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Milos Forman, il regista degli outsider
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E-book230 pagine3 ore

Milos Forman, il regista degli outsider

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Info su questo ebook

Questa biografia è un racconto avvincente che ripercorre la vita di uno dei film-maker di maggior successo del secolo scorso. Un percorso corale negli anni cecoslovacchi della Nová vlna, che diventa più individuale nella stagione trascorsa nella mecca hollywoodiana.

Grazie a questo libro, il lettore potrà apprezzare l'impeto creativo e l’amore per la vita di un grande narratore, oltre a conoscere i retroscena legati alla creazione di tutti i suoi film, dalle prime opere in bianco e nero fino ai più noti e celebrati lavori come Qualcuno volò sul nido del cuculo o Amadeus.

Un agile strumento per la riscoperta di un autore troppo velocemente dimenticato.

LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2023
ISBN9788869348341
Milos Forman, il regista degli outsider
Autore

Alessandro Garavaglia

Alessandro Garavaglia è nato nel 1978. Milanese DOC, è laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano e lavora come consulente di comunicazione freelance. Bastian contrario di natura e appassionato sostenitore di cause perse per vocazione, nel tempo libero si divide tra moglie, amici, famiglia e buona tavola (non sempre nell’ordine). Cerca di coltivare con frequentazioni irregolari l’amore per la letteratura classica e il cinema e di alimentare la passione per la letteratura gialla attraverso la continua ricerca di titoli dimenticati. Tognazzi ’60 è il suo primo libro.

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    Anteprima del libro

    Milos Forman, il regista degli outsider - Alessandro Garavaglia

    Alessandro Garavaglia

    Miloš Forman, il regista degli outsider

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, maggio 2023

    e-Isbn 9788869348341

    Tutti i diritti riservati.

    Direttore della collana Cinema del ‘900: Massimo Moscati

    Editing: Cesare Paris

    Progetto grafico: Riccardo Brozzolo

    Alessandro Garavaglia

    Alessandro Garavaglia è nato a Milano nel 1978.

    Laureato in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano, lavora come consulente nell’ambito delle media relations.

    Bastian contrario di natura e appassionato sostenitore di cause perse per vocazione, nel tempo libero si divide tra moglie, amici, famiglia e buona tavola (non sempre nell’ordine).

    Cerca di coltivare con frequentazioni irregolari l’amore per la letteratura classica e il cinema e di alimentare la passione per la letteratura gialla.

    Per Bibliotheka ha pubblicato il suo primo libro Tognazzi ’60 (2022).

    Cineuropa è una nuova proposta editoriale incentrata su registi e attori che hanno fatto grande il cinema europeo. Figure iconiche, capaci di sovvertire il mondo della settima arte e altresì di imporsi nell’ambito della moda, del costume, della società, qui riscoperte secondo una nuova ottica critica, capace di coglierne gli aspetti più interessanti, controversi, nascosti.

    Una collana che analizza nel dettaglio la carriera di artisti a tutto tondo e il loro percorso professionale che, in molti casi, ha coinciso simbioticamente con la loro dimensione esistenziale.

    Ai miei cari genitori

    Quel cuculo libertario e disadattato

    A volte una prestigiosa carriera cinematografica, come quella di Miloš Forman, si imprime nella memoria dello spettatore, soprattutto se giovane, intorno ad un’unica opera faro.

    A diciassette anni rimasi folgorato da Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), che descriveva l’America (ma non solo) dei sognatori e dei dolci pazzi, quella delle pentole rotte dell’umanità difese da Randle McMurphy (Jack Nicholson nel film), l’eroe cult che combatte contro la spietata infermiera Ratched, concepito da Ken Kesey nel suo romanzo del 1962 (e che avidamente recuperai in un tascabile Bur, scoprendone le innumerevoli differenze rispetto alla trasposizione sul grande schermo).

    Ho ripreso in tempi recenti questo romanzo di formazione, ed eversivo allo stesso tempo, e non è affatto invecchiato, ancora attuale nella sua critica all’autorità e al controllo esercitato da un’istituzione sull’individuo da cui dipende. E richiama con il suo linguaggio ipnotico la verve di un romanziere dal destino sorprendente, «Troppo giovane per essere un beatnik, troppo vecchio per essere un hippie».

    Figlio di allevatori, nato nel 1935 in una cittadina del Colorado, si appassiona al wrestling – come John Irving dopo di lui – , non riuscendo però ad intraprendere l’attività agonistica a causa di un infortunio alla spalla. E così, questo omone dagli occhi azzurri, orienterà le sue lotte contro l’ordine sociale e gli oppressori di ogni genere. Iscritto a Lettere a Stanford, vive poco distante dal campus, a Perry Lane, il rifugio bohémien dei nascenti anni Sessanta. Per pagarsi gli studi, lavora come infermiere notturno al Menlo Park Veterans Hospital, dove le sue interviste con i pazienti ispireranno questo primo romanzo.

    In ospedale scopre mescalina e LSD, dopo essersi offerto volontario per test medici finanziati dalla CIA. In breve, diventa una sorta di apostolo della cultura psichedelica, e contribuisce fortemente a diffondere, in innumerevoli feste casalinghe, gli psicofarmaci che ingurgitava, al suono dei Grateful Dead. Una vita sotto acido che culminerà nell’estate del 1964 durante un folle viaggio attraverso il continente in uno scuolabus psichedelico, affiancato da Neal Cassady (il romanziere protagonista di On the Road di Jack Kerouac) e la sua band Joyeux Lurons. Di questa avventura c’è traccia anche in L’Acid Test al Rinfresko Elettriko (1968) di Tom Wolfe, editato un paio di anni dopo da Feltrinelli e mai più riproposto. Il motivo che spinse Ken Kesey e i suoi accoliti a mettersi in viaggio fu la pubblicazione a New York del suo secondo romanzo, A volte una bella pensata (1964), un tomo di 800 pagine che attirò l’attenzione di Paul Newman (per gli echi evidenti a un Steinbeck che sembra riscritto da Faulkner) che diresse l’insuccesso Sfida senza paura (1971), un dramma su un clan di taglialegna dell’Oregon dal carattere rozzo. Sarà il suo ultimo testo importante, per qualche motivo la sua ispirazione si era esaurita.

    Dopo una permanenza in prigione per consumo di marijuana, lo scrittore tornerà nell’Oregon della sua giovinezza, in una sorta di ritiro vigile, che si concluderà con la sua prematura morte nel novembre 2001.

    Ma il fascino di Qualcuno volò sul nido del cuculo, è legato anche all’intera storia che ruota attorno al romanzo e al cinema. Si trattava di un progetto avviato da Kirk Douglas, dopo aver acquistato i diritti del libro. Il testo era stato adattato per la prima volta sul palco con Douglas nei panni di McMurphy. Portarlo sullo schermo era uno dei suoi più grandi progetti, ma la United Artists inizialmente si rifiutò di produrlo. Alcuni anni dopo, suo figlio, l’attore Michael Douglas, avrebbe ripreso il progetto e sarebbe riuscito a produrlo (sempre con la United Artists). Kirk era un padre orgoglioso, ma un attore deluso che capì che non avrebbe mai interpretato McMurphy: nella sua autobiografia The Ragman’s Son, Douglas ha scritto che Cuckoo’s Nest è stata «una delle più grandi delusioni della mia vita». Ammise che aveva guadagnato più soldi con quel film rispetto a tutti quelli in cui aveva effettivamente recitato, ma avrebbe «restituito volentieri ogni centesimo» se avesse potuto interpretare quel ruolo. «Era molto in anticipo sui tempi. Quando l’ho portato a Broadway, i critici non sapevano cosa farsene. Il pubblico l’ha adorato, ma non ha funzionato molto bene. Ho provato per quasi 12 anni a trasformarlo in un film. L’ho presentato in ogni studio. Ma nessuno lo voleva produrre, neanche con un budget limitato. Alla fine, sono entrato in società con mio figlio, Michael, e siamo riusciti a trovare qualcuno al di fuori del settore per metterci i soldi e abbiamo realizzato un piccolo film che non avrei mai previsto sarebbe stato un successo!».

    Di solito associamo sempre Jack Nicholson a questo film, ma Kirk Douglas merita un giusto riconoscimento.

    Del resto, se Qualcuno volò sul nido del cuculo appare oggi come un capolavoro realizzato in stato di grazia, e se McMurphy è solo e unicamente Jack Nicholson, non si può glissare sui litigi sorti sul set fra lui e Forman. Jack non riconosceva l’autorità del regista, anche perché era stato indicato ai produttori dall’amico Hal Ashby (che avrebbe dovuto realizzare il film).

    Gli attriti iniziarono a crescere durante la pre-produzione, con l’attore e il regista che esprimevano obiettivi creativi particolarmente dissonanti su come il protagonista dovesse essere interpretato.

    Un giorno, Jack apparve sul set con una folta barba posticcia, pensando che la messinscena fosse appropriata per il personaggio di McMurphy, ma Forman si oppose immediatamente. I due arrivarono a un tale disaccordo che incominciarono a non comunicare più direttamente, ma tramite il (nuovo, ma ne parliamo più avanti) direttore della fotografia del film, Bill Butler. Nicholson rifiutò persino di prendere parte ai contenuti extra del Dvd, creati anni dopo la produzione del film.

    Ma non era che l’inizio. In uno dei momenti più commoventi e stressanti del film, McMurphy porta il gruppo disordinato di pazienti in una battuta di pesca, facendoli uscire dall’istituto in nome della libertà. Sebbene la scena sia ormai entrata negli annali, è stata un incubo da filmare, con l’intero cast (a parte Nicholson) che soffriva il mal di mare: l’intera sequenza necessitò di un’intera settimana per essere completata. Non era nemmeno una scena a cui Forman fosse particolarmente appassionato, perché il suo scopo era di mantenere la tensione drammatica all’interno delle mura del reparto psichiatrico.

    Il regista la accorciò in montaggio, ma rimane uno dei momenti più memorabili del film.

    L’aneddotica del resto non finisce qui. Tra il cast di attori non protagonisti che interpretano i pazienti nel film, tra cui Danny DeVito (era un vecchio amico di Michael Douglas e suo compagno di stanza alla fine degli anni ‘60, aveva interpretato Martini, uno dei pazienti dell’ospedale psichiatrico, nella produzione off-Broadway del 1971) e Christopher Lloyd, Sydney Lassick interpreta Cheswick, un personaggio che è vittima di un crollo psicologico in una scena specifica. Tuttavia, la scena era assolutamente realistica perché l’attore subì realmente un crollo psicologico durante le riprese. I membri del cast e della troupe erano da tempo preoccupati per il comportamento irregolare di Lassick sul set, al punto che venne rimosso fisicamente nella scena clou del confronto emotivo tra McMurphy e Capo Bromden (Will Sampson, individuato tramite un rivenditore di auto usate).

    Come accade spesso negli adattamenti cinematografici, Ken Kesey non era contento del film di Forman. Inizialmente aveva scritto la sceneggiatura, ma era stato silurato e finì col litigare con la produzione. Era furente dai molti cambiamenti rispetto al libro. In particolare, non accettò che l’asse della storia fosse stata spostata dal Capo indiano a McMurphy. Kesey, che ha sempre affermato di non aver mai voluto vedere il film nella sua interezza, citò in giudizio la produzione chiedendo il 5% dei profitti lordi del film e 800mila dollari di danni. E riuscì, alla fine, a stabilire un accordo finanziario.

    Forman, dal canto suo, in parte per difendersi dagli attacchi di Nicholson, in parte per seguire una sua visione stilistica, si ingegnò a adottare una sorta di schema durante le riprese. Motivato dalla necessità di trasformare il film in un’immersione emotiva realistica, il regista organizzò per i suoi attori sessioni di terapia di gruppo improvvisate e senza copione, in cui ogni attore sviluppava il proprio personaggio (d’altronde si girava in un vero ospedale psichiatrico dell’Oregon a gennaio, quando fa buio alle tre del pomeriggio. Fu sicuramente un rischio da parte del direttore dell’ospedale, Dean Brooks, che finì per interpretare il supervisore di Jack nel film. Furono coinvolti anche pazienti veri, di vari reparti, col risultato che alcuni di loro erano pazzi criminali. E tutto questo non impedì ad alcuni membri del cast di dormire nei reparti di notte). Ciò permise a Forman di catturare filmati degli attori durante tali sessioni, a loro insaputa, valutando in seguito quali frammenti di quanto ripreso utilizzare nel montaggio del film.

    Del resto, Forman aveva più di un motivo per amare l’opera di Ken Kesey. A quel tempo viveva al Chelsea Hotel di New York. Aveva avuto un esaurimento nervoso e non aveva mai lasciato l’edificio – si raccontava che si confidasse con un compatriota ceco, mentre giaceva a letto, e poi l’amico usciva per andare da uno psichiatra per suo conto. Quando Michael Douglas lo andò a trovare per fargli leggere la sceneggiatura (all’epoca era un attore televisivo di successo in Le strade San Francisco, ma aspirava a diventare una star e un produttore), Forman emerse quasi per miracolo dalla sua letargia.

    Purtroppo il rapporto attore-regista era frantumato. Jack è magistrale nella scena, improvvisata, della partita di baseball simulata dopo che è stata spenta la televisione. Milos non permetteva mai ai suoi attori di vedere le riprese del giorno, ma Jack aveva oggettivamente bisogno di un riscontro. Questo approccio registico stava cominciando a far perdere fiducia in Miloš da parte del cast, e il direttore della fotografia Haskell Wexler (che aveva aspirazioni registiche) si impose affinché fosse mostrato il risultato della sua performance all’attore. E così accadde, salvo che pochi giorni dopo Wexler venne licenziato.

    Ha del miracoloso il risultato eccelso di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che è diventato rapidamente un capolavoro senza tempo. Apparentemente messo insieme da un gruppo disordinato di neofiti e disadattati di Hollywood, ma che ha vinto cinque Academy Award (miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attrice protagonista e miglior sceneggiatura non originale), oltre ad aver incassato più di 163 milioni di dollari in tutto il mondo.

    Massimo Moscati

    Introduzione

    (1)Autore di successo su due continenti, Miloš Forman è riuscito a imporre il suo personalissimo stile fin dalle prime prove realizzate nella natia Cecoslovacchia, mantenendosi fedele a sé stesso anche dopo il suo arrivo a Hollywood. Un risultato per niente scontato soprattutto perché l’autore boemo dovette evitare il rischio di incorrere nella maniera o, peggio, di sacrificare alle esigenze di cassetta la propria poetica. Questa coerenza, invece, procura a Forman un plauso ancora maggiore: se i film europei hanno attirato l’attenzione di un pubblico che possiamo definire selezionato, il primo lavoro interamente americano(2) (quel Qualcuno volò sul nido del cuculo di cui tanto si è scritto e che per molti è sinonimo stesso di Forman, ancora oggi a distanza di quasi cinquant’anni dalla sua uscita nelle sale) gli procura subito la fama planetaria.

    Certo la strada per l’affermazione professionale non è stata piana e agevole, tutt’altro. Chi è nato nell’Europa Centrale negli anni Trenta del secolo scorso è stato inevitabilmente chiamato dalla storia a prove tremende e le vicende personali del regista – come vedremo – lo inseriscono a pieno titolo nell’elenco degli uomini di cultura che hanno pagato un tributo pesantissimo. Quando l’individuo che sta mettendo in discussione il potere smette di essere considerato un eroe e diventa un pazzo, o viceversa? Alla fine della guerra ho visto uomini andare con la scopa in mano contro i carri armati mentre la gente li chiamava matti: dopo due settimane hanno costruito loro delle statue e gli hanno chiamati eroi(3) dichiarerà durante un’intervista.

    Un racconto che sembra introdurre quello che è il vero e proprio fil rouge di tutta la filmografia di Forman: il contrasto tra individuo e società. Forman è il regista che ha filmato numerose variazioni sul tema, che si declinano nel disagio esistenziale dei protagonisti de L’asso di picche o Gli amori di una bionda, nell’aperta ribellione contro le istituzioni di Randle Mc Murphy in Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Coalhouse Walker in Ragtime fino a quella di Larry Flint ma anche nel talento debordante del Mozart di Amadeus nell’eccentricità sopra le righe di Andy Kaufman, nello sguardo disilluso e impotente con cui il pittore Goya osserva gli abusi di potere e così via…

    Se l’iniziale approccio documentaristico viene parzialmente abbandonato – con il progressivo ampliamento delle capacità tecniche e con i crescenti budget a disposizione – il regista si mantiene tuttavia sempre equidistante nella narrazione, proponendo al suo pubblico storie che sospendono il giudizio. Un equilibrio dovuto a una scelta pragmatica: Forman sembra allargare le braccia ed esclamare that’s life sia di fronte ai pasticci di un goffo adolescente che alle imprese di nobili settecenteschi.

    Un atteggiamento che nasce, a mio avviso, da un grandissimo amore per la vita. La storia di quest’uomo, rimasto orfano da bambino e che ha dovuto fare i conti durante la sua formazione artistica con l’ottusa nomenklatura del suo paese, testimonia come la voglia di creare e raccontare fosse più forte di qualsiasi ostacolo. Perfino a Hollywood, in un ambiente iper-competitivo e pieno di invidie e rivalità, Forman dimostra sempre un approccio propositivo e conciliante, anche nei casi di collaboratori difficili da gestire (ad esempio Jack Nicholson), Forman è guidato dalla consapevolezza di essere capace di dirigere e di emozionare come pochi altri al mondo e dalla volontà di continuare a farlo.

    In questo credo risieda l’eredità più profonda di un cineasta come Forman.

    (1) N.B.: La traduzione di tutti i contributi citati in lingua straniera all'interno del volume sono opera dell'autore.

    (2) Chi scrive considera ancora Taking Off debitore alla stagione cecoslovacca di Forman.

    (3) Cfr. il docufilm di Antoine de Gaudemar, Il était une fois…Vol au-dessus d’un nid de coucou/Es war einmal…Einer flog über das kuckucksnest

    Parte Prima

    Tempeste e Bufere: Cecoslovacchia 1932-1968

    Gli anni della giovinezza

    Quando Jan Tomáš Forman, che in seguito il mondo avrebbe conosciuto semplicemente come Miloš, nacque in una famiglia di insegnanti nella cittadina di Čáslav il 18 febbraio 1932, la Cecoslovacchia era uno stato giovane che aveva da poco proclamato la sua indipendenza. La cosiddetta Prima Repubblica era nata infatti ufficialmente il 28 ottobre 1918, durante le ultimissime fasi della Prima Guerra Mondiale, dal processo di disgregazione degli imperi centrali usciti sconfitti dal conflitto. Questa nuova formazione politica, sorta dalle tempeste d’acciaio della Grande Guerra, avrebbe dovuto però fare i conti con i percorsi della storia che, di lì a poco, si sarebbero manifestati in quell’area con particolare ferocia. Anche la vita del futuro regista sarebbe stata segnata indelebilmente dalla violenza degli eventi ma il più piccolo dei tre fratelli Forman aveva nel frattempo ricevuto il battesimo del cinema. "La nonna lo porta a vedere un’edizione muta de La sposa venduta, dal melodramma omonimo di Smetana (quella di Max Ophüls, con Karl Valentin nei siparietti è del 1932. Why not? Non è da escludere che in provincia si proiettassero i film senza sonoro). Il bambino rimane profondamente stupito dal gesticolare degli attori che devono rendere plausibilmente l’idea del canto"(4).

    La settima arte in Cecoslovacchia aveva già una rilevanza degna di

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