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Il confine d’oriente
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E-book269 pagine3 ore

Il confine d’oriente

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Info su questo ebook

Poco dopo le vicende narrate nei Prigionieri dell’eternità, il maggiore Santiago, ufficiale della Polizia sanitaria, è alla ricerca della sua compagna, Mary, giovane leader del Movimento che si oppone al Sistema dominante di Kaleydos, la cui dittatura sanitaria vieta di morire. La ragazza è infatti sparita in circostanze misteriose, con in grembo il figlio di Santiago. Nel tentativo di ritrovarla, il maggiore si reca lungo il confine d’Oriente, pericolosa landa desertica, crocevia di persone, in particolare di stranieri, che vengono sistematicamente torturati e venduti come schiavi dai trafficanti, che hanno l’appoggio del governo centrale.
Santiago cerca di indebolire il Sistema dall’interno e trova un impiego come medico all’ospedale dell’Ermo del Ghibli, in cui spera di trovare informazioni su Mary. Qui incontra Aisha, conturbante e intelligente tenente della Polizia sanitaria, che fa vacillare la fermezza della sua missione. Scisso tra l’affetto che lo lega all’amata e l’attrazione per la giovane tenente, Santiago è perseguitato da visioni che riguardano Mary. Il suo psicocarcinoma, tumore della psiche che produce deliri e fantasie, si aggrava sempre di più, fino a portarlo allo stremo. Le vicende personali di Santiago portano a galla anche diversi segreti in mano al potere, che riguardano lui e Mary, ma anche tutti gli uomini che gravitano intorno a Kaleydos.
LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2023
ISBN9788892968424
Il confine d’oriente

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    Il confine d’oriente - Giuseppe Amato

    OLTRE LA SOGLIA

    frontespizio

    Giuseppe Amato

    Il confine d’oriente

    ISBN 978-88-9296-842-4

    © 2023 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Le persone credono di essere libere, ma sono solo libere di crederlo.

    Jim Morrison

    ANTEFATTO

    Sono uno psichiatra, consulente scientifico del Consesso mondiale delle nazioni, e studioso di un tumore della psiche che produce metastasi del pensiero e della fantasia: lo psicocarcinoma.

    L’ultimo caso clinico da me trattato riguardava Santiago G273W. Era un giovane ufficiale della Polizia sanitaria di Kaleydos, un luogo dove vige una dittatura che proibisce la morte. Le mie intenzioni erano di pubblicare un saggio su questa malattia, che produce incubi e deliri perturbanti e avevo, in realtà, raccolto informazioni sufficienti per la mia ricerca. Avvertivo un forte desiderio di lasciare quel paese per ritornare alla mia patria, Onìris. Ma non lo feci. Il mio rapporto con Santiago si era ormai consolidato e non lo abbandonai. La situazione che si era venuta a creare mi indusse a modificare il progetto che avevo in mente.

    Come ho appena detto, a Kaleydos la morte è proibita per legge. Il Sistema dominante che governa quella nazione ha imposto una religione fondata sulla sacralità della vita umana e sul dogma dell’immortalità, professata da una potente stirpe di ministri del Culto. Il regime è spalleggiato dalla Polizia sanitaria, una corporazione deputata a sorvegliare lo stato di salute della popolazione e applicare i protocolli di una Costituzione sanitaria che impone, non senza crudeltà, cure ostinate e accanimento terapeutico a chiunque si ammali, fino alla plastificazione dei corpi. Lo scopo finale è di mantenere le persone in una parvenza di vita, sia pure artificiale e forzata, dopo il termine di quella naturale.

    La medicina, in quel luogo, è stata asservita al dominio della tecnologia al punto d’aver tradito lo scopo primario di prendersi cura delle persone. Anziché guardare alla realtà umana dei pazienti, l’opprimente apparato sanitario che governa Kaleydos è assoggettato al profitto della Total Eternit, la colossale azienda che detiene il monopolio di farmaci e materiali sanitari, e che ha imposto un modello economico in cui la salute, la vita e la morte sono diventate le nuove frontiere di un consumismo senza limiti.

    In quel mondo, mi duole ammettere, il diritto di vivere è stato sostituito dal dovere di vivere. Le persone che lo popolano hanno raggiunto l’immortalità, ma ciò non è dovuto a una libera scelta. Le loro menti sono rese docili dalla virtualizzazione, un procedimento a cui tutti sono sottoposti dalla nascita e che consente ai vertici del regime di mantenere il controllo delle esistenze. Sorvegliati dal Centro unico di controllo, gli abitanti di Kaleydos vivono perennemente connessi a Wash out, un mondo virtuale che, di fatto, elimina la libertà di pensiero e li omologa a entità prive di libero arbitrio.

    Per non essere tacciato di totalitarismo, il Sistema dominante tollera una frangia di dissidenza, il Movimento, i cui adepti sono stati deliberatamente sottoposti al protocollo occulto. Questo consente loro di sfidare i rigidi dettami della fede imposti dai ministri del Culto. Ma il destino di quei giovani è segnato: quando diventeranno pericolosi saranno eliminati senza pietà.

    La madre di Santiago si rifiutò di rendere la mente del figlio succube del regime. Tentò in tutti i modi di non farlo virtualizzare e si rivolse all’amico Natàlia. L’esperto direttore del dipartimento di Prevenzione e immunologia virtuale accolse la sua richiesta e lo sottopose al protocollo occulto. La procedura permetteva, è vero, di sfuggire alla virtualizzazione, ma le sue conseguenze non erano ancora del tutto note. Il generale Natàlia era consapevole di alcuni effetti collaterali, ma tacque. Voleva compiacere la donna che amava in segreto e rivalersi nei confronti di Romer, il padre di Santiago, che gliel’aveva portata via.

    Quando si rese conto che il giovane aveva contratto una grave forma di psicocarcinoma, si pentì del suo gesto e decise di aiutarlo. Promise che, per tutta la vita, avrebbe vigilato su di lui. Così fece, anche in segreto. Per prima cosa, acconsentì alle richieste di Romer e facilitò l’ingresso di Santiago nella Polizia sanitaria.

    Nell’ambiente medico del San Furore, il più importante presidio ospedaliero di Kaleydos, dove vigeva una disciplina rigida e ottusa, Santiago venne a contatto con numerosi casi clinici, persone considerate numeri, trattate come oggetti utili solo alla sperimentazione, sottoposte ai crudeli trattamenti sanitari dei protocolli. Torturato dagli inquietanti incubi provocati dalla sua malattia, Santiago visse una dolorosa lotta tra l’aspirazione a condurre una vita normale, omologata al sistema al quale apparteneva fin dalla nascita, e il bisogno di metterlo in discussione, cercando disperatamente un equilibrio che non avrebbe mai potuto raggiungere. Nonostante il sostegno di un’esuberante collega e amica, Eva, era destinato a conformare il suo comportamento a quello cinico e distaccato degli altri ufficiali sanitari succubi del sistema o a soggiacere agli intrallazzi, talora brutali, dell’arrivista Ribot.

    Ma l’incontro con una giovane donna, Mary, cambiò per sempre la sua vita.

    Mary era bella, indipendente, libera da tutte le imposizioni del mondo nel quale viveva e, soprattutto, esponente del Movimento, il gruppo in cui si coagulavano i giovani dissidenti, guidati dal generale Pando.

    Santiago si innamorò di quella donna e, attraverso lei, visse la fascinazione per la causa che il Movimento propugnava per voce del suo leader carismatico: realizzare una società più giusta nella quale la medicina fosse al servizio del malato e la politica uno strumento della democrazia e non un mero braccio del potere. Ciò fece esplodere un conflitto interiore tra una vita di ideali e di amore per Mary e, di contro, gli insegnamenti fondati sulla crudeltà dell’accanimento terapeutico che gli erano stati impartiti nel percorso universitario dal generale Mercurius.

    Il mio paziente diventò il compagno di Mary, ma allo stesso tempo non riuscì a ricusare del tutto la professione sanitaria. La storia d’amore, a quel punto, fu scossa dalla contrapposizione delle fazioni in lotta. Il Movimento decise di armarsi per venire in possesso del Pro-Real, l’antidoto al vaccino induttore della virtualizzazione. Il Sistema dominante rispose con la consueta violenza: il tentativo finì in un bagno di sangue in cui Eva perse la vita e il vertice dell’organizzazione dissidente fu fatto fuori.

    Santiago cercò rifugio nel piccolo e periferico presidio ospedaliero di Harb, sotto la direzione del colonnello Ercole, la guida dell’esperto maggiore Cesari e l’ala protettiva della caposala Theres. Smaltita la frustrazione della sconfitta, i due giovani ripresero il loro rapporto e, qualche tempo dopo, Mary rivelò a Santiago di essere incinta. Ma non voleva che Johanna, la figlia che doveva nascere, fosse virtualizzata e neppure sottoposta al protocollo occulto. Pur amando il suo uomo, lei non si accontentava di una vita normale. Intuiva la verità che soggiogava Kaleydos e la voleva diffondere: i virtualizzati sono contenitori di carne umana utilizzati per lo smaltimento dei prodotti sanitari della Total Eternit, di cui sono azionisti i ministri del Culto per conto degli oscuri rappresentanti dell’Élite del Sistema dominante. Mary continuò a lottare e a raccogliere prove per smascherare il potere, anche se sapeva di rischiare la propria vita e quella che portava in grembo.

    Santiago si trovò al fianco della donna che amava, consapevole che avrebbe pagato a caro prezzo la decisione di diventare un dissidente. I suoi atteggiamenti, non allineati alla Costituzione sanitaria, non sfuggirono al Sistema dominante, e soprattutto a un avversario temuto e spietato: il ministro del Culto Demon, implacabile difensore del regime.

    Nel momento cruciale del confronto, fu proprio il padre di Santiago, Romer, severo funzionario dedito al lavoro e al rispetto delle istituzioni, a spingere il figlio a disattendere le regole alle quali gli aveva sempre imposto di essere ligio. Gravemente malato, lo supplicò di aiutarlo a morire, di compiere, cioè, quello che a Kaleydos veniva definito un sacrilegio. Santiago scoprì in quel frangente che suo padre deteneva più di un segreto e che, in fondo, era stato per tutta la vita dalla sua parte, al suo fianco. Ma scoprì anche che non era sufficiente il proprio impegno civile per resistere in una società strutturata per annichilire l’individuo. Mary, infatti, scomparve in circostanze misteriose.

    Era stata eliminata dal Sistema dominante come altri dissidenti prima di lei?

    O era stata lei a fuggire da quel mondo con la figlia che stava per nascere?

    A seguito dell’improvvisa sparizione di Mary, l’animo del capitano Santiago era dominato da impulsi contrastanti. Abbandonarsi al delirio, vendicarsi, partire. La situazione era delicata e io temevo che potesse tentare il suicidio, smarrito nella grave malattia psichica da cui era affetto. Aveva preso a bazzicare i caotici bassifondi dei mercantili, i monolitici edifici che affondavano per trenta piani nel sottosuolo e in cui vivevano i ceti meno abbienti, gli operai che passavano gran parte delle loro giornate nelle catene di produzione della Total Eternit, e ancora, criminali, reietti ed emarginati. Laggiù era facile, per lui, procurarsi fiale di Virtual o alcol di contrabbando: non gli importava che fossero di infima qualità, bastava che anestetizzassero il dolore. Era in preda a una spirale autodistruttiva. Dunque non persi tempo e lo accolsi in un piano di cura.

    Si presentò alla prima seduta con lo stesso animo di chi, dopo un terremoto, osserva le macerie di quella che era stata la sua casa fino a pochi istanti prima. Prese una cartellina e me la passò: conteneva le immagini di un’ecografia fetale. Si vedeva Johanna, la figlia concepita insieme a Mary. Aveva trovato l’ecografia nella camera dell’assistentato di Star, il luogo dove la sua compagna aveva trascorso l’ultima notte prima di svanire nel nulla, portando con sé il segreto della propria scomparsa. Fissava quelle foto interrogandosi se fossero ancora vive entrambe.

    «Devo ritrovare Mary» mi disse.

    Seguirono numerose sedute tra me e Santiago. Furono costellate da transitori miglioramenti e ricadute che determinavano una recrudescenza dei sintomi legati allo psicocarcinoma. Nei tre anni di trattamento, Santiago scalpitò in ogni momento per andare a cercare Mary, pur essendo consapevole che avrebbe dovuto infrangere le regole di confinamento che gli erano state imposte poiché sospettato di essere un dissidente. Compresi che era spinto da una determinazione tale che, prima o poi, nulla avrebbe potuto trattenerlo, anche se i rischi che avrebbe corso sarebbero stati enormi. Durante quel periodo di trattamento, venne meno anche l’apporto del generale Natàlia. Colto da un ictus cerebrale, versò a lungo in gravi condizioni di salute e rimase in vita per miracolo, sia pur menomato. La sua disgrazia mi privò dei suoi preziosi consigli e del benefico influsso che lui esercitava su Santiago, suo allievo prediletto.

    Ciò nonostante, per tre anni riuscii a gestire la situazione utilizzando le mie capacità professionali. Mi sforzavo di portare Santiago sul piano della razionalità e confidavo che il trascorrere del tempo lo avrebbe aiutato a metabolizzare la grave perdita che aveva subìto. Mi illusi di aver evitato il peggio.

    Durante una seduta, Santiago mi svelò di essere venuto in possesso di un messaggio di Mary scritto su un pezzo di carta. Ricordo ancora che si frugò nella tasca ed estrasse un foglietto stropicciato. Lessi: «Amore mio, cercami». La firma era una M puntata.

    «Non so a quando risalga di preciso questo biglietto, ma so per certo che ha viaggiato molto. Viene dal confine d’Oriente» mi disse con fermezza.

    «Come fai a esserne sicuro?»

    «È stato Dolfin a recapitarmelo.»

    Il capitano della Polizia sanitaria Dolfin prestava servizio presso il presidio ospedaliero del San Furore ed era rimasto una delle poche cellule ancora attive del Movimento.

    Santiago aggiunse: «Coordina una rete clandestina di assistenza sanitaria agli stranieri vittime di tratta nel territorio ombra di Augusta Tauri. È in grado di fornirmi notizie più precise».

    Ero certo che Santiago avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di ottenere le informazioni che avrebbero potuto condurlo a Mary. Provai a esternare il mio disaccordo, ma sapevo che non avrebbe avuto alcun rilievo sulla sua decisione.

    Com’era prevedibile, di lì a poco si accordò con il suo vecchio amico per farsi condurre ad Augusta Tauri, luogo di smistamento degli stranieri sotto il controllo dei trafficanti.

    PRIMA PARTE

    Lo straniero separato dai suoi concittadini e dalla sua famiglia dovrebbe ricevere un amore maggiore da parte degli uomini e degli dèi.

    Platone

    Confini

    Gli stati sovrani possiedono un vasto intreccio di confini. Ci sono quelli ufficiali, e poi ci sono quelli interni, che non troverete su nessuna carta geografica poiché sono tracciati dal terrore e dai pregiudizi indotti dal condizionamento del pensiero.

    Osborne H40F1

    La solidità dei confini è la prerogativa di un sistema, garante della libertà dei cittadini che risiedono al suo interno.

    Villarey 877QF

    Il confine […] è la demarcazione delle paure e delle debolezze di ogni paese.

    Bishop 749PA

    La jeep uscì dalla via principale con una sterzata brusca e imboccò una strada che s’inerpicava su un territorio collinare. Era l’imbrunire, e l’unico suono che si udiva era il rumore del motore che arrancava sulla salita, percorrendola curva dopo curva. Le abitazioni si andavano diradando in mezzo alla vegetazione; erano perlopiù dimore facoltose, sprangate da cancelli e protette da mura di cinta. Dolfin guidava nervosamente, ma con la sicurezza di chi conosce bene il percorso. L’espressione del suo volto tradiva una certa tensione e Santiago non osò distoglierlo dai suoi pensieri. Anche lui, in realtà, era preoccupato e taciturno.

    «Faremo una strada secondaria. È pericolosa ma ci sono pochi controlli.»

    Dolfin faceva ruggire il motore come se volesse divorare la sterrata che aveva appena imboccato. Voleva arrivare alla meta il più in fretta possibile, ma spesso era costretto a rallentare per evitare buche o grosse pietre che sembravano essere messe lì a posta per ostacolare il cammino. I fari dell’auto illuminavano tratti di boscaglia abbarbicati alla collina che, in alcuni punti, si diradavano e lasciavano spazio a zone pianeggianti con capanni di fortuna.

    «Questa boscaglia è abitata?» chiese Santiago, incredulo.

    «Sono stranieri riusciti a scappare ai trafficanti… o almeno così loro credono» rispose Dolfin. Approfittò che la strada si era fatta più larga e diritta e accelerò al massimo.

    Santiago avrebbe voluto fargli altre domande ma non ne ebbe il tempo: la jeep sbandò di colpo e Dolfin fece molta fatica a mantenerla in carreggiata. Quando riuscì a fermarsi, scese a controllare il danno.

    «Porca puttana, questa non ci voleva!» poi si rivolse a Santiago: «Sbrigati. Dobbiamo cambiare la gomma, svelto».

    Dolfin aveva un carattere tranquillo e sembrava sempre padrone di ogni situazione, adesso invece sudava e imprecava, mentre si dava da fare con quella ruota. Santiago capì presto perché. I due capitani si trovarono attorniati da un gruppetto che si faceva via via più folto. Erano giovani il cui colore della pelle si confondeva con quello della notte e avrebbero potuto essere scambiati con delle ombre se non avessero avuto due occhi lucenti a illuminarli. Erano vestiti con dei capi logori e stringevano nelle mani pietre raccolte dal terreno e rami di alberi a mo’ di bastoni. Santiago smise di armeggiare con gli attrezzi e si alzò in piedi per capire quanti fossero e che intenzioni avessero.

    Dal drappello silenzioso si fece avanti un individuo alto e smilzo e si diresse verso Dolfin, che continuava a imprecare come se fosse in trance.

    «Capitano» lo chiamò.

    Dolfin, finalmente, si scosse dal suo torpore e lo osservò.

    «Ti ricordi di me?»

    Dolfin si sforzò nella sua memoria. Il buio della notte non lo aiutava di certo.

    «Forse tu non ti ricordi, ma io sì. Mi ricordo la tua faccia, capitano. Una volta mi hai salvato dai trafficanti.» Gettò a terra il bastone che brandiva e si diresse verso Dolfin. «Cosa ci fate voi due qui da soli? Ci sono ronde di trafficanti e bande di slavi in giro…»

    «Dobbiamo andare ad Augusta Tauri di nascosto.»

    «Fate in fretta con quella ruota» disse il giovane. «È pericoloso stare qui, allo scoperto. Vi diamo una mano noi.» Fece un cenno ad alcuni dei suoi compagni, serviva qualcuno che tenesse sollevata l’auto. Ma dopo poco, al suono metallico degli attrezzi si sovrappose quello di un motore che giungeva dalla direzione opposta alla loro. Quando intravidero i fari compresero che si trattava di un veicolo di grossa portata.

    «Sono gli slavi. Venite via con noi!» urlò il giovane ai due capitani.

    In un batter d’occhio, tutto il suo gruppo si dileguò sparpagliandosi nel fitto della boscaglia. Santiago e Dolfin si scambiarono una rapida occhiata. Anche se avessero tentato di fuggire, li avrebbero catturati subito: loro non conoscevano quel territorio, specialmente di notte. Santiago, poi, era deciso a rischiare il tutto per tutto pur di avere notizie su Mary. Dolfin si mostrava calmo e questo lo rassicurò. Evidentemente era abituato a trattare con quella gente.

    Il camion si fermò davanti a loro senza spegnere il motore e puntandogli addosso gli abbaglianti.

    C’erano due energumeni all’interno e un’altra ventina di persone che sporgevano dal parapetto del cassone a rimorchio.

    «Vogliono derubarci?» chiese Santiago al suo amico.

    «È probabile» biascicò Dolfin. «O forse sono solo dei fuggiaschi e hanno paura di noi.»

    «In che senso?»

    «Noi li abbiamo visti, potremmo dare l’allarme o avvisare i trafficanti. Potremmo essere noi stessi dei trafficanti.»

    «Cosa cambierebbe?»

    «In quel caso, se ci scannano, avrebbero tutti gli altri addosso. Non gli conviene…»

    Il camion si mosse lentamente, avvicinandosi a Dolfin e Santiago. L’uomo alla guida tirò giù il finestrino. Aveva dei baffi biondi e spioventi, i capelli lunghi e unti di brillantina. Indirizzò loro un’occhiata torva, ruminò a lungo la saliva in bocca, poi gliela sputò addosso assieme a una ventata che puzzava di alcol. Rialzò il vetro, ingranò la marcia e ripartì a gran velocità, lasciando i due in una nuvola di polvere intrisa di fumo di scarico.

    Nuovamente soli, Dolfin e Santiago non scambiarono alcun commento, misero via gli attrezzi, salirono sull’auto e si diressero ad Augusta Tauri.

    Quando arrivarono alla sommità della collina imboccarono una strada secondaria ripida e tortuosa. Davanti ai loro occhi si aprì la vista sulla grande città, un tempo prosperosa, ora ridotta a un’enorme baraccopoli illuminata dai fasci di luce emanati dalle potenti lampade della Polizia di sorveglianza. Giunti al termine della discesa ripresero la via principale e superarono i resti di un’antica costruzione. Arrivarono infine sulla riva di un fiume in piena le cui acque correvano nei margini sinuosi del suo ampio alveo, liberando una nebbia umida che lasciò intravedere appena la sagoma di un piccolo edificio adibito a posto di blocco.

    Dolfin fermò l’auto, prese dal bagagliaio un pastrano logoro e con un grosso cappuccio e lo diede al suo compagno. «Mettilo!» gli ordinò. «E non dire neppure una parola. Con nessuno!»

    Rimise in moto e ripartì lentamente, si fermò davanti alla sbarra abbassata per il controllo e preparò il lasciapassare sullo schermo del palmare. Dall’edificio uscì un sergente, lo esaminò con attenzione, poi illuminò l’interno dell’auto con un fascio di luce.

    «E lui?» chiese indicando Santiago, che stava seduto sul sedile posteriore con lo sguardo rivolto in basso. Intabarrato nel mantello pareva uno straniero.

    «È un fuggiasco, devo riconsegnarlo ai trafficanti» rispose Dolfin. «L’ho già destrutturato. È innocuo.»

    Il sottufficiale fece un cenno di assenso al capitano, alzò la sbarra e li lasciò proseguire.

    Augusta Tauri.

    Erano entrati. Il primo ostacolo era superato.

    «Come fai ad avere libero accesso nella città?» domandò Santiago.

    «Ho un incarico sanitario per il controllo degli stranieri trasferiti dai presidi dei confini. In realtà è una copertura, faccio parte di un’organizzazione clandestina legata al Movimento. Ogni tanto riusciamo a salvare qualcuno dai trafficanti. O, quantomeno, a limitare i danni che fanno quei

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