cinque pence e mezzo penny (due pence e mezzo, più una monetina da tre penny). Si fermò, prese dalla tasca la patetica monetina da tre penny e la guardò. Maledetta e inutile robaccia! E che razza di fesso era stato ad accettarla! Il fatto era avvenuto il giorno prima, dal tabaccaio. Fa lo stesso per voi un pezzo da tre penny, giusto signore?
aveva detto quella sgualdrinella della tabaccaia con la sua vocina. E ovviamente lui se l’era lasciato rifilare. Sì, sì, è lo stesso!
aveva risposto, da quell’idiota che era!
Gli si strinse il cuore al tremendo pensiero di possedere soltanto cinque pence e mezzo, di cui tre pence non si potevano nemmeno spendere. Perché, che cosa vorresti comperare con un pezzo da tre penny? Non è nemmeno una moneta, è la risposta a un rompicapo. Assumi una tale espressione da stupido quando la tiri fuori di tasca, tranne quando si trova in un mucchio di altri spiccioli. Quant’è?
dici. Tre pence
risponde la ragazza al banco. E allora tu ti frughi in tasca e tiri fuori quell’assurdo oggettino, tutto solo, appiccicato alla punta del dito, come fosse un gettone d’avorio di tiddleywink [1] . La commessa arriccia il naso. Ha capito subito che quelli sono i tuoi ultimi tre pence, tutto ciò che ti rimane al mondo. La vedi mentre dà un’occhiata veloce alla monetina: si sta chiedendo se per caso non ci sia rimasto attaccato un pezzettino della torta natalizia. E tu te ne esci con il naso puntato in alto senza poter nemmeno più mettere piede in quel negozio! No! Non bisogna assolutamente spendere quel misero pezzo da tre. Tutto quello su cui si può contare sono i due pence e mezzo residui: due pence e mezzo da far durare fino a venerdì.
Quella era l’ora più solitaria del pomeriggio, quando si facevano vivi ben pochi clienti. Lui si trovava solo con settemila volumi. La stanzetta buia, che puzzava di polvere e di carta marcita, e che dava nell’ufficio, era piena fino al soffitto di libri, quasi tutti molto vecchi e impossibili da vendere. Sugli scaffali più alti, quasi al soffitto, i volumi in quarto di enciclopedie estinte dormivano ammucchiati in pile come le bare sovrapposte nelle tombe comuni. Gordon aprì le tendine azzurre coperte di polvere che facevano da divisorio e corridoio insieme tra la stanzetta e il locale successivo. Questo, illuminato meglio degli altri, ospitava la biblioteca circolante. Era una di quelle biblioteche a due penny senza deposito
molto amate dai lettori accaniti. C’erano soltanto romanzi, naturalmente. E che romanzi! Ma anche questa era una particolarità ovvia.
I romanzi erano ben ottocento e foderavano la saletta su tre lati, dal pavimento al soffitto, fila su fila di lunghi dorsi vivaci, come se le pareti fossero state costruite di variopinti mattoni sistemati in verticale. I volumi erano disposti in ordine alfabetico: Arlen, Burroughs, Deeping, Dell, Frankau, Galsworthy, Gibbs, Priestley, Sapper, Walpole. Gordon vi lasciò scorrere sopra lo sguardo con una specie di odio inerte. In quel momento detestava tutti i volumi, e soprattutto i romanzi. Era orribile pensare a tutta quella robaccia gonfia, inutile, ammassata tutta in un unico posto. Un vero pasticcio. Ottocento fette di pudding che lo imprigionavano: un carcere dalle pietre di budino. Il pensiero era opprimente. Si spostò, superate le tende, verso la parte anteriore della bottega. Camminando si lisciò i capelli. Era un gesto che faceva sempre. Alla fine, potevano anche esserci delle ragazze là fuori, davanti alla porta a vetri. Gordon non era un uomo dal portamento imponente. Era alto solo un metro e sessantanove, e poiché di solito i suoi capelli erano troppo lunghi, la sua testa dava l’impressione d’essere un po’ troppo grossa per il suo corpo. Non si dimenticava mai di quanto fosse basso. Quando sapeva che qualcuno lo guardava, assumeva un portamento rigido e impettito, gonfiava il petto, e procedeva con un’aria strafottente, che a volte ingannava gli sprovveduti.
Ma fuori non c’era nessuno. La bottega vera e propria, a differenza del resto, era elegante e d’aspetto costoso, e conteneva circa duemila volumi, senza contare quelli in vetrina. Sulla destra c’era un banco a vetri, in cui erano esposti i libri per bambini. Gordon distolse lo sguardo da un’atroce sovraccoperta dai colori troppo accesi – sulla quale alcuni bambini tra il folletto e lo gnomo attraversavano in modo fiabesco una radura cosparsa di campanule azzurre – e guardò fuori della porta a vetri. Una giornata brutta, e cominciava a tirar vento. Il cielo era plumbeo, i ciottoli della strada viscidi. Era il trenta di novembre, il giorno di Sant’Andrea. La libreria di McKechnie si trovava sull’angolo d’una specie di piazza dalla forma strana, un vago quadrilatero in cui confluivano quattro strade. A sinistra, appena visibile dalla porta, si ergeva un grande olmo, in quei giorni spoglio, con la sua grande quantità di ramoscelli e di stecchi che formavano una trina color seppia che risaltava contro il cielo. Di fronte, proprio accanto al Principe di Galles, avevano collocato delle alte impalcature per la pubblicità di cibo e medicine. Galleria di mostruose facce di pupazzi, rosei faccioni vuoti, raggianti d’uno sciocco ottimismo. Biscottini alla Crema Dolcevera (I Bimbi pretendono i loro Biscottini Dolcevera
), Borgogna Canguro, Cioccolato al Vitamalt, Bovex. Tra tutti quei cartelloni, quello del Bovex era quello che opprimeva maggiormente Gordon. Un commesso quattrocchi, col muso da topo, i capelli lucidi come fossero verniciati, sedeva a un tavolo di ristorante, ghignando sopra un boccale di birra piena di schiuma. Il Tavolo d’Angolo ama pasteggiare con Bovex
diceva il testo.
Gordon accorciò la prospettiva del suo sguardo. Sul vetro coperto da uno strato di polvere il riflesso della sua faccia lo guardò di rimando. Non era una faccia simpatica. Nemmeno trentenne, era già avvizzita, appassita. Molto pallida, con rughe decise. Una fronte di quelle comunemente chiamate nobili
, cioè molto alta, ma un trascurabile mento aguzzo, così che la faccia nel suo complesso assumeva una forma a pera più che a ovale. Capelli color topo, disordinati, bocca scontrosa, occhi color nocciola tendenti al verde. Cercò di guardare oltre. Ormai odiava gli specchi. Fuori, era tutto squallido, invernale. Un tram, come un roco cigno di ferro, scivolò gemendo sull’acciottolato, e sulla sua scia il vento spazzò un residuo di foglie schiacciate. Gli stecchi dell’olmo vorticavano, spingendosi verso levante. Il cartellone che esaltava la Crema Dolcevera era strappato sull’orlo; un nastro di carta sbatteva a tratti come una minuscola fiamma ammiraglia. Anche nella strada a destra i pioppi senza foglie che adornavano il marciapiede si piegavano bruscamente ad ogni raffica di vento. Un vento rigido, nemico. Si avvertiva una nota minacciosa ad ogni raffica; il primo ringhio dell’ira dell’inverno. Due versi di una poesia, nel tentativo di emergere, agitavano la mente di Gordon.
… bruscamente il vento qualche cosa, per esempio il vento feroce, bieco, minaccioso? No, meglio vento sinistro. Il vento sinistro batte, no, sferza, diciamo…
… i pioppi qualche cosa, i pioppi miti? No, meglio docili. Non ci saranno troppi aggettivi? Non importa. I pioppi docili, persino ora un po’ nudi. Uhm, non c’è male, un po’ scolastico, in realtà.
Acerbamente il vento bieco sferza
I remissivi pioppi, pur mo’ nudi,
Bah. Sferza
è una fregatura per la musicalità; tuttavia c’è sempre scherza
, a cui tutti i poeti fin dai tempi di Chaucer hanno faticato a trovare una rima decente. Ma l’impulso s’era già spento nella mente di Gordon.
Fece tintinnare i quattrini in tasca. Due pence e mezzo penny, più un pezzo da tre penny; due pence e mezzo penny. Il suo animo era profondamente impantanato nella noia; e non gli andava molto di lottare con rime e aggettivi. Non puoi, avendo in tasca soltanto due pence e mezzo penny.
Il suo sguardo si fissò di nuovo sui cartelloni di fronte. Aveva le sue ragioni per odiarli. Quasi senza volerlo rilesse i loro slogan. Borgogna Canguro, il vino per Britanni.
L’asma la soffocava.
La Crema Dolcevera rallegra Ogni Casa.
Viaggiate tutto il giorno su una tavoletta di Vitamalt!
Sigarette Semaforo: il Tabacco per l’Uomo che viaggia.
I Bimbi esigono i loro Biscottini Dolcevera.
Il Tavolo d’Angolo ama pasteggiare con Bovex.
Toh, un cliente… potenziale, ad ogni modo. Gordon si drizzò. Stando dritti vicino alla porta si poteva sbirciare fuori dalla vetrina senza essere notati. Egli osservò attentamente il potenziale cliente. Si trattava di un uomo abbastanza rispettabile, di mezza età, abito nero, bombetta in testa, ombrello e busta di cuoio – un avvocato di provincia o un segretario comunale – il quale sbirciava nella vetrina con grandi occhi pallidi. Aveva un’aria colpevole. Gordon seguì la direzione dei suoi occhi. Ah, allora era per quello! L’uomo aveva notato quelle prime edizioni di D. H. Lawrence nell’angolo più lontano. In cerca d’un po’ di pornografia, naturalmente. Aveva sentito parlare di sfuggita di Lady Chatterley. Che brutta faccia aveva, pensò Gordon. Pallida, massiccia, molle, dai lineamenti sgradevoli. Gallese, a giudicare dall’aspetto, nonconformista, comunque. Aveva le immancabili borse del dissidente agli angoli della bocca. A casa, presidente della locale Lega della Purezza o del Comitato di Vigilanza Morale sulla Spiaggia (scarpette dalla suola di gomma e torcia elettrica, per stanare le coppiette sulla spiaggia), ed ora in giro per la città a gozzovigliare. Gordon si augurò che entrasse. Gli avrebbe venduto una copia di Donne innamorate. Come lo avrebbe deluso!
Ma no! L’avvocato gallese aveva avuto paura. Si mise l’ombrello sotto il braccio e se ne andò mostrando una schiena timorata. Ma quella sera sicuramente quando il buio avesse potuto nascondere il suo imbarazzo, si sarebbe infilato in qualche negozietto e avrebbe comprato Allegria in un convento di Parigi, di Sara Occhineri.
Gordon si allontanò dalla porta e tornò davanti agli scaffali. Su quelli a sinistra, uscendo dalla biblioteca, c’erano i libri nuovi o quasi, macchia di colori vivaci che aveva lo scopo di attirare l’occhio di chiunque avesse guardato attraverso la porta a vetri. I loro dorsi lisci e intonsi sembravano protendersi con appassionato desiderio dagli scaffali. Comprami! Comprami!
sembravano dire. Romanzi freschi di stampa – spose intoccate, desiderose del tagliacarte a deflorarle – e copie con preghiera di recensione
, come vedove giovanili, ancora boccioli anche se non più vergini, e qua e là, a gruppi di sei, quelle patetiche zitelle, le rimanenze
, ancor vigili della loro verginità così a lungo preservata.
Gordon distolse lo sguardo dalle rimanenze
. Gli evocavano tristi ricordi. Per esempio, dello sfortunato e solitario libricino che due anni prima aveva pubblicato a sue spese, erano state vendute esattamente centocinquantatré copie, dopo di che era passato tra le rimanenze; ma anche così non si era più venduto. Gordon superò i libri nuovi e si fermò di fronte agli scaffali che, ad angolo retto, contenevano altri volumi di seconda mano.
A destra, c’erano quelli di poesia. Gli scaffali di fronte contenevano prose e varie. Verso l’alto e verso il basso sfumavano con gradualità: dalle condizioni di lucentezza e di prezzo elevato ad altezza d’uomo, a quelle di prezzo modico e di sudiciume negli ultimi scaffali e nei primissimi. In tutte le librerie si svolge una feroce lotta darwiniana per la sopravvivenza del più adatto, lotta nella quale le opere di autori viventi gravitano al livello dell’occhio umano e quelle di autori scomparsi vanno su e giù, tanto in basso fino alla Gehenna [2] oppure su fra i troni e le dominazioni, ma sempre lontano da dove possano essere notate.
In basso, sugli scaffali vicino al pavimento, marcivano in pace i classici, i mostri estinti dell’epoca Vittoriana come Scott, Carlyle, Meredith, Ruskin, Pater, Stevenson; sui loro spessi dorsi impolverati non si riusciva quasi a leggere i nomi. Negli scaffali più in alto, quasi fuori dalla visuale, riposavano le robuste biografie di duchi. Sotto le biografie ducali, ancora vendibili e per questo posizionate a portata di mano, le opere religiose, tutte le sette e tutte le religioni ammassate sommariamente insieme. Il Mondo dell’al di là, dello stesso autore di Le mani dello Spirito mi hanno sfiorato. La vita di Cristo del Decano Farrar. Gesù, primo rotariano. L’ultimo libro di Padre Hilaire Chestnut di propaganda cattolica. Le opere religiose si vendono sempre, a patto che siano piatte e sentimentali a sufficienza. Più in basso, esattamente all’altezza occhio, le opere contemporanee. La più recente novità di Priestley. Graziosi volumetti di ristampe amene
. Umorismo tonificante scelto dalle opere di Herbert, Knox, Milne. Anche un po’ d’intellettualismo selezionato. Un romanzo o due di Hemingway e Virginia Woolf. Raffinate biografie pseudo-Strachey predigerite. Saggi sofisticati e presuntuosi su pittori e poeti nati dalla penna di quei giovani animali pieni di soldi che scivolano con tanta grazia da Eton a Cambridge e da Cambridge alle riviste letterarie.
Con occhi assenti, Gordon fissava la parete ricoperta di volumi. Li detestava tutti, vecchi e nuovi, intellettualistici e banali, presuntuosi e divertenti. Solo a guardarli gli veniva in mente la sua irrimediabile sterilità. Perché a questo punto era arrivato, lui, scrittore che non poteva nemmeno scrivere! Non era tanto la questione di non essere pubblicato, quanto il fatto di non produrre nulla o quasi nulla. Mentre tutte quelle sciocchezze che gremivano gli scaffali… bene, esistevano, ad ogni modo, rappresentavano una pur qualche conquista. Perfino i vari Dell e Deeping arano almeno ogni anno il loro acro di terreno a stampa. Ma era il genere altezzoso di certi libri con pretese da intellettuali che lui detestava di più. Opere di critica e di belle lettere. Quel genere di composizione che i giovani ricchi animali provenienti da Cambridge scrivono quasi nel sonno, e che lo stesso Gordon avrebbe potuto scrivere se avesse avuto un po’ più di soldi. Soldi e cultura! In un paese come l’Inghilterra, senza soldi, non puoi essere un uomo colto più di quanto tu possa esser membro del Cavalry Club. Con lo stesso istinto che spinge un bambino a stuzzicarsi un dente che sta per cadere, prese dallo scaffale un volume dall’aria intensamente intellettualistica, Aspetti del Barocco Italiano, lo aprì, ne lesse un paragrafo e lo ripose al suo posto con un misto d’invidia e di disgusto. Quell’onniscienza deleteria! Quella raffinatezza nociva, da occhialuti! E tutti i quattrini che tale raffinatezza allude! Perché, alla fine, che cosa si cela dietro di essa se non dei quattrini? Quattrini per il genere adatto d’istruzione, quattrini per avere amici influenti, quattrini per vivere bene e serenamente, quattrini per i viaggi in Italia. I quattrini scrivono libri, i quattrini li vendono. Non darmi l’integrità e la pietà, Signore, concedimi i quattrini, soltanto quelli.
Si fece tintinnare gli spiccioli in tasca. Aveva quasi trent’anni e non aveva ancora combinato nulla; solo il suo misero libricino di versi, finito più schiacciato d’un pancake. E da allora, per due interi anni, s’era tormentato nel groviglio di un terribile libro che non era mai andato avanti e che, come Gordon sapeva quando riusciva ad esser lucido, non sarebbe mai andato avanti. Era la mancanza di soldi, semplicemente la mancanza quella, che gli toglieva la capacità di scrivere. Si aggrappava a questo come a un articolo di fede. "Quattrini, quattrini, tutto è quattrini! Riusciresti a scrivere anche solo un romanzetto da edicola senza soldi a rincuorarti? Invenzione, energia, spirito, stile, fascino… vogliono tutti essere pagati in contanti, alla consegna.
Tuttavia, spingendo ora lo sguardo lungo gli scaffali si sentì un po’ confortato. Quanti libri erano tramontati, sbiaditi, diventati illeggibili. Alla fine, ci troviamo tutti sulla stessa barca. Memento mori. Per te, per me, per gli arroganti giovanotti di Cambridge c’è lo stesso oblio, anche se dovrà attendere più a lungo per i giovanotti arroganti di Cambridge. Guardò i classici offuscati dal tempo in basso. Morti, tutti morti. Carlyle, Ruskin e Meredith e Stevenson… tutti sono morti, Dio li faccia marcire. Lasciò scorrere lo sguardo sui loro titoli sbiaditi. Lettere scelte di Robert Louis Stevenson. Che ridere! Questa è buona. Lettere scelte di Robert Louis Stevenson! L’orlo superiore era scuro di polvere. Polvere sei e in polvere tornerai. Gordon dette un calcio al dorso rilegato in tela di Stevenson. Sei lì, vecchia moneta falsa? Sei un cadavere, se mai scozzese lo fu.
Dling, dling! Il campanello della porta. Gordon si voltò. Due clienti per la biblioteca circolante.
Una donna depressa, le spalle rotonde, di media condizione, con l’aria di un’anatra infangata che becchetti nell’immondizia, fece qualche cauto passo nel locale, brancolando con un cestello di vimini. Dietro di lei saltellava una donna grassoccia, le gote rosse, di ceto medio, con una copia della Saga dei Forsyte [3] sotto il braccio, il titolo bene in mostra, affinché i passanti potessero prenderla per un’intellettuale.
Gordon aveva modificato la sua espressione acida. Le accolse con cordialità casalinga, da medico di famiglia, quella che riservava agli abbonati.
«Buonasera, signora Weaver. Buonasera, signora Penn. Che tempo orribile, non è vero?».
«Scandaloso!» disse la signora Penn.
Lui si fece da parte per lasciarle passare. La signora Weaver rovesciò il suo cestino di vimini e lasciò cadere sul pavimento una copia piuttosto sciupata di Nozze d’argento, di Ethel M. Dell. Gli acuti occhi d’uccello della signora Penn si posarono sul volume. Da dietro le spalle della Weaver ella sorrise a Gordon, un sorriso d’intesa, come da intellettuale a intellettuale. La Dell! Che mediocrità! I libri che leggono i ceti inferiori! Lui sorrise di rimando con comprensione. Passarono poi in biblioteca, un intellettuale che sorride all’altra.
La signora Penn poggiò la Saga dei Forsyte sul tavolo e volse il seno da passeraceo verso Gordon. Era sempre molto cordiale con Gordon. Lo chiamava sempre signor Comstock, nonostante fosse solo un commesso, e lo intratteneva in conversazioni letterarie. Era la frammassoneria degli intellettuali che li univa.
«Spero che le sia piaciuta la lettura della Saga dei Forsyte, signora Penn…»
«Che libro splendido e perfetto, caro signor Comstock! Sapete che questa è la quarta volta che lo leggo? Epico, veramente epico!».
La signora Weaver se ne stava col naso tra i volumi, troppo confusa per accorgersi che erano in ordine alfabetico.
«Non so proprio cosa prendere questa settimana, non ne ho idea» mormorò tra le labbra tirate. «Mia figlia continua a consigliarmi Deeping. Adora Deeping, mia figlia. Ma mio genero da qualche tempo è tutto per Burroughs. E io non so decidermi, questo è quanto».
Uno spasimo agitò il volto della signora Penn al nome di Burroughs e voltò le spalle alla signora Weaver.
«Ho la netta sensazione, signor Comstock, che ci sia qualcosa di così grande, per non dire maestoso, in Galsworthy. È così vasto, così universale, e allo stesso tempo così pienamente inglese nello spirito, davvero molto umano. I suoi libri sono veri e propri documenti umani».
«E non dimentichiamo Priestley» disse Gordon. «Per me Priestley è uno scrittore eccellente, molto fine, non credete?».
«Oh, certo! Così vasto, così grandioso, umano! E così pienamente inglese!».
La signora Weaver arricciò le labbra. Dietro di esse c’erano tre denti giallastri isolati.
«Credo che farò bene a prendere ancora la Dell» disse. «Avete qualche altra sua opera, vero? Devo confessare che non c’è nulla che mi piaccia più d’un libro della Dell. Dico sempre a mia figlia: Tieniti pure i tuoi Deeping e i tuoi Burroughs, basta che mi lasci la Dell
le dico sempre».
Ding Dang Dell! Duchi e spade! L’occhio della signora Penn s’illuminò d’ironia da intellettuale. Gordon ricambiò. Tenersi buona la signora Penn! Una buona cliente, una cliente fedele, affezionata.
«Ma certo, signora Weaver. Abbiamo tutto uno scaffale dedicato a Ethel M. Dell. Vi piacerebbe Il desiderio della sua vita? O forse lo avete già letto. Che ne direste de L’altare dell’onore?».
«Chi sa se avete l’ultimissimo libro di Hugh Walpole?» disse la signora Penn. «Questa settimana mi sento in vena di qualcosa di epico, di grandioso. E Walpole, sapete, io lo considero uno scrittore veramente sommo, secondo soltanto a Galsworthy. C’è qualcosa di così sublime in lui. E insieme è così umano».
«E così pienamente inglese» disse Gordon.
«Oh, certo! Così pienamente inglese!».
«Credo proprio che prenderò ancora una volta Il volo dell’aquila» disse la signora Weaver alla fine. «Non ci si stanca mai del Volo dell’aquila, non trovate anche voi?».
«Di certo è un’opera molto popolare» disse Gordon in modo diplomatico, guardando la signora Penn.
«Oh, incredibilmente!» fece eco la signora Penn, in tono ironico, guardando a sua volta Gordon.
Lui prese i loro due pence e le salutò felici, la signora Penn con Herries il furfante di Walpole e la signora Weaver con Il volo dell’aquila.
Poco dopo era già tornato nell’altra saletta, davanti agli scaffali delle opere di poesia. Quale fascino malinconico esercitavano su di lui quegli scaffali! C’era anche il suo infelice libretto, scivolato fin lassù, molto in alto fra gli invendibili. Topi, di Gordon Comstock. Un sottile volumetto in ottavo piccolo, prezzo tre scellini e sei pence, ridotto ora a uno sparuto scellino. Dei tredici critici che lo avevano recensito (e The Times Lit. Supp, aveva affermato che rappresentava una promessa eccezionale
) nemmeno uno s’era accorto del gioco di parole nemmeno molto sottile che si celava nel titolo. Lavorava nella libreria McKechnie da due anni e non un solo cliente, ma proprio nemmeno uno, aveva mai tolto Topi dal suo scaffale.
C’erano quindici o venti scaffali di poesia. Gordon li guardò acidamente. Robetta inutile, insulsa, per la maggior parte. Poco sopra l’altezza dell’occhio, già in viaggio verso il cielo e l’oblio, c’erano i poeti dell’altro ieri, gli astri della sua primissima giovinezza: Yeats, Davies, Housman, Thomas, De la Mare, Hardy. Astri morti. Sotto di loro, esattamente ad altezza dello sguardo, le meteore e le girandole dell’attimo fuggente: Eliot, Pound, Auden, Campbell, Day Lewis, Spender. Fuochi d’artificio piuttosto bagnati. Astri morti sopra, fuochi d’artificio bagnati sotto. Potremo mai aver di nuovo uno scrittore che valga la pena di leggere? Ma Lawrence non faceva una grinza e Joyce era ancor meglio, prima di perdere la bussola. E se anche un giorno torneremmo ad avere uno scrittore degno di essere letto, riusciremmo davvero a riconoscerlo, soffocati come siamo da tanta spazzatura?
Dling! Il campanello sulla porta della libreria. Gordon si voltò. Ancora dei clienti!
Un giovane sulla ventina, labbra rosse come ciliegie e capelli biondi, entrò a passi brevi e ritmati, saltellanti. Il ragazzo era ricco, si vedeva subito. Aveva intorno l’aurea atmosfera dell’oro. Era la prima volta che entrava in quella libreria. Gordon assunse un tono tra il servile e il signorile che riservava ai nuovi clienti. Ripeté la solita formula: «Buongiorno. In cosa posso servirvi? Desiderate forse un libro in particolare?».
«Oh, no, non pvopvio». La tipica voce da giovincello, con tanto di r blesa. «Potvei fovse dave un’occhiata in givo? Non ho vevistito davanti alla vostva vetvina, sapete. Le libvevie esevcitano su di me un fascino incvedibile. E allova sono entvato quasi senza vendevmene conto!». Cerca allora di andartene il prima possibile, bamboccino. Gordon fece un sorriso colto, da bibliofilo a bibliofilo.
«Oh, prego, accomodatevi. Siamo lusingati quando il pubblico viene a trovarci. Vi interessano opere di poesia, per caso?».
«Ma cevto! Io adovo la poesia!».
Figurarsi! Piccolo snob molesto! C’era qualcosa di vagamente sub-artistico nel suo modo di vestire. Gordon prese un volumetto rosso e sottile da uno degli scaffali riservati alle opere di poesia.
«Sono versi appena usciti. Forse possono interessarvi. Sono traduzioni… qualcosa piuttosto insolito. Poesie tradotte dal bulgaro».
Molto sottile, questo. Ed ora lasciamolo cuocere a fuoco lento. È questo il modo di fare coi clienti. Non bisogna pressarli, insistere, ma lasciarli liberi di guardarsi intorno, di esaminare l’ambiente; dopo di che si vergognano e finiscono per acquistare qualcosa. Gordon andò in modo discreto verso la porta allontanandosi dall’efebo; ma con indifferenza, una mano in tasca, e l’aria noncurante che si addice a un gentiluomo.
Fuori, la strada viscida era tetra e grigia. Da un punto dietro l’angolo della strada giunse un rumore di zoccoli, suono freddo e vuoto. Prese dal vento, le colonne di fumo nero dei camini si piegavano ondeggiando e rotolando piatte sui tetti in pendio. Ah!
Acerbamente il vento bieco sferza
I remissivi pioppi, pur mo’ nudi,
Ed i pennacchi neri dei camini
Nell’aria cruda da da…
Forse fosca
stava meglio di cruda
. Bene. Ma ormai l’ispirazione se n’era andata di nuovo. I suoi occhi si posarono ancora una volta sui cartelloni pubblicitari, dall’altra parte della strada.
Gli venne quasi voglia di mettersi a ridere, tanto erano approssimativi, spenti, noiosi. Come se qualcuno potesse mai essere tentato da cose del genere! Quasi succubi dalla schiena piena di brufoli. Ma lo deprimevano lo stesso. Il fetore dei quattrini, ovunque il fetore dei quattrini. Lanciò un’occhiata furtiva all’efebo, che nel frattempo s’era allontanato piano piano dagli scaffali delle opere di poesia e aveva preso un grosso volume sul balletto russo. Lo stringeva con cura fra le zampe rosa, non prensili, come uno scoiattolo che stringe una noce, e osservava le fotografie. Gordon conosceva quel tipo di persona. Il giovane artista pieno di soldi. Non proprio un artista, ma un sostenitore
dell’arte; frequentatore di studi di pittori, che si alimentava degli scandali. Ragazzo di gradevole aspetto, comunque, nonostante le sue movenze d’androgino. La pelle sotto la nuca sembrava di seta e liscia come l’interno di una conchiglia. Non si può avere una pelle del genere con meno di cinquecento sterline l’anno. E il ragazzo emanava una specie di magia, un fascino, come tutte le persone che hanno molto denaro. Quattrini e fascino; chi mai potrà separarli?
Gordon pensò a Ravelston, il suo ricco simpaticissimo amico, direttore di Anticristo, di cui era smodatamente entusiasta ma che vedeva soltanto una volta ogni quindici giorni; e pensò a Rosemary, la sua ragazza, che lo amava – lo adorava, così diceva lei – e che, ciò nonostante, non gli si era mai concessa. Il denaro, ancora una volta; tutto è denaro. Tutti i rapporti umani devono essere acquisiti coi quattrini. Se non li hai, la gente non ti considera, le donne non ti amano; si curano cioè di te o ti amano solo per quel poco che conti. E quanto hanno ragione, alla fine! Perché, senza soldi, non sei da amare. Sebbene io parli con le lingue degli uomini e degli angeli.