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Un dono sotto il vischio: Harmony Bianca
Un dono sotto il vischio: Harmony Bianca
Un dono sotto il vischio: Harmony Bianca
E-book164 pagine2 ore

Un dono sotto il vischio: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Dottori a New York 2/2
Il dottor Lyons McKeag sembra furioso quando scopre che qualcuno gli ha lasciato un regalo nell'armadietto. Lui, sempre così riservato e scorbutico, non è certo il tipo d'uomo che può apprezzare un dono inaspettato. Tuttavia, l'infermiera Belle Sabetta non si lascia ingannare: sotto la fredda corazza del dottor McKeag si nasconde un cuore d'oro e... un corpo da urlo!

Abituata a riconoscere gli abissi del dolore altrui, Belle può affermare con certezza che un gesto gentile e disinteressato può fare la differenza, soprattutto a Natale. E forse questo piccolo regalo sarà in grado di sciogliere il cuore di Lyons una volta per tutte.
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2019
ISBN9788830508439
Un dono sotto il vischio: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un dono sotto il vischio - Amalie Berlin

    successivo.

    1

    L'infermiera professionale Ysabelle Sabetta firmò l'ultima pagina del suo contratto d'impiego e spinse il pacco di fogli attraverso la scrivania.

    Anche se lo aveva già fatto molte volte perché aveva sempre lavorato con contratti brevi – prima a casa in Arizona, poi negli Stati vicini del sud – il suo primo giorno in una nuova struttura le faceva provare un misto di eccitazione e di ansia.

    Questa volta, però, era diverso. Aveva accettato un contratto a tempo indeterminato, anche se non era ancora sicura del perché. Una volta completata la pratica avrebbe lavorato a tempo pieno in un ospedale di Manhattan.

    Sua sorella avrebbe approvato la sua scelta di vivere a New York, una città cui si erano sempre sentite legate grazie alla nonna che era nata nel Queens, anche se poi si era trasferita in Arizona per seguire il soldato ferito di cui si era innamorata quando lo aveva curato in Corea.

    Dopo una vita di racconti della nonna sulla magia dei Natali a New York, le ragazze avevano giurato di andarci durante la stagione invernale, ma Belle lo aveva fatto solo dopo la morte di Noelle.

    Non avrebbe mai pensato di trovarcisi da sola, eppure era successo. Era arrivata da tre giorni, e anche se era stata capace di rimanere lucida per la maggior parte del tempo a volte sembrava che il mondo attorno a lei accelerasse, oppure che fosse lei a imbambolarsi come se perdesse il ritmo non solo della città, ma della realtà. Anche se l'universo non si metteva a ruotare, era quello che lei provava, come se il suo ritmo interiore si fosse spezzato e tutto le vorticasse attorno a velocità folle.

    E in quel momento perdersi negli indugi non le avrebbe portato niente di buono. Non al suo primo giorno di lavoro sola nella città più grande che avesse mai visitato, un posto che avrebbe potuto essere fin troppo per lei.

    Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto affrontare, a parte il tipo di situazioni rappresentate nei racconti dell'orrore sui reparti di Pronto Soccorso e nelle serie TV di stampo medical, in cui di solito si vedeva un arrogante sciupafemmine che salvava vite umane fra un'avventura amorosa e l'altra.

    O forse sarebbe stata presa in ostaggio da un criminale ferito, che era riuscito a procurarsi chissà come una siringa piena di un liquido misterioso e mortale, e gliel'avrebbe puntata al collo minacciando di iniettarglielo nella carotide se non gli avessero messo a disposizione un elicottero e un milione di dollari in banconote di piccolo taglio.

    Tutto era possibile.

    Quella mattina al sapore del caffè si erano mescolati ansia ed eccitazione, insieme alla certezza che avrebbe compiuto qualche errore irreparabile. E che New York era troppo grande per lei, anche solo per lavorarci. Lei era sempre stata la gemella timida. Noelle avrebbe potuto impaurire anche un drago, mentre Belle una volta era riuscita a farsi spaventare da un cagnolino.

    «Spero che si troverà bene al Sutcliffe Memorial, signorina Sabetta.» La donna che prese il suo incartamento le indirizzò un sorriso freddo come se riuscisse a percepire l'ansia che lei provava solo guardando la calligrafia.

    Poi la signora Masterton le illustrò le regole per il suo periodo di prova e la data in cui sarebbe diventata a tutti gli effetti una dipendente del Sutcliffe con i relativi diritti e doveri. Belle firmò in tutti punti previsti intervenendo come pensava fosse appropriato. «Non vedo l'ora che arrivi il giorno dell'assunzione e...»

    Il suono smorzato di un allarme che veniva dall'esterno le soffocò le parole in gola e le fece accelerare il battito.

    Una donna stava parlando a voce alta. Forse si trattava di quella dell'impiegata che aveva visto prima?

    Negli ospedali si sente urlare più di quanto uno si aspetterebbe. Una persona che soffre non può essere biasimata, ma non era questo il solo motivo per cui la gente perdeva il controllo. In situazioni sospese fra la vita e la morte l'emotività cresceva. La gente diventava aggressiva. A volte erano le attese deluse a far perdere il controllo, altre era l'effetto di sostanze stupefacenti.

    Si girò verso la porta con i muscoli tesi, pronta a correre per intervenire, poi fissò di nuovo la signora Masterton, che dopo una breve occhiata alla porta chinò la testa sulle carte, come se niente fosse.

    La calma della dirigente sembrava indicare che l'allarme di Belle era infondato, ma lo sguardo che la donna aveva lanciato verso la porta, e che lei aveva fatto appena in tempo a percepire, era sufficiente per farle salire una certa inquietudine.

    Quando sentì anche una profonda voce maschile, Belle si girò verso la porta temendo che nell'ufficio potesse irrompere qualcuno fuori di testa.

    L'apertura improvvisa del battente, unita a un freddo sudore sulla pelle dovuto all'ansia, la fece balzare dalla sedia. Si girò per affrontare il pericolo, con i muscoli tesi pronta a fare... qualcosa.

    Nella stanza fece irruzione un uomo alto e muscoloso con una mano un foglio di carta e non un fucile, come lei si sarebbe aspettato. La guardò per un attimo, ma era evidente che non era lei che gli interessava perché i suoi gelidi occhi azzurri si fissarono immediatamente sulla signora Masterton.

    Dietro di lui un'impiegata dall'aria imbarazzata occhieggiava dalla porta spalancata.

    «Non ci penso nemmeno a fare una cosa simile» disse l'uomo lanciando il foglio che aveva in mano sulla scrivania della dirigente. «Gliel'ho già detto due volte. Non mi farò coinvolgere in quella buffonata. Non sono un pupazzo nelle mani dell'Amministrazione come mio fratello.»

    Aveva un leggero accento straniero che poteva far pensare a una persona che avesse vissuto i suoi primi anni di vita in qualche posto all'estero, ma che ormai fosse sul punto di perdere la cadenza tipica del luogo. Comunque, più di tutto a colpire Belle fu il tono irritato con cui aveva scandito le parole.

    «Suo fratello non è un pupazzo nelle mani dell'Amministrazione, dottor McKeag» rispose la Masterton prendendo il foglio che lui le aveva lanciato e cominciando a leggerlo.

    Fortunatamente il balzo di Belle sulla sedia era passato inosservato, ma questo non diminuiva il senso di disagio che provava alla presenza di un medico infuriato che lanciava fogli in giro.

    Lui le era così vicino che lei provava la sensazione di essere seduta su un serpente a sonagli. Spostandosi avrebbe rivelato quanto fosse intimidita, specialmente quando lui la guardò di nuovo con i suoi gelidi occhi di ghiaccio.

    Ti ho vista.

    So di aver interrotto il tuo appuntamento.

    E non mi interessa.

    Ecco cosa le comunicava il suo sguardo. Inoltre, non stava schiumando di rabbia, esprimeva solo una fredda, sprezzante irritazione. Belle pensò a un re arrabbiato costretto a comunicare con i suoi umili, spregevoli sudditi. Superiore. Arrogante. Seccato.

    Se l'universo provava un po' di pietà per lei, quello sarebbe stato l'unico contatto che le sarebbe capitato di avere con quel tizio. Per sempre. Anche se era stata colpita dal suo accento. E dal suo fisico.

    «Non basta che Wolfe si sia impelagato in questa buffonata con la dottoressa Conley? Penso che sia qualcosa che va bene per la Pediatria, ma è ridicolo per gli altri reparti. Siamo a Manhattan, non nell'ospedale di Babbo Natale.»

    «Sono sicura che prevedere la sua partecipazione sia stato semplicemente un errore, dottor McKeag» precisò la Masterton con aria leggermente annoiata. «E non occorre essere sarcastici.»

    Dopo essersi liberato del foglio incriminato lo sconosciuto abbandonò le mani lungo i fianchi snelli e Belle fu colpita dall'ampiezza delle spalle. Il camice gli fasciava il torace, mettendone in risalto la forma perfettamente definita. Un altro punto a suo favore.

    «Sono scozzese. È un fatto genetico.» Il tono era così deciso che lei avrebbe potuto credergli e per un attimo visualizzò il titolo di un immaginario articolo di una rivista medica: Scoperto il gene del sarcasmo in un antico sito sepolcrale scozzese.

    Il distacco con cui parlò dimostrava che non era ancora soddisfatto, anche se aveva vinto. La Masterton aveva ammesso l'errore e si era scusata. L'argomento era chiuso e lui era libero di andarsene. Belle non desiderava altro che completare le formalità della sua assunzione e prendere servizio al Pronto Soccorso.

    «Bene.» Lui la fissò di nuovo e la curiosità che Belle non avrebbe voluto provare la sopraffece. Pensò che avrebbe fatto bene a risedersi per sottrarsi al suo sguardo e smettere di dimostrare per lui un interesse di cui il medico doveva essersi accorto, se aveva un minimo di esperienza di donne.

    Comunque per quanto attraente non era il suo tipo. A Belle piacevano gli uomini che non si arrabbiavano mai, eccetto quando erano presi da qualche videogioco. Uomini gentili, tranquilli e un po' introversi come lei. Uomini che si sarebbero infuriati solo se dovevano combattere davanti a un castello digitale contro un troll digitale.

    Quel pensiero la spinse a immaginarsi lo sconosciuto come uno dei guerrieri vichinghi del fantasy che aveva letto qualche giorno prima, con elmo, corazza e una grande spada fra le mani.

    Comunque fosse, non doveva starsene lì in piedi a osservare il tipo. Non era pericoloso, solo uno che aveva fatto una tragedia di una sciocchezza. Respirò e si risistemò sulla sedia volgendogli le spalle, sebbene non fosse facile ignorare un uomo del genere che troneggiava su di lei nella sua divisa... nera?

    Lanciò un'occhiata alla borsa appoggiata accanto a lei dove aveva messo le divise che avrebbe indossato durante il servizio di Pronto Soccorso e si sentì morire. Erano nere.

    Dannazione. Era chiaro che il dottor McKeag, come lo aveva chiamato la Masterton, lavorava in Pronto Soccorso e che la sua arrabbiatura non aveva nulla a che fare con il lavoro, ma con qualcosa che riguardava qualche attività per il Natale.

    Lo sguardo che gli lanciò da sotto in su le confermò che le mascelle contratte non appartenevano a un uomo felice. La sproporzione fra la sua reazione e l'evento che l'aveva provocata le suonò come un gong nelle orecchie.

    Se c'era qualcuno che capiva che si potessero temere le ricorrenze, quella era lei. Negli ultimi due anni il giorno del Ringraziamento era stato molto triste per lei e il giorno di Natale ancora peggio.

    Era tradizione di famiglia lavorare nei servizi. La nonna era stata infermiera in Corea, suo padre poliziotto a Scottsdale, e anche lei, Belle, era diventata infermiera. Invece Noelle, la sua gemella, aveva intrapreso la carriera di hostess e poi era riuscita a prendere il brevetto da pilota ed era diventata una delle poche donne a comandare un aereo per le più importanti compagnie commerciali. Passava la vita in giro per il mondo, ma non aveva mai mancato di tornare a casa per Natale. Almeno abbastanza a lungo da andare a prendere Belle per la loro annuale avventura.

    Erano sempre state insieme per Natale e adesso questo ricordo faceva di quel periodo il più straziante dell'anno.

    La mascella quadrata del medico continuava a contrarsi e rilassarsi. Contrarsi e rilassarsi. Era chiaro che la freddezza stava cedendo il posto alla furia.

    «Di tutti i reparti, il Pronto Soccorso è quello più sotto pressione perché chi ci lavora si distragga con queste sciocchezze. Ci sono delle vite in gioco.»

    Era questo che lo turbava?

    «Questo è un ospedale. In tutti i reparti ci sono delle vite in gioco» ribatté la Masterton.

    «E il Pronto Soccorso è la prima linea. Chi ci lavora deve essere sempre concentrato e non distratto da stupidi pensieri e chiacchiere su... su come organizzare... le festività!»

    «È solo uno scambio di regali per Natale.»

    «E io non parteciperò. E spero di non trovare più fogli di questo

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