Tra le braccia del milionario: Harmony Destiny
Di Kat Cantrell
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Anteprima del libro
Tra le braccia del milionario - Kat Cantrell
successivo.
1
Se esisteva una giustizia poetica al mondo, Sutton Lazarus Winchester aveva avuto la sua.
Nora si accasciò contro la parete della stanza d'ospedale, incapace di assimilare il fatto che suo padre, in apparenza infallibile, stava morendo di un cancro ai polmoni inoperabile. Avrebbe dovuto sentirsi sollevata. Il suo dispotico regno stava per concludersi. L'uomo che non aveva trovato il tempo di accompagnarla all'altare il giorno delle nozze giaceva pallido e spossato in un letto d'ospedale, come se un po' del suo spirito fosse già volato all'inferno precedendo il resto.
Il sollievo non arrivò. Nora era tornata a casa a Chicago con la debole speranza di riuscire a trovare il modo di riconciliarsi con il padre, ormai in fin di vita. E adesso che era lì, la difficoltà di quel compito rischiava di sopraffarla.
«Dovevo vedere di persona» mormorò Nora alle sorelle, Eve e Gracie, accanto a lei mentre affrontava il padre.
Nessuna delle tre si era avvicinata al letto perché, anche se sembrava che Sutton stesse dormendo, era meglio non fidarsi.
«Lo stesso vale per noi» sussurrò Eve. «La dottoressa non era entusiasta quando le ho chiesto di permettere che un altro medico esaminasse le cartelle cliniche. Tuttavia dovevo togliermi ogni dubbio.»
«Volevi controllare la sentenza di morte con i tuoi occhi, eh?» commentò Nora, senza malizia.
Sutton aveva terrorizzato le tre figlie. Nora, però, era stata l'unica che aveva sviluppato un disgusto tale nei suoi confronti da trasferirsi al capo opposto del paese, in Colorado, voltando le spalle al denaro, al lusso e allo strazio dello stile di vita in cui era nata.
Lo sguardo di Eve era torvo.
«Volevo assicurarmi che non fosse artefatta. Non mi stupirebbe se quella canaglia di Newport avesse pagato un medico per esibire una diagnosi falsa.»
«Credi davvero che Carson riuscirebbe a trovare qualcuno disposto a farlo?» chiese Gracie, ed era chiaro che non nutriva ostilità nei confronti dell'uomo che, come le sorelle avevano scoperto di recente, era il loro fratellastro.
Al contrario di Eve, Gracie vedeva sempre il lato migliore della gente. La sorella più giovane di Nora aveva un cuore generoso, e lo conservava anche nella bufera dell'enorme scandalo provocato dalla rivelazione che, durante una delle sue passate avventure, Sutton aveva procreato un figlio... niente di meno che il suo rivale in affari, Carson Newport.
Ora che aveva visto il padre, Nora poteva rivolgere l'attenzione a Carson, il suo secondo obiettivo mentre si trovava a Chicago. Oh, lei se ne infischiava del denaro di Sutton, e se Carson Newport avanzava pretese legali su di esso. Eve e Grace potevano combattere quella battaglia. Comunque quell'uomo era suo fratello e ne era curiosa. Inoltre, non le andava a genio l'idea che le sorelle fossero defraudate della loro eredità, anche se si riduceva a niente di più che a un risarcimento per gli anni passati come figlie di Sutton Winchester.
«Lo ritengo capace di qualsiasi cosa. Sono molte le azioni immorali che la gente è disposta a fare per denaro, compresi i medici. E soprattutto Newport» replicò Eve, gettando indietro i lunghi capelli biondi con un gesto impaziente. Erano più lunghi di quanto Nora ricordasse, d'altronde era da parecchio tempo che non si vedevano. Da prima della morte di Sean.
Il dolore per la scomparsa prematura del marito, mai sopito, riaffiorò, unito allo shock di vedere il capo dell'impero immobiliare dei Winchester steso in un letto d'ospedale.
Era troppo.
Uno, due, tre... Nora contò fino a dieci. Era tutto il tempo che le era concesso per compiangersi. Sean se n'era andato. Lei no, e doveva occuparsi di questioni serie che sarebbero rimaste irrisolte se avesse passato il tempo a macerarsi nel dolore, come aveva fatto dopo che le avevano comunicato che Sean era rimasto ucciso in Afghanistan.
Non aveva conosciuto il loro figlio. Era la più crudele delle cose in una sequela di circostanze davvero terribili. Ma a lei restava una parte di suo marito viva e presente nel loro figlioletto, e niente e nessuno avrebbero mai potuto portarglielo via.
Una donna in camice bianco, con occhiali dalle lenti spesse e un tablet in mano, apparve accanto al letto di Sutton. Controllò alcuni dati, quindi lanciò un'occhiata alle tre Winchester.
«Sono la dottoressa Wilde. Non ci siamo ancora incontrate.» La dottoressa girò intorno al letto per andare a stringere la mano a Nora. «Lei deve essere la sorella che non abita qui.»
«Nora O'Malley» confermò lei. Si era liberata del nome Winchester subito dopo che lei e Sean si erano sposati, e ci sarebbe voluta una legge del Congresso per costringerla a cambiarlo. «Allora, è vero? Mio padre sta morendo e non c'è niente che lei possa fare?»
La dottoressa Wilde chinò la testa. «Per quanto detesti ammettere la sconfitta, sì. È vero. Il tumore è situato in modo tale che è stato impossibile operarlo, poi il cancro si è diffuso troppo rapidamente per ricorrere alla chemioterapia. È probabile che gli restino cinque mesi al massimo. Mi dispiace.»
Cinque mesi. Era un tempo breve. Come poteva trovare, in così poco tempo, la forza di volontà per perdonare il padre per non averla amata?
«Non deve» la corresse Nora. «È tutta colpa sua. Gli avevamo detto di smettere di fumare, lui però era convinto che, grazie al patto stretto con il diavolo, sarebbe vissuto in eterno, suppongo.»
Nora sapeva che era quello che la dottoressa avrebbe detto, tuttavia era diverso sentirlo pronunciare dalla propria bocca. Era in parte il motivo per cui si era costretta a prendere un volo per Chicago, anche se era stato sfiancante viaggiare con un bambino di due anni.
E adesso si era prossimi al finale. Entro Capodanno, Sutton sarebbe morto.
Valerie Smith, l'assistente personale di Sutton, si affacciò alla porta. «Suo padre è sveglio?» chiese. «Se vuole, faccio entrare Declan.»
Ecco... permettere finalmente che il padre incontrasse suo nipote.
Era stata una decisione difficile. Il veleno che Sutton riusciva a infondere in tutti quelli che lo circondavano non doveva toccare suo figlio. Tuttavia, suo nonno stava morendo. Nora aveva sperato che, sul letto di morte, il padre potesse aver avuto un'illuminazione sul proprio carattere, sulle proprie scelte... insomma su qualcosa che avrebbe permesso a tutti loro di fare pace con la sua dipartita.
«No, sta ancora dormendo.» Nora non poté non provare sollievo per quel rinvio. Si era fatta coraggio per affrontare quella resa dei conti, invece nessuna magia aveva attenuato la delusione e il dolore alla vista del padre. «Comunque, tengo io Declan, così lei può fare una pausa.»
Valerie si era offerta di portare il turbolento piccolo al bar a cercare delle gelatine o dei cracker salati, le uniche due cose che voleva. Si rifiutava di mangiare le merendine alla frutta e la banana che Nora aveva messo nella sacca, le cose che aveva voluto quando lei aveva preparato i bagagli. Essere ragionevole non faceva parte del carattere di un marmocchio di due anni, perciò mostrargli le confezioni e dirgli che era stato lui a sceglierle non aveva funzionato.
Il piccolo trotterellò nella stanza e a Nora si strinse il cuore, come le succedeva sempre alla vista della massa di ricci rossi. Assomigliava a Sean, naturalmente, ed era una benedizione e una maledizione al tempo stesso avere davanti il ricordo visivo di quello che aveva perso.
«Ehi, fagiolino. Hai trovato le gelatine?»
Declan annuì. «Gellatine.»
I macchinari nella stanza d'ospedale attirarono la sua attenzione, e il piccolo puntò sul più vicino, con un dito teso. Nora lo sollevò in braccio. «Proibito toccare, piccola peste. Ti ho raccontato la storia del gatto?»
«Gatto.» Declan fece un verso, sennonché era più un ululato che un miagolio.
Era così buffo e prezioso, e il cuore di Nora soffriva al pensiero che il padre non fosse lì per vedere com'era cresciuto, come imparava in fretta, come dormiva con un piede fuori dalle coperte... proprio come Sean.
Nora lo portò fuori dalla stanza il più in fretta possibile, prima che qualcuno vedesse la lacrima che le era scivolata lungo la guancia. Sean era morto da quasi due anni. Sarebbe dovuta essere pronta ad andare oltre. Pronta a frequentare di nuovo qualcuno che alleviasse la sua solitudine. Purtroppo, non riusciva a immaginare di stare con qualcuno che non fosse Sean, l'amore della sua vita, l'uomo che le aveva catturato il cuore nell'attimo in cui l'aveva conosciuto a una partita di football durante il primo anno al college.
Cercando un posto tranquillo per riprendersi, Nora scorse una nicchia con due sedie, lontano dal corridoio principale dell'ospedale. Lei e il piccolo si sedettero, anche se Declan non resistette più di quattro secondi prima di scivolare sul pavimento e iniziare a esplorarlo trascinandosi sul sedere. Nora scoppiò a ridere.
«Problemi con il pannolino, fagiolino?»
Era il nomignolo che Sean gli aveva dato quando aveva visto l'ecografia che lei gli aveva mostrato durante una delle loro conversazioni via Skype.
L'aveva conservato, anche dopo che era nato, perché Declan assomigliava ancora a un fagiolo quando era avvolto nella copertina marrone che la madre di Sean aveva portato per il nipote.
Declan non rispose, troppo impegnato a pulire il pavimento dell'ospedale con il sedere. Ancora trenta secondi e avrebbe dovuto disinfettare ogni centimetro di pelle esposta prima che il piccolo si ficcasse in bocca una qualsiasi parte del corpo. Con tutte le persone malate che circolavano per l'ospedale, la prudenza non era mai troppa.
«Signora Winchester?» Una giovane inserviente si arrestò accanto a Declan. Il suo nome sulla targhetta era Amanda.
«O'Malley» la corresse Nora. «Comunque sì, nata Winchester.»
E lo disse senza strangolarsi. Forse poteva ancora sperare di superare la rabbia e la delusione nei confronti del padre.
L'inserviente sorrise. «Hanno riservato una saletta privata per la famiglia, se vuole che gliela mostri.»
«Oh, sì. Certo.»
Come aveva potuto lasciarsi sfuggire che la ricchezza e il potere di Sutton si erano estesi anche all'ospedale? Era passato molto tempo da quando lei aveva condotto la vita di una privilegiata, e ancor di più da quando aveva desiderato quel genere di vita. Tuttavia, l'idea di un luogo privato l'attirava.
Amanda digitò il codice sulla tastiera fuori dal locale. Nora aprì la porta e rimase sbalordita alla vista della lunga tavola apparecchiata con cibo sufficiente per quattro famiglie Winchester. Le confezioni vuote sotto il tavolo recavano il logo di un ristorante argentino così famoso che anche lei ne aveva sentito parlare in Colorado. Un paio di camerieri stavano ancora sistemando gli scaldavivande, perciò era ovvio che il cibo era appena arrivato.
«Cos'è tutto questo?» chiese ad Amanda.
«Qualcuno l'ha mandato per la famiglia. Oh...» Amanda frugò in una tasca. «C'è un biglietto per lei.»
Incuriosita, Nora accettò la busta e prese in braccio Declan, che stava già adocchiando la fiammella blu sotto lo scaldavivande. «Grazie.»
Amanda le annotò il codice su un post-it prima di uscire preceduta dai camerieri. Nora si sedette in una delle poltrone, tenendo Declan ben stretto per impedirgli di liberarsi, quindi aprì la busta.
Il biglietto era breve e conciso.
Il buon cibo aiuta a rendere tutto più sopportabile. Cordialmente tuo.
Nessuna firma.
Nora socchiuse gli occhi mentre rileggeva la frase. Le stuzzicava la memoria, e di colpo le tornò alla mente. Quella frase era stata una specie di scherzo tra lei e... Reid Chamberlain.
Wow. Ecco un nome al quale Nora non pensava da anni. Reid, suo fratello Nash e sua sorella Sophia avevano frequentato le stesse scuole private delle ragazze Winchester. Lei e Reid erano coetanei e si erano trovati spesso nella stessa classe. I loro genitori facevano parte dell'élite di Chicago, perciò era naturale che si incontrassero in società e a barbosi eventi di adulti. A loro ragazzi cos'altro restava se non fare comunella?
Per Nora, sarebbe stato più logico diventare amica di Sophia, invece non era andata così.
Reid l'aveva sempre affascinata.
Avevano passato parecchio tempo a cacciarsi nei guai insieme, a nascondersi nelle credenze delle rispettive cucine finché venivano cacciati dai domestici, o a giocare a rimpiattino con i loro fratelli per tutta la vasta proprietà dei Chamberlain. Lei adorava quando si nascondevano tra i rami dello stesso albero ridacchiando della frustrazione di Nash o Gracie che, ai piedi dell'albero, non riuscivano a trovarli. Per un po', aveva avuto anche una piccola cotta per Reid.
Tuttavia era stato prima che lui crescesse diventando un uomo affascinante e finisse nel mirino di ogni ragazza dell'alta società di Chicago, relegando Nora ai margini del branco. In seguito, Reid si era aggregato a un gruppo che aveva come idoli il denaro, il prestigio e le auto veloci.
Non lo biasimava. Il novantanove percento della gente del suo mondo aderiva alla filosofia secondo la quale chiunque possiede la maggior parte dei giocattoli, alla fine vince.
Si erano persi di vista. Era successo.
Secondo le ultime notizie che aveva avuto di lui, Reid Chamberlain era cresciuto in ricchezza e prestigio grazie a una serie di brillanti azioni in campo alberghiero. Era padrone del mercato di Chicago e di molte altre città.
Non era stato sicuramente Reid a mandare il buffet. Era da anni che non si parlavano, e lo scherzo riguardo al cordialmente tuo non era una specie di codice bensì una formula che si scambiavano quando facevano il verso