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Marilyn Monroe: Voglio solo essere meravigliosa
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E-book229 pagine3 ore

Marilyn Monroe: Voglio solo essere meravigliosa

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Info su questo ebook

Non è stata solo un'attrice, Marilyn Monroe. È stata molto di più: un'icona, un simbolo, un ideale femminile. Poche stelle del cinema hanno avuto un’influenza così radicata sulla cultura popolare dell’ultimo secolo come la bionda californiana, incarnazione di un’epoca, quella del dopoguerra americano. Il suo corpo da pin-up, i suoi capelli biondo platino, i suoi tratti lievemente ritoccati dalla chirurgia estetica sono stati un modello di bellezza esportato globalmente, e insieme gli strumenti del suo riscatto sociale: da bambina cresciuta tra orfanotrofi e famiglie affidatarie a una delle più grandi interpreti di Hollywood. La morte di Marilyn, prematura e misteriosa, ha contribuito ad alimentarne ulteriormente il mito. In questo libro ripercorriamo la sua vita, i suoi amori e i suoi film, in un racconto da leggere tutto d'un fiato.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita16 mar 2021
ISBN9788836161072
Marilyn Monroe: Voglio solo essere meravigliosa

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    Anteprima del libro

    Marilyn Monroe - Alessandro Ruta

    La mamma, la nonna e altri guai

    Tutti gli americani in epoca recente sanno che cosa ha rappresentato il 29 ottobre del 1929, anche se non erano ancora nati: il momento esatto del crollo della loro economia, con la borsa di Wall Street a New York ridotta a un carnaio, le azioni che crollano come se fossero castelli di carta, milioni e milioni di dollari in fumo nel giro di poche ore, la ricchezza che scompare lì, in un batter d’occhio, un gelato al sole che si squaglia.

    Marilyn Monroe quel giorno ha tre anni e quasi cinque mesi: naturalmente non sa nulla di economia, o del mondo che la circonda, ma è costretta a vivere nell’era della cosiddetta Grande depressione, un disastro epocale che avrebbe trascinato nel baratro il mondo intero e non solo gli Stati Uniti, con conseguenze che si sarebbero protratte a lungo senza risparmiare nessuno.

    Nel 1929 Marilyn Monroe ha tre anni e un altro nome, il suo vero nome, Norma Jeane Baker. È nata il primo giugno del 1926 a Los Angeles, una città enorme ma, come l’ha definita lo scrittore Nathanael West, «una città di solitudine». West è diventato famoso per il suo romanzo, poi diventato film, Il giorno della locusta, una storia che parla di alcune persone che tentano la fortuna a Hollywood e che sono destinati a fallire; la pellicola di John Schlesinger, con un grande Donald Sutherland, ha un finale che sembra una sorta di apocalisse, in cui quel mondo salta letteralmente per aria.

    Hollywood, sì, il quartiere losangelino che è diventato sinonimo di cinema, perché lì, accanto alla grande scritta bianca che domina le colline, ci sono gli studi dove si girano i film con i divi e le dive della settima arte, un mondo che dà da mangiare a migliaia e migliaia di persone, che muove valanghe di soldi e riempie le pagine dei quotidiani.

    Tra queste c’è Gladys Pearl Monroe, che lavora come montatrice in alcune delle maggiori case di produzione cinematografica. È una montatrice non nel senso alto del termine, di quelli i cui nomi compaiono nei titoli di testa dei film, lei esegue gli ordini che vengono dall’alto: taglia, cuce e incolla, quando e dove serve, la pellicola su cui sono stati girate le varie opere. Prima lo fa per la Consolidated Film Industries e poi per la Rko, e il suo posto di lavoro è un piccolo cottage con muri di cemento molto spessi, in stanze prive di aria condizionata e di finestre, con un grosso cartello "No smokingNon si fuma" – in rosso, per avvertire che sarebbe stato rischioso concedersi una sigaretta in mezzo a un materiale tanto infiammabile come la pellicola cinematografica. Però Gladys è a Hollywood, lì, non lontano dai miti che accendono la fantasia e i pettegolezzi di tanti spettatori. Comanda un gruppetto di cinque altre ragazze, per la precisione montano negative trattate.

    La Hollywood di quel periodo è la Babilonia descritta da Kenneth Anger, ex attore prodigio che si sarebbe divertito nel corso degli anni a raccontare i retroscena e i vizi di alcuni dei maggiori divi dell’epoca: Rodolfo Valentino latin lover sul grande schermo? Certo, come no, e invece nel privato non riusciva mai a soddisfare le proprie amanti o mogli. Charlie Chaplin? Uno interessato solo alle minorenni. E poi orge, sesso, droga, morti sospette o comunque depistaggi per non coinvolgere gente troppo importante. Vere o false, chissà, sta di fatto che quel libro, Hollywood Babilonia, nel corso degli anni è diventato un caposaldo di certa letteratura scandalistica.

    Gladys Monroe comunque è una ragazza di ventiquattro anni che proviene da una famiglia con un passato parecchio agitato. Il padre Otis lavorava per le ferrovie nazionali messicane e faceva così avanti e indietro dal Texas (infatti Gladys era nata in Messico, a Piedras Negras), per via di una sifilide terziaria era uscito di testa, morendo in una casa di cura per le malattie mentali. Tra le sue varie sparate, anche il continuare a ripetere che discendeva dall’ex presidente degli Stati Uniti, James Monroe, quello di «l’America agli americani».

    Anche sua moglie Della, stando alla futura autobiografia scritta da Marilyn Monroe assieme a Ben Hecht, aveva terminato la sua esistenza appena fuori Los Angeles, a Norwalk, in un altro ospedale psichiatrico, «matta e urlando». In più, il fratello della donna si era suicidato.

    Gladys molto presto si rende conto che anche nei suoi confronti la vita ha in serbo dure prove. A quattordici anni è già sposata con un uomo d’affari, John Baker: una pratica comune allora, mentre oggi ci sembra quantomeno azzardata. Hanno due figli, Jack e Bernice, che nasce nel 1919. L’anno successivo il primogenito della coppia cade da una macchina e rimane per sempre paralizzato: morirà a soli quattordici anni.

    Nel 1921 Gladys e John hanno già divorziato, e Baker prende i due figli per portarseli via, in Kentucky, sottraendoli per sempre alla vista e al contatto dell’ex moglie. Bernice tuttavia si costruirà una carriera come scrittrice, e conoscerà la futura sorellastra Marilyn. Sì, perché nel frattempo Gladys si risposa con un uomo molto religioso, Martin Mortensen, nell’ottobre 1924: tempo quattro mesi e anche questo matrimonio finisce male, con un’altra separazione.

    Insomma, Gladys è una ragazza inquieta, ma che comunque si vuole divertire; ama ballare e bere, non necessariamente in quest’ordine, e riesce a trovare gli alcolici anche in tempi di proibizionismo. È una bella ventiduenne che non disdegna avventure occasionali con altri uomini. E da una di queste si ritrova incinta, per la terza volta: su chi fosse stato il colpevole nel corso degli anni si è disquisito più e più volte, ma alla fine bene o male ci si è ritrovati tutti d’accordo su un nome, quello di Stanley Gifford, un addetto alle vendite della casa di produzione dove stava lavorando Gladys, donnaiolo incallito e, stando alle testimonianze anche un uomo avvenente, sempre ben vestito e con i baffi. Con lui Gladys ha una storia abbastanza lunga, di parecchi mesi, non è quella che si potrebbe definire una botta e via.

    La bimba che nasce il primo giugno del 1926 viene chiamata Norma Jeane: un parto tranquillo, il più semplice dei tre avuti dalla donna. I 140 dollari per le spese del parto glieli forniscono le colleghe. Il nome della bimba è preso, e anche qui c’è di mezzo il cinema, da una celebre attrice dell’epoca del muto, Norma Talmadge, una di quelle che con l’avvento del sonoro finirà irrimediabilmente spazzata via. Di cognome le viene messo Mortenson, quello del secondo marito, ma il signor Martin e la sua ex moglie ormai sono separati da tempo, anche se divorzieranno legalmente solo nel 1928.

    Quando Norma Jeane avrà circa vent’anni e sarà già Marilyn Monroe cercherà di recuperare i contatti col suo presunto papà, ingaggiando un detective privato. E ci riuscirà, arrivando a una sorta di fattoria vicino alla zona di Palm Springs, sempre intorno a Los Angeles. «Gifford la trattò in maniera orribile, fu scortesissimo nei suoi confronti» ricorderà Natasha Lyless, amica dell’attrice. «Ci sentimmo per telefono e ribadì di non volere avere nulla a che fare con questa tale Marilyn Monroe, perché lui aveva una famiglia per conto suo». E alla richiesta di una visita dal vivo aveva risposto seccato, rifiutandosi.

    Stando a un’altra versione, stavolta del giornalista Sidney Skolsky, Gifford non sarebbe stato così duro con la sua figlia illegittima. Avrebbe ammesso la sua paternità, spiegando al contempo a Norma Jeane-Marilyn, con estrema gentilezza: «Non riesco a prendermi cura di te, sono sposato, ho dei figli e non voglio creare ulteriori problemi come quelli che causai a tua madre tanti anni fa».

    Gilford è una copia sputata di Clark Gable, l’attore diventato celebre per Via col vento e di cui Norma Jeane terrà una foto in camera dicendo in giro alle amiche che quello era il suo vero papà, forte e virile. Forse per darsi un po’ di arie stravaganti. Lo stesso Clark Gable che condividerà con lei il tragico set del loro ultimo film, Gli spostati.

    Comunque, atteggiamenti che lasceranno ulteriormente prostrata l’attrice: il padre in quanto figura era stato trovato, già un passo avanti. Ma Stanley non poteva farlo, il padre, quindi era come se non ci fosse. Tanti sforzi inutili e nuove amarezze per una ragazza che aveva bisogno solo di affetto vero.

    Norma Jeane viene al mondo, ma per la madre è da subito più un problema che una gioia. La donna deve lavorare e non può occuparsi troppo della figlia, quindi è costretta a darla in affidamento a chi capita. Da grande Marilyn ricorderà, confessandolo a più persone, che una volta sua nonna Della aveva addirittura tentato di soffocarla in culla. «Mi svegliai dal mio pisolino lottando per la vita» specificherà. «Qualcosa era schiacciato contro il mio viso. Doveva essere un cuscino, lottai con tutte le mie forze». Difficile pensare comunque che una neonata riesca a lottare con un’adulta, forse si era trattato solo di un maldestro tentativo di rimboccarle le coperte, oppure che Della si fosse dimenticata il cuscino sulla faccia della nipote. Un episodio comunque che unito all’instabilità mentale già presente nella donna, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e che aveva causato il suo ingresso in un ospedale psichiatrico, dove morirà nel 1927 per un infarto.

    Albert e Ida Bolender sono la prima coppia a cui viene data Norma Jeane fino al 1933: cinque dollari al giorno di paga per una famiglia che comunque è stabile e affidabile. Albert fa il postino, un lavoro che in quel periodo di Grande depressione è clamorosamente sicuro rispetto a tanti altri: in più non è mai assente, è un vero stacanovista. Gladys nei weekend, quando non lavora a Hollywood, prende il tram dalla sua casa di Hollywood e arriva fino a Hawthorne, dove i Bolender vivono.

    Stanno vicini alla nonna Delia, almeno fino a quando lei non viene ricoverata. È una sorta di quartiere dormitorio a due passi dalla zona oggi occupata dall’Aeroporto internazionale di Los Angeles. Sono una coppia molto religiosa, appartengono alla confessione dei pentecostali e sono del tutto contrari a qualsiasi forma di vizio: niente bere, niente fumare, niente gioco d’azzardo. Alla bambina insegnano le preghiere, ma al contempo creano in lei una sorta di volontà di ribellione che si manifesta in diversi modi, tra cui, uno dei più scandalosi agli occhi della coppia, quello di spogliarsi completamente in casa.

    I Bolender hanno un altro figlio adottato. Anzi, a dire il vero è l’unico figlio che adottano, visto che Norma Jeane è solo parcheggiata da Gladys. Si chiama Lester, ed è di due mesi più vecchio della bambina tanto che vengono soprannominati i gemelli. Lui, però, può rivolgersi ai Bolender chiamandoli mamma o papà, a differenza della sua sorellastra.

    Norma Jeane rimane con i Bolender fino a quando Gladys non riesce a comprare una sorta di casa popolare con cui si trasferisce assieme alla figlia. È l’autunno del 1933 e le due vanno a vivere in un appartamento con tre camere da letto vicino a Hollywood Bowl. Il suo stipendio non basta, comunque, per pagare l’affitto e quindi Gladys deve affittare, appunto, una delle tre camere: si presenta una coppia di attori, George Atkinson e la moglie. Persone per bene, hanno il grande sogno di sfondare nel mondo del cinema e nel frattempo si accontentano di piccole particine.

    Pur essendo sua madre, Norma Jeane non è abituata a vivere a stretto contatto con lei, che nel frattempo non è cambiata rispetto a prima: quindi alcol, vizi e quant’altro. Per la bambina è uno shock, anche perché i sentimenti di Gladys nei suoi confronti sono rimasti gli stessi, quelli di una mamma che probabilmente quella figlia non la voleva e quindi non la ama e non le dà alcun conforto.

    Nel 1935, poi, la donna ha il primo grosso crollo mentale. Un giorno inizia a ridere da sola e a gridare, in un crescendo che termina con dei piatti tirati contro il muro e una raffica di urla e insulti nei confronti di qualcuno che pare abbia intenzione di ucciderla. Contro la sua amica e collega Grace Goddard, invece, va dritto per dritto: «Hai provato ad avvelenarmi!» le ringhia, aggredendola con un coltello. Non ci scappa il morto per miracolo, ma i due poliziotti avvisati dalla Goddard prendono Gladys e la portano all’ospedale di Norwalk, lo stesso dove sua madre Della era morta indossando la camicia di forza.

    Un crollo mentale che lascerà un segno enorme sulla piccola Norma Jeane, testimone diretta dell’accaduto. Secondo Bernice, l’altra figlia, quella avuta durante il primo matrimonio, questa crisi veniva da lontano: «Il divorzio, la morte della madre, il lavoro stressante e negli ultimi tempi anche uno sciopero dei colleghi proprio mentre stava iniziando a pagarsi la casa: un mix micidiale che l’aveva mandata fuori di testa».

    Da quella crisi in avanti Gladys Monroe farà dentro e fuori di continuo dagli istituti psichiatrici, fino a rimanere ricoverata per sempre. Eppure riuscirà a sposarsi di nuovo, nel 1949, con un elettricista di nome John Eley: un matrimonio di tre anni, che si conclude con la morte del suo terzo marito.

    Senza più la madre, di nuovo, Norma Jeane viene presa in custodia da un’altra donna, proprio Grace Goddard, l’ex collega di Gladys che aveva rischiato la pelle nel folle raptus omicida. Tra le due non c’è feeling, e ben presto anche gli Atkinson se ne vanno da casa, dopo che non sono riusciti a sfondare a Hollywood.

    La bambina viene sballottata da una parte all’altra, fino a quando la Goddard non stabilisce che debba essere messa in un orfanotrofio; una condizione assurda e paradossale per chi ha sia una mamma che un papà, oltre che una sorellastra, ma che tuttavia non può essere accudita da nessuno di loro.

    Gli orfanotrofi dell’epoca, per di più, sono un vero inferno: si mangia poco e male, c’è una disciplina durissima e i bambini sono costretti a sbrigare lavori pesanti. È sempre l’epoca della Grande depressione e questi posti strabordano di giovani sbandati. L’alternativa sono le famiglie affidatarie, ma nella maggior parte dei casi sono persone che non vedono l’ora di accogliere i ragazzi solo per smania di denaro.

    Norma Jeane vive in orfanotrofio assieme ad altre venticinque bambine la cui età varia dai sei ai quattordici anni: in un’altra parte della struttura ci sono i maschi e i due gruppi dormono in posti separati, mentre tutte le altre attività si svolgono in luoghi comuni. I rapporti stilati su di lei non segnalano nulla di strano: Si comporta in maniera normale, è tranquilla, dorme e mangia bene. Ha buoni voti, partecipa volentieri a tutte le attività, aiuta ed è collaborativa.

    Però, senza nessuno a farle visita, il suo sguardo agli occhi degli osservatori è sempre velato di tristezza. Esce dall’orfanotrofio nel giugno del 1937, a undici anni. Nei mesi successivi fa la spola da una famiglia affidataria all’altra: dalla sorella e dal cognato di Grace Goddard, poi con una prozia, di nuovo con la Goddard e una zia di quest’ultima. Roba da stordire davvero: in alcuni casi la differenza di età con i genitori affidatari è troppo grande, anche di quarant’anni, una situazione impossibile da gestire. E per ogni cambio di casa altrettanti cambi di regole, orari e abitudini.

    Riesce ad andare alle scuole medie, nella zona di Van Nuys, un altro quartiere di Los Angeles, ma non riuscirà nemmeno a finirle: i voti sono mediocri tranne in inglese, e pessimi in matematica. Scrive poesie e componimenti e vince addirittura una penna stilografica per uno di questi raccontini: Il cane, l’amico dell’uomo, dedicato al cane dei Goddard, Tippy. Afferma che uno dei suoi personaggi storici preferiti è l’ex presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, ma quando tenta di entrare nel piccolo gruppo teatrale della scuola viene rimbalzata dopo un provino per Art and Mrs Bottle di Benn W. Levy. Non è mai stata un’attrice prodigio alla Judy Garland.

    Nel frattempo Norma Jeane è cresciuta ed è diventata una bella bambina. Fin troppo bella, per alcuni, visto che in almeno tre occasioni viene molestata sessualmente: fuori dall’orfanotrofio da un cugino di Grace Goddard e in seguito da suo marito, un ubriacone alto due metri. Prima ancora era capitato un episodio ancora più sgradevole, in cui dopo aver segnalato la molestia da parte di un uomo il rimprovero se l’era beccato lei, perché aveva osato denunciare una persona rispettabile – una persona rispettabile che, pare, aveva messo le mani nelle parti intime della bambina senza il suo consenso.

    Il rapporto è profondo e sincero, piuttosto, con la zia di Grace Goddard, Ana Lower, una donna molto religiosa e forse una delle pochissime persone che le voglia bene davvero, come se fosse una parente vera. «Era una persona meravigliosa» ricorderà tanti anni dopo l’attrice nella sua biografia scritta con Ben Hecht. «Era l’unica persona che mi capiva. Mi indicò il sentiero per le cose più elevate della vita e mi diede una maggior fiducia in me stessa. Non mi ferì mai, non ne sarebbe stata capace, era tutta gentilezza e amore».

    A dodici anni, comunque, quando ormai il periodo in orfanotrofio è superato, Norma Jeane può guardarsi allo specchio e ammirare un corpo che sta cambiando, che sta maturando e la sta rendendo un abbozzo di donna. È già diventata una sorta di maga del trucco, da sola riesce a operare sul suo corpo lavandosi la faccia anche più di dieci volte al giorno. È la genesi di una diva.

    Tra moglie e marito non mettere le foto

    Per tutta la vita Norma Jeane Mortenson, poi Marilyn Monroe, vivrà col terrore di diventare come sua madre. Il problema è che, invece, ne ricalcherà le orme in maniera quasi totale, a partire da un primo matrimonio in tenera età: e se Gladys era stata impalmata a quattordici anni, sua figlia lo fa a sedici, messa di fronte a un bivio dalla sua tutrice legale Grace Goddard. «O ti trovi un marito o torni in

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