La sposa del dottore: Harmony Bianca
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Nonostante abbia deciso già da parecchio tempo di non voler avere più niente a che fare con gli uomini, lavorare gomito a gomito con l'affascinante e sexy dottor Jackson Hilstead non è affatto facile per Charlotte Johnson. Anzi, è quasi una tortura. Jackson ha i propri demoni da combattere, ma lei è convinta che insieme potrebbero essere ancora più forti. Perché quindi negarsi il piacere di flirtare con un uomo attraente e un medico brillante, in attesa di vedere dove questo li potrà portare? Così, quando lui la invita ad accompagnarlo a un matrimonio di famiglia, Charlotte non può fare a meno di immaginare che un giorno sarà lei a camminare verso l'altare... con Jackson al suo fianco.
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La sposa del dottore - Lynne Marshall
successivo.
1
Charlotte Johnson faceva strane smorfie masticando il boccone della favolosa barretta al cioccolato, nocciole e caramello che si era appena infilata in bocca mentre guardava i vetrini di patologia. Sollevò lo sguardo e vide un'ombra che incombeva sulla porta dell'ufficio. Jackson Ryland Hilstead Terzo, il chirurgo per il quale si era presa una cotta epocale. Era lui che impediva alla luce fluorescente del corridoio di entrare, costringendola a strizzare gli occhi per vederlo? Non fibrillare, cuore mio, e ti prego, tu, smetti di ruminare! Subito!
Comunque non avrebbe potuto parlare se prima non avesse inghiottito il boccone. Lui era sicuramente lì per un motivo, come ogni venerdì pomeriggio. Forse perché il mercoledì e il giovedì mattina era sempre impegnato con gli interventi. Le faceva domande sulle diagnosi e sulle prognosi dei pazienti e lei gli spiattellava ogni volta risposte sensate. Era diventata una sorta di routine che aspettava con ansia. In fondo, essendo la patologa chirurgica del St Francis of the Valley Hospital, era compito suo seguire i colleghi, anche se, in quel caso specifico, avrebbe preferito scostargli il ciuffo di capelli ribelli dalla fronte. Già... Era perdutamente innamorata di quell'uomo.
Alzò il dito sperando che il brillante medico intuisse che stava chiedendo un minuto di pazienza, poi si coprì la bocca con l'altra mano e iniziò a masticare furiosamente. Dopo che ebbe deglutito il tutto, all'improvviso sentì una sensazione di calore risalirle il collo. Ottima impressione.
«Non sia mai detto che m'intrometta tra una donna e la sua barretta di cioccolato» intervenne lui, divertito, che sicuramente aveva notato l'involucro del dolce sulla scrivania.
Lei afferrò una bottiglia d'acqua e bevve un sorso. «Così sembri maschilista e non è da te» scherzò lei, sperando che non le fossero rimasti residui di cioccolato tra i denti. Tra tutti i medici con i quali aveva a che fare quotidianamente, lui era quello che maggiormente la metteva in imbarazzo. Sicuramente c'entravano i suoi vivaci occhi azzurri che la divisa dell'ospedale sembrava rendere ancora più luminosi di una lampada della sala operatoria. Lei si strinse il camice davanti al petto quando si accorse che la stava squadrando dalla testa ai piedi. O meglio, che considerava attentamente ciò che di lei era visibile da dietro il microscopio a doppia testa.
«Ah, Charlotte...» riprese, sedendosi davanti a lei. «Non mi conosci proprio. Se non fossi la mia patologa preferita, mi potrei offendere» aggiunse in risposta alla sua mezza accusa.
Il medico era un vero gentiluomo del sud, originario della Georgia. Educatissimo, affascinante e pure molto abile nel relazionarsi con le donne, cosa che forse, considerate le difficoltà in un mondo femminile competitivo e sovraffollato, in senso californiano, non era poi una qualità così appetibile. Le venne in mente l'aggettivo raffinato. Ma la sua era una raffinatezza bilanciata con la genuinità. Una combinazione rara. E poi la sua parlata trascinata, quel suo modo di arrotolare le sillabe che le sollecitava terminazioni nervose che altrimenti avrebbe dimenticato. Parlava come se avessero tutto il tempo del mondo. Avrebbe potuto ascoltarlo per ore e, se avesse avuto un ventaglio, quello sarebbe stato il momento di usarlo.
«Se non fossi uno dei miei chirurghi preferiti» mentì, visto che era in assoluto il suo preferito, «mi sarei mangiata anche il resto.»
Lui accennò un lieve sorriso. «Credo che tu l'abbia già mangiata tutta, e comunque non ti preoccupare, perché la tua scelta di barretta sarebbe al decimo posto nella mia lista delle top ten.»
Colta in flagrante, batté le palpebre e, mentre lui si avvicinava, avvertì il suo profumo di menta e sandalo. Inspirò profondamente e pensò che doveva avere il vezzo di cambiare spesso dopobarba e questo la stuzzicava.
«A proposito di maschilismo, devo ammettere che oggi sei splendida. Il turchese ti dona.»
Le faceva sempre molti complimenti, cosa che le piaceva, ma immaginava che fosse galante con tutte quelle che incontrava, perciò non li prendeva mai troppo sul serio. Anche se avrebbe voluto che fossero sinceri. Questo la diceva lunga sulla sua vita sentimentale! Qualcosa nel modo in cui i suoi occhi la guardavano ogni volta che le faceva un complimento la induceva a pensare che forse aveva una predilezione per lei. L'idea le piaceva.
«Grazie» rispose piena di modestia.
«Grazie a te» precisò lui.
I loro sguardi rimasero intrecciati per un attimo più del necessario e subito dopo lei tornò a guardare nel microscopio. «Cosa ti serve?»
Consapevole del suo sguardo che pareva chiederle lo-vuoi-davvero-sapere?, si sentì morire per l'imbarazzo. Già. Quello che riusciva a fare con quegli occhi la innervosiva terribilmente. E la eccitava, le faceva desiderare che tutto potesse essere come prima dell'operazione. Che fine aveva fatto il suo invisibile ventaglio? Che vergogna. Eppure si considerava estremamente professionale.
«Hai già pronti i vetrini di Gary Underwood? Una biopsia ai polmoni di ieri pomeriggio. La moglie è impaziente e vuol conoscere il verdetto.»
«La capisco, anche perché si avvicina il fine settimana.» Charlotte non aveva ancora finito di analizzare i vetrini della mattina del giorno prima, ma era sempre disposta a mandarne avanti qualcuno quando era necessario. Jackson si preoccupava molto per i suoi pazienti. E anche questo le piaceva di lui.
Accese la lampada sulla scrivania, cercò tra la pila di cartoncini che contenevano i vetrini, tutti etichettati attentamente dai tecnici istologici, e trovò quello che le aveva richiesto. Si sedettero entrambi ad analizzarlo; erano uno davanti all'altra al piccolo tavolo con il microscopio in mezzo. Le loro ginocchia si sfioravano. Lei si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e lo vide che osservava i suoi orecchini pendenti con la turchese dello stesso colore della maglietta. E dalla luce nei suoi occhi intuì che doveva piacere anche a lui l'accostamento, ma questa volta lo tenne per sé.
Sì, era un vero gentiluomo, con le spalle larghe e i capelli castani mossi che portava all'indietro. Era un gentiluomo affascinante. Gulp. Molto affascinante.
Ritrovarsi catapultata nella San Fernando Valley non era stato affatto traumatico per una ragazza originaria della California come lei, ma per un uomo di Savannah doveva essere stato uno shock culturale notevole. Parlami, amore. Adoro il tuo accento del sud. Perché dentro si sentiva così spavalda se poi non riusciva a passare all'azione? Non sprecò neanche un istante a rispondere alla domanda. Adesso le cose erano diverse. Non era più la donna di prima. Tutto qui.
Sulla quarantina, con qualche filo bianco sulle tempie, Jackson era in California solo da un anno. Si diceva – sempre che quello che raccontava il dottor Dupree fosse attendibile – che avesse avuto bisogno di cambiare aria dopo il divorzio. Il che faceva di lui un disadattato in un tipo di città assolutamente informale. Le piaceva anche questo di lui, i pantaloni cachi, le camicie button down con delle cravatte che chiaramente aveva scelto con cura. Quel giorno indossava una camicia giallo chiaro e una cravatta raffinata verde salvia con un disegno a spina di pesce. Carina.
Spense la luce sulla scrivania per vedere meglio il vetrino e rimasero seduti in silenzio mentre effettuavano insieme l'esame. Sentire il suo respiro lieve le fece venire la pelle d'oca sul collo. Per fortuna aveva i capelli sciolti. Forse erano proprio quelli che gli piacevano. Smettila, Charlotte. Così non vai da nessuna parte. Le piaceva sognare. Era il suo segreto. Ed era innocuo.
Puntò l'obiettivo sul tessuto polmonare della biopsia e ingrandì un punto di vortici di colore rosso con minuscoli puntini neri finché riuscì a vedere le cellule in maniera nitida con l'oculare. Osservarono insieme la parte in questione. «Noti i margini nucleari angolati e l'ipercromasia?» Parlava a voce bassa, quasi un bisbiglio, come faceva abitualmente per rispetto nei confronti delle diagnosi dei pazienti.
«Li vedo» esclamò lui pensieroso.
Lei spostò leggermente il vetrino e poi lo rimise a fuoco. «Guarda anche qui e qui.» Usava la freccina bianca del microscopio ad alta risoluzione per indicare le aree in oggetto.
Lui inspirò, senza distogliere lo sguardo dall'oculare.
«Queste sono le figure mitotiche e qui invece ci sono i ponti intercellulari. Non è un buon segno.» Si scostò dal microscopio. «Come vedi ci sono cellule e nuclei di dimensioni diverse e questo indica la presenza di cellule squamose maligne. Devo analizzare gli altri vetrini per controllare i margini e capire lo stadio del cancro, ma sfortunatamente adesso la moglie del tuo paziente avrà ragioni ben più valide per stare in ansia.»
«Già... Pessime notizie.» Jackson si spinse indietro dal tavolo del microscopio, ma non prima di avere battuto il ginocchio contro il suo. E l'aveva sentito duro come l'acciaio. Era Superman in divisa da dottore? «Contatterò l'oncologia per intervenire al più presto.»
Quella situazione le ripropose una vecchia e nota fitta allo stomaco. Charlotte sapeva cosa significava essere un familiare e aspettare notizie dal medico. C'era passata a quindici anni, quando a sua madre era stato diagnosticato un tumore al seno. Era stato allora che per la prima volta aveva sentito parlare di metastasi e aveva deciso di capire cosa significasse e quali fossero realmente le condizioni di sua madre.
«È giovane?»
«Sì» rispose Jackson, «e le sue condizioni fisiche sono buone, perciò questo migliora la prognosi.»
Lei annuì, seppure con poco entusiasmo. Anche sua madre era giovane e apparentemente sana. La perdita di sua madre subito dopo l'intervento di mastectomia bilaterale aveva distrutto la sua famiglia. Suo padre aveva cominciato a bere e tre anni dopo era morto anche lui. Lei nel frattempo aveva già preso le redini della famiglia e a diciotto anni, oltre a iscriversi al college, aveva fatto richiesta per diventare tutore di sua sorella e di suo fratello minori, che altrimenti sarebbero stati dati in affido.
Il cancro di sua madre aveva cambiato il corso della sua vita indirizzandolo verso la medicina, e più tardi la sua incessante ricerca e il desiderio di capire come si sviluppavano certe malattie l'avevano indotta ad accostarsi al lato più oscuro della professione medica, e cioè alla patologia.
«Devo sbrigarmi» disse Jackson, scuotendola dai suoi pensieri. «Stasera ho una cena a cui non posso mancare e prima devo parlare con la signora Underwood.» Si alzò e si avviò alla porta. «Sai per caso il numero dei servizi sociali? Credo che un po' di sostegno non farebbe male agli Underwood questo fine settimana» le disse voltandosi prima di raggiungere la porta.
Lei fece scorrere lo sguardo sulla lista dei numeri interni dell'ospedale che teneva sulla scrivania e lesse quello che gli interessava, un po' indispettita per il fatto che Jackson quella sera avesse un appuntamento a cena.
«Grazie» rispose lui, ma non prima di averle dato un'altra occhiata approfondita. «Mi piacciono proprio i tuoi orecchini.» Poi uscì, lasciandola con un sorriso da ebete stampato in volto e le guance arrossate. Gemette, pensando che avrebbe voluto che sotto quel semplice complimento ci fosse molto di più. Aveva una cena quella sera! E poi probabilmente riempiva di complimenti tutte le donne che incontrava. Forse aveva imparato alla scuola elementare in Georgia a trattare le donne come principesse.
Pensava forse di essere speciale più delle altre?, si chiese Charlotte. Era alta quasi un metro e ottanta, era piuttosto formosa, o per lo meno lo era stata, e portava la taglia quarantaquattro, che non molti uomini apprezzavano in un'epoca in cui imperava la magrezza. E poi, anche se l'avesse trovata attraente, non ci sarebbe mai potuto essere niente tra loro. Se n'era fatta una ragione due anni prima, subito dopo l'intervento.
La maggior parte degli uomini non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei. Si strinse il camice davanti al petto. Il suo ex fidanzato l'aveva subito lasciata. Pensavano di fare carriera, sposarsi, avere dei figli... Lei l'aveva desiderato molto. Poi...
Però capiva Derek, perché lei aveva fatto una scelta estrema e perfino radicale. Ne avevano discusso parecchio, avevano anche litigato, e non era mai stato d'accordo con lei. Lui avrebbe voluto che restasse esattamente com'era.
Il ricordo della sofferenza di sua madre era stato ciò che l'aveva condotta alla decisione finale.
Si portò la mano al petto. Le protesi in silicone con effetto realistico al tatto, meglio note come tette di gomma, e racchiuse in un reggiseno specifico, qualche volta le facevano dimenticare di avere subito una doppia