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Come bolle di sapone
Come bolle di sapone
Come bolle di sapone
E-book162 pagine1 ora

Come bolle di sapone

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Info su questo ebook

Mi disse che amavo soffrire. Dopo tempo posso dire che fosse vero. Ero masochista, ma anche sadica e menefreghista, odiavo il genere umano, o meglio lo commiseravo, mi sentivo superiore a tutti o almeno fingevo di crederlo. Vivevo momenti di dissociazione, di sofferenza cronica e di vuoto. Dicevano che ero una persona buona, ma le mie azioni non sembravano dimostrarlo. Pensavo alle peggiori cose che potessero accadere e sorridevo. "Sai perché non glielo dirai? Perché sei buona. Perché sai che se lo facessi soffrirebbe, soffrirebbe se sapesse la verità". Le parole inondavano la mia mente come fiumi di pensieri, lasciandomi solamente l'affanno e la stanchezza. Tutti i giorni vivevo quella realtà e pensavo di amarla più di ogni altra cosa. Un giorno però mi sentii diversa dal solito, la vera me era tornata, e mi resi conto di star meglio così. Segue i precedenti "Tu avresti il coraggio di uccidere?", ?", "Brad's book" e "Achille, un uomo accecato dalla guerra…e dall'amore", "Se Joker fosse stato un paziente psichiatrico?", "La forza della sofferenza ", "Come tutto ha avuto inizio", "Quattro paia di occhi", "Poesie nell'eternità", "Poesie terapeutiche", "Mi serve un capitolo", "Il gruppo delle anime invisibili"
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2023
ISBN9791221477795
Come bolle di sapone

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    Come bolle di sapone - Giulia Gabriele

    Capitolo 1: COME BOLLE DI SAPONE

    Il tre novembre del 1963 nacque Susanna, una bambina di soli tre chili.

    Si trovava in una piccola culla in una stanza calda ed accogliente.

    Oltre alla sua ce n’erano tante altre, alcune più grandi, altre meno.

    A badare ai neonati c’erano due belle donne, vestite distintamente che tenevano in mano un biberon ed un ciuccio.

    In questa casa si trovavano tutti i neonati che non avevano potuto usufruire del dono più grande della vita per un bambino: la mamma.

    I genitori di questi bambini non avevano avuto modo o la volontà di tenere con sé il proprio figlio, addirittura non riconoscendolo.

    Fin da subito dunque, Susanna sentì di non avere un’identità, di non provenire da qualcuno ma di essere stata messa al mondo senza una particolare ragione.

    In quel lettino Susanna giaceva con dolcezza.

    I suoi lineamenti erano delicati e minuti. Le labbra rosee sembravano assaporare il sonno beato dei bambini, il nasino che respirava l’aria con cautela e tranquillità e i suoi grandi occhioni neri socchiusi al limitare del dormiveglia.

    Tutto indicava tranquillità, serenità e calma.

    Tutto tranne la mente di Susanna, quella era già stata traumatizzata, nonostante la giovane età della bimba.

    I pensieri l’assillavano già da piccola e la sofferenza era troppa per una bambina di quell’età.

    Ricordava, o immaginava, la mano di sua madre che le accarezzava il viso, che la baciava, che la stringeva a sé.

    Ricordava bene quello stacco, quando si era allontanata da lei per sempre creandole uno scompenso, una mancanza.

    Capitolo 2 PAURA ED ODIO VERSO IL GENERE MASCHILE

    Susanna era ancora troppo piccola per capire ciò che stava accadendo nella sua mente.

    Riusciva tuttavia a percepirlo.

    Spesso sentiva sensazioni negative, di malinconia, di rabbia, di tristezza, nonostante non sapesse definirle.

    Nella sua mente venivano proiettate scene di dolore e di violenza.

    Percepiva la presenza di un uomo, che con la violenza interagiva con una donna, probabilmente sua compagna.

    Questa piangeva, si disperava, pregava di smettere.

    Quella che stava vivendo quella donna era sofferenza pura.

    Lei era incinta ed era quasi come se Susanna fosse legata sia a quella donna che al suo bambino.

    Nessun uomo aveva avuto alcun rapporto con Susanna eppure lei sentiva rabbia e rancore nei confronti del genere maschile.

    Era un odio innato, che poi si sarebbe rivelato una conseguenza alla forte paura inconscia provata.

    Fin da piccola Susanna sviluppò un forte timore verso il genere maschile che si manifestava in paura ed aggressività.

    Queste sensazioni provate le davano impulsi ed emozioni differenti e spesso contrastanti, e i comportamenti attuati erano a causa di queste ultime.

    Si formava dunque un ciclo continuo.

    Capitolo 3: ARRIVARE IN VETTA

    Quando compì un mese, Susanna venne adottata.

    Ci fu nuovamente l’instabilità.

    La prima infatti avvenne con la separazione da sua madre, la seconda con il congiungimento con un’altra famiglia.

    Appena arrivò nella sua nuova casa, Susanna era troppo spaventata per mostrare la sua vera natura, che sarebbe venuta fuori dopo qualche anno.

    Fin da subito però mostrò il suo disprezzo verso il genere maschile e la predilezione per il genere femminile.

    Il padre infatti non riusciva in alcun modo a farla addormentare, per prendere sonno, Susanna aveva bisogno di essere cullata dalla madre.

    Il sonno infatti rappresentava una perdita di controllo, di attenzione e perciò richiedeva un ambiente sicuro e protetto, in questo caso le braccia della madre.

    Fu difficile concepirla come tale.

    Susanna voleva bene a quella donna, ma per molti anni la definì, non in senso dispregiativo, mamma finta.

    Solo quando crebbe iniziò ad usare il termine mamma biologica, come già detto mamma finta non aveva una denominazione negativa, ma aveva comunque in sé racchiuso il significato inconscio di una figura falsa, non connessa a lei.

    Ad un certo punto della sua vita ciò passò ad avere una connotazione negativa. Susanna infatti pensava di essere stata rubata da questa nuova famiglia, di essere stata strappata dalle braccia di sua madre e ciò lei non lo avrebbe mai accettato, né perdonato.

    Solo durante l’infanzia e ancora di più nell’adolescenza capì il vero significato dell’adozione: arrivare in cima alla montagna dopo anni di fatiche per poterla scalare.

    Capitolo 4: LA VITA DI UN NEONATO

    La vita di un neonato non era particolarmente complicata.

    Si svolgeva fra l’azione del dormire, del mangiare e l’assecondamento dei bisogni primari.

    Ciò che però distingueva Susanna dagli altri bambini era proprio la profondità mentale che aveva dovuto sviluppare.

    Susanna era più sensibile dei bambini della sua età, aveva un’emotività nettamente differente da quella degli altri.

    Il concetto figlia-madre andò avanti ancora per molto tempo.

    Susanna non era intenzionata ad accettare la parità fra i due generi vedendo quello maschile come un errore.

    Così accadde con il padre con il quale ebbe sempre un rapporto piuttosto travagliato.

    Inizialmente Susanna non riuscì ad essere grata a quella famiglia che l’aveva accolta; solo negli anni, dopo aver capito il senso dell’adozione, riuscì a rendersi conto della sua fortuna.

    Non fu semplice. Non fu facile per nessuno, né per i suoi genitori, né tantomeno per lei.

    Aveva idee molto rigide e già prestabilite, prima ancora di potersele fare attraverso esperienze e contesti diversi.

    Capitolo 5: LE PRIME CRISI DI RABBIA

    Le crisi di rabbia cominciarono a tre anni.

    Susanna, nonostante la sua età, aveva una rabbia in corpo in grado di distruggere il mondo.

    Le prime crisi furono costituite principalmente da urla, grida, pianti isterici.

    Non erano rivolte ad un obbiettivo preciso, ma venivano svolte per sfogo.

    Non era altro che rabbia pura, dovuta ai traumi subiti.

    Queste crisi inizialmente, data l’età, erano bambinesche, come sfoghi e litigi tra bambini coetanei, con la differenza che le sue erano più forti ed intense.

    Il padre tentava con difficoltà di tranquillizzarla, la madre si metteva in mezzo cercando di calmare le acque.

    Ogni tanto accadeva che la crisi finisse da un momento all’altro, mentre solitamente aveva bisogno di una frase o anche solo di una parola che le faceva riprendere il lume della ragione.

    Solitamente le crisi duravano dall’ora e mezza alle due ore.

    Non esisteva nulla in grado di poter mettere a tacere la rabbia di Susanna. Durante quei momenti tutto o quasi ciò che veniva detto o fatto non faceva altro che alimentarla.

    Capitolo 6: LA SCUOLA MATERNA E LE RELAZIONI A TRE

    Quando Susanna iniziò la scuola materna aveva già compiuto i tre anni di età da diversi mesi.

    Ricordò perfettamente il suo primo giorno di scuola.

    Sua madre la portò in classe, le diede un bacio e le disse che sarebbe venuta a riprenderla nel pomeriggio.

    Si sedette accanto ad una bambina che stava giocando con degli animali di plastica.

    Susanna si sentiva parecchio in imbarazzo, nonostante non riuscisse a spiegarselo.

    Dopo diverse esortazioni da parte degli altri prese in mano un cavallino di plastica e iniziò a giocare con gli altri bambini.

    La bambina a cui sedeva accanto si presentò con un sorriso e Susanna dovette aprir bocca per rispondere alla sua compagna.

    Ciao, mi chiamo Susanna disse.

    Poco dopo un’altra bambina si aggiunse alla loro coppia e fu in quel momento che il loro rapporto si complicò.

    Susanna non poteva sopportare i rapporti a tre, non c’era riuscita in famiglia e non poteva farcela nemmeno nel contesto scolastico.

    Il tre raffigurava per lei un incubo. Era un numero dispari e perciò qualcuno sarebbe rimasto fuori dal gruppo, non potevi avere la

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