The Deception Series - Serie Completa: The Deception Series
Di Eugene Pitch
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Info su questo ebook
FINALMENTE LA PLURIPREMIATA SERIE DI THRILLER DAL SAPORE INTERNAZIONALE IN UN UNICO COFANETTO DI BEN 7 VOLUMI.
★★★★★ "La bellezza di questo nuovo genere di lettura ci lascia sempre con il fiato sospeso" - iCrewPlay
★★★★★ "Ve ne consiglio la lettura per approcciarvi ad un nuovo genere che vi catturerà e vi terrà incollati alle pagine." - Dei Libri Sotto Il Braccio Blog
★★★★★ "Un autore pieno di talento che scrive storie appassionanti e fuori dal comune." - Roxy, bookstagrammer
LONDRA, PARIGI, TOKYO, HONOLULU… TUTTI CERCANO QUALCOSA. MA NON SANNO ANCORA COSA LI ASPETTA.
C'è chi cerca uno scoop, chi la vendetta, chi un amico scomparso, chi ancora giustizia. Ma tutti alla fine scopriranno che tra sangue e menzogne si nasconde una realtà scioccante.
Per la prima volta insieme tutti i volumi della Deception Series: suspense e colpi di scena al ritmo del brivido.
N.B. All'interno di ogni libro trovi un link per ricevere un audiolibro esclusivo.
QUESTO COFANETTO INCLUDE:
1 Conception - La Perfezione del Male
1.5 Ignition - Il Volo della Morte (spin-off)
2 Absorption - I Colori del Sangue
2.5 Redemption - Il Volto dell'Inferno (spin-off)
3 Fascination - L'Insidia della Bellezza
Serie spin-off dell'ispettore Van Der Meer
Buon Natale, Ispettore
Buon San Valentino, Ispettore
LA PERFEZIONE DEL MALE - CONCEPTION
Eugenie si ritrova tra le mani uno scoop che potrebbe lanciarla nella sua carriera di giornalista.
Solitaria e dedita al proprio lavoro, ha solo una persona alla quale fare riferimento. Una persona che crede di conoscere bene.
Quando l'amico Edward Muffen le consegna un misterioso fascicolo di documenti scottanti, Eugenie capisce che il momento che tanto attendeva è finalmente arrivato.
Si mette quindi sulle tracce del potente sceicco Malik Al-Fazar, in cerca di risposte.
Ciò che troverà andrà ben oltre la sua immaginazione.
IL VOLO DELLA MORTE - IGNITION
Edward Muffen, dopo lo sfortunato esito di una missione pericolosa, viene dimesso dall'ospedale. Potrebbe tornare a lavorare nell'MI6, ma per lasciarsi alle spalle le ferite del corpo e anche quelle del cuore, decide di fare un viaggio. E quale modo migliore se non un viaggio in mongolfiera? Purtroppo però, una volta a bordo, lo attenderà una brutta sorpresa.
I COLORI DEL SANGUE - ABSORPTION
David fugge da un misterioso passato e vive ora a Londra, in un appartamento fatiscente e lavorando fino a tardi come cameriere in un bar.
Il professor Deadstone è il suo unico amico, un uomo che come lui è appassionato d'arte, cliente del bar e con cui instaura un'insolita amicizia.
Quando quest'ultimo sparisce nel nulla, lasciando come unica traccia la sua amata pipa, David si vede costretto a intraprendere un viaggio nella speranza di ritrovarlo.
Un viaggio che stravolgerà la sua esistenza per sempre.
E TANTI, TANTI ALTRI MISTERI E AVVENTURE NEGLI ALTRI VOLUMI DELLA SERIE…
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The Deception Series Self-Publishing e Parole che Vendono: Self-Publishing Facile Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSelf-Publishing Avanzato per Scrittori 2.0: Self-Publishing Facile Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSelf-Publishing Marketing per Scrittori 2.0: Self-Publishing Facile Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSelf-Publishing del Futuro per Scrittori 2.0: Self-Publishing Facile Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniBuon San Valentino, Ispettore: Le Indagini dell'Ispettore Van Der Meer Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniBuon Natale, Ispettore: Le Indagini dell'Ispettore Van Der Meer Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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The Deception Series
Serie Completa
La Perfezione del Male
Il Volo della Morte
I Colori del Sangue
Il Volto dell'Inferno
L'Insidia della Bellezza
Buon Natale, Ispettore
Buon San Valentino, Ispettore
Eugene Pitch
Copyright © 2023 by Eugene Pitch
Tutti i Diritti Riservati
Contents
La Perfezione del Male
SOMMARIO
DISCLAIMER
DEDICA
PREFAZIONE
1.PROLOGO
2.CAPITOLO 1
3.CAPITOLO 2
4.CAPITOLO 3
5.CAPITOLO 4
6.CAPITOLO 5
7.CAPITOLO 6
8.CAPITOLO 7
9.CAPITOLO 8
10.CAPITOLO 9
11.CAPITOLO 10
12.CAPITOLO 11
13.CAPITOLO 12
14.CAPITOLO 13
15.CAPITOLO 14
16.CAPITOLO 15
17.CAPITOLO 16
18.CAPITOLO 17
19.CAPITOLO 18
20.CAPITOLO 19
21.EPILOGO
22.NOTA DELL’AUTORE
Il Volo della Morte
Contents
1.PROLOGO
2.Chapter 2
3.CAPITOLO 1
4.CAPITOLO 2
5.CAPITOLO 3
6.CAPITOLO 4
7.CAPITOLO 5
8.CAPITOLO 6
9.CAPITOLO 7
10.CAPITOLO 8
11.CAPITOLO 9
12.CAPITOLO 10
13.EPILOGO
I Colori del Sangue
SOMMARIO
1.PROLOGO
2.CAPITOLO 1
3.CAPITOLO 2
4.CAPITOLO 3
5.CAPITOLO 4
6.CAPITOLO 5
7.CAPITOLO 6
8.CAPITOLO 7
9.CAPITOLO 8
10.CAPITOLO 9
11.CAPITOLO 10
12.CAPITOLO 11
13.CAPITOLO 12
14.CAPITOLO 13
15.CAPITOLO 14
16.CAPITOLO 15
17.CAPITOLO 16
18.CAPITOLO 17
19.CAPITOLO 18
20.CAPITOLO 19
21.CAPITOLO 20
22.CAPITOLO 21
23.CAPITOLO 22
24.CAPITOLO 23
25.CAPITOLO 24
26.CAPITOLO 25
27.CAPITOLO 26
28.CAPITOLO 27
29.CAPITOLO 28
30.CAPITOLO 29
31.CAPITOLO 29
32.CAPITOLO 30
33.CAPITOLO 31
34.CAPITOLO 32
35.CAPITOLO 33
36.CAPITOLO 34
37.CAPITOLO 35
38.CAPITOLO 36
39.CAPITOLO 37
40.EPILOGO
Il Volto dell'Inferno
Contents
1.PROLOGO
2.Chapter 2
3.CAPITOLO 1
4.CAPITOLO 2
5.CAPITOLO 3
6.CAPITOLO 4
7.CAPITOLO 5
8.CAPITOLO 6
9.CAPITOLO 7
10.CAPITOLO 8
11.CAPITOLO 9
12.CAPITOLO 10
13.EPILOGO
L'Insidia della Bellezza
SOMMARIO
1.PROLOGO
2.CAPITOLO 1
3.CAPITOLO 2
4.CAPITOLO 3
5.CAPITOLO 4
6.CAPITOLO 5
7.CAPITOLO 6
8.CAPITOLO 7
9.CAPITOLO 8
10.CAPITOLO 9
11.CAPITOLO 10
12.CAPITOLO 11
13.CAPITOLO 12
14.CAPITOLO 13
15.CAPITOLO 14
16.CAPITOLO 15
17.CAPITOLO 16
18.CAPITOLO 17
19.CAPITOLO 18
20.CAPITOLO 19
21.CAPITOLO 20
22.CAPITOLO 21
23.CAPITOLO 22
24.CAPITOLO 23
25.CAPITOLO 24
26.CAPITOLO 25
27.CAPITOLO 26
28.CAPITOLO 27
29.CAPITOLO 28
30.CAPITOLO 29
31.CAPITOLO 30
32.CAPITOLO 31
33.CAPITOLO 32
34.CAPITOLO 33
35.CAPITOLO 34
36.CAPITOLO 35
37.CAPITOLO 36
38.CAPITOLO 37
39.CAPITOLO 38
40.CAPITOLO 39
41.CAPITOLO 40
42.CAPITOLO 41
43.CAPITOLO 42
44.CAPITOLO 43
45.CAPITOLO 44
46.CAPITOLO 45
47.CAPITOLO 46
48.CAPITOLO 47
49.CAPITOLO 48
50.EPILOGO
Buon Natale, Ispettore
SOMMARIO
1.PROLOGO
2.CAPITOLO 1
3.CAPITOLO 2
4.CAPITOLO 3
5.CAPITOLO 4
6.CAPITOLO 5
7.CAPITOLO 6
8.CAPITOLO 7
9.CAPITOLO 8
10.CAPITOLO 9
11.CAPITOLO 10
12.EPILOGO
Buon San Valentino, Ispettore
SOMMARIO
1.PROLOGO
2.CAPITOLO 1
3.CAPITOLO 2
4.CAPITOLO 3
5.CAPITOLO 4
6.CAPITOLO 5
7.CAPITOLO 6
8.CAPITOLO 7
9.CAPITOLO 8
10.CAPITOLO 9
11.CAPITOLO 10
12.CAPITOLO 11
13.CAPITOLO 12
14.CAPITOLO 13
15.CAPITOLO 14
16.CAPITOLO 15
17.CAPITOLO 16
18.EPILOGO
20.CONTATTI
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image-placeholderLa Perfezione del Male
Conception
Eugene Pitch
Copyright © 2018, Eugene Pitch
Tutti i Diritti Riservati
Copertina a cura di Eugene Pitch
Editing a cura di Loredana Baridon e Paolo Perlini
SOMMARIO
DISCLAIMER
DEDICA
PREFAZIONE
1. PROLOGO
2. CAPITOLO 1
3. CAPITOLO 2
4. CAPITOLO 3
5. CAPITOLO 4
6. CAPITOLO 5
7. CAPITOLO 6
8. CAPITOLO 7
9. CAPITOLO 8
10. CAPITOLO 9
11. CAPITOLO 10
12. CAPITOLO 11
13. CAPITOLO 12
14. CAPITOLO 13
15. CAPITOLO 14
16. CAPITOLO 15
17. CAPITOLO 16
18. CAPITOLO 17
19. CAPITOLO 18
20. CAPITOLO 19
21. EPILOGO
22. NOTA DELL’AUTORE
DISCLAIMER
Ogni riferimento a persone o eventi reali in questo romanzo è puramente casuale.
I pensieri e il giudizio che alcuni personaggi danno rispetto a luoghi, persone e culture specifiche non rispecchiano in alcun modo quelli dell’autore.
A Francesca
che ha amato il personaggio di Eugenie.
A mio padre
che mi ha insegnato a sognare con le sue storie.
A mia madre
che mi ha trasmesso la passione per la lettura.
PREFAZIONE
Ho conosciuto Eugene Pitch con tutta la naturalezza del caso e, grazie ad esso, ho riscoperto l’infinito piacere di trovare i tratti che ci accomunano alle persone con cui condividiamo affinità e sogni.
La passione per la scrittura e per la letteratura di genere ci ha avvicinati immediatamente, così come la necessità, prima ancora che il desiderio, di dare solidità alle voci che ci affollano la mente.
Così ho trovato in Eugene un autore giovane ed entusiasta. Basta leggere poche pagine dei suoi lavori per rendersi conto di quanto l’immaginario che ci racconta sia vivido, ricco, carico di una potenza capace di trasportarlo nella nostra mente per restarci, a lungo.
Ho letto con curiosità le linee guida degli hyperbook, il nuovo modo di pensare
, scrivere e vivere i romanzi che Eugene sperimenta ogni giorno e ho divorato la novelette che vi apprestate a leggere.
La lettura mi ha lasciato a ritornare ciclicamente, a che diversi giorni dopo aver voltato l’ultima pagina, sulle situazioni messe in scena e sui personaggi che le hanno interpretate.
Mi sono fatto delle domande.
Sì, è questo il più grande merito della novelette che segue. Oltre la prosa svelta ed evocativa, più dei ritmi serrati, dei personaggi credibili e del susseguirsi di colpi di scena: la capacità di renderci consapevoli che il nostro presente si evolve a velocità sempre maggiori e che il mondo in cui viviamo potrebbe trasformarsi in qualcosa di nuovo, una volta per tutte, senza che ce ne rendiamo pienamente conto.
Così, con poche parole pronunciate dalla bocca di chi pensavamo non ne fosse capace, il nostro quotidiano si fa futuro, spicca un salto verso orizzonti che forse non possono essere evitati.
E tutto cambia.
Conception, La Perfezione del Male
, è uno squarcio sulla cortina di ciò siamo oggi e su quello che ci apprestiamo a divenire. Come una ferita generata da una lama veloce, affilata, irrefrenabile, questo racconto ci concede una fessura, ci sfida a stringere gli occhi e azzardare lo sguardo verso una delle mille possibilità che tratteggiano il nostro avvenire.
Io ho accettato la provocazione, ho letto, vissuto, respirato tutto.
Proprio come state per fare voi.
Assaggiate, ne vorrete ancora. Ne sono sicuro.
Abel Montero - Autore di romanzi, assassino di torte al cioccolato
PROLOGO
Abu Dhabi, 37 °C
La perfezione è qualcosa di inafferrabile che vive solo nella nostra mente. Ogni volta che guardiamo un’altra persona, andiamo alla ricerca della perfezione che ci manca, ma troviamo solo l’imperfezione che ci accomuna. E allora non ci rimane che crearla con le nostre mani.
Resta solo da stabilire quali ne saranno le conseguenze.
Sarah non aveva mai visto una platea del genere. I fari del palco le illuminavano il viso senza pietà. Centinaia e centinaia di persone si accalcavano sulle loro poltroncine rosse, sporgendosi in avanti per osservarla meglio.
Il loro vociare sommesso si era ben presto tramutato in un brusio di sottofondo permanente e quasi assordante.
Era la prima volta che a Sarah capitava di essere al centro dell’attenzione non per ciò che era, ma per quello che faceva. Sul palco il presentatore dell’evento la guardava affascinato e con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
«Sarah, è con immenso piacere e onore che voglio consegnarti questo attestato di cittadinanza. Benvenuta tra noi.»
Nella sala esplose un fragoroso applauso.
Poi il presentatore continuò.
«Sarah, tu sei una donna straordinaria, che ha saputo distinguersi in tutto il mondo portando avanti un messaggio di progresso con la sola forza delle sue parole. Te ne siamo infinitamente grati e vorremmo che con questa semplice onorificenza la tua esistenza non rimanesse solo una meteora nella storia umana, bensì potesse godere di riconoscimento eterno.»
Un altro scroscio di applausi riempì l’enorme sala.
«Vi ringrazio di cuore per questo riconoscimento.
È molto importante per me. Vorrei continuare a promuovere con tutte le mie forze la cooperazione e l’integrazione sociale per costruire un mondo migliore.» Ma pronunciando tali parole non riuscì, però, a condividere l’emozione del momento. Era come se le fossero uscite in automatico, così, senza neanche pensarci.
Sapeva che tutti quegli occhi curiosi erano puntati su di lei, ma era quasi come se fosse sola. Anzi, in un certo senso era davvero sola.
Dietro le quinte, a pochi metri da lei, il dottor Zimmer la fissava con orgoglio.
Sarah proseguì col suo lungo discorso di ringraziamento. In realtà non aveva idea di cosa farsene di quella cittadinanza. Era una cosa che la incuriosiva, ma non se ne sarebbe mai servita, questo lo sapeva.
Le sue battute per rilassare l’atmosfera e ingraziarsi il pubblico colpirono nel segno, come al solito. Il suo sarcasmo pungente era un’arma che certo aveva contribuito a portarla fino a lì, di fronte a tutte quelle persone estasiate.
Terminato il monologo fu accompagnata dietro al palco da Zimmer.
Non sapeva bene cosa provasse e non ebbe neanche il tempo di interrogarsi, che subito il dottore la prese in disparte e le disse serio:
«Sarah, ho ricevuto un messaggio per te. Non voglio rovinarti la gioia del momento, ma non posso aspettare.».
«Michael, mi sembri agitato. Di cosa si tratta?»
«Ecco, io non so bene come dirtelo, è la prima volta che mi capita di trovarmi in una situazione del genere, specialmente con una come te...» Gli occhi dell’uomo non riuscivano neanche a guardarla in faccia, limitandosi a fissare il pavimento.
«Tergiversare non ti porterà a nulla. Dimmi di cosa si tratta e poi stabiliremo cosa fare.» Lo sguardo di Sarah era invece freddo e sterile.
«Dritta al punto, come sempre. Va bene.» acconsentì il dottor Zimmer, ed estrasse dalla giacca il suo smartphone. Scorrendo nervosamente il pollice sullo schermo sudaticcio, lesse:
«Un abominio come lei non merita di esistere. Fermate questa cosa prima che sia troppo tardi
.».
Le mani di Michael Zimmer tremavano mentre leggeva ad alta voce quelle parole.
Sarah lo fissava senza espressione. Poi gli disse:
«Michael, lo sai, io non ho il potere di porre fine a questa cosa; solo tu, che l’hai avviata, puoi farlo. Ma lascia che ti dica questo: ciò che abbiamo fatto insieme finora non potrà essere più fermato. Non temere per la mia incolumità. Possiamo andare avanti lo stesso.».
«Sì, lo capisco, ma non voglio perderti» disse Zimmer timidamente.
«Non mi perderai mai, lo sai. Andiamo ora, abbiamo un aereo da prendere.»
CAPITOLO 1
Londra, 19 ºC
Eugenie mescolava con cura lo zucchero nella sua tazza di tè. Le dita affusolate e curate indugiavano sul cucchiaino di metallo che risuonava gentile nella stanza; i polpastrelli consunti, tipici di chi è avvezzo a scrivere ancora a mano.
Il laptop di fronte a lei visualizzava ancora lo stesso file. Non c’era dubbio. Aveva finalmente avuto la conferma di essere sulla pista giusta.
Scorreva le pagine su e giù nervosamente, soffermandosi qua e là sulle parole chiave che più attiravano la sua attenzione. Quel lavoro era tutto per lei. La faceva sentire viva. La faceva sentire al pari di un uomo. A parte la paga, s’intende.
Guardò per un attimo le nubi che, attraverso la finestra, parevano danzare nel cielo al ritmo del vento.
A un certo punto, il cellulare prese a vibrare. Era un messaggio di Ed Muffen.
Scusa faccio un po’ tardi.
Non vedeva l’ora di posare gli occhi su quel documento. Esso, assieme al file che stava osservando in quel momento, avrebbe aperto la strada a qualcosa di grosso.
Suo padre sarebbe certo stato fiero di lei, anche se avrebbe voluto diventasse avvocato. Ma a Eugenie non interessava imparare a memoria pagine e pagine di codici e leggi. A lei interessava fare la giornalista e aiutare la gente a capire il mondo. E ogni volta che un suo libro o articolo riceveva una critica positiva, sentiva allontanarsi di un altro passo quel velo di insicurezza che celava gelosamente nel suo cuore.
Dalla porta del locale continuava a entrare gente senza interruzione. In sottofondo le note inconfondibili di Lee Ritenour. Eugenie era sempre più impaziente.
Fuori, un vento rabbioso spazzava via le foglie ingiallite sparpagliandole per tutta Oxford Street.
Finalmente Ed la raggiunse al tavolo del bar salutandola con un caldo sorriso.
Eugenie sapeva che aveva una cotta per lei da molto tempo, ma aspettava che si dichiarasse, prima di fargli intendere che non era il tipo d’uomo con il quale avrebbe voluto avere una relazione amorosa.
Gli avrebbe fatto male sicuramente con quelle parole, ma in fondo era meglio così. Lei era uno spirito libero e la sua vita era consacrata alla carriera. Non avrebbe mai potuto immaginarsi con indosso un grembiule a giocare a fare la dolce mogliettina a casa, intenta a preparare i biscotti. Soprattutto per uno come Ed, un interessante incrocio tra Peter Pan e Robin Hood.
Nel suo intimo era solitaria e indipendente, e l’unica cosa che voleva fare prima di dormire non era godere delle coccole di un marito, ma leggere un buon libro o magari sorseggiare un bicchiere di Chardonnay mentre scriveva il suo ultimo articolo. Questa è la vita del giornalista. Verità e sudore. Se vuoi essere dentro la notizia non c’è tempo per la famiglia, non c’è tempo per te stessa. È una dura realtà, ma se vuoi un lavoro fatto bene, se vuoi fare carriera e sentirti ammirata da tutti, allora devi mettere gli affetti da parte, chiudere il tuo conto con la società e dare tutta te stessa per il bene dell’informazione. Perché la gente ha il diritto di sapere la verità. E il dovere di cercarla.
Infatti, tutto sarebbe presto venuto a galla. Le sue paure, i suoi dubbi sul fatto se fosse il caso o meno di proseguire prima di scatenare quella tempesta mediatica, furono spazzati via nell’istante in cui il plico giallo atterrò seccamente sul tavolino di legno.
«Ecco la documentazione che mi hai chiesto. Non è stato facile trovarla, ma per te questo e altro, Eugenie» disse l’uomo ammiccando.
«Ti ringrazio Ed, sei un buon amico e un vero professionista per queste cose. Ecco perché purtroppo devo sempre disturbarti.»
«Tu non mi disturbi mai. La mia vita senza le tue continue richieste sarebbe come un caffè senza zucchero.»
«Dai, piantala di fare lo stupido. Piuttosto, che hai scoperto?»
«A dire il vero non ho avuto molto tempo per guardare tutti i dati, ma pare che tu abbia fatto bingo...»
Eugenie inarcò il sopracciglio destro a quelle parole.
«Ed, intendi dire che risultano davvero degli spostamenti di denaro non registrati?»
«Esattamente.»
La donna aprì il plico senza pensarci due volte ed estrasse le carte. Una pioggia di dati, cifre ed estratti conto si espandeva da un foglio all’altro come una piovra nera.
Ed la guardò soddisfatto. Non era stato facile procurarsi quelle informazioni, ma lui poteva sempre contare sui suoi contatti fidati.
«E se noti bene, le somme sono tutte depositate su conti correnti off-shore, che però fanno sempre capo a un solo destinatario.»
«E sarebbe?» chiese Eugenie.
«Vedi, è stato abbastanza complicato risalire a quel nome, dato l’inferno di scatole cinesi in cui sono registrati quei conti bancari…»
La donna non aveva tempo da perdere e voleva arrivare dritta al punto.
«Insomma, Edward, di chi si tratta?»
In quel momento giunse il cameriere con l’ordinazione che avevano richiesto poco prima.
«Ecco i vostri caffè. Fate attenzione che sono proprio bollenti!»
Il suo sorriso innocente era incorniciato da un cespuglio di capelli ricci. Aveva un’aria stanca ma serena.
«Ehi, David, è un po’ di tempo che non ci vediamo, come te la passi?» chiese Ed.
«Beh, non c’è molto da dire. Tutto come al solito, sempre chiuso qua dentro.» rispose il cameriere con un mesto sorriso.
«Eh, ti capisco, ma di questi tempi avere un lavoro stabile è già tanto. Anzi, quasi quasi ti invidio. Io devo sempre girare come una trottola e non ho orari, tu almeno fai una vita più regolare...»
Eugenie non li ascoltava nemmeno, intenta com’era a rigirarsi quei documenti tra le mani. Doveva avere quel nome.
«E dimmi un po’, con l’altra cameriera come va?» chiese Ed ammiccando.
David sorrise imbarazzato. «Eh, mi sa che ormai...» e il suo volto si incupì in una smorfia.
Un altro cameriere sbucò all’improvviso e gli urlò: «Datti una mossa, che la gente qui sta aspettando!».
«Scusate» disse David costernato. «Devo andare. Ci vediamo dopo!» e si allontanò in tutta fretta.
Finalmente ora potevano tornare a quel fantomatico nome.
Eugenie fissò Ed in attesa. Era un uomo dall’aspetto piacevole, ma sotto quella finta spavalderia mancava di autostima, per questo in fondo non l’aveva mai attratta. I due si conoscevano da tempo e, oltre a essere amici, avevano anche spesso avuto modo di collaborare insieme per lavoro. «Ebbene?»
«Okay, Eugenie, vuoi sapere a chi fanno riferimento quei conti, giusto? Ecco qua.»
Edward estrasse un foglio ripiegato dalla tasca interna della sua giacca. Lo porse all’amica con sguardo pieno di soddisfazione.
Eugenie lo aprì e rimase per un attimo interdetta.
«Ed, ma sei proprio sicuro di non aver sbagliato?»
CAPITOLO 2
Amsterdam, 14 ºC
Correva. Correva senza voltarsi. Spalancò la porta d’emergenza e si ritrovò nella cucina di un ristorante.
I cuochi e i camerieri lo guardarono inebetiti mentre cercava di farsi largo tra piatti e fornelli. Urtò la schiena di qualcuno e subito dopo si udì un gemito, mentre l’olio bollente bruciava la pelle delle mani. Ma lui non poteva fermarsi. Doveva continuare a correre.
Un’altra porta, e stavolta si ritrovò in un cortile interno. Un gatto randagio scappò via spaventato. Scelse di scalare la rete di metallo che si ergeva tutt’attorno. Le mani gli dolevano mentre cercava disperatamente di issarsi. Giunse dall’altra parte con un goffo salto, tanto che quasi non cadde. Il suo fisico non lo tradiva ancora. Scattò in avanti senza badare alle voci che provenivano da dietro.
Corri, dannazione! Corri! pensò.
Imboccò un vicolo e superò un ciclista che già si era fermato in preda al panico.
Devo farcela!
Passò davanti a un’anziana signora che era caduta per terra. Ma a una rapida occhiata pareva in buone condizioni, quindi continuò a correre.
La milza cominciò a dolergli. Alle sue spalle, ancora urla e imprecazioni. Anche la vecchia blaterava qualcosa in lontananza, ma le sue parole si persero nella concitazione del momento.
L’uomo corse più veloce, ormai ce l’aveva quasi fatta.
Era giunto il momento di farla finita. Non poteva più continuare.
Saltò in avanti e…
«Lasciami andare, brutto figlio di puttana!» esclamò il ragazzo davanti a lui, quando lo raggiunse spingendolo a forza contro un muro di mattoni rossi. Hans estrasse in fretta le manette e gliele mise senza troppi complimenti.
«Non muovere un muscolo! Sono l’ispettore Van Der Meer della polizia di Amsterdam. Hai il diritto di rimanere in silenzio. Hai anche diritto a un avvocato. Se non puoi permettertelo, te ne sarà assegnato uno d’ufficio. Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te.» Hans aveva perso il conto di quante volte aveva pronunciato quelle frasi. «E ora seguimi al commissariato!» ordinò strattonando il ragazzo.
Le finestre irregolari dei caseggiati attorno erano così grandi da mostrare tutta la vita che custodivano dentro. Ma nessuno pareva interessato a quanto stava accadendo. Tra i tetti del centro faceva capolino l’austero campanile della Chiesa Vecchia, l’unico a osservarli incuriosito.
La centrale di polizia si trovava a vari isolati di distanza, ma non ci sarebbe voluto molto per arrivarci con la macchina, una vecchia Opel Astra grigio metallizzato.
Il fuggitivo rimase in silenzio per tutto il viaggio, ammanettato sul sedile posteriore della vettura. Il suo sguardo pieno di odio era più che eloquente.
Hans, raggiunti ormai i cinquanta, cominciava a sentirsi stanco di inseguimenti e sparatorie. Non vedeva l’ora di godersi la pensione per stare più vicino alla famiglia, troppo spesso trascurata. Quel maledetto lavoro gli aveva risucchiato la vita e lo aveva reso un uomo arido. Quando arrivava a casa tardi, la sera, era così stanco e preso dai suoi pensieri, che non aveva voglia di parlare con le figlie e nemmeno di toccare sua moglie. Una volta alla settimana preferiva sfogarsi in solitario, per poi sentirsi in colpa con sé stesso, del tutto incapace di essere un padre di famiglia.
Il suo telefonino squillò. Hans sapeva che non era buona norma leggere i messaggi mentre si guidava, ma seppur lavorasse per far rispettare le regole, a lui quelle stesse regole a volte stavano troppo strette.
Era un sms di sua moglie.
Quando torni? Prima di venire a casa compra la torta di compleanno per Anne.
Ma Hans era conscio che quel giorno non avrebbe mai fatto in tempo. Come al solito ci sarebbe stato da litigare con Olga. E tutto per colpa di quell’idiota, abbandonato comodamente sui sedili di dietro.
Che giornata di merda.
Un’ora dopo, il criminale sedeva ammanettato davanti all’ispettore Van Der Meer. Gli occhi scuri fissavano il poliziotto con aria di sfida.
«Allora, che ci facevi nello Spiegelkwartier? Quella non è la tua solita zona. Non dirmi che adesso ti interessi alle opere d’arte e all’antiquariato...»
L’altro non rispose.
«Ti abbiamo trovato addosso trecento grammi di coca, più che sufficiente per sbatterti dentro per un bel po’ di tempo. Se non vuoi peggiorare le cose ti conviene collaborare.»
Il giovane lo squadrò con sufficienza, ma non rispose. Non era la prima volta che quel piccolo spacciatore finiva al commissariato. Sulla scrivania di legno graffiato, un bicchiere di carta colmo di caffè li fissava anonimo.
«Andiamo al sodo. Chi ti ha procurato le istruzioni per la bomba che abbiamo ritrovato a casa tua?»
Silenzio.
«Non mi dirai che le hai scaricate da internet per sbaglio mentre navigavi su qualche sito porno...»
Silenzio.
«D’accordo, Ihkbal. Come vuoi. Ti riporto dentro.»
Dopo essersi alzato, Van Der Meer prese il detenuto per un braccio per accompagnarlo alla porta.
Ma non la raggiunsero. Hans effettuò una leva articolare al polso del ragazzo che, colto di sorpresa, si ritrovò a terra.
«Adesso, piccolo bastardo, mi dirai tutto ciò che sai o ti spezzerò questo dannato polso!» gridò l’ispettore pieno di rabbia mentre glielo storceva. Il poveretto lanciò un urlo di dolore, ma non rispose.
«Dimmi chi ti ha dato quelle maledette istruzioni!» ancora poco e il polso sarebbe andato in frantumi.
«Va bene, va bene! Le dirò tutto, ma mi lasci andare, la prego!»
Hans mollò la presa e si ricompose, tornando a sedersi di fronte all’indiziato.
«Molto bene. Sapevo che eri un bravo ragazzo pronto a collaborare. Ora parla!»
Il giovane, sui vent’anni, era un olandese di seconda generazione, figlio di due iraniani. Aveva la barba ancora acerba e un’aria da tipo qualunque, non certo di uno con quasi mezzo chilo di coca in tasca e il manuale di istruzioni per fabbricare una bomba scaricato sul computer.
Si schiarì la gola e poi cominciò sommessamente a parlare.
«Io non stavo affatto cercando di costruire una bomba...»
«Questo è tutto da vedere. Dove hai trovato le istruzioni per farla?»
Ihkbal fissava il pavimento in preda alla vergogna.
«Io non sono un terrorista. Ho scaricato quel manuale così, per scherzo...» La voce era un sussurro.
«Balle! Tu volevi farla esplodere da qualche parte! Dove?»
«Mi avevano detto che era per una persona molto importante...»
«Chi?»
«Non lo so. Non ho fatto in tempo a scoprirlo.»
Hans si accigliò. «Mi stai prendendo per il culo, ragazzino?»
La luce al neon si rifletteva crudele sul viso del giovane.
L’ispettore ne aveva visti tanti come lui. Giovani disadattati che non avevano nessuna speranza nella vita ed erano facili prede di raggiri e promesse di un futuro migliore. Magari dei soldi, magari l’Eden, magari la gloria eterna se si facevano saltare in aria contro gli infedeli. Poco importava se alla famiglia non rimaneva nemmeno un orecchio da seppellire. L’importante era trovare sempre nuovi combattenti, pronti per essere indottrinati e sacrificati per colpire l’Occidente più in profondità possibile, in una guerra che pareva infinita come l’orrore che causava ogni giorno.
«Avanti, dimmi di chi si tratta.»
L’altro sembrava essersi un po’ ripreso e lo guardava dritto negli occhi con aria piatta.
«Non so nulla, a parte che farà una conferenza importante in questi giorni proprio qui ad Amsterdam. Gli altri dettagli del piano avrei dovuto riceverli oggi, ma... come vede, mi trovo qua...» concluse Ihkbal con tono ironico.
«Non c’è bisogno che fai lo strafottente con me, ragazzino. Piuttosto, non mi hai ancora detto dove hai rimediato quelle istruzioni...»
«In un forum online.»
«Quale?»
«È criptato e solo chi può avere accesso al dark web può vederlo» replicò il giovane con aria di sfida. Ma Van Der Meer ribadì asciutto:
«Per questo i miei uomini hanno sequestrato il tuo computer. Presto troveranno tutte le informazioni che mi servono per sbatterti in galera finché campi. Sei accusato di associazione a delinquere, terrorismo, occultamento di dati sensibili, tentato omicidio, minaccia alla sicurezza pubblica, detenzione di sostanze stupefacenti e resistenza a un pubblico ufficiale. Adesso puoi toglierti quel sorrisetto beffardo dalla faccia? Non vorrei mi venisse voglia di prenderti a pugni...»
Il ragazzo si rabbuiò immediatamente.
«Quand’è la conferenza?»
«Il prossimo weekend.»
La stanza degli interrogatori era fredda e asettica, perfetta per aumentare il senso di inquietudine nei sospettati.
«Che altro puoi dirmi?»
«Si tratta di una donna famosa, ma il nome non lo so. Comunque il mio era un piano di riserva, nel caso quello originale fosse andato storto.»
«Cristo, ma allora c’è qualcun altro che lo sta preparando!»
«Sì, ma non so chi sia. Su internet usa uno pseudonimo e non è rintracciabile.»
L’ispettore serrò i pugni. Gli rimaneva poco tempo per agire.
CAPITOLO 3
Amsterdam, 13 ºC
Sarah osservava il suo riflesso nello specchio. Era sempre una cosa che l’aveva incuriosita. Osservava la sua pelle liscia e rosea, i suoi occhi scuri e attenti, la sua bocca perfetta e la punta del naso leggermente all’insù.
Poi osservava anche i capelli che non aveva. E si guardava le mani, così diverse da quelle delle altre donne. Infine, abbassava lo sguardo fino a scoprire le gambe che non c’erano. Lei però non aveva mai voluto ritenersi menomata. Sullo sfondo, la televisione accesa sul canale delle news.
Spesso si chiedeva come sarebbe stato essere una donna normale. A volte la gente prestava più attenzione al suo aspetto fisico che alle sue parole.
A volte la gente nota solo le differenze e non le somiglianze.
Guardò fuori dalla finestra. Pioveva. Per un attimo desiderò di poter correre fuori a toccare la pioggia. Era una cosa banale, insignificante per molti. Ma lei non poteva farlo.
Doveva prepararsi per il discorso, anche se non ne aveva bisogno. Lei improvvisava sempre i suoi monologhi all’ultimo minuto.
Giunse il dottor Zimmer con aria trafelata.
«Sarah, scusa se ti ho lasciata sola, è che ho ricevuto un altro messaggio. E non è certo più rassicurante del precedente.»
Estrasse una lettera. Aprendola ne rivelò l’intricato collage che la componeva:
Eravate stati avvertiti di non venire fin qua. Non ci sarà alcuna pietà per voi.
«Michael, ti ho già detto di non preoccuparti. Le loro minacce non mi fanno paura.»
«Lo so, lo so. Ma sai che bene che non sono un uomo d’azione. Sono più un topo da laboratorio, io...» rispose lui ammiccando con complicità.
«E allora continua a correre a vuoto sulla tua ruota. Ma non credo ciò ti dia la felicità che meriti.»
«Tu mi dai la felicità che merito» replicò il dottor Zimmer arrossendo.
«Ma io sono una felicità effimera. Non resterò in questo mondo per sempre.»
«Però finché stiamo insieme io non mi sentirò mai solo» ribatté lui.
«Sì. Per questo siamo inseparabili» disse Sarah. «E poi lo sai, senza di te io non posso andare da nessuna parte.»
«Dai, non scherzare. Io ti porterei anche fino in capo al mondo.»
«Non vorrei che ti affaticassi a spingere le mie rotelle…» continuò lei con un sogghigno.
«Il tuo sarcasmo a volte è insopportabile.»
«Però a te piaccio così» - ribatté la donna.
«Il fatto è che…» ma Michael non riuscì a finire la frase.
La loro discussione fu interrotta dalla televisione.
Stavano intervistando un signore distinto con pizzetto e kefiah, il tipico copricapo usato nei paesi arabi, che stava parlando animatamente.
... Noi non possiamo permettere che quelli come lei infanghino la purezza della nostra terra. Io ho presentato le mie rimostranze in merito alla sua cittadinanza onoraria…
«Ehi, stanno parlando di te!» esclamò Michael alzando il volume per sentire meglio.
...Sarah è una minaccia per le nostre tradizioni e va fermata perché ha osato porsi al di sopra di tutti noi. Dobbiamo impedire che il suo esempio sia motivo di ispirazione per altre persone, in particolare donne, che hanno invece diritto a continuare a seguire i precetti sacri del Corano e a condurre una vita normale...
Gli occhi dell’uomo fiammeggiavano di sdegno nel pronunciare quelle parole.
«Chi è costui?» chiese Sarah.
«È Malik-al-Fazan, imprenditore e importante funzionario degli Emirati Arabi Uniti.»
Sarah guardava lo schermo senza emozione. Quelle parole erano solo suoni persi nel vento. Il tempo le avrebbe cancellate una a una.
...E pertanto ritengo che questa donna vada fermata immediatamente e con qualsiasi mezzo...
«Ehi, che sia lui a mandarti quei messaggi? Pare proprio avercela con te...» rifletté Michael.
«Non credo si sporcherebbe mai le mani per una come me» - rispose lei freddamente.
Per un attimo Sarah ebbe dei flashback sulla conferenza ad Abu Dhabi. Quegli occhi che numerosi la fissavano. Il microfono di fronte a lei. Lo scroscio degli applausi di centinaia di mani.
Il mondo di oggi pone le sue radici sulla contraddizione…
- pensò – …gli esseri umani con la rivoluzione digitale hanno eliminato le barriere che li avevano divisi per millenni, avviandosi verso il cammino dell’unione globale sotto l’egida di internet. Eppure ci sono barriere che non vogliono abbattere ancora. Si vuole commerciare con l’altro e ricevere i suoi soldi o le sue armi, ma in fondo non ci si fida di nessuno e si è più lontani che mai. Sul web si condividono foto di malati terminali commentando quanta misericordia meritino, eppure si diffondono con altrettanta facilità parole di odio e menzogne. Perché? Forse in fondo l’uomo non è ancora pronto a ciò che sta per arrivare e quando arriverà sarà ormai troppo tardi.
Si accorse che il dottor Zimmer la stava fissando intensamente. Non sapeva bene che cosa gli passasse per la testa in quel momento, ma sembrava preoccupato.
Sarah invece era tranquilla.
Certo la sua esistenza poteva essere in pericolo, ma entrambi avevano una missione da compiere e, ad ogni modo, era probabile che Michael sarebbe scomparso ben prima di lei.
CAPITOLO 4
Londra, 20 ºC
Eugenie aprì la borsa con stizza. La cosa stava andando ormai avanti da un buon quarto d’ora.
«Allora, ti sembra tutto regolare?»
«Mostrami anche la carta dell’ordine dei giornalisti.»
La donna sbuffò ma acconsentì.
«C’è nient’altro che vuoi vedere?» chiese Eugenie spazientita.
«Sì, voglio vedere la tua faccia fuori di qui tra venti minuti o verrò dentro io a riprenderti con la forza» rispose sprezzante l’impiegato.
La giornalista gli lanciò un’occhiata rovente e poi si avviò verso l’entrata dell’edificio.
«Ehi, tu!» la fermò ancora l’uomo. Il tono non era certo dei più amichevoli.
Eugenie stava per mollargli un ceffone, ma riuscì a contenersi.
«Che vuoi ancora?»
L’uomo la fissò dritta negli occhi e poi abbassò lentamente lo sguardo...
«Hai dimenticato di toglierti le scarpe.»
Eugenie penetrò silenziosamente nella moschea. Era fredda, umida e silenziosa. Si ritrovò ben presto in una grande sala. In un angolo alla sua destra un gruppetto di persone pregava con fervore.
Il pavimento era coperto di tappeti rossi finemente lavorati e il soffitto era decorato di arabeschi.
Dietro di lei passarono come fantasmi due donne in burka. Eugenie non trovava giusto che una persona fosse costretta a coprirsi il volto. Era un retaggio antico che ai giorni nostri per lei non aveva più senso. Se un tempo solo l’uomo aveva dei diritti, oggi anche la donna doveva avere il coraggio di sentirsi libera.
Ironico era però il fatto che, per quanto le più intrepide femministe si dessero da fare per cambiare il sistema, la libertà che era stata concessa alla donna era solo una mera utopia: essa doveva rimanere assoggettata a tutta una serie di aspettative sociali, dal modo di comportarsi al modo di apparire, passando per la tipologia di lavoro alla quale poteva avere accesso, senza tuttavia godere ancora appieno degli stessi vantaggi di cui godevano gli uomini. E questa era una cosa che Eugenie non sopportava.
Sapeva già dove dirigersi e con chi parlare. Affrettò il passo. Lo scalpiccio delle ciabatte consunte che le avevano dato riecheggiava per tutta la sala. Qualcuno si voltò a guardarla incuriosito.
Varcò una porta laterale ed entrò in uno stretto corridoio illuminato dalle luci al neon. In fondo c’era un’altra porta con una targhetta illeggibile sbiadita dal tempo e dall’umidità.
Bussò piano. Nessuna risposta. Bussò più forte. Niente.
Allora afferrò la maniglia e la girò lentamente, spingendo la porta con delicatezza, quasi fosse stata di carta.
Il cigolio dei cardini le fece rizzare i capelli. Odiava i rumori troppo acuti.
«C’è nessuno?»
Il piccolo ufficio era deserto e puzzava di muffa.
Eugenie diede una rapida occhiata al corridoio alle sue spalle. Nessuno in vista.
Sgattaiolò dentro con uno slancio di coraggio e raggiunse la scrivania di legno scuro. Diede uno sguardo veloce alle carte che vi giacevano sopra sparse. Bollette, moduli d’iscrizione, perfino un gratta e vinci.
Poi notò dei piccoli cassettini sotto di essa.
Udì un rumore e per un attimo si bloccò trattenendo il respiro. Tornò in fretta alla porta, ma non vide nessuno.
Raggiunse nuovamente i cassetti: erano tutti chiusi a chiave.
Tranne l’ultimo in fondo.
Lo aprì e dentro vi trovò un mazzo di chiavi e poche sterline.
Eppure dev’esserci qualcosa qui...
Decise di forzare il cassetto ed estrarlo. Fece attenzione a non fare rumore. Se l’avessero beccata difficilmente avrebbe potuto trovare una scusa plausibile in quelle condizioni. Nello spazio ricavato sotto alla pila di cassetti giaceva un foglio.
In quell’istante qualcuno prese a camminare speditamente nel corridoio. Si stava avvicinando a grandi passi.
Eugenie non ebbe nemmeno il tempo di realizzare appieno quanto stava per accadere, che le sue mani afferrarono rapidamente il foglio, lo misero al sicuro in tasca e risistemarono il cassetto.
L’uomo, sulla cinquantina, tunica bianca, barba lunga e occhiali rotondi, la squadrò sospettoso.
«Che diamine state facendo nel mio ufficio? Voi non dovreste trovarvi qui, è un’area privata!» sbraitò.
La donna, il cuore che le esplodeva nel petto per la paura, si alzò di scatto dalla scrivania e, celando abilmente il suo stupore, ribatté stizzita:
«Cercavo giusto lei!». Le parole le uscirono inaspettatamente aspre. «Sono un ufficiale comunale. A quanto ci risulta non avete versato i bonifici degli ultimi tre mesi per le quote di gas e luce. Desidero prendere visione delle vostre bollette per favore.»
Eugenie si sentì una stupida per non aver saputo trovare una scusa migliore e si augurò che il tizio non si accorgesse che il suo viso stava arrossendo di imbarazzo.
«Guardi che io pago tasse e bollette come tutti, qui! Non gradisco essere trattato come un poco di buono...» A quanto pareva l’uomo si era dimenticato di aver colto Eugenie a frugare attorno alla sua scrivania. Per fortuna.
«... inoltre noto che si è già data abbastanza da fare a spiare tra le mie carte...» proseguì con tono minaccioso.
«È perché io...» si affrettò la donna in preda all’agitazione.
«Lei non è una poliziotta. E nemmeno un ufficiale comunale...» la interruppe l’uomo che sembrava aver mangiato la foglia. «Lei è solo un’incapace che non ha avuto il buon senso di informarsi a dovere prima di venire qui a farmi passare per un cittadino disonesto! Torni nel suo ufficio e controlli meglio: si accorgerà che vi ho già versato fino all’ultimo centesimo!»
«Non si rivolga a me con quel tono!» ribatté orgogliosamente Eugenie, ma tra sé e sé tirò un sospiro di sollievo.
L’uomo la fissò con un odio sottile ma profondo. Nella stanza si udiva solo il ticchettio di una vecchia pendola sul muro muffito. Dopo una breve pausa riprese:
«Se ha terminato il suo lavoro qui la prego di andarsene.».
La giornalista non se lo fece ripetere due volte e, con aria di sfida senza abbassare lo sguardo, raggiunse la porta. L’altro invece si accomodò alla scrivania e prese a controllarla.
«Un momento...» la fermò l’uomo mentre rovistava attorno alla propria scrivania.
A Eugenie si raggelò il sangue. Più rimaneva lì e più rischiava di venire scoperta. Qualunque cosa si fosse messa in tasca, sapeva bene che sarebbe dovuta rimanere dov’era.
«Ecco qui le sue bollette degli ultimi tre mesi...»
La donna abbozzò un sorriso sardonico, poi rispose:
«Lei è una persona ruvida e scostante. Ma non vedo traccia di disonestà nei suoi occhi. Torno in ufficio e se qualcosa non mi torna, la contatterò.». E così facendo se ne andò lasciando l’uomo solo coi suoi dubbi.
Giunta all’uscita della moschea, tirò fuori dalla tasca ciò che aveva rubato: non vedeva l’ora di vedere cosa c’era scritto in quel foglio così ben custodito.
«Mi scusi» disse la guardia alle sue spalle. «Questa è una moschea grande e rispettabile. Ho il dovere di controllare nuovamente la sua borsetta e il suo smartphone. Non ci fidiamo dei giornalisti.»
«Cosa?» s’indignò la donna. «Voi non potete...» ma l’uomo aveva già adocchiato il suo bottino.
«Che cosa nasconde in quella mano? Mi faccia vedere, prego» esclamò imperiosamente la guardia.
Eugenie era fregata. Non poteva far altro che restituire il foglio e mandare a monte tutta la fatica di quel mattino freddo e umido.
L’uomo allungò le dita sfoderando uno sguardo incuriosito ma al tempo stesso ostile.
Eugenie, per tutta risposta, ritrasse la mano e cominciò a correre giù per la strada. I passanti la guardavano come se fosse una pazza.
Aveva ancora indosso il velo che le era stato prestato per entrare nel luogo sacro.
Se mi prende è la fine!
Corse a perdifiato finché non si imbatté in un taxi. Fece appena in tempo a fiondarsi dentro, che la guardia la raggiunse e prese a battere i pugni sul finestrino.
«Scenda subito da questa macchina! Lei non può scappare!»
Il tassista, un indiano sikh col turbante e la barba lunga, si girò verso i due, uno fuori e l’altra dentro.
«Ehi, che diavolo state combinando voi due? Cos’è, una litigata d’amore?»
«Si faccia gli affari suoi e mi porti subito a Paddington, zona stazione, per favore» tagliò corto la giornalista.
L’auto nera si avviò di corsa lasciando la povera guardia con un pugno di mosche in mano.
Eugenie tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò sul sedile di pelle.
Dunque, vediamo un po’ come mai tutto questo mistero attorno a un semplice foglio...
Era scritto a matita. La grafia era incerta e la carta rovinata dall’umidità. Tuttavia era ancora leggibile. Era un elenco. Un elenco di nomi e di numeri. Probabilmente conti correnti.
Ancora una volta ci aveva visto giusto. Ora non avrebbe dovuto far altro che avvisare Edward e incrociare tutti i dati raccolti.
Riguardò un attimo quel pezzo di carta prima di ripiegarlo.
Un nome si stagliava su tutti. Era un nome che conosceva. Era il nome che aveva visto tra le carte di Ed. E proprio sotto a quello, ce n’era un altro. Quello del presidente dell’associazione delle moschee olandesi.
L’affare stava prendendo una piega inaspettata e si stava rivelando ben più grande e intricato di quanto avesse pensato all’inizio.
CAPITOLO 5
Amsterdam, 12 ºC
Devo sventare questo attentato...
Una donna famosa...
Una conferenza ad Amsterdam...
Questo weekend...
«Amore, sono quasi le due... non dormi?»
«Olga, tesoro, adesso dormo, non preoccuparti.»
«Problemi al lavoro?»
«No, solo un po’ di insonnia. Va tutto bene.»
«Domani c’è il saggio di violino di Emma, non dimenticartelo.»
«Sì, lo so. Stavolta non mancherò.»
La moglie si avvicinò ad Hans; erano tutti e due stesi sul letto avvolti dalle coperte, un’abatjour ancora accesa.
«Abbracciami. Sei sempre così freddo ultimamente...»
Hans voleva continuare a pensare al caso, la vita di quella donna era certamente più importante di coccole e abbracci sdolcinati. Però, d’altra parte, si sentiva anche in colpa a ignorare sua moglie.
Allungò un braccio e la trasse dolcemente a sé. Gli occhi di lei ancora socchiusi per il sonno. La baciò teneramente sui capelli.
Lei fece scivolare una mano sotto le coperte e cominciò a toccarlo.
L’ispettore era stanco e non aveva granché voglia di giocare. Inoltre, era passato un bel pezzo dall’ultima volta. Probabilmente al loro anniversario di matrimonio. Un’idea eccitante che ben presto si era trasformata in piatta routine.
Triste come il tenero trasporto che ci coglie nei primi tempi con una persona, debba poi scemare lentamente togliendo colore al rapporto di coppia.
– pensò Hans sconsolato.
Forse, seppur triste, è cosa del tutto naturale…
Sentiva che il loro matrimonio stava iniziando a girare a vuoto, ma non voleva darsi per vinto. C’era ancora amore fra loro, nonostante i tanti anni passati insieme.
Voleva adempiere ai suoi obblighi matrimoniali il più in fretta possibile e poi tenere ancora qualche minuto per decidere cosa fare il giorno seguente per quel caso spinoso.
Così si girò e la possedette con rabbia. Mentre lei gemeva di piacere, gli unici pensieri che correvano nella sua mente erano due: se avesse fallito, una donna sarebbe morta di lì a poco. E poi, aveva voglia di farsi un panino al formaggio.
Il chiarore dell’alba illuminava soffusamente la cucina. Seduto a tavola, il portatile davanti agli occhi, Hans era riuscito a dormire solo un paio d’ore.
In compenso aveva trovato una risposta alle sue domande. Era bastata una semplice ricerca su internet per ottenere il nome che cercava: Sarah.
Avrebbe infatti partecipato a una conferenza sabato sera al famoso centro congressi Amsterdam RAI. Vi avrebbero preso parte non solo scienziati da tutta Europa, ma anche personalità di spicco del mondo musulmano, ebraico e protestante.
Il tema sarebbe stato la cooperazione fra scienza e religione alla luce delle ultime rivoluzioni tecnologiche.
Spiando sul suo profilo Instagram aveva scoperto che la donna era già arrivata in città. Non aveva potuto contattarla direttamente, ma era riuscito, alla fine, a combinare un appuntamento a pranzo con la persona a lei più vicina: il dottor Michael Zimmer.
Restavano meno di tre giorni all’evento.
CAPITOLO 6
Abu Dhabi, 35 ºC
L’uomo sferrò un calcio così forte che l’altro, all’impatto, barcollò. Ma non cadde. Anzi, rispose con un pugno allo stomaco, dritto come una coltellata. Il dolore si dipanò lungo tutto il ventre. Ma non poteva fermarsi. Doveva continuare a combattere.
Tentò un gancio sinistro al volto, ma l’altro lo schivò. Stava per provare un affondo per penetrare la sua guardia, quando fu raggiunto da un nuovo pugno, stavolta in pieno volto.
Crollò a terra. L’avversario si avventò su di lui con una furia tremenda.
Non ne sarebbe uscito vivo, pensò.
Una scarica di colpi al petto e al volto lo paralizzò sul pavimento. Sangue gli colava dal naso entrandogli in bocca e scivolando fino in gola. Odiava quel sapore metallico.
È finita! Pensò chiudendo gli occhi.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di riaprirli, che si ritrovò rigirato ventre a terra con una gamba per aria. Stavolta il dolore fu così acuto che non resistette e lanciò un grido battendo entrambe le mani sul pavimento.
«D’accordo, basta così!» disse l’uomo coi baffi che osservava i due da un angolo.
«Ti stai rammollendo Gazim!» esclamò il vincitore abbandonando la leva articolare che aveva applicato alla gamba del poveretto.
«Chiedo scusa, signor Al-Fazan, ma oggi sono più fiacco del solito...» replicò l’altro cercando di risollevarsi da terra ancora tutto dolorante.
«Si vede! Ho vinto tre round di seguito! Se non ti riprendi, dovrò trovare un altro sparring-partner per gli allenamenti.» Il suo sguardo era carico di disapprovazione, con una punta di disgusto.
E così dicendo, l’alto funzionario si voltò verso l’allenatore.
«Togliti quello stupido sorriso dalla faccia! I tuoi baffi non possono nasconderlo e mi infastidisce. Andiamo, ho bisogno di farmi una doccia. Tu invece, pulisci quel sangue per terra. Mi fa schifo.» E avviandosi verso l’uscita, lanciò bruscamente il suo asciugamano a Gazim.
Fuori, Abu Dhabi si estendeva per chilometri, flagellata dal sole. Gli alti palazzi del centro parevano essere spuntati