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L'Editore e l'Autore
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E-book541 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Il testo si inserisce a pieno titolo in quel campo di studio riguardante la nascita dell'editoria moderna in Italia. Valentino Bompiani, uomo carismatico, educato alla disciplina, signore dai modi eleganti e civili, autore di teatro, pittore per diletto e Libero Bigiaretti, "uomo di penna", nonostante le giovanili esperienze come assistente edile, disegnatore tecnico, impiegato e poi, in età matura, dirigente presso la Olivetti di Ivrea, vengono raccontati anche attraverso un carteggio ricco che mostra numerosi aspetti del loro legame che non è solo professionale, culturale o intellettuale. Diventa un legame dove umanità con sensibilità diverse si incontrano, avendo un obiettivo comune: accrescere la cultura letteraria italiana proponendo opere che potessero essere "lette" e "acquistate" dal pubblico italiano. Come sottolinea molto bene l'autrice di questo prezioso saggio, nel testo si narra "dell’incontro di due persone diverse per temperamento ed estrazione sociale, antitetiche, ovviamente, a motivo di quella divergenza che è insita nel gioco delle parti (spesso le ragioni dell’editore non sono quelle dell’autore, e viceversa), eppure complementari, in alcune consonanze di fondo e reciproche competenze, che il relativo carteggio, proposto in questo volume, permette di evidenziare". Un testo quindi che permetterà a molti di conoscere un tratto importante della cultura italiana legata, attraverso Bompiani e Bigiaretti, al patrimonio letterario del nostro paese.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2015
ISBN9788899214760
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    Anteprima del libro

    L'Editore e l'Autore - Cristina Tagliaferri

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    Cristina Tagliaferri

    L’Editore e l’Autore

    Valentino Bompiani e Libero Bigiaretti

    Carteggio (1958–1990)

    Sentieri di critica

    KKIEN Publishing International è un marchio di  KKIEN Enterprise srl

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Prima edizione digitale: 2015

    In copertina: foto di Libero Bigiaretti e Valentino Bompiani

    ISBN 978–88–99214–760

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    Indice

    INTRODUZIONE

    Prima parte

    I personaggi, i loro destini

    Tracce di Bompiani editore «protagonista»

    La memoria, il tempo, la scrittura

    Bompiani al presente

    Libero Bigiaretti tra vita e letteratura

    Un «pessimo scolaro di buona condotta»

    La narrativa dello scrittore di Matelica

    Da Esterina a Un discorso d’amore

    Bigiaretti tra Neorealismo e «ricadute di psicologismo»

    I romanzi Bompiani

    Seconda parte

    Storia di un rapporto editoriale

    Una ‘penna d’oro’ per un ‘libro d’oro’

    «La vita o la si vive o la si scrive»

    «Una verità perseguita senza paura»

    Dentro le Indulgenze

    «Tu continui a dare il 50, o al massimo il 60% di te stesso…»

    Un nuovo Bigiaretti

    Finale

    Del modus scribendi bigiarettiano

    «Caro Valentino…scrivo pagine non so quanto utilizzabili, abbozzi, idee narrative»

    Varianti d’autore (e di editore)

    Prima del Congresso

    Da Il Vikingo a La Controfigura

    Sulla  genesi e l’evoluzione di Dalla donna alla luna

    Primo abbozzo del romanzo

    Quarta stesura. Prima pagina della sezione cassata e rifatta

    Quarta stesura

    Terza parte

    Carteggio (1958–1990)

    NOTA AL CARTEGGIO

    Lettere

    BIBLIOGRAFIA

    L’autrice

    A Matilde Crespi,
    testimone e amica

    INTRODUZIONE

    Processi manifesti e sottili, quelli che legano, o meglio legavano, il ‘laboratorio’ e le ragioni poetiche di uno scrittore alla ‘macchina’ editoriale. Il testo al prodotto e alla sua fortuna. Quando la cultura era davvero qualcosa di prezioso da salvaguardare, e la letteratura una delle sue manifestazioni più elevate, in nome di un’esigenza etica che ancora soggiaceva alla visione del mondo, ai rapporti interpersonali, alla condotta attuata nella pratica artistica o lavorativa, e alle scelte che ne conseguivano. Una mitica età dell’oro, in cui il libro era fortemente pensato come prodotto artigianale, con una sua intrinseca specificità e funzionalità al testo, che rimandava a una vasta gamma di modelli e formule.

       Mi riferisco soprattutto al periodo compreso tra il primo Novecento e gli anni Cinquanta, l’era – riguardo alla storia del libro – dell’editore «protagonista», una figura caratterizzata da disposizione alla scoperta e alla ricerca, dal cosiddetto ‘fiuto’ in grado di anticipare trasformazioni e tendenze, dal rapporto reale e personalizzato con ciascun autore o collaboratore coinvolto nel comune processo produttivo. Con questi tratti nasce e si afferma un personaggio come Valentino Bompiani, uomo carismatico, educato alla disciplina (il padre era un ufficiale del Genio e dello Stato Maggiore), signore dai modi eleganti e civili, autore di teatro, pittore per diletto. Nell’omonima casa editrice, fondata nel 1929, lavora con passione per oltre quattro decenni, imprimendovi la propria fisionomia di imprenditore e letterato. Rimarrà sempre particolarmente legato, anche nel ricordo, ai primi vent’anni di questa esperienza editoriale, i più significativi per lui (nonché quelli ormai noti, nella storia della Bompiani, a chi ha familiarità con questo argomento) perché non ancora ‘minati’ da logiche estranee al gusto di scoprire testi o autori e poi di pubblicarli – pur nel difficile equilibrio tra valori di cultura e valori di mercato – in un’ottica di lavoro collegiale, secondo una gestione ad impronta prevalentemente familiare e artigianale appunto. Già a partire dai primi anni Sessanta, infatti, Bompiani avverte i segnali del trapasso: quello di una nuova fase attraversata dal crescente processo di concentrazione e ristrutturazione dell’editoria libraria, con una serie di operazioni finanziarie che contribuiranno all’affermarsi di un apparato più direttamente finalizzato al mercato e al profitto.

       In quest’ultimo scenario – permeato, perché no, di quel fascino crepuscolare tipico di certi momenti di transizione, forieri di consapevolezze nuove, e non solo di declino – si colloca il sodalizio di Valentino Bompiani con un narratore oggi ancora poco noto, persino agli addetti ai lavori: Libero Bigiaretti. Uomo di penna, nonostante le giovanili esperienze come assistente edile, disegnatore tecnico, impiegato e poi, in età matura, dirigente presso la Olivetti di Ivrea: basterebbe sondare l’immenso patrimonio di carte autografe che ne testimoniano la frenetica attività di collaboratore per numerosissime testate nazionali (con interventi a carattere critico–letterario, o di vario interesse culturale, spaziando dal costume, all’attualità, ad altre tematiche attinenti la psicologia o la sociologia contemporanee), nonché la partecipazione a numerose conferenze in Italia e all’estero. Un protagonista interessante, insomma, della cultura del Novecento, che egli ha vissuto quasi per intero.

    È l’incontro di due persone diverse per temperamento ed estrazione sociale, antitetiche, ovviamente, a motivo di quella divergenza che è insita nel gioco delle parti (spesso le ragioni dell’editore non sono quelle dell’autore, e viceversa), eppure complementari, in alcune consonanze di fondo e reciproche competenze, che il relativo carteggio, proposto in questo volume, permette di evidenziare. Colpiscono, in tal senso, il rigore e la profondità di certe riflessioni condotte dallo scrittore su sé stesso e la realtà che lo circonda, così come la complessità dei motivi che si addensano in alcune pagine di Bompiani, consolatorie e lucide nei giudizi critici di colui che sa essere amico e affascinato lettore, e al contempo esperto mediatore verso il consenso di un pubblico nuovo ed esigente; occasionalmente amare e velate di nostalgia, quando il presente destabilizza e il cuore invoca un passato che ormai non ha più ragione d’esistere. Non a caso il Bigiaretti poeta dedica la raccolta del 1986, Posto di blocco (una metafora del punto di arrivo, attorno a cui ruota il tema della vecchiaia e della percezione del lento distacco da ogni cosa) al più anziano Valentino, compagno dell’ultima tranche de vie, cui tempo prima ha affidato i nuovi (se valutati in rapporto alla produzione che precede, perché formulati nell’ottica di una rinnovata tavolozza tematica ed espressiva) lavori narrativi. E Bompiani, in quegli stessi anni, si fa autore di pagine profondissime sulla provvisorietà della vita in rapporto a quella dimensione, affascinante e temuta (la senilità appunto), che «avanza al buio col passo felpato dei sintomi».

       Ma qui siamo già al capolinea di un rapporto che trova nella corrispondenza epistolare il terreno ideale per esprimersi nelle sue diverse sfaccettature, quando ancora il telefono non ha soppiantato la penna o la macchina da scrivere, e la vitalità di un’amicizia è fra le cose più importanti da preservare. Così le lettere parlano della doppia natura, editoriale–imprenditoriale e umano–letteraria di Valentino Bompiani: caratteristica che Bigiaretti bene riconosce e distingue nella sua ambivalenza, tanto da ammettere, esplicitamente, di preferire l’amico all’editore. Sul piano concreto, questo si traduce in un atteggiamento di profonda partecipazione, da parte di Bompiani, nelle scelte che riguardano l’autore, mediante consigli stilistici ed una collaborazione inter pares, bidirezionale, nella realizzazione del prodotto libro, dalla ricerca di copertine efficaci, alla scoperta del titolo, alle strategie e alle operazioni di lancio e promozione pubblicitaria. Emblematico l’episodio di Disamore, i cui caratteri paratestuali dipendono in buona parte da quella disposizione dell’editore a concedere, persino nella scelta della collana cui affidare il successo di un libro. In questo caso, un volume di modeste dimensioni, già pubblicato nel ’56 da Nistri–Lischi, ma in una tiratura così limitata da giustificarne la nuova edizione. Tanto più che a Bigiaretti importa anche ribattezzare i lavori precedenti nel nome di Bompiani. Un prodotto, insomma, adatto ad essere venduto nella serie dei ‘Delfini’, raccolta di successi a costo contenuto e in una veste non rilegata. Accade invece che Valentino ceda alla volontà del suo autore ed ecco che l’opera esce nella più prestigiosa ‘Letteraria’, trasformando l’ormai superato Disamore in un libro ‘nuovo’: alla Nota dell’autore apposta al volume, il compito di rammentare ai lettori l’origine di questo romanzo epistolare, che in un passato ancora più lontano fu pubblicato privo della sua seconda parte col titolo di Un discorso d’amore. Con un occhio alla stampa, fra annunci e recensioni, scopriamo che Bompiani comunque non ha fallito il colpo. Il libro è salutato assai favorevolmente, e rispetto a quello di Nistri–Lischi viene definito come «vecchio e nuovo al tempo stesso», anche a motivo di «altre, determinanti correzioni», sì che è possibile considerarlo a tutti gli effetti come una «versione definitiva».

      Tutto ciò, si badi, nel corso degli anni Sessanta, un periodo già altro rispetto a quello proto–industriale degli editori «protagonisti», tant’è vero che nelle carte d’archivio compaiono progressivamente nuove figure, deputate a sostituire Bompiani nelle varie funzioni del meccanismo produttivo. Ma, prima ancora di questi e altri aspetti paratestuali, il carteggio rende le motivazioni che soggiacciono alla poetica di un Bigiaretti intimamente risentito nei confronti di un establishment penalizzante e ingiusto, e che molto rivelano in merito a quella sorta di timidezza creativa bonariamente additata come una colpa dallo stesso interlocutore, culminando in un episodio realmente accaduto. Ad esso si riferisce un saggio–libello dal sapore quasi settecentesco, oggi praticamente caduto nell’oblio: Il dito puntato. Lettera all’editore con una risposta del medesimo (1967). Uno spartiacque nell’esperienza letteraria di Bigiaretti, rispetto a un prima, fecondo dal punto di vista creativo ma ancora incerto rispetto alla strada da percorrere, e a un dopo, che in virtù della presenza maieutica di Valentino sollecita nell’autore quanto di potenzialmente nuovo aspettava di essere realizzato.

       Al pari di quel volumetto (ma con l’ulteriore pregio, ovviamente, di essere ancora più autentiche), molte delle lettere ritrovate valgono come esempi tutt’altro che irrilevanti all’interno del genere epistolare. Il che non esaurisce l’interesse dell’argomento. A noi, uomini del terzo millennio, esso  restituisce un sottobosco di nomi, episodi, protagonisti, che come certi documentari in bianco e nero arricchiscono di gustosi particolari i fatti principali. Anch’essi colmando vuoti e omissioni che il tempo, con la sua distanza storica, rende con più fascino allo studioso di oggi.

    Questo volume nasce dalla mia tesi svolta nell’ambito del Dottorato di ricerca in Storia e Letteratura dell’età moderna e contemporanea, L’editore e l’autore: Valentino Bompiani e Libero Bigiaretti. Con carteggio inedito, Università Cattolica del Sacro Cuore, a. a. 2006 –2007, coordinatore Prof. Danilo Zardin.

    Si ringraziano Matilde Crespi e le figlie di Valentino Bompiani, Emanuela e Ginevra, per l’autorizzazione concessa alla pubblicazione del materiale inedito. Un doveroso ringraziamento è pure rivolto alla dott.ssa Raffaella Gobbo del Centro Apice dell’Università degli Studi di Milano e al prof. Marco Bologna, alla dott.ssa Nicoletta Trotta del Centro Manoscriti dell’Università di Pavia e alla sig.ra Candida Rossi di RCS Libri, nonché al prof. Giorgio Baroni, per i pareri dispensatimi nel corso del lavoro di ricerca e durante la sua stesura. Un pensiero riconoscente va ai miei genitori, che per primi mi hanno trasmesso l’amore per i libri e per la cultura.

    La presente pubblicazione è stata realizzata grazie alla collaborazione della Metauro Edizioni.

    Prima parte

    I personaggi, i loro destini

    Vorrei vivere in una casa comune

    con tutti quelli che amo. Forse è per

    questo che ho fatto l’editore.

    Valentino Bompiani, Via privata

    O scrivere o dipingere: per me non

    c’è scampo; o altrimenti, visto che non

    sono quel che si dice un uomo di

    azione, prevarrebbero in me tentazioni

    o abitudini assai peggiori della letteratura.

    Libero Bigiaretti, Schedario

    Tracce di Bompiani editore «protagonista»

    La memoria, il tempo, la scrittura

    «I libri li scrive qualcuno, che non è lui. Li stampa, normalmente, un altro, che non è lui. Li vende un terzo, che non è lui. Di suo, di se stesso, l’editore ci mette l’amore».{1}

    Se si volesse esprimere in un aforisma la cifra distintiva di Valentino Bompiani, non si potrebbe che scegliere questo suo pensiero, inciso sulla pagina bianca come nitida immagine per mano di un artista del passato. Ad ispirarne l’atto, l’intenzione di ricordare, è la dimensione fuggevole e transitoria del presente, che per la sua pregnanza e intensità esige di essere fermato e sottratto all’oblio del tempo. Oppure recuperato, quando il distacco rende amabile il ritorno ad avvenimenti antichi, più che a quelli recenti. Così nei Dialoghi a distanza Bompiani ricorda di avere mescolato «la vita e il lavoro come se richiedessero i medesimi sentimenti», scrivendo «non più un libro di memorie, ma di memoria», un’opera «quasi viscerale» dove ogni parola diventa non un «inerte ricordo, ma sangue vivo, cellule di vita».{2} Ne Il mestiere dell’editore, i toni si fanno invece decisamente più cupi, parlando l’autore di un «libro postumo» che raccoglie cose del passato, perché «chi l’ha scritto e ordinato sta alla ribalta di se stesso con le parole tirate fuori dalle viscere, a futura memoria».{3}

       In realtà, molto tempo prima, fu un ‘diariomane’ per eccellenza come Cesare Zavattini ad intuire che dalla penna di Bompiani (allora l’editore era già un commediografo di discreto successo, autore di testi teatrali oggi quasi dimenticati){4} avrebbe potuto prendere forma un genere letterario a metà fra l’aneddotica e la scrittura memorialistica, ravvisandone gli aspetti di maggior valore:

    il libro di un editore che diventa il libro di uno scrittore, lo puoi fare tu solo – credo che non ci siano neanche dei precedenti – non un libro di ricordi, un libro piacevole più o meno documentario, ma un libro dove la stessa materia di ricordo apparentemente cronaca può diventare arte perché è la tua posizione più autentica e più libera anche nelle reazioni: prevedo che cosa puoi dire, e in che modo, dei tuoi rapporti con lo scrittore e soprattutto con la cosa scritta, della commistione tra cifre e poesia, cioè della tua costante presenza di uomo in ogni atto pratico o spirituale. Qualcuno potrebbe aspettarsi da te un libro piacevole, una causerie, qualche cosa di amabile e di elegante – invece è il contrario – io sono certo che farai un libro in cui finalmente rivelerai a tutti con grande naturalezza che anche in te, come negli uomini migliori di questi anni, non un atto e non un minuto passano invano e che tutto viene ridotto a una misura molto rigorosa. [...] avrai la gioia e la facilità (che ogni artista ha, proprio facilità) di una identificazione di te stesso quasi inconsapevole – e ti servirà poi per altre opere, compreso il teatro [...] Lo sai che vedo il tuo libro così chiaro che non mi stupirà in nessuna pagina – perché nel libro ci sarai integralmente tu.{5}

    Allude al primo libro di Bompiani, «sincero e ‘sofferto’», che prenderà il titolo di Via privata.{6} Sull’argomento l’eclettico Zavattini ritorna in una lettera del ’44:

    E tu? Lavori al tuo diario? Non ti ripeterò mai abbastanza che quello sarà la tua opera – avere il coraggio di essere  editore in toto sì da farne il diario, vuol dire essere scrittore. Rifletti molto su queste parole che sono il segreto della tua situazione. Puoi fare – e l’inizio c’è già a quell’altezza – un Libro importante – per i nostri anni, un libro di uomo e di uomini, un libro, il tuo libro. Insisto perché lo puoi fare, è certo.{7}

    Nei più accorti e sensibili (uomini di cultura ma non solo), il clima bellico impone l’urgenza di scrivere, di annotare, raccontando il presente o ciò che si è stati, ed è significativo che nei locali della Casa milanese una giovane ragazza, nipote dell’editore – la segretaria Silvana Mauri – si accinga a redarre un diario editoriale, dietro richiesta dello stesso Bompiani, lasciandosi in realtà trasportare dal proprio vissuto emotivo.{8} Nell’aprile di quello stesso ’44, trasferitosi con la redazione a Firenze a causa dei bombardamenti su Milano, e alle prese con la realizzazione del Dizionario Letterario delle Opere e dei Personaggi,{9} Valentino risponde a Zavattini:

    Sì, il mio libro, come lo chiami tu, va avanti. Ci lavoro tutti i giorni, magari tre righe. Oggi, per esempio, ho scritto questo: "Carlo Emilio Gadda doveva tradurre Gli amori di Meneghino del Maggi per la Commedia Italiana. Abita a Campo di Marte. Le case vicine alla sua sono crollate sotto le bombe." [...]

       Te lo scrivo perché mi domando se si può fare, se sono autorizzato a fare un libro anche così. Se uno ha diritto di farlo, da vivo, quando non ha dietro le spalle, che so? Le rouge et le noir?

       Resisto alla tentazione di mandartene altre parti (ne ho circa 150 cartelle). Certo l’aver perduto il materiale grezzo con quella famosa valigia, le annotazioni immediate, mi rende il lavoro più difficile. Ho sempre paura di accomodare troppo. Posso salvarmi se riesco a dare i ricordi così come li conservo, lacunosi, arbitrarii e non ricostruiti narrativamente. Ti pare giusto? E tu incoraggiami, come fai, tanto affettuosamente. Mi impongo di essere sincero fino all’osso, mescolando anche la frivolezza, anche le donne. E scegliere poi. Sceglierai tu.{10}

    In effetti, Via privata si presenta come un racconto a metà strada tra le pagine di un diario ‘occasionale’, con le annotazioni registrate al momento in cui i fatti avvengono («Aneddoti e parole li ho raccolti io, come è capitato: certi giorni ho annotato un incontro, un fatto, una considerazione a me stesso»),{11} e la ricostruzione retrospettiva tipica della memoria, dove a prevalere è però quest’ultima. «La mano che in fretta annotava, l’ansia di non dimenticare»,{12} giustificano «la mancanza di struttura, l’occasionalità, le incongruenze, i vuoti, la ‘incoscienza storica’ (Bompiani parla di «scrittori, di libri, di idee, trascurando la storia»).{13}

       I fatti sono quelli legati alle tappe più significative della sua affermazione come editore – dall’educazione familiare, all’apprendistato in Mondadori, fino alla fondazione della Bompiani, nel 1929 – e agli incontri o agli episodi più importanti della propria vita professionale: la nascita della collana ‘Idee nuove’, diretta da Antonio Banfi; la traduzione degli americani; i bombardamenti di Milano e il trasferimento a Firenze fra il ’42 e il ’44; l’intenso legame con gli autori più fedeli (fra cui Vittorini, Bontempelli, Piovene, Savinio, Zavattini, Alvaro); il fervore dei progetti del dopoguerra e l’incontro con Jean–Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus. Fra tutti, assume un posto centrale il Dizionario Letterario delle Opere e dei Personaggi, l’opera della quale Bompiani si sentiva indubbiamente più fiero e la cui realizzazione è raccontata con toni di grande partecipazione affettiva.{14}

       Il suo libro di memorie presenta l’immagine di una casa editrice come un centro di cultura, nella quale molti letterati trovavano una collocazione oltre che come autori, in qualità di traduttori, o di collaboratori nell’ideazione di importanti collane. Di alcuni protagonisti Valentino Bompiani ci offre ritratti inusuali, talvolta fissati nell’esiguo spazio di una pagina, ma tutti egualmente brillanti ed estremamente vividi, nella descrizione delle loro particolarità fisiche (come nel caso di Ungaretti, che «ha il collo di una tartaruga e le labbra lisce e consunte dei rettili»){15} o spirituali (Ferdinand Lion «Probabilmente ha due facce: una per stabilire la nettezza dei rapporti e l’altra per una certa tattica intimidatoria che è frequente nei timidi»).{16}

       I suoi autori più amati ritornano, come i personaggi di una scena teatrale, nei Dialoghi a distanza, colti in una sorta di monologo interiore o in un dialogo immaginario con lo stesso autore:

    Anche in queste pagine, altrettanto legate alle occasioni, parlo di scrittori, di libri e di idee ma, a guardar meglio, la prospettiva è cambiata: prima venivo alla ribalta a cantare il duetto, qui sono nella buca del suggeritore con un copione sconosciuto. Non più un libro di memorie, ma di memoria quasi viscerale [...] Poiché ho sempre avuto in testa l’idea che uno scrittore, una volta entrato nella Casa editrice, non dovesse più lasciarla, ho imparato a parlare coi morti.{17}

    Per Valentino Bompiani il ricordo è essenzialmente ‘abitato’ dalle parole degli altri (gli scrittori, gli artisti, gli intellettuali, che «ti lasciano almeno un’idea o anche solo un aggettivo»){18}, le quali secondo la sua visione sono «la vita che si è espressa, i rapporti, la storia, un richiamo inevitabile dei sentimenti».{19} Nei Dialoghi a distanza, al genere ‘memoria’ è associato quello del racconto filosofico, nel quale i fatti, probabilmente accaduti, assumono un valore metaforico. Esemplare, fra gli altri, l’incontro con Brancati, il romanziere che «aveva sul viso un meccanismo allo scoperto: ombre come pulegge tra gli occhi, la bocca e la fronte»; da esso nasce un profondo dialogo che affronta i temi della giustizia, della libertà di pensiero, del progresso.{20} I protagonisti di questo romanzo ideale, molti dei quali non erano più in vita, sono spesso colti in movimento, durante una passeggiata, al tavolo di una trattoria o nel corso di una cerimonia. Ritornano, dopo Via privata, aneddoti e ritratti, accompagnati però dalla meditazione. Emerge, in definitiva, il senso di gratitudine e di profondo rispetto verso gli autori, ognuno dei quali ha interpretato un ruolo essenziale all’interno della casa editrice, nel periodo che  Bompiani ha amato di più.

       Non a caso, precede questi ‘dialoghi a distanza’, un capitolo in cui l’autore giustifica la decisione che lo aveva portato a cedere l’azienda, esplicitando anche il modo d’intendere il proprio mestiere:

    Il problema stava nel cambiamento tra l’editore protagonista e la tecnologia industriale.

    Ci sono vari tipi di editori: c’è l’editore ideologico, che scegli i libri come tessere di un mosaico ad ornare la volta della sua «chiesa». [...] C’è l’editore letterario, il quale, in definitiva, non sceglie libri ma aggettivi [...] C’è l’editore Barnum che sceglie libri saltando nei cerchi di fuoco  [...] C’è l’editore tipografo, la cui statura è misurata dalle ore d’impiego delle sue macchine, coedizioni comprese. C’è l’editore libraio che un giorno si è lasciato tentare pubblicando le poesie del direttore della scuola oppure una guida della città. [...] C’è l’editore erede, stilé e malinconico, inevitabilmente portato, se vuol salvarsi, ad essere fedele agli antenati [...] C’è l’editore enciclopedico, che ha del mondo un’idea da officina di prefabbricati [...] C’è l’editore popolare, che deve avere consonanze elementari con le canzoni d’amore e con la «saggezza» dei proverbi. C’è l’editore di pronto intervento, come i vigili del fuoco; non è ancora spento nella cronaca «l’incendio», che esce il libro documentario. [...]

                 Infine c’è l’editore protagonista.{21}

    Ossia colui che, sul piano concreto, traduce la sua natura in un atteggiamento di profonda partecipazione, emotiva e professionale, alle scelte legate al proprio lavoro: orientando secondo un gusto innato e personale l’intero processo che muove dal reclutamento di un autore fino alla distribuzione del prodotto libro sul mercato, e intervenendovi direttamente; o dispensando consigli, anche stilistici, ai propri scrittori. In una prospettiva storico–sociologica si è soliti attribuire tale tipologia di editore (lo stesso si potrebbe dire per Einaudi, Rizzoli, Sonzogno, Treves, Mondadori){22} ad una prima fase artigianale, o ‘protoindustriale’, della nostra editoria, cui seguirebbe quella caratterizzata dall’adozione di logiche e strutture mutuate dal sistema neo–capitalistico e aziendale.

    Che cos’è e che cos’era un editore protagonista? Quegli eccessi di valutazione dovuti all’entusiasmo; quella fiducia che precede il libro, quell’affidarsi all’intuizione invece che al marketing sono i suoi punti di forza e insieme di debolezza. [...] L’editore protagonista riesce a trasferire nella scelta la propria natura: curiosità, esigenze, insoddisfazione e orgoglio, dubbi e speranze [...] Quell’editoria è destinata a scomparire sotto le ruspe dell’industrializzazione.

       Quando, avanzando nell’età, mi interrogavo se dovevo passare la mano, sentivo dentro di me un moto di coscienza che mi sollecitava a farlo: un editore è vivo e valido quando esiste una parentela segreta tra il suo destino e il destino della sua generazione. Col tempo, quella parentela si va vanificando...{23}

    Bompiani al presente

    Si comprende, dunque, perché nei suoi libri Valentino Bompiani avesse preferito parlare – seppure in modo sostanzialmente acritico – dei primi vent’anni della sua attività,{24} arrestandosi alle soglie della trasformazione che vede il passaggio da un’editoria tipo ‘artigianale’ ad una organizzata secondo logiche più industriali.{25} Altri frammenti e tasselli di indubbia valenza storiografica possono essere ricavati, in parte, dalle carte dello stesso editore: una mole preziosa di documenti, corrispondenze, appunti manoscritti di riunioni redazionali, testi autografi, recensioni e materiale promozionale, fotografie e ricordi di famiglia. Il tutto inventariato come materiale dell’Archivio personale Bompiani.{26}

       Come qualcuno ha già sottolineato, in queste carte «l’elemento personale è da intendere in modo restrittivo e letterale, ossia di ‘relativo alla persona’, ma non di ‘privato’ e tanto meno di  ‘riservato’».{27} Troviamo quanto attiene alla persona e non all’imprenditore,{28} poiché si tratta di testimonianze diverse che rappresentano

    quanto egli stesso considerava significativo e desiderava conservare ed avere a disposizione come ricordo o come prova dell’attività svolta. Solamente un legame emotivo con l’evento testimoniato nelle carte e l’opportunità di mantenere una prova documentale di quell’evento possono aver motivato la conservazione di quelle testimonianze. Ogni elemento di quest’archivio ha prima di tutto una precisa utilità come prova: ad un livello più interiore si può spesso ravvisare la presenza di un’utilità indeterminata, piuttosto che di una pragmatica e definita. In entrambi i casi Valentino Bompiani conservava solamente ciò che superava un’inconsapevole valutazione critica del valore testimoniale del documento in esame. Non vi è stata conservazione casuale e accidentale di alcun documento se non, forse, di alcune carte marginali, e tutto quanto ci è stato trasmesso rispondeva ad una precisa esigenza costante nella durata della non breve vita di Valentino Bompiani: l’esigenza di ‘ricordare’ quanto egli stesso riteneva fosse buona cosa ricordare.{29}

    In Bompiani, uomo pragmatico e modernissimo rispetto alla realtà del proprio tempo, il passato convive con una tensione tutta volta al presente. È questa, si è visto, ad ispirare la scrittura di Via privata, e da un certo punto di vista anche i libri che seguono (solo misurandosi con la realtà esperita il pensiero si rifugia nel ricordo di ciò che è stato) benché vi si trovino minimi cenni agli avvenimenti più recenti. Intravediamo quindi nei documenti personali, che nel presente trovano appunto la loro ragione d’esistere, sensazioni, episodi e protagonisti relativi ad un periodo altrimenti poco noto. Ne consegue che anche il concetto di autobiografia, in un’accezione più vasta, può essere esteso a simili fonti (comprendenti le lettere e i carteggi fra l’autore e l’editore, gli incontri e i sodalizi con i vari interpreti del mondo culturale, gli appunti di lavoro, ecc.), intendendo con esso

    non tanto «un nuovo genere letterario» in cui il ricordo dell’editore diviene consapevole del ruolo culturale, civile, economico del proprio mestiere consegnando «ai posteri la sua esperienza», quanto un attingere alla propria esperienza attraverso la sensibilità dell’autore e le diverse sfaccettature del proprio lavoro.{30}

    In quest’ottica, una visione dall’interno della Casa editrice, è offerta dalla corrispondenza con Fabio Mauri, nipote dell’editore e responsabile, dopo lo storico redattore Carlo Raguzzi, della sede romana.{31} Esponente dell’avanguardia pittorica e vicino per interessi ed attività al ‘Gruppo ’63’ (suo il contributo alla fondazione della rivista «Quindici»), questi fu assodato dalla Bompiani nel ruolo di ‘assistente editoriale’, ma nella pratica finì per esercitare una funzione vicaria rispetto a quella dell’editore: come emerge dai documenti d’archivio, i suoi compiti spaziano dalla supervisione dell’ufficio commerciale, alle pubbliche relazioni, ai contatti con la stampa, al lavoro di redazione per la fortunata rivista «Sipario».

       La corrispondenza con l’editore interessa il periodo dal 1958 ai primi anni Settanta, un momento piuttosto ostico, in verità, nella storia della Bompiani, specialmente se paragonato alla fase ‘gloriosa’ dei decenni che precedono.{32} Tale annotazione ci permette sin d’ora di contestualizzare il carteggio con Libero Bigiaretti, colorandolo di senso: l’autore marchigiano è infatti assodato nel 1960, e le rispettive lettere si collocano in quel medesimo arco di tempo. Apparentemente, un dato poco rilevante, non fosse che per un secondo particolare: ossia il fatto che nell’Archivio personale siano confluite proprio quelle lettere, connotate anche fisicamente come Carteggio con Libero Bigiaretti,{33} mentre la corrispondenza con gli altri autori (persino i più grandi e amati), è rimasta nell’Archivio della Casa editrice, suddivisa in faldoni secondo il nome di ciascuno.

      Con riferimento alla storia della Bompiani, gli anni Cinquanta segnano un periodo di stabilità ma senza un particolare impulso innovativo (nascono unicamente tre collane, rispetto alle nove realizzate nel decennio precedente), ed è solo nel 1958 che la casa editrice inizia a mostrare un primo segnale di ripresa, soprattutto grazie all’uscita del nuovo «Almanacco Letterario». La rivista, nata nel 1930 in funzione divulgativa dei grandi temi culturali e artistici e interrotta nel ’42 per cause belliche, si presenta ora in una veste rinnovata, legando anche in seguito il suo successo al carattere monografico della pubblicazione. Non è un caso, forse, che la corrispondenza di Bompiani col nipote Fabio prenda avvio da questo argomento (in particolare, da essa è possibile ricavare notizie interessanti sulle operazioni di lancio e sulle ‘trattative’ per la diffusione dell’«Almanacco»), se è vero che «di ‘personale’ egli in genere conservava solo quanto gli era utile nella prassi e quanto rappresentava un ricordo piacevole», dove un certo «‘gradimento’» della vicenda

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