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Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 2019)
Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 2019)
Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 2019)
E-book519 pagine3 ore

Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 2019)

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Info su questo ebook

Fondata nel 1979 da Mario Gabriele Giordano, “Riscontri”, la Rivista che Mario Pomilio ebbe a definire “bella e severa”, ha sempre conservato la sua fondamentale connotazione così originariamente definita nell’Editoriale programmatico: «la fede in una cultura che non sia strumento in rapporto a fini prestabiliti, ma coscienza critica della realtà; non filiazione di precostituite ideologie, ma matrice di fatti e di comportamenti anche etici e politici: che insomma proceda e operi nel vivo della comunità civile non per dogmi ma per riscontri».
In questo numero:
  • Il “proto-romanzo” nel Cinquecento
  • La Divina Commedia secondo Go Nagai
  • Foucault: uno strutturalista romantico?
  • I poeti vati nella cultura indoeuropea
  • Il Cinquecento e la nascita dell’editoria: la figura di Aldo Manuzio
  • L’utilizzo politico della genealogia di Enea
  • Le cinquecentine della biblioteca della Verna
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2019
ISBN9788835351320
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    Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità - Riscontri

    Riscontri

    RISCONTRI. RIVISTA DI CULTURA E DI ATTUALITÀ

    N. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 2019)

    Tutti i diritti di riproduzione e traduzione

    sono riservati

    Revisione del testo a cura di

    Lorena Caccamo

    sito : servizieditorialiloreca.wordpress.com

    email : loreservizieditoriali@gmail.com

    Responsabile : Ettore Barra

    Registrazione presso il Tribunale di Avellino, n. 2 del 15/03/2018

    Amazon Media EU S.à.r.l. (AMEU), 5 rue Plaetis, L-2338 Luxembourg

    Anno XLI (Nuova Serie II) - N. 3, SETTEMBRE-DICEMBRE 2019

    Periodicità: quadrimestrale

    email: direttore.riscontri@gmail.com

    sito: www.riscontri.net

    UUID: 64709d16-2958-11ea-bb57-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    EDITORIALE

    Due anni di Riscontri

    STUDI E CONTRIBUTI

    «Perduta la pristina forma» Le Metamorfosi di Lorenzo Selva e il proto-romanzo nel Cinquecento

    «Come posso diventare luce?». La Divina Commedia secondo Go Nagai

    Roma e i romani nei canti della Città

    Se Foucault è uno strutturalista romantico e non lo sa

    OCCASIONI

    Il ruolo (reale) dei mass media. Dalla radio ai social media

    La poesia e i poeti vati nella cultura indoeuropea delle origini

    Processo a Giordano Bruno. Il sangue, prezzo della libertà di pensiero

    L’utilizzo politico della genealogia di Enea dalle guerre macedoniche ai giorni nostri

    Søren Kierkegaard e il problema della instabilità del possibile. Una teologia esistenziale fra paradosso e autenticità

    ASTERISCHI

    Uomini e donne: una guerra inutile

    RECENSIONI

    Tutto il Cinquecento a portata di mano. La biblioteca della Verna e Aldo Manuzio

    Note

    EDITORIALE

    Due anni di Riscontri

    di Ettore Barra

    Questo numero chiude il secondo anno di attività della nuova serie di Riscontri. Due anni che ci hanno visto tutti, a vario titolo, impegnati nello sforzo corale di ridare slancio a un’avventura quarantennale nata su un fondamento – quale quello della «fede in una cultura» intesa come «coscienza critica» e non « filiazione di precostituite ideologie» – sempre più attuale in un mondo che sembra alla deriva.

    Un mondo smarrito e, per l’appunto, « senza padri» di cui ci parla Mario Gabriele Giordano – Fondatore, e tutt’ora colonna portante, di questa testata – nella nuova pubblicazione, edita dal Terebinto, di cui ci onoriamo di fare omaggio a tutti gli Abbonati. Una raccolta di editoriali – presentata con la magnifica prefazione di un esponente storico di Riscontri, Francesco D’Episcopo – che prosegue il ciclo avviato nel 1998 con l’ Elogio dell’intolleranza e poi, nel 2009, con Il tramonto dell’intellettuale . Editoriali e articoli densi di saggezza e di esperienza che meritavano una nuova vita in pubblicazioni autonome, destinate a diventare un patrimonio di spunti e di riflessioni utili per chi ancora persiste come Diogene nella ricerca « dell’uomo » (per citare gli aforismi vagabondi , pubblicati nel 2017 per i tipi del Terebinto, di Una lanterna accesa ).

    Fa particolarmente impressione la riflessione di Giordano su di una paternità progressivamente svuotata di «quella ricca pregnanza di valori […] con saldo riferimento al senso della responsabilità, dell’autorità e dell’amore per ridursi molto spesso a semplice termine giuridico-biologico » . Proprio in tempi in cui quest’ultimo – con un mascherato quanto frontale attacco al principio di realtà – viene perfino negato e disconosciuto dal linguaggio istituzionale che – insieme a quello di madre – lo ha ormai espunto in quanto lessico arcaico e discriminante. Molto meglio, dicono i nuovi ideologi, riferirsi a più vaghi e meno impegnativi genitori 1 e 2. Piccoli aggiornamenti linguistici e meramente burocratici dietro i quali si celano, in verità, svolte epocali e, al tempo stesso, talmente moderne e scontate da non dovere essere sottoposte ad un vero dibattito pubblico. Meta finale di quel processo disgregante e dissolutore che Mario Gabriele Giordano ha denunciato per tanti anni dalle pagine di Riscontri e che – a maggior ragione – merita di essere analizzato in questo frangente storico.

    Una nuova serie di Riscontri, quindi, saldamente legata alla tradizione ma – allo stesso tempo – votata all’innovazione. Ne sono un esempio il nuovo modello di copertina, adottato già a partire da questo numero, e ancora di più il felicissimo esperimento dei concorsi letterari che hanno visto una larghissima ed entusiasta partecipazione. Concorsi – con premio in pubblicazione – di saggistica, di narrativa e di poesia che ci apprestiamo a riproporre con formule sempre nuove.

    Tutto questo, cari Abbonati, è possibile solo grazie al vostro sostegno e alla vostra opera di diffusione presso amici e conoscenti. Ringraziandovi della preferenza che continuate ad accordarci, non resta che augurare a tutti voi un sereno Natale ed un felice 2020.

    STUDI E CONTRIBUTI

    «Perduta la pristina forma» Le Metamorfosi di Lorenzo Selva e il proto-romanzo nel Cinquecento

    di Matteo Bosisio

    Struttura e ragioni di un successo editoriale

    Nel 1582 viene pubblicata, presso lo stampatore Tintinnassi, l’opera Delle metamorfosi cioè trasformazioni del virtuoso [1] . Scritta da Lorenzo Gerli, più conosciuto con lo pseudonimo di Lorenzo Selva, narra in prima persona la storia travagliata di Acrisio, che lascia il paese d’origine di San Marcello (vicino a Pistoia) per recarsi a Napoli a rivendicare l’eredità del padre, un ricco nobile appena deceduto [2]. Il protagonista era stato convinto dall’infanzia di essere figlio di un pastore; nondimeno, l’occasione di incamerare cospicue ricchezze convincono l’avida madre a raccontare la verità. La partenza appare sofferta, perché ostacolata da Clori, l’amante gelosa di Acrisio. I sospetti della giovane si rivelano legittimi, perché, dopo pochi giorni dall’arrivo in città, una dama avvenente si innamora del protagonista; egli, però, non contraccambia le sue attenzioni e viene trasformato per ripicca in un serpente [3]. Tale metamorfosi sottopone Acrisio a continue prove e a gravi pericoli [4]. L’esperienza avventurosa consente comunque di conoscere diverse realtà e di osservarle da una prospettiva singolare e privilegiata [5]. Tornato in modo rocambolesco a San Marcello, il personaggio riesce ad assumere di nuovo le sembianze umane (pristina forma). Tuttavia, Clori, mentre decide di riconciliarsi con l’amato, muore per la puntura di un ragno.

    L’opera, divisa in quattro libri, risulta un’articolata commistione di generi e registri, in quanto lo scrittore inserisce nel testo tredici novelle e numerose digressioni (poesie, disquisizioni di ordine culturale e religioso). In particolare, nel secondo libro il viaggio di Acrisio è allietato da un giovane che recita alcuni versi virgiliani e petrarcheschi (pp. 42-45) e da un pellegrino, affascinato dal tema delle metamorfosi (pp. 45-50). Nel terzo libro il protagonista, già tramutato in serpente, cerca affannosamente di tornare in patria: lungo il suo accidentato tragitto si imbatte in diversi personaggi, che narrano dodici novelle (pp. 98-252); nel quarto, il protagonista, preoccupato per la possibile accoglienza negativa di Clori, viene rassicurato dal racconto di un pastore (pp. 290-300).

    Possediamo poche notizie sullo scrittore, nato nel 1530 a San Marcello, come il protagonista delle Metamorfosi [6] . Compie studi privati a Pistoia e a tredici anni veste l’abito dei Minori osservanti del convento Giaccherino. Dopo aver studiato teologia presso l’Università di Parigi, diviene famoso per l’attività di predicatore, che svolge in diverse città italiane (Firenze, Bologna, Padova, Venezia e Napoli). Le sue opere, a parte le Metamorfosi , sono di carattere religioso: nel Cinquecento risultano apprezzati dal pubblico i volumi Della conversione del peccatore (cinque edizioni dal 1577 al 1589) e Della virtù (due edizioni nel 1580-1581) e le Lezioni su diversi libri biblici (nove edizioni dal 1579 al 1599). Questi testi non sono proposti soltanto da tipografi minori o specializzati in temi sacri e liturgici, ma anche dai maggiori stampatori dell’epoca (Marescotti a Firenze; Lucantonio Giunti il Giovane e Giolito a Venezia) [7]. Si aggiunga che i celebri Filippo e Iacopo Giunti sono gli editori fiorentini delle Metamorfosi , pubblicate negli anni 1583, 1591, 1598, 1609, 1615 [8]. L’opera è altresì stampata a Venezia da Pietro Farri (1616) e tradotta in francese da Jean Baudoin ( Métamorphose du vertueux , Paris, Sevestre, 1611 e Paris, Gilles, 1611) [9]. Sicuramente conosciuta anche in Spagna, risulta una delle fonti principali delle novelle del Para algunos dello scrittore Matías de los Reyes (Madrid, Sanchez, 1640) [10].

    Alla luce di questa panoramica, l’operazione di Filippo e di Iacopo Giunti si distingue per almeno due aspetti di rilievo, ovvero la prontezza con cui gli stampatori pubblicano l’opera dopo un solo anno dall’uscita della princeps e la costanza nel riproporla e rinnovarla nel tempo. Entrambe, prontezza e costanza, non solo testimoniano l’abilità dei Giunti nell’assicurarsi il testo e nel valorizzarlo, ma segnalano anche il successo riscosso dalle Metamorfosi presso il pubblico [11]. L’opera intercetta il gusto dei lettori del tardo Cinquecento, alla ricerca di novità e di continue sollecitazioni culturali [12]. Non è un caso che i Giunti, nel quindicennio che corre tra la prima edizione e la terza, puntino sulla narrativa e sulla prosa, incrementando la propria offerta con la Scelta di facezie, tratti buffonerie, motti e burle (1580, 1586, 1593, 1594), le Istorie delle Indie orientali di Giovanni Pietro Maffei (trad. da Francesco Serdonati, 1589) e soprattutto con i volgarizzamenti dell’ Asino d’oro (trad. da Agnolo Firenzuola, 1598) e de L’amore di Clitofonte e Leucippe (trad. da Francesco Angelo Coccio, 1598). Parimenti, l’importanza dell’edizione è evidenziata dall’identità del dedicatario, Iacopo Boncompagni [13].

    La cura editoriale dell’opera – stampata in 8 ⁰ , tipico formato da bisaccia – denuncia una certa disponibilità verso l’orizzonte d’attesa: l’interpretazione del testo, non sempre immediata, viene chiarita dal proemio (pp. 6-9), da un successivo appello al benigno lettore (pp. 10-16) e agevolata da rubriche, sommari, da una tavola esaustiva delle cose più notabili (pp. 351-384), dalla segnalazione degli errori di stampa (p. 385). Inoltre, il carattere corsivo distingue le parti in prosa da quelle in poesia, stampate in tondo; i rientri e i paragrafi aiutano a distinguere le varie sezioni in cui si articola il testo, non privo di digressioni. I margini laterali riportano sovente commenti, glosse, avvisi di lettura, riferimenti alle fonti impiegate [14]. Questa solerzia è prassi abbastanza frequente presso gli stampatori più prestigiosi ma, come sottolinea Selva stesso, non scontata [15]:

    io non ho potuto senza mio dispiacere vedere in luce questa mia picciola fatica, carissimi lettori. […] Et sì, perché l’ho veduta in quella prima stampa [ scil . quella orvietana del 1582] così piena d’errori che non una volta, ma infinite ho biasimato me stesso d’averne fatta copia a qualche amico [16].

    Nel proemio lo scrittore dischiude poi al pubblico il significato più profondo della sua opera, da intendere in senso allegorico e morale:

    il nostro Acrisio, secondo che più giù sentiremo, non in sasso è cangiato, come l’altro Acrisio padre di Danae, ma in serpente, come a mostrare che cerca della prudenza. E così ritorna a Clori, che significa la vera virtù, appo la quale è restituito nella pristina forma: non appo donna della città, che accenna la virtù speculativa né appo le giovani della villa, che la morale significano, essendo la sola grazia di Dio quella che ci rende la divina imagine. Ma costei, comunque del nostro ritorno si rallegri, nondimeno, perché del letto onde Acrisio è uscito non è tolto via il vestigio rimasovi, restando anco in lui le reliquie del peccato – e bene anco la madre vive, che la legge della carne significa – non li ti mostra molto amorevole. Il che fa quando appieno il vede dal vizio purgato – che fu dopo la morte della madre, come nel quarto libro si dirà – et allora morendogli in braccio da lui si parte, atteso che ’l vero virtuoso lontano da ogni presenza sensibile deve gustare la virtù [17].

    Il cenno alla mitologia greca – Acrisio muore pietrificato dopo aver visto per sbaglio la testa di Medusa – si sovrappone al riferimento evangelico, in cui il serpente è simbolo di accortezza ( Mt X, 16: «estote ergo prudentes sicut serpentes » [18] ). La madre, che costringe il figlio a partire per Napoli, è vittima della cupidigia e dell’egoismo. La donna della città che si innamora del protagonista incarna la ragione e la cultura, insufficienti per accedere alla verità; le giovani che Acrisio incontra in campagna nel terzo libro rappresentano uno stadio più avanzato, costituito dalla rettitudine morale. Clori, infine, è sì figura della vera virtù, eppure ogni fedele deve superare la presenza sensibile ed elevare il proprio spirito a Dio.

    Le novelle e il messaggio etico-religioso

    Anche le tredici novelle perseguono vari scopi didascalici e dottrinali, coerenti con l’impianto generale dell’opera [19]. In aggiunta, affrontano questioni di rilievo per i lettori contemporanei (es. condanna di alcuni vizi e peccati, demonizzazione dei protestanti e delle pratiche magiche) [20]: la prima, dal carattere comico, si sofferma su un uomo di Lamporecchio assai abbiente, ma tanto avido da essere soprannominato Roba mia dai suoi concittadini [21]. Un giorno è costretto a ospitare nella propria abitazione un giovane senese insieme alla madre e alla sorella, sorpresi da un violento temporale. Roba mia impedisce, però, ai forestieri di rifocillarsi adeguatamente, giacché offre loro una schiacciata divisa in piccolissime porzioni. Di conseguenza, diviene vittima di un’astuta beffa: il giovane brucia il cibo costringendo, di fatto, Roba mia, ossessionato dall’idea di sprecarlo, a mangiare i resti inceneriti della focaccia.

    La novella successiva dimostra la pericolosità dell’amore, che talora può condurre gli uomini alla morte [22]: Beatrice da Perugia, di soli dodici anni, desidera a tal punto il coetaneo Lucio da ammalarsi gravemente [23]. La situazione ricalca la novella II, 8 del Decameron che, a sua volta, riprende la celebre vicenda antica di Antioco e Stratonice (Plutarco, Demetr XXXI-XXXIX). Tuttavia, si possono riscontrare almeno due notevoli varianti rispetto ai modelli: nella storia plutarchiana e nel Decameron la causa dell’infermità è attribuita dai medici alla passione amorosa, laddove in Selva la diagnosi è effettuata da un teologo. Inoltre, gli ipotesti sottoposti a riuso si concludono positivamente, mentre la novella di Selva termina con il decesso di Beatrice tra le braccia di Lucio. La storia intende criticare con risolutezza certi sentimenti, perché allontanano le persone dai valori spirituali: il finale luttuoso non sigilla un amore straordinario destinato a superare i vincoli dello spazio e del tempo – si ponga mente, per converso, alle vicende più struggenti della IV giornata decameroniana – bensì certifica la necessità di affidare la propria anima a Dio.

    La terza stigmatizza l’impudicizia della diciassettenne Virginia: la protagonista, che ha trascorso una vita dissoluta, entra a far parte di una congregazione religiosa [24]. Il suo comportamento, «vile per natura» e ispirato dal demonio e dall’Anticristo, influenza ben presto le consorelle (p. 118). Anche in questo caso si avverte una netta distanza dalla raccolta boccacciana, che si avvale, invece, di monache e religiose al fine di raccontare storie salaci (es. III, 1 e IX, 2). Selva, già nella rubrica che riassume la novella, offre un indizio perspicuo del suo exemplum edificante (p. 117): la protagonista risulta «scelerata e trista»; la sua esistenza è stata «poco onesta»; in seguito, «contamina e infetta» le altre donne tanto che, «come i suoi rei costumi meritavano, viene miseramente uccisa» [25]. Il finale completa un preciso corollario moralistico: la giovane viene espulsa dalla congregazione e va a vivere con alcuni conoscenti; dopo pochi giorni, è rinvenuta nei pressi di un’osteria «strangolata e lasciata nuda come quando nacque e secondo che meritava» (p. 123) [26]. Pertanto, Selva, che nell’opera ravvisa in molte donne lo stigma del peccato e della lussuria, sostiene il bisogno di incentivare la diffusione delle congregazioni femminili; questo proposito così urgente è comprovato dalle perfide insidie che il demonio e i suoi seguaci tendono a simili istituzioni.

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