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A ogni costo: Il prequel di La figlia modello
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E-book207 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Dalla fantasia di una maestra del thriller, il prequel di La figlia modello.

Charlie Quinn aveva solo tredici anni quando la sua infanzia è finita: due uomini che covavano del risentimento nei confronti del padre hanno fatto irruzione nella casa in cui si era appena trasferita con la famiglia, e dopo quella tragica notte il suo mondo è cambiato per sempre.

Ora Charlie è un avvocato e la sua missione è difendere persone che non hanno nessun altro a cui rivolgersi. Così, quando Flora Faulkner, un'adolescente senza madre, le chiede aiuto, non riesce a dirle di no.

Ma i problemi della ragazzina sono molto più gravi del previsto, e ben presto le indagini costringono Charlie a confrontarsi con una verità terribile che non avrebbe mai potuto immaginare.

Questo ebook contiene un estratto di La ragazza dimenticata, il nuovo romanzo di Karin Slaughter.

LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2017
ISBN9788858971246
A ogni costo: Il prequel di La figlia modello
Autore

Karin Slaughter

Autrice regolarmente ai primi posti nelle classifiche di tutto il mondo, è considerata una delle regine del crime internazionale. I suoi quindici romanzi, che sono stati tradotti in trentatré lingue e hanno venduto più di 30 milioni di copie, comprendono la fortunata serie che per protagonista Wil Trent, L'orlo del baratro, che ha ricevuto una nomination al prestigioso Edgar Award, e Quelle belle ragazze, il suo primo thriller psicologico. Nata in Georgia, attualmente vive ad Atalanta.

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    Anteprima del libro

    A ogni costo - Karin Slaughter

    1

    «E dai, signorina Charlie.» La voce di Dexter Black arrivava stridula dal telefono a gettoni della prigione. Quell'uomo aveva quindici anni più di lei, ma la chiamava signorina solo per rimarcare la distanza tra le loro rispettive posizioni. «Ti ho detto che sistemerò i conti appena mi tirerai fuori da questo casino.»

    Charlie Quinn alzò gli occhi al cielo con tale violenza che le venne un capogiro. Era di fronte a una sala piena di ragazze Scout al YWCA. Non avrebbe dovuto prendere quella chiamata, ma al mondo esistevano poche cose peggiori dell'essere circondata da un'orda di adolescenti schiamazzanti. «Dexter, mi hai detto la stessa identica cosa l'ultima volta che ti ho tirato fuori dai guai, e nell'attimo in cui sei uscito dalla riabilitazione hai speso tutti i tuoi soldi in gratta e vinci.»

    «Be', magari vincevo, e a quel punto ti avrei dato la metà. E non solo quel che ti devo, signorina Charlie. Metà della vincita.»

    «Sei molto generoso, ma la metà di zero è zero.» Aspettò di sentirgli tirare fuori un'altra scusa, ma sentì solo il forte brusio del Centro di detenzione maschile della Georgia del Nord. Sbarre che venivano colpite, imprecazioni gridate a gran voce, uomini adulti che piangevano, guardie che urlavano a tutti di chiudere quelle cavolo di bocche.

    «Non ho intenzione di sprecare altri minuti di conversazione al cellulare per ascoltare il tuo silenzio» disse.

    «Ho una cosa in ballo» fece lui. «Qualcosa che mi farà avere i soldi.»

    «Spero non sia qualcosa che preferiresti evitare di far scoprire alla polizia, perché l'hai detto durante una telefonata registrata dal carcere.» Charlie si asciugò il sudore dalla fronte. Quel corridoio sembrava un forno. «Dexter, mi devi quasi duemila dollari. Non posso farti da avvocato gratis. Ho un mutuo, il prestito universitario da pagare e mi piacerebbe andare a cena fuori, qualche volta, senza il timore che la mia carta di credito venga rifiutata.»

    «Signorina Charlie» ripeté Dexter. «Ho capito cosa cerchi di fare, ricordandomi che la chiamata viene registrata, ma stavolta ho in ballo qualcosa che potrebbe far guadagnare qualche soldo alla polizia.»

    «Ti consiglio di trovarti un buon avvocato che ti assista nella trattativa, perché non sarò io.»

    «Aspetta, aspetta, non attaccare» implorò lui. «Sto solo ripensando a quel che mi hai detto tanti anni fa, quando abbiamo cominciato. Te lo ricordi?»

    Charlie sbuffò piano. Dexter era stato il suo primo cliente quando era uscita dalla facoltà di Legge.

    Lui riprese: «Mi hai detto di aver rifiutato un lavoro importante in città perché preferivi aiutare la gente». Fece una pausa per aumentare l'effetto delle sue parole. «Non vuoi più aiutare la gente, signorina Charlie?»

    Lei bofonchiò una serie di imprecazioni che gli addetti al controllo delle chiamate avrebbero senz'altro apprezzato. «Carter Grail» disse. Gli stava suggerendo il nome di un altro avvocato.

    «Quel vecchio ubriacone?» Dexter sembrava un po' troppo schizzinoso per essere uno con addosso la tuta arancione della prigione. «Signorina Charlie, non potresti...»

    «Non firmare nulla che tu non comprenda.» Charlie chiuse il cellulare a conchiglia e lo infilò nella borsa. Le passò accanto un gruppo di donne in pantaloncini da ciclista. In genere erano le pensionate e le giovani madri ad affollare il YWCA a metà mattina. In lontananza sentiva il thump-thump-thump dei bassi della musica che accompagnava una lezione di fitness. Nell'aria c'era l'odore di cloro della piscina coperta. I tonfi che arrivavano dai campi da tennis superavano anche i doppi vetri delle finestre.

    Charlie si appoggiò al muro. Ripercorse mentalmente la telefonata con Dexter. Era finito in prigione di nuovo, ancora una volta per traffico di metanfetamine. Di sicuro pensava di poter denunciare qualche tossico o uno spacciatore per evitare le accuse a suo carico. Senza un avvocato a controllare il patteggiamento proposto dall'ufficio del procuratore distrettuale, però, era meglio per lui se si teneva strette le palle e comprava un altro po' di gratta e vinci.

    Le dispiaceva per quella situazione, ma non quanto le sarebbe dispiaciuto pagare in ritardo una rata della macchina.

    La porta della sala si aprì. Belinda Foster aveva l'aria allarmata. Ventotto anni, la stessa età di Charlie, ma con una bambina piccola a casa, un altro figlio in arrivo e un marito di cui parlava come se fosse il terzo figlio problematico. Incaricarsi dell'organizzazione della giornata di orientamento professionale per le ragazze Scout non era stato l'errore più stupido che Belinda avesse commesso quell'estate, ma si piazzava fra i primi tre.

    «Charlie!» Diede uno strattone alla sciarpa con il trifoglio che aveva al collo. «Se non torni là dentro, mi butto giù dal tetto.»

    «Ti romperesti il collo e basta.»

    Belinda aprì la porta e aspettò.

    Charlie diede un buffetto al pancione della sua amica. Da quando il suo cellulare aveva cominciato a suonare, salvandola per qualche istante dalla folla, nella sala non era cambiato niente. Tutto l'ossigeno era stato risucchiato via da venti ragazze Scout ridacchianti, tra i quindici e i diciotto anni. Charlie si sforzò di non rabbrividire, trovandosele davanti. Aveva circa dieci anni in più di quasi tutte loro, ma in ciascuna riconosceva qualcosa di familiare.

    Le secchione brave in matematica, le future laureate in Lettere, le cheerleader, le rifatte, le goth, le svampite, le svitate, le nerd. Tutte si sorridevano tra loro allo stesso modo, perché in qualsiasi momento una di loro poteva darsi la proverbiale zappa sui piedi. Bastava un taglio di capelli che le facesse sembrare stupide, il colore dello smalto sbagliato sulle unghie, le scarpe sbagliate, le calze sbagliate, una parola sbagliata ed ecco che di colpo si sarebbero trovate fuori dalla cerchia eletta.

    Charlie ricordava ancora cosa si prova a essere relegate nel purgatorio esterno. Non esiste tortura peggiore, solitudine peggiore, dell'essere escluse da un branco di adolescenti.

    «Torta?» Belinda le offrì una fetta di dolce sottile come un foglio di carta.

    «Mmh» fu tutto ciò che riuscì a rispondere lei. Aveva lo stomaco sottosopra. Non riusciva a smettere di far scorrere lo sguardo in giro per la sala ricreativa arredata in modo essenziale. Le ragazze erano tutte giovanissime, magre e belle in un modo che lei non era riuscita ad apprezzare quando aveva avuto la loro età. Minigonne, magliette attillate e camicette con un po' troppi bottoni slacciati. Sembravano così sicure di sé da mettere soggezione. Gettavano dietro le spalle i loro lunghi capelli schiariti e ridevano. Socchiudevano con fare esperto gli occhi truccati mentre ascoltavano i racconti delle altre. Portavano le fasce di traverso, i gilet sbottonati, e alcune violavano in modo piuttosto evidente la divisa Scout.

    «Non mi ricordo più di cosa parlavamo alla loro età» disse Charlie.

    «Del fatto che le Culpepper erano un branco di stronze.»

    Charlie sussultò. Prese il piatto che le offriva Belinda, ma solo per tenere le mani occupate. «Perché nessuna di loro mi fa delle domande?»

    «Non facevamo mai domande nemmeno noi» rispose Belinda, e di colpo Charlie provò rimorso per aver disdegnato tutte le donne in carriera che erano intervenute agli incontri al centro Scout. Le erano sembrate tutte così anziane. Lei non era anziana. Aveva ancora la fusciacca piena di spille, a casa, da qualche parte. Era un avvocato in gamba, era sposata con un uomo adorabile, non era mai stata così in forma in vita sua. Quelle ragazze avrebbero dovuto pensare che era fantastica e inondarla di domande, chiederle come avesse fatto a diventare così invece di chiacchierare ridacchiando tra loro come se stessero cercando di stabilire quanto sangue di maiale mettere in un secchio da farle cadere in testa.

    «Non posso credere che si trucchino così tanto» disse Belinda. «Mia madre per poco non mi strappava via gli occhi quando cercavo di sgattaiolare fuori di casa con un po' di mascara.»

    La madre di Charlie era stata assassinata quando lei aveva tredici anni, ma ricordava numerose ramanzine di Lenore, la segretaria di suo padre, a proposito dei messaggi pericolosi che inviavano i jeans Jordache troppo stretti.

    Non che Lenore fosse riuscita a impedirle di indossarli.

    «Non voglio che Layla cresca così» riprese Belinda. Si riferiva alla figlia di tre anni, che chissà come era una creatura educata e angelica nonostante sua madre avesse alle spalle anni di giochi alcolici, shot di tequila e appuntamenti con motociclisti disoccupati. «Queste ragazze sono adorabili, ma non hanno il senso del pudore. Pensano che tutto ciò che fanno vada bene. Per non parlare del sesso. Non sai cosa dicono alle riunioni» sbuffò, evitando di raccontarle la parte più interessante. «Noi non siamo mai state così.»

    Charlie era stata l'esatto contrario, invece, soprattutto se c'era di mezzo una Harley. «Credo che il punto centrale del femminismo sia poter scegliere, non fare tutto quello che ti passa per la testa.»

    «Be', forse, ma noi abbiamo comunque ragione e loro torto.»

    «Adesso parli come una madre.» Charlie staccò dalla sua fetta di torta un pezzo di glassa al cioccolato, che le si incollò al palato. Restituì il piatto alla sua amica. «Io avevo il terrore di deludere mia madre.»

    Belinda finì il suo dolce. «Io avevo il terrore di lei in generale.»

    Charlie sorrise e si portò una mano sullo stomaco, sentendo la glassa che sciabordava come un detrito di legno durante uno tsunami.

    «Stai bene?» le chiese Belinda.

    Lei sollevò un dito. La nausea la investì con una tale rapidità che non riuscì nemmeno a chiedere dove fosse il bagno.

    Belinda capì. «In fondo al corridoio, a...»

    Charlie si lanciò di corsa fuori dalla sala, la mano premuta sulla bocca mentre apriva una porta dietro l'altra. Un armadio. Un altro armadio.

    Dall'ultima porta stava uscendo una ragazza Scout dal viso fresco.

    «Oh» fece la ragazzina, sollevando le mani di scatto e arretrando.

    Charlie corse nel gabinetto più vicino e rovesciò il contenuto del suo stomaco nel water. I conati furono così potenti da farle venire le lacrime agli occhi. Si aggrappò alla ceramica con entrambe le mani, emettendo suoni gutturali che mai avrebbe voluto far sentire a un altro essere umano.

    Qualcuno però la sentì.

    «Signora?» la chiamò la ragazzina, il che in qualche modo rese tutto ancor peggiore. «Signora, sta bene?»

    «Sì, grazie.»

    «È sicura?»

    «Sì, grazie. Puoi andare.» Si morse il labbro per non scacciare quella creatura tanto servizievole a male parole come se fosse un cane. Cercò la borsa, ma era rimasta fuori dal gabinetto. Il portafoglio ne era uscito insieme alle chiavi, un pacchetto di gomme e degli spiccioli. La tracolla era aperta sulle piastrelle dall'aria unticcia. Charlie cercò di allungarsi per prenderla, ma cambiò idea quando lo stomaco le si serrò. Non poté far altro che restarsene seduta sul pavimento sudicio, raccogliendosi i capelli sul collo e pregando che quel malessere restasse confinato alla metà superiore del corpo.

    «Signora?» ripeté ancora la ragazza.

    Charlie provava un desiderio disperato di mandarla a quel paese, ma non aveva il coraggio di aprire la bocca. Aspettò, a occhi chiusi, ascoltando il silenzio, implorando di cogliere il rumore della porta che si chiudeva, segno che la ragazzina se n'era andata.

    Invece sentì aprire il rubinetto. L'acqua che scorreva, le salviette di carta che venivano estratte dal dispenser.

    Aprì gli occhi, tirò l'acqua. Perché diavolo stava così male?

    Charlie aveva un'intolleranza al lattosio, ma non poteva essere colpa della glassa perché di certo Belinda non l'aveva fatta in casa. La glassa in lattina era composta al novantanove percento da elementi chimici, e in genere non la facevano stare male. Poteva essere il pollo preso da General Ho che aveva mangiato a cena la sera prima? L'involtino primavera trafugato dal frigorifero prima di andare a letto? La carne in scatola che aveva ingurgitato prima di andare a correre quella mattina? Il burrito che aveva comprato per colazione da Taco Bell?

    Dio, mangiava come un ragazzo adolescente.

    Il rubinetto si chiuse.

    Charlie avrebbe dovuto almeno aprire la porta del gabinetto, ma un rapido controllo dei danni le fece cambiare idea. Aveva la gonna blu scuro tirata su, le calze smagliate e delle macchie sulla camicetta bianca che probabilmente non se ne sarebbero mai andate. Ma la cosa peggiore erano i graffi sulla punta di una scarpa nuova, col tacco alto, blu, che Lenore l'aveva aiutata a scegliere per il tribunale.

    «Signora?» fece la ragazza. Le stava porgendo una salvietta bagnata da sotto la porta.

    «Grazie» riuscì a rispondere. Se lo premette dietro la nuca e chiuse di nuovo gli occhi. Poteva essere un virus intestinale?

    «Signora, le porto qualcosa da bere?» propose la ragazza.

    Al pensiero del sapore di sciroppo per la tosse del punch preparato da Belinda per poco Charlie non vomitò di nuovo. Tuttavia, se quella ragazzina ostinata aveva deciso di non andarsene, almeno poteva sfruttare il suo aiuto. «Ho degli spiccioli nel portafoglio. Ti spiace andare a prendermi un ginger ale alla macchinetta?»

    L'altra si inginocchiò sul pavimento. Charlie vide la fascia color kaki che ben conosceva, con i vari simboli cuciti sopra. Fidelizzazione della clientela. Pianificazione di vendita. Cultura finanziaria. Top seller. A quanto pareva, era una che sapeva il fatto suo nella vendita di biscotti.

    «Le banconote sono nella tasca interna» le disse.

    La ragazza aprì il portafoglio. Nella tasca trasparente c'era la patente di guida di Charlie. «Pensavo che il suo cognome fosse Quinn.»

    «Lo è, sul lavoro. Quello è il mio cognome da sposata.»

    «Da quanto tempo è sposata?»

    «Quattro anni e mezzo.»

    «Mia nonna dice che dopo cinque anni si comincia a odiarli.»

    Charlie non riusciva a immaginare di poter mai odiare suo marito. D'altra parte, non riusciva nemmeno a immaginare di parlare ancora a lungo da sotto la porta di un gabinetto. Il bisogno di dare ancora di stomaco le procurava un formicolio alla gola.

    «Suo padre è Rusty Quinn» disse la ragazza, il che significava che abitava in quella città da più di dieci minuti. Il padre di Charlie era molto conosciuto a Pikeville per via del tipo di clientela che difendeva: ladri, spacciatori, assassini e criminali di ogni genere. L'opinione che avevano su di lui i suoi concittadini variava in base a quanto avessero avuto bisogno del suo aiuto.

    «Ho sentito dire che aiuta le persone» continuò.

    «È vero.» A Charlie non piacque per niente il modo in cui quelle parole le facero tornare in mente la conversazione con Dexter, e con essa il fatto che aveva rinunciato a guadagnare centinaia di migliaia di dollari all'anno per dedicarsi alla povera gente che aveva davvero bisogno di lei. Un principio etico la guidava nella vita, ed era quello di non diventare mai come suo padre.

    «Scommetto che costa tanto.» Una pausa, poi: «Lei costa tanto? Cioè, quando aiuta la gente».

    Charlie si portò di nuovo una mano alla bocca. Come avrebbe potuto far capire a quella ragazzina che doveva andare a prenderle quel maledetto ginger ale senza mettersi a urlare?

    «Mi è piaciuto il suo discorso» riprese l'altra. «Mia madre è rimasta

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