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Dopo quella notte: Un nuovo caso per Will Trent
Dopo quella notte: Un nuovo caso per Will Trent
Dopo quella notte: Un nuovo caso per Will Trent
E-book589 pagine8 ore

Dopo quella notte: Un nuovo caso per Will Trent

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Info su questo ebook

La cura dei dettagli di Karin Slaughter è impeccabile.Gillian Flynn

La migliore scrittrice di thriller di sempre.James Patterson

Benvenuti nel mondo di Karin Slaughter. State attenti, non ne vorrete più uscire.Lisa Gardner

Dopo quella notte, niente è più stato lo stesso

15 anni fa, dopo che una serata di festa è stata distrutta da una violenta aggressione, Sara Linton ha deciso di rivoluzionare la sua vita. Adesso è una dottoressa di successo, fidanzata  con l’uomo che ama. Il passato è definitivamente alle spalle. O almeno così spera.

Finché una sera, durante un turno in pronto soccorso, Sara viene chiamata a visitare una ragazza che è stata brutalmente assalita. Il responsabile del caso per la polizia è Will Trent, che scopre ben presto come la violenza sulla ragazza, il cui nome è Dani Cooper, sia legata a Sara…

E così diventa chiaro che il passato non può restare sepolto per sempre…

Will Trent e Sara Linton, i protagonisti più amati di Karin Slaughter, tornano finalmente in un nuovo romanzo mozzafiato.

LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2023
ISBN9788830592919
Dopo quella notte: Un nuovo caso per Will Trent
Autore

Karin Slaughter

Autrice regolarmente ai primi posti nelle classifiche di tutto il mondo, è considerata una delle regine del crime internazionale. I suoi quindici romanzi, che sono stati tradotti in trentatré lingue e hanno venduto più di 30 milioni di copie, comprendono la fortunata serie che per protagonista Wil Trent, L'orlo del baratro, che ha ricevuto una nomination al prestigioso Edgar Award, e Quelle belle ragazze, il suo primo thriller psicologico. Nata in Georgia, attualmente vive ad Atalanta.

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    Anteprima del libro

    Dopo quella notte - Karin Slaughter

    Tre anni dopo

    1

    «Dottoressa Linton.» Maritza Aguilar, l’avvocata della famiglia di Dani Cooper, si incamminò verso il banco dei testimoni. «Può dirci che cos’è successo dopo?»

    Sara fece un respiro prima di rispondere: «Mi hanno condotta in sala operatoria sulla barella perché potessi continuare a pompare manualmente il sangue di Dani. Mi hanno preparata per la procedura, poi sono subentrati i chirurghi».

    «E dopo?»

    «Ho assistito all’intervento.» Sara batté le palpebre: anche a tre anni di distanza vedeva ancora Dani distesa sul tavolo operatorio. Gli occhi chiusi con il nastro, il tubo che le usciva dalla bocca, il torace aperto, le schegge bianche delle costole sparpagliate nella cavità come coriandoli. «I chirurghi hanno fatto tutto il possibile, ma ormai per Dani era troppo tardi. È stata dichiarata morta all’incirca alle due e quarantacinque del mattino.»

    «Grazie.» Maritza tornò ai suoi appunti sul tavolo. Prese a sfogliarli. Il suo collega si chinò per bisbigliarle qualcosa. «Giudice, mi permette un istante?»

    «Sia rapida» rispose la giudice Elaina Tedeschi.

    Nell’aula calò il silenzio, fatta eccezione per i giurati che si mossero sulle sedie e qualche sporadico colpo di tosse o starnuto provenienti dalla sala per metà piena. Sara fece un altro profondo respiro. Aveva già passato tre ore sul banco dei testimoni. Erano appena tornati dalla pausa pranzo ed erano tutti stanchi. Ciò nonostante, mantenne la schiena dritta, la testa rivolta in avanti, gli occhi puntati sull’orologio in fondo all’aula.

    Tra gli spettatori c’era una reporter intenta a scrivere sul telefono, ma lei cercava in ogni modo di ignorarla. Non riusciva a guardare i genitori di Dani perché il loro dolore era devastante quanto la speranza che qualcosa, qualsiasi cosa, potesse dar loro la sensazione di un epilogo. Né poteva guardare la giuria. Sara non voleva entrare in contatto visivo con qualcuno e comunicare il messaggio sbagliato. L’aula era calda e soffocante. I processi non si svolgevano mai in maniera spedita né erano interessanti come in tv. I dati medici potevano essere oscuri e disorientare. Sara aveva bisogno che la giuria si concentrasse e ascoltasse, non che si chiedesse perché li aveva guardati nel modo sbagliato.

    Quella causa non riguardava lei. Riguardava quanto aveva promesso a Dani Cooper. L’uomo che le aveva fatto del male andava fermato.

    Lasciò che il suo sguardo si spostasse su Thomas Michael McAllister IV. Il ventiduenne era seduto tra i due avvocati al banco della difesa. I suoi genitori, Mac e Britt McAllister, erano proprio dietro di lui nella tribuna. Su indicazione della giudice Tedeschi, Tommy veniva chiamato il convenuto anziché l’imputato, perché la giuria avesse chiaro che era una causa civile e non un processo penale. In gioco non c’erano il carcere o la libertà, bensì milioni di dollari per il danno derivante dalla morte di Daniella Cooper. Mac e Britt potevano tranquillamente permettersi di pagare, anche se c’era qualcos’altro a rischio che nemmeno la loro immensa ricchezza poteva garantire: la buona reputazione del figlio.

    Fino a quel momento avevano fatto tutto il possibile per assicurarsi che Tommy venisse tutelato, dall’assumere un addetto stampa per gestire i media all’ingaggiare Douglas Fanning, avvocato noto come lo Squalo per la sua abilità di sventrare i testimoni sul banco.

    Il processo era iniziato da appena due giorni e Fanning era già riuscito a glissare su alcuni di quelli che definiva i peccati di gioventù di Tommy, come se ogni ragazzino fosse stato arrestato a undici anni per aver torturato il cane del vicino, accusato di stupro in terza superiore e sorpreso con un’ingente partita di MDMA nello zaino ore prima di diplomarsi. Questo ti compravi con duemilacinquecento dollari l’ora: un predatore trasformato in un chierichetto.

    Tommy si era senza dubbio calato nella parte, sostituendo l’abito su misura sfoggiato nella rubrica di gossip di About Town l’anno precedente con uno nero confezionato abbinato a una cravatta azzurro spento e a una camicia Oxford bianca non troppo inamidata, scelti probabilmente da un consulente di giuria che per mesi aveva studiato in un focus group le parole chiave e le strategie più vantaggiose, per poi lavorare a stretto contatto con Douglas Fanning nella ricerca dei migliori giurati e che ora gestiva una giuria ombra da qualche parte nei pressi del tribunale a cui venivano presentate le stesse prove per aiutare la difesa a mettere a punto la propria tattica.

    Malgrado ciò, era impossibile nascondere l’arrogante inclinazione del mento di Tommy McAllister. Aveva trascorso la vita nei luoghi più esclusivi di Atlanta. Il suo bisnonno, un chirurgo, non solo aveva aperto la strada alle prime tecniche di impianto delle protesi articolari, ma aveva contribuito a fondare quello che era diventato uno dei principali ospedali ortopedici della città. Il nonno di Tommy, un generale a quattro stelle in pensione, aveva supervisionato le ricerche sulle malattie infettive nei Centers for Disease Control. Mac era uno dei cardiologi più rispettati del paese. Britt aveva una laurea in ostetricia. Non stupiva che Tommy proseguisse l’attività di famiglia. Stava per iniziare il primo anno di medicina alla Emory University.

    Era anche l’uomo che aveva drogato e violentato Dani Cooper.

    Almeno così Sara credeva.

    Tommy conosceva Dani praticamente da sempre. Erano entrambi usciti dalle stesse scuole private, erano membri dello stesso country club, frequentavano la stessa cerchia sociale e al momento della morte della ragazza erano iscritti ai corsi propedeutici di medicina della stessa università. La sera in cui Dani era morta, Tommy era stato visto litigare con lei a una festa della confraternita. La discussione era stata accesa. L’aveva afferrata per un braccio. Dani si era divincolata liberandosi. Nessuno sapeva dire che cosa fosse successo dopo ma, quando si era schiantata contro un’ambulanza parcheggiata all’esterno dell’ospedale, era al volante della Mercedes Roadster da centocinquantamila dollari di Tommy. Era suo lo sperma ritrovato nel corpo della ragazza durante l’autopsia. Era Tommy McAllister a non poter fornire un alibi per le ore comprese tra il momento in cui lei aveva lasciato la festa e quello in cui era arrivata al Grady. Ed era sempre lui che conosceva i particolari intimi dei messaggi minatori che Dani aveva ricevuto la settimana prima di morire.

    Purtroppo il pubblico ministero della contea di Fulton poteva basarsi solo sulle prove, non sulle supposizioni. Un processo penale si istituiva sulla colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Sara non avrebbe avuto difficoltà ad ammettere che in quel caso il dubbio c’era. Alla festa della confraternita erano presenti molti altri giovani vicini a Dani. Nessuno era stato in grado di smentire l’affermazione di Tommy secondo cui la lite si sarebbe risolta. Né di contraddirlo quando aveva dichiarato che era stata lei a chiedergli in prestito la Mercedes. O che il suo sperma si trovava nel corpo della ragazza perché due notti prima che morisse avevano fatto sesso consensuale. Nessuno aveva potuto sostenere con certezza che lui avesse lasciato la festa insieme a Dani quella sera. Molti degli invitati conoscevano dettagli privati della vita di lei. Fatto più importante, nessuno era riuscito a individuare il telefono usa e getta da cui erano state inviate le minacce.

    Per fortuna, si era optato per un processo civile in base alla preponderanza dell’evidenza anziché al ragionevole dubbio. I Cooper avevano numerose prove circostanziali dalla loro. La causa per danno da morte contro Tommy McAllister prevedeva una richiesta di risarcimento di venti milioni di dollari. Erano un sacco di soldi, ma non lo facevano per questo. A differenza di Mac e Britt, per portare il caso in tribunale avevano speso i risparmi di una vita. I Cooper avevano rifiutato qualsiasi offerta di patteggiamento perché quello che volevano, quello di cui avevano bisogno per dare un senso alla tragica morte della figlia, era che qualcuno venisse ritenuto pubblicamente responsabile.

    Sara li aveva avvertiti che non avevano probabilità di vincere. Maritza aveva detto loro la stessa cosa. Sapevano entrambe come funzionasse il sistema, e raramente favoriva chi non aveva mezzi. Particolare più importante, l’intero caso era incentrato sulla credibilità di Sara come testimone. La sera della morte di Dani Cooper la sala traumi era un caos. Lei era l’unica ad aver udito la giovane dire d’essere stata drogata e stuprata. Data la natura del caso, la sua vita privata sarebbe stata passata attentamente al vaglio. Per invalidare la sua testimonianza, avrebbero dovuto minarne la reputazione. Tutto quello che aveva fatto, tutto quello che le era successo, sarebbe stato scandagliato, analizzato e – particolare per lei molto angosciante – criticato.

    Non sapeva che cosa la spaventasse di più: vedere esposti gli aspetti più oscuri della sua esistenza in un’aula di tribunale o infrangere la promessa fatta a Dani.

    «Dottoressa Linton.» Maritza era pronta a procedere. Tornò al banco tenendo un foglio in mano. Non lo porse a Sara. Lo tenne vicino al petto per aumentare la suspense.

    Il trucco funzionò.

    Sara percepì l’attenzione della giuria crescere quando l’avvocata disse: «Vorrei fare un passo indietro per un istante, se non vi spiace. Riconsiderare qualcosa di cui si è parlato prima».

    Sara annuì, poi per la stenografa del tribunale rispose: «D’accordo».

    «Grazie.» L’avvocata si girò e superò il banco della giuria. Cinque donne, quattro uomini, un tipico mix della contea di Fulton di bianchi, neri, asiatici e latino-americani. Sara vide i loro sguardi seguire Maritza, alcuni stavano studiando il suo volto, altri cercavano di leggere il foglio.

    Lei prese il blocco di carta dal tavolo e lo posò sul podio. Aveva la penna in mano. Inforcò gli occhiali e guardò gli appunti.

    Non era Douglas Fanning, però era maledettamente brava nel suo lavoro. Non aveva bisogno che un consulente di giuria le dicesse come vestirsi più di quanto ne avesse Sara. Erano due donne che si erano fatte strada in ambienti maschili e avevano compreso che, nel bene o nel male, per una giuria contava di più il loro aspetto di quello che gli usciva di bocca. Si erano raccolte i capelli per apparire professionali. Truccate lievemente per sottolineare che in ogni caso non si trascuravano. Portavano gli occhiali per comunicare intelligenza. Indossavano una gonna semplice e un blazer coordinato per dimostrare che erano pur sempre femminili. Scarpe con non più di cinque centimetri di tacco per indicare che non volevano strafare.

    Mostrare, mostrare, mostrare.

    Maritza la guardò dicendo: «Prima della pausa pranzo ci ha illustrato la sua formazione e le sue qualifiche, ma per ricordarlo alla giuria, lei è specializzata sia in pediatria sia in medicina legale, giusto?».

    «Sì.»

    «E la notte in cui Dani Cooper è stata portata al pronto soccorso lavorava al Grady Healthcare System in veste di pediatra, mentre al momento, oggi, è qui in quella di coroner per il Georgia Bureau of Investigation, esatto?»

    «Tecnicamente, il mio titolo è medico legale.» Sara si concesse di guardare la giuria. Erano le uniche persone il cui parere contasse in quell’aula. «In quasi tutte le contee della Georgia tranne quattro, il coroner è una carica elettiva che non richiede un’abilitazione medica. Se si sospetta un reato, il coroner di contea rinvia le indagini sul decesso all’ufficio del medico legale del GBI. Di lì veniamo io e i miei colleghi.»

    «Grazie per la sua spiegazione» affermò Maritza. «Quindi, quando ha esaminato inizialmente Dani Cooper al pronto soccorso, direbbe che si è affidata a entrambi i campi della sua vasta competenza?»

    Sara rifletté sul modo migliore di rispondere. «Direi che ho esaminato Dani prima in qualità di medico e in seguito di medico legale.»

    «Ha controllato il verbale autoptico di Dani Cooper, già indicato come Reperto 113-A?»

    «Sì.»

    «Quali erano i risultati, ammesso che ce ne fossero, dell’esame tossicologico su eventuali sostanze controllate?»

    «Dalle analisi del sangue e delle urine non sono emersi dati conclusivi.»

    «Questo l’ha sorpresa?»

    «No» replicò Sara. «In ospedale a Dani sono state somministrate terapie multiple, fra cui il Versed, o midazolam, usato come miorilassante preintervento. Nell’esame tossicologico il farmaco può risultare chimicamente simile al Rohypnol.»

    «Prima ci ha spiegato che il Rohypnol è la cosiddetta droga dello stupro, giusto?»

    «Sì.»

    «In qualità di medico, o di persona che lavora in una struttura sanitaria, quanto le sarebbe facile sottrarne una fiala, se ne avesse l’intenzione?»

    «Il Rohypnol non si trova in ospedale. Non è una sostanza approvata dalla FDA per l’uso negli Stati Uniti. E tentare di rubare una fiala di Versed sarebbe incredibilmente rischioso. Ci sono molteplici controlli interni per prevenire furti e abusi» affermò Sara. «Il Rohypnol, d’altro canto, è facilmente reperibile per le strade, quindi in via ipotetica troverei uno spacciatore e lo comprerei da lui.»

    «Può dirci se sono state ritrovate tracce di DNA durante l’autopsia di Dani Cooper?»

    «È stato prelevato dello sperma dalla zona anteriore della vagina e dalla cervice di Dani. Il campione è stato inviato al laboratorio del GBI per l’analisi, il quale è stato in grado di elaborare un profilo del DNA per il confronto.»

    «Può riferirci le conclusioni del laboratorio?»

    «Il DNA è stato identificato con certezza scientifica come corrispondente al campione prelevato da Tommy McAllister.»

    Maritza tacque di nuovo fingendo di riesaminare gli appunti mentre dava alla giuria il tempo di elaborare. Sara lasciò che il suo sguardo si spostasse su Douglas Fanning. Lo Squalo tenne la testa bassa mentre scribacchiava sul suo blocco, comportandosi a tutti gli effetti come se niente di quello che Sara diceva avesse importanza. Aveva fatto lo stesso durante la sua deposizione sei mesi prima. Al tempo, si era accorta che era una strategia per confonderla.

    Ora si irritò constatando che funzionava.

    Maritza si schiarì la voce prima di continuare. «Dottoressa Linton, può descrivermi quanto di ciò che ha osservato quella notte le è parso inconsueto?»

    «Mi hanno riferito che Dani era alla guida dell’auto, ma la lacerazione sul tronco era qui, sul lato sinistro, poco sotto le costole.» Sara indicò la zona sul suo corpo. «Quando guidi, la cintura di sicurezza va dalla spalla sinistra al fianco destro. Se fosse stata la causa della lacerazione, questa si sarebbe trovata sul lato destro, non a sinistra.»

    L’avvocata non la incalzò perché traesse le conclusioni, passò invece al pezzo seguente del puzzle. «Ha visto i Reperti 108-A/F, i video delle telecamere di sorveglianza all’esterno dell’ospedale quella notte. Riprendevano la Mercedes del convenuto che si schiantava contro l’ambulanza, giusto? È quello che si definirebbe un impatto frontale?»

    «Sì.»

    «Quali sono state le sue impressioni guardando le riprese?» Maritza notò che Fanning stava cominciando ad agitarsi, pronto a obiettare, e aggiunse: «In qualità di persona che ha partecipato a indagini relative a incidenti automobilistici?».

    L’avvocato si placò.

    «Mi è sembrato che l’auto fosse diretta al parcheggio del pronto soccorso e all’ultimo le ruote si siano raddrizzate, la velocità sia diminuita e sia finita contro una delle ambulanze ferme.»

    «D’accordo, dai filmati non si riesce a vedere il guidatore attraverso il parabrezza, esatto?»

    «Esatto.»

    «Sempre dai filmati, si vede Dani mentre viene estratta dal lato del guidatore della Mercedes, giusto?»

    «Sì.»

    «Prima ha affermato di aver letto il verbale dell’indagine sull’incidente redatto dalla sergente Shanda London. Ricorda a che velocità andasse la macchina quando è finita contro l’ambulanza?»

    «La centralina elettronica ha indicato che al momento dell’impatto la vettura procedeva a trentasei chilometri orari.»

    «Abbiamo sentito parlare della centralina dalla sergente London ieri mattina, ma potrebbe rinfrescarci brevemente la memoria?»

    «L’unità di controllo registra tutti i dati nei secondi che precedono un incidente. Per semplificare si può paragonarla alla scatola nera di un aereo, ma concepita per le auto.»

    «E tra i dati della centralina ha riscontrato altro che le è parso interessante?»

    «Due cose. Ha confermato la decelerazione che avevo osservato nel video: la Mercedes è passata da cinquantaquattro a trentasei chilometri all’ora. Ha inoltre rivelato che non ha frenato prima dell’urto.»

    «Vostro onore?» Maritza si avvicinò alla giudice con il foglio. «Posso addurre il Reperto 129-A?»

    Tedeschi assentì. «Proceda pure.»

    Fanning si degnò infine di alzare lo sguardo. Si abbassò gli occhiali da lettura sul naso. Le lenti erano sporche. Se Tommy McAllister era programmato per apparire come un giovane professionista in difficoltà, Douglas Fanning lo era invece per non sembrare affatto l’abile avvocato difensore per straricchi quale era. Portava i lunghi capelli grigi raccolti in una treccia alta. Il suo abito era stropicciato, la cravatta macchiata. Sfoggiava una parlata strascicata del Sud che Sara non sentiva da quand’era ancora viva sua nonna. Fingeva spesso di frugare in cerca di informazioni per minimizzare la laurea in legge conseguita alla Duke. Se Sara e Maritza si erano sforzate in ogni modo di dare un’impressione di competenza e professionalità, a Fanning sarebbe stata accordata senza che lui mostrasse di curarsene.

    «Dottoressa Linton.» Maritza posò infine il foglio sulla lavagna luminosa. «Riconosce questa prova, denominata 129-A?»

    Sara si era voltata verso il monitor sulla parete insieme a tutti gli altri. «È uno schema anatomico che ho scaricato da internet per poter annotare in modo adeguato le mie osservazioni. C’è la mia firma in fondo alla pagina con la data e l’ora.»

    «Ha scaricato il modulo da internet» ripeté Maritza. «Non sarebbe stato più semplice scattare delle fotografie?»

    «In quanto medico, tutti i dati che raccolgo sono soggetti alla HIPAA, la legge federale che regola il trattamento delle informazioni sanitarie sensibili. Il telefono fornitomi dal Grady era sprovvisto di fotocamera e non ero in grado di garantire la sicurezza del mio cellulare personale.»

    «Va bene, grazie.» L’avvocata indicò lo schermo. «Quelle X sulle costole che cosa rappresentano?»

    «Le fratture ossee che hanno contribuito a quello che si chiama lembo toracico fluttuante.»

    «Ci ha spiegato questo termine stamattina, quindi ora le chiedo: nel caso di Dani, la cintura di sicurezza potrebbe essere stata responsabile del lembo toracico fluttuante?»

    «Non a mio parere. L’auto non andava abbastanza veloce da causare danni simili.»

    «Che cosa li ha provocati?»

    Fanning si mosse di nuovo. A segnalare che Sara aveva la sua attenzione. Con la penna aveva tracciato una barra sul blocco. Fece un verso, tanto che sembrò volesse obiettare, ma Maritza lo batté sul tempo.

    «Riformulerò la domanda.» Tenne lo sguardo puntato su Sara. «Nella sua esperienza di medico legale, dottoressa Linton, che tipo di traumi possono causare un lembo toracico fluttuante?»

    «Ho avuto un caso in cui il deceduto era caduto dal tetto di una palazzina di uffici di due piani. Un altro era alla guida di un camion finito contro una barriera spartitraffico di calcestruzzo a circa centoquarantacinque chilometri all’ora. Un altro era un bambino picchiato a morte da un’assistente d’infanzia.»

    L’intera aula trasalì.

    Maritza proseguì. «Dunque, non procedendo a trentasei chilometri orari e schiantandosi contro la fiancata di un’ambulanza ferma?»

    «Non a mio parere.»

    Fanning tracciò un’altra barra.

    «Un perito che ha testimoniato in precedenza ci ha spiegato che l’airbag all’interno della Mercedes era stato richiamato sei mesi prima dell’incidente. Si è aperto, ma non abbiamo idea se lo abbia fatto nel modo corretto. Questo cambia la sua valutazione?»

    «No, a mio parere…» Sara vide Fanning tracciare un altro segno sul blocco. «Anche se non ci fosse stato l’airbag, a quella velocità l’impatto del torace di Dani contro il volante non avrebbe causato lesioni tanto gravi.»

    «Nel suo caso, il lembo toracico fluttuante ha provocato un forte sanguinamento?»

    «Sì, ma interno… nel corpo. All’esterno, l’unico sangue visibile era quello che fuoriusciva dalla lacerazione superficiale.»

    «Dani aveva un polmone collassato. Questo le rendeva difficile parlare?»

    «Sì, l’apporto d’aria era limitato. Riusciva solo a sussurrare.»

    «In qualità di medico, viste le sue condizioni critiche, attribuisce maggior peso al fatto che le abbia rivelato d’essere stata drogata e stuprata?»

    «Sì» rispose Sara. «In genere, quando c’è uno stato di grave sofferenza, il paziente mira a liberarsi di tale sofferenza. L’obiettivo di Dani era raccontarmi quello che le era successo.»

    L’avvocata tornò al disegno del corpo sullo schermo. «Che cos’è quella X sulla nuca di Dani?»

    «Indica un trauma alla testa da corpo contundente.»

    «Può spiegare alla giuria che cosa intende per trauma alla testa da corpo contundente?»

    Sara iniziò a rispondere, ma all’improvviso fu colta dall’ansia. Fanning la stava fissando, i suoi occhi scuri, piccoli e tondi, osservavano ogni dettaglio mentre stringeva la penna in mano. Temeva il suo controinterrogatorio quasi quanto lui lo pregustava.

    Maritza le rivolse un cenno appena percepibile. Sapevano entrambe che cosa ci fosse in gioco. Era solo per Dani. Per mantenere la promessa fatta.

    Assunse un tono fermo quando disse alla giuria: «Un trauma alla testa da corpo contundente indica un colpo che non penetra nel cranio e causa una lesione da commozione, una contusione o entrambe».

    «Che cosa aveva Dani Cooper?» domandò l’avvocata.

    «Una commozione di terzo grado.»

    «Com’è giunta a questa conclusione?»

    «Fra le altre cose, ho scoperto un edema sulla nuca post mortem.»

    «Che cos’è un edema?»

    «Un accumulo di liquidi nei tessuti o nelle cavità corporee. Si tratta in sostanza di un gonfiore. Ti fai male, per esempio sbatti un ginocchio contro il tavolo, e il tuo corpo invia liquidi come per dirti: Ehi, sta’ attento al tuo ginocchio mentre cerco di ripararlo» spiegò alla giuria.

    «Terzo grado.» L’avvocata la stava chiaramente aiutando a recuperare la sua sicurezza. «Ci spieghi, per favore.»

    «Ci sono cinque gradi di commozione, di gravità crescente. Il terzo è caratterizzato da perdita di conoscenza inferiore al minuto. Ci sono anche altri fattori, come la risposta pupillare, il polso, la pressione sanguigna, la respirazione, il modo di parlare e di rispondere alle domande, e naturalmente l’edema.»

    «Il poggiatesta del sedile del guidatore avrebbe potuto causare la commozione di terzo grado di Dani?»

    «Non a mio parere.» Voltandosi verso la giuria, Sara vide la penna di Fanning tracciare l’ennesima barra. «Pensiamo al poggiatesta come a qualcosa che ci fa stare comodi durante la guida, ma in realtà è concepito per la nostra sicurezza. Se si è coinvolti in un frontale o in un tamponamento, la testa scatta in avanti e poi indietro. Il poggiatesta evita un grave colpo di frusta, danni alla colonna vertebrale o addirittura la morte. Data la velocità a cui viaggiava la Mercedes, le strutture protettive al suo interno non avrebbero potuto provocare quel trauma.»

    «Ha avuto occasione di dare un’occhiata all’abitacolo della Mercedes prima che venisse rimossa?»

    «Sì.»

    «Qual è stata la sua prima impressione?»

    «Non c’era sangue sull’airbag.»

    «Perché è rilevante?»

    «Come abbiamo detto, Dani aveva una lacerazione superficiale sul fianco sinistro che ha sanguinato sporcandole la maglietta. Se la ferita si fosse verificata durante l’incidente, mi sarei aspettata di vedere del sangue sull’airbag.»

    Maritza tacque prima di passare al pezzo successivo del puzzle. Ora la giuria era attenta. Gran parte dei membri aveva cominciato a prendere appunti nei blocchi a spirale. «Concentriamoci su quella parola, lacerazione. Ha un significato medico preciso, vero, dottoressa Linton?»

    Fanning si appoggiò allo schienale della sedia. Si era tolto gli occhiali da lettura, ma tenne la penna a portata di mano. Sapeva di aver scosso Sara prima. Stava cercando di rifarlo.

    Lei si sforzò di concentrarsi sulla giuria. «Classifichiamo una ferita come lacerazione quando il muscolo, i tessuti o la pelle vengono tagliati o strappati. Dal punto di vista forense si parla di rottura, stiramento, compressione, strappo o troncamento.»

    «Di che tipo era la lacerazione di Dani Cooper?»

    «Nel suo caso era una rottura, quindi in sostanza è stata usata una forza tale da squarciare la pelle.»

    «E superficiale significa?»

    «Superficiale, com’è ovvio, vuol dire non profonda» rispose lei. «Quindi sanguina ma non richiede sutura. Il sangue alla fine si coagula e la ferita guarisce spontaneamente.»

    «C’era qualcosa all’interno della Mercedes che avrebbe potuto causare la lacerazione?»

    «Niente che abbia trovato.»

    «Ha ispezionato il veicolo?»

    «Sì» replicò. «Le lesioni di Dani per me non avevano senso. Volevo una spiegazione.»

    «Quanto tempo ha impiegato a controllare la macchina?»

    «Ho avuto circa dieci minuti prima che arrivasse il carro attrezzi.»

    «Dodici, in base al video della sorveglianza» suggerì l’avvocata. Nella sua esperienza tanto di medico quanto di medico legale, che cos’ha visto che può provocare una lacerazione superficiale nel medesimo punto durante un incidente automobilistico?»

    «I frammenti di vetro, tuttavia i finestrini della Mercedes erano integri. La cintura di sicurezza, ma ancora una volta la ferita di Dani era a sinistra mentre un guidatore l’avrebbe presentata a destra.» Sara dovette fare una pausa prima di proseguire. Le si era seccata la bocca. Stavano arrivando alla fine delle domande. «In un veicolo inoltre possono esserci oggetti che vengono scagliati nell’impatto. Ho visto laptop, giocattoli di plastica, iPad, telefoni: qualsiasi cosa con un bordo duro può provocare quel tipo di lacerazione se scaraventata a una certa velocità dall’impatto.»

    «Ha trovato oggetti del genere nella vettura?»

    «No. Da quello che ho potuto vedere l’unico oggetto a bordo era una scarpa, un sandalo nero basso incastrato sotto il sedile anteriore. Il resto dell’abitacolo era perfettamente in ordine.»

    «Prima abbiamo sentito che la macchina è stata spostata sul marciapiede per liberare l’area ambulanze. Sa per quanto tempo è rimasta incustodita?»

    «Non ho idea del tempo esatto, ma Dani è rimasta in sala operatoria per circa tre ore.»

    «Bene, torniamo al suo disegno.» Maritza indicò ancora una volta lo schermo. «Quei segni rossi, circolari, che ha fatto qui sul gluteo di Dani. Può spiegarne il significato?»

    «A mio parere…» Sara vide Fanning mettere un’altra spunta sul bloc-notes. «Sembrano segni lasciati da dita conficcate nella pelle. Come si può vedere, suggeriscono che qualcuno l’abbia afferrata per la parte posteriore della coscia e la natica.»

    «Ha visto qualcuno in sala traumi o in sala operatoria prenderla in quei punti?»

    «No.»

    «E il personale dell’ambulanza quando l’ha estratta dall’auto?» Maritza chiarì: «So che non era all’esterno quando l’hanno tirata fuori, ma potrebbero essere stati loro a causare quei segni?».

    «I segni che ho visto sul corpo di Dani non erano recenti. Dal colore direi che risalissero a parecchie ore prima.»

    «In base a che cosa ha stimato questo arco temporale?»

    «Quando in seguito a una ferita il sangue stravasa nella pelle o nel tessuto sottostante, si forma un’ecchimosi. Con il tempo, la perdita d’ossigeno produce un cambiamento di colore. Questo processo può impiegare alcune ore o giorni. È allora che si nota il colorito bluastro, violaceo o addirittura nero. Le ecchimosi di Dani erano rosse. A mio parere…» Sara notò di nuovo la penna di Fanning muoversi. «Il colore indica che risalivano ad almeno un’ora prima. Forse anche di più.»

    «Lo afferma in base alla sua esperienza di medico?»

    «Di pediatra» precisò lei. «I bambini trovano sempre il modo di ricoprirsi di lividi e bernoccoli. Spesso non sono gli interlocutori più attendibili quando devono descrivere le loro piccole disavventure.»

    Una dei giurati annuì. Aveva da poco superato la trentina, probabilmente era una madre con un figlio piccolo a casa. Tra sé e sé Sara la chiamava l’Annotatrice, perché tra tutti era quella che prendeva più appunti.

    «Dottoressa Linton.» Maritza giunse le mani appoggiandosi al podio. «Mi permetta di riepilogare per chiarezza la sequenza di eventi, se non le spiace. Le è stato riferito che Dani Cooper era alla guida dell’auto?»

    «Sì.»

    «Però la lacerazione sul fianco non poteva essere stata causata dall’impatto della vettura contro l’ambulanza?»

    «Non a mio parere.»

    Altra spunta di Fanning.

    «E secondo la sua opinione il lembo toracico fluttuante non è stato provocato dall’urto della macchina contro l’ambulanza?»

    «Non a mio parere, no.»

    Spunta.

    «E il trauma da corpo contundente alla nuca non è stato dovuto all’incidente?»

    «Non a mio parere.»

    Spunta.

    «E le impronte delle dita sulla coscia e sulla natica sinistre di Dani Cooper non erano, secondo lei, attribuibili all’impatto né al modo in cui è stata maneggiata in ospedale?»

    «Non a mio parere.»

    Spunta.

    «Quindi, in qualità di medico legale che ha visto centinaia di vittime di incidenti automobilistici e di medico che ha trattato centinaia di pazienti coinvolti in collisioni, soccorso Dani Cooper e visionato il filmato dell’urto, come spiega tutti questi reperti contraddittori?»

    «Non li spiego» rispose lei. «I danni al corpo di Dani Cooper non sono stati causati dall’incidente.»

    Maritza concesse alla giuria un altro lungo momento per lasciar sedimentare l’affermazione. «Dottoressa Linton, sta dicendo che qualcuno ha ferito Dani Cooper prima che si mettesse al volante di quell’auto?»

    «Secondo il mio parere professionale, Dani è stata brutalmente picchiata con un oggetto contundente. In qualche modo è riuscita a salire sulla Mercedes. È arrivata in ospedale ma ha perso conoscenza mentre la macchina svoltava in direzione del parcheggio del pronto soccorso. Il suo corpo si è afflosciato. Le mani si sono staccate dal volante. Il piede ha mollato il pedale. L’auto è finita per inerzia contro l’ambulanza.» Sara guardò direttamente i giurati. «Dani sapeva di avere lesioni potenzialmente letali. Con il suo ultimo respiro mi ha supplicato di fermare l’uomo che le ha fatto del male.»

    In aula il silenzio era totale.

    I giurati ricambiarono il suo sguardo. L’Annotatrice appoggiò il mento sulla mano, elaborando quell’informazione.

    Si udì solo il debole clic dell’orologio sul muro che segnò lo scorrere di un’altra ora.

    Il silenzio fu spezzato da Douglas Fanning che fece un profondo sospiro. Recuperò gli occhiali da lettura, poi prese a sfogliare rumorosamente il suo blocco. Aveva avuto ampio margine per opporsi durante la testimonianza di Sara, eppure aveva tenuto la bocca chiusa. Lei non si illudeva di averlo tacitato con la sua padronanza della materia. Fanning era sicuro che il suo controinterrogatorio sarebbe stato tanto spietato da indurre la giuria a mettere in dubbio ogni parola uscita dalla sua bocca.

    «Grazie, dottoressa Linton.» Maritza guardò la giudice. «Vostro onore, per ora non ho altre domande.»

    Tedeschi guardò l’orologio. Sara era combattuta tra la voglia di affrontare la parte seguente e il desiderio di rimandarla al giorno dopo, ma la mano della giudice non impugnò il martelletto.

    «Signor Fanning» disse invece Tedeschi. «Ci resta circa un’ora. Vuole che per oggi interrompiamo e riprendiamo domani mattina?»

    Lui si alzò lisciandosi la cravatta sul ventre rotondo. «No, grazie, vostro onore. Non ci vorrà molto.»

    Sara espirò lentamente mentre Fanning raccoglieva le sue cose. Il cuore le martellava nel petto. Le mani avevano iniziato a sudarle. Da medico, aveva imparato a compartimentalizzare i sentimenti. Non potevi aiutare un paziente quand’eri travolto dal panico o dal dolore. Ora, di fronte a un uomo il cui compito era quello di umiliarla e metterla in imbarazzo, dovette impegnarsi per rafforzare la propria determinazione.

    L’avvocato temporeggiò. Bevve un lungo sorso d’acqua. Stava nuovamente cercando di snervarla. Era un’ottima testimone, la figura cruciale nel caso Cooper. Il consulente di giuria di Tommy, l’addetto stampa, soprattutto i suoi genitori, dovevano aver concordato nel corso delle loro sedute strategiche che l’obiettivo principale di Fanning dovesse essere fare a pezzi la credibilità di Sara.

    Britt McAllister in particolare doveva aver fornito ampie munizioni.

    «Dottoressa Linton.» Fanning afferrò i bordi del podio con palese esuberanza. «Sa quante volte negli ultimi cinque minuti ha pronunciato l’espressione a mio parere

    Lei annuì perché aveva tenuto conto delle spunte. «Credo dodici.»

    Fanning si premette la lingua contro l’interno della guancia, però lei notò un lampo nei suoi occhi. Non era irritato. Gongolava. Avvertiva l’odore del sangue.

    «Esatto, dodici volte ha usato quelle parole, a mio parere. Questo perché quanto ci ha appena riferito, tutte queste congetture circa il fatto che Dani sia stata picchiata e poi sia salita in macchina, sono soltanto sue opinioni, giusto?»

    Sara sapeva di non dover giocare sull’equivoco.

    «Sì.»

    «Siamo tutti qui in quest’aula di tribunale per le sue opinioni, esatto?»

    Lei giunse le mani in grembo. «Posso parlare solo per me stessa. Sono qui perché mi è stato chiesto di testimoniare.»

    «Le circostanze riguardanti la tragica morte di Dani: ha detto che secondo il suo parere non quadravano.» La guardò al di sopra degli occhiali. «Giusto?»

    «Sì.»

    «Ha persuaso il medico legale della contea di Fulton a eseguire un’autopsia su Dani Cooper, esatto?»

    «Dovrebbe chiedere al dottor Malawaki delucidazioni sui suoi processi mentali.»

    «Però gli ha riferito la sua opinione, è così?»

    «Sì.»

    «E la sergente Shanda London, che ha svolto le indagini sull’incidente per conto del Dipartimento di polizia di Atlanta: ha riferito anche a lei la sua opinione, giusto?»

    «Sì.» Fanning tornò al suo blocco. Fece scorrere il dito lungo il bordo, quasi volesse accertarsi di aver menzionato tutti i fatti salienti, ma si trattava solo di un preambolo. «A che punto ha scoperto che la Mercedes apparteneva a Tommy McAllister?»

    «Me lo ha comunicato la sergente London.»

    «Secondo la testimonianza della sergente London lei ha risposto, cito: Cavolo, ho studiato con suo padre. È esatto?»

    «Sì.» Sara socchiuse le labbra per fare un impercettibile respiro, preparandosi a quello che stava per arrivare. «Io e Mac eravamo alla facoltà di medicina della Emory insieme, poi abbiamo fatto entrambi il tirocinio al Grady Hospital.»

    «In quel periodo anche la madre di Tommy, la dottoressa Britt McAllister, era al Grady, giusto?»

    «Sì.» Sara sentì il groppo della tensione stringersi. «Britt è più grande. Credo fosse cinque o sei anni avanti a noi.»

    Sara la notò irrigidirsi sulla sedia. Britt era sempre stata suscettibile riguardo alla differenza d’età. E al fatto che si fosse fatta sposare da Mac, non ancora laureato, perché incinta di Tommy.

    «Siete legati?» chiese Fanning. «Lei e i McAllister? Li frequenta?»

    «Non vedo nessuno dei due da quindici anni.»

    «Perché ha lasciato il Grady dopo il tirocinio?»

    «Sì.» Sara dovette smettere di deglutire. L’avvocato si stava avvicinando sempre più al bersaglio. «Sono tornata a casa per stare con la mia famiglia.»

    «Riprenderemo il discorso.» Fanning la studiò con attenzione per vedere come avrebbe reagito all’avvertimento. «Non si preoccupi.»

    Lei rimase impassibile. Attese che le facesse la domanda.

    «In termini medici che cos’è una fellowship?»

    «Ultimato il tirocinio, si può scegliere se iniziare a esercitare come medico generico o proseguire la formazione specialistica. In questo secondo caso si partecipa a un programma di fellowship, in cui si riceve una formazione avanzata sul campo in uno specifico ambito di specializzazione.»

    «Una specializzazione sarebbe per esempio chirurgia cardiotoracica pediatrica?»

    «Sì.»

    «Il padre di Tommy, Mac, era il suo più accanito concorrente durante il tirocinio, esatto?»

    «I tirocinanti vengono continuamente valutati rispetto ai colleghi. Eravamo tutti l’uno il più accanito concorrente dell’altro.»

    «Sia come sia, eravate lei e Mac a contendervi una fellowship molto prestigiosa in chirurgia cardiotoracica pediatrica, giusto? La Nygaard Fellowship?»

    Lei soffocò l’impulso di schiarirsi la voce. «Dovrebbe chiedere alla dottoressa Nygaard chi avesse considerato.»

    «Mac tuttavia è entrato nel programma e lei, come ha detto, è tornata a casa, giusto? Di nuovo in South Georgia, dove ha lavorato in un ambulatorio pediatrico. È corretto?»

    Sara ingoiò quella parte del suo ego che avrebbe voluto dirgli che alla fine aveva comprato l’ambulatorio. «Sì, è corretto.»

    «Da medico e medico legale, a suo parere che cos’è più prestigioso, essere un chirurgo cardiotoracico pediatrico ad Atlanta o lavorare per qualcun altro in un ambulatorio pediatrico in South Georgia?»

    Voleva indurla a mettersi sulla difensiva. Sara non glielo avrebbe permesso. «Nella gerarchia medica, Mac è senza dubbio più in alto di me. È uno dei migliori chirurghi di Atlanta.»

    Lui inarcò un sopracciglio. Non solo di Atlanta. Mac era da sempre uno dei cinque migliori chirurghi a livello nazionale. «Ciò nonostante, dev’essere stato un notevole smacco. Un minuto prima è all’apice della professione, quello dopo si ritrova a curare mal d’orecchi e nasi colanti.»

    La giudice si agitò sulla sedia, aspettandosi un’obiezione, ma Maritza aveva detto a Sara che non si sarebbe opposta a meno che lei non l’avesse guardata chiedendo aiuto.

    Sara tenne lo sguardo fisso su Fanning. Aveva di nuovo afferrato il podio, preparandosi a sferrare il colpo mortale. L’unica cosa che lei poteva fare era attendere che accadesse.

    «Dottoressa Linton» disse. «Ha un interesse personale in tutto ciò, vero?»

    Le si strinse lo stomaco. «È morta una diciannovenne. La prendo come una cosa molto personale.»

    «Ma c’è dell’altro, no?»

    Sara non gli avrebbe reso la vita facile. «Ogni medico tiene ai suoi pazienti, ma quando ne perdi uno te lo porti nel cuore per il resto della vita. Ho promesso a Dani che sarei andata fino in fondo.»

    «Andata fino in fondo.» Fanning ripeté le parole con lo zelo di un predicatore. «Le mie figlie mi dicono che c’è un’espressione: hashtag credi alle donne. Condivide, dottoressa Linton? Lei crede alle donne?»

    Sara sentì in bocca il sapore della bile. Mancavano pochi secondi al colpo. «In generale o nello specifico?»

    «Be’, quando indaga su un crimine riguardante un’aggressione sessuale, parte sempre dal presupposto che la donna dica la verità?»

    «Se indago, significa che la vittima è deceduta, quindi no, non mi avvicino al caso presumendo che la vittima abbia mentito sul fatto d’essere stata assassinata.»

    Una dei giurati scoppiò a ridere.

    Il suono echeggiò forte e acuto nell’aula cavernosa.

    Proveniva dall’Annotatrice, la probabile mamma di un bambino piccolo, la donna che fin dall’inizio aveva prestato grande attenzione, la persona che il consulente di Tommy riteneva sarebbe stata eletta portavoce quando la giuria si fosse riunita per raggiungere un verdetto.

    La donna restò mortificata dal suo scoppio di risa. Si coprì la bocca con la mano. Lanciò alla giudice un’occhiata di scuse. Poi scosse la testa dispiaciuta anche verso Sara.

    Lei non rispose, ma emise un lungo, lento respiro. La risata aveva cambiato le cose. Il groppo di tensione si era allentato. Lo sentiva in ogni parte del corpo.

    E anche Fanning lo percepì. Abbassò lo sguardo sugli appunti. Si passò la lingua sui denti superiori. Disse: «Vostro onore, posso avere un istante, per favore?».

    «Si sbrighi» rispose Tedeschi.

    Lui tornò al tavolo per conferire con il collega. Sara non poteva udirli, ma sapeva che cosa si stessero dicendo. La risata significava che l’Annotatrice stava dalla parte di Sara? Se Fanning si fosse scagliato contro di lei, la potenziale portavoce si sarebbe rivoltata contro Tommy? Avrebbe convinto la giuria a fare lo stesso? La loro strategia processuale studiata con tanta cura sarebbe crollata perché una madre trentenne aveva riso?

    Non c’era niente che Sara potesse fare, tranne attendere.

    Si guardò le mani. Vide il luccichio dell’anello di fidanzamento. La pietra era un vetro verde di poco prezzo, graffiata sul lato. Aveva dovuto sostituire la montatura originaria, d’argento, con l’oro bianco perché le macchiava il dito. L’unica cosa che amava più di quell’anello era l’uomo che glielo aveva dato.

    «Dottoressa Linton?» Douglas Fanning tornò al podio.

    Lei fissò i suoi piccoli occhi tondi. Si liberò dell’ansia e del terrore. In quel momento non c’era letteralmente nulla che potesse fare per influenzare le parole che gli sarebbero uscite di bocca. Poteva solo controllare la propria reazione. Il sollievo che provò accettandolo le piegò un angolo della bocca in un sorriso.

    «Sì?» disse.

    «La, ehm…» Fanning si era perso. Guardò nervoso il collega. Poi sfogliò gli appunti. «Gli esperti stanno abbandonando il vecchio sistema di classificazione delle commozioni cerebrali, è esatto?»

    «Dipende dall’ospedale, ma al momento della morte di Dani quello era il protocollo.»

    «D’accordo.» Si fermò per schiarirsi la voce. «Le commozioni di terzo grado si associano a perdita di memoria? Amnesia?»

    Lei aprì la bocca. Riuscì a fare il suo primo respiro completo. «A volte, ma di solito sono temporanee.»

    «E la difficoltà nel parlare?»

    Sara fece un altro respiro. Ora era Fanning ad agitarsi. Lei stava bene. «A volte, ma di nuovo è…»

    «Temporanea.» Il fatto che avesse terminato per lei la frase era un chiaro segno di ritirata. Voleva concludere. Si attenne al copione scritto sul blocco. «E le allucinazioni? Sono presenti nelle commozioni di terzo grado?»

    «Di rado.» Sara si sforzò di evitare toni trionfali. «Ma possono verificarsi.»

    «I suoi colleghi, il dottor Eldin Franklin e la capoinfermiera del pronto soccorso, Johna Blackmon, hanno testimoniato di non aver sentito Dani dire niente quella notte. Questo la stupisce?»

    «No. Come ho detto prima, Dani aveva un polmone collassato.» Sara fece un altro respiro profondo, liberatorio. «Inoltre in sala traumi ognuno ha un ruolo ben definito. Ero io la responsabile, quindi era compito mio comunicare con la paziente. Eldin e Johna avevano ciascuno la propria mansione.»

    Fanning guardò il bloc-notes. «Dani ha accennato ai messaggi anonimi sul telefono?»

    «No.»

    Diede un’altra occhiata. «Drogare una persona, aggredirla, sono reati gravi, giusto?»

    «Sì.»

    Ennesima occhiata agli appunti. «Ha riferito ai suoi colleghi quello che Dani le aveva detto?»

    «No» rispose Sara. «Non ce n’è stato il tempo.»

    «E durante l’intervento? Lo ha detto a qualcuno dei chirurghi o delle infermiere?»

    «No.» Sara sentì che le risposte le venivano automatiche. «Non ce n’è stato il tempo.»

    «La prima persona a cui lo ha raccontato l’ha incontrata più di cinque ore più tardi, è esatto? Ha informato la sergente London delle dichiarazioni di Dani, ma solo dopo che le aveva riferito che l’auto apparteneva al figlio del suo vecchio rivale, il dottor Mac McAllister, giusto?»

    «La sergente London è stata la prima persona a cui l’ho riferito, sì.»

    «Mi dica.» Fanning girò pagina per proseguire con l’elenco di domande. «Dopo un atto sessuale consensuale, per quanto tempo lo sperma può restare nell’area della vagina?»

    «Che il sesso sia consensuale o no, lo sperma eiaculato può essere rintracciato in qualsiasi punto dell’apparato riproduttivo femminile fino a cinque, sette giorni dopo.»

    «Può provare in che data o a che ora sia stato depositato?»

    «No.»

    «Può provare, mostrandoci per esempio un’arma, che qualcosa sia stato usato per colpire Dani quella notte?»

    «No.»

    «Può provare quale sia la causa degli ematomi sulla coscia e sulla natica sinistre della ragazza?»

    «No.»

    «Può provare che quella notte Dani non abbia assunto liberamente droghe per uso ricreativo?»

    «No.»

    «Può provare che abbia lasciato la festa in compagnia di Tommy McAllister?»

    «No.»

    «Può provare in che modo sia giunta a guidare la sua Mercedes?»

    «No.»

    «Può provare che sia svenuta al volante prima di scontrarsi con l’ambulanza?»

    «No.»

    «Possiede prove che attestino che Dani le ha riferito d’essere stata drogata e stuprata quella notte?»

    «No.»

    «Quindi in realtà non ci sono prove concrete, verificabili, di tutto quello che sta sostenendo. È così, dottoressa Linton?» Fanning afferrò il blocco sul podio. «Si tratta solo del suo parere.»

    Sara lo guardò tornare al tavolo. Attese mentre si sedeva. Posava il blocco. La penna. Si lisciava la cravatta. Si raddrizzava la giacca del completo. Guardava la giudice. Sara stava di nuovo trattenendo il fiato quando Fanning aprì bocca.

    «Ho concluso con questa testimone, vostro onore» disse a Tedeschi.

    Era finita.

    Tre anni di angosce. Sei mesi di terrore. Quasi quattro ore di testimonianza.

    Dopo tanto, era finita.

    Sara si era aspettata di provare esultanza, quello che invece sentì fu un ottundimento dei sensi. Udì la giudice congedarla, ma il suono viaggiò lento. Quando si alzò, era come se si stesse muovendo nell’acqua, trovò la borsa e scese dal banco. Solo allora guardò

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