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Nulla sarà come prima
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E-book184 pagine2 ore

Nulla sarà come prima

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In uno Stato definito per pudore come 'Nazione', una pandemia trasforma gli esseri umani in zombie affamati di carne umana.
L'unica soluzione politica al problema risulta il loro internamento in carceri temporanee per decretarne la morte di fame.
Tutto appare risolto, ma un unico uomo tiene chiusa nella propria cantina l'ultima pericolosa zombie rimasta, al solo scopo di difendere l'unico ideale della sua esistenza: l'amore.
E per mantenerla in vita sarà disposto a tutto, anche a sacrificare il bene nazionale a dispetto dei suoi sentimenti in una lotta occulta tra i poteri forti della politica e la propria individualità.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2016
ISBN9788892589322
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    Nulla sarà come prima - Luigi Asquini

    CAPITO?

    CAPITOLO 1

    Alla fine, dopo quattro anni di dura battaglia il problema degli zombie venne risolto dal governo della Nazione.

    Va precisato che il termine ‘zombie’ non veniva perfettamente percepito dallo Stato come ‘politicamente corretto’ e gli uomini di cultura, spesso una cultura bistrattata, notarono fin dal principio che più che parlare di ‘morti viventi’ sarebbe stato il caso di parlare di ‘epidemia virologica’.

    Di sicuro i media non persero tempo e non accettarono l’idea che tutto fosse semplicemente frutto di una combinazione sbagliata fra malattie epidemiche, ma che fosse più affascinante optare per un termine fantasy, che riuscisse a entrare nel linguaggio comune ove era già presente come forma romanzata o cinematografica.

    Quando nei primi mesi il virus Pandora si propagò, quegli stessi media snobbarono il problema considerandolo semplicemente come il frutto di un’opinione pubblica condizionata dalle leggende metropolitane, dal cinema di serie B e da una personale immaginazione che poneva l’individuo a credere che, ciò che era solo il frutto della fantasia di qualche sceneggiatore, potesse improvvisamente rendersi reale.

    I giornali cominciarono a porre la questione sulle prime pagine quando oramai il virus si era già espanso e l’aggressività degli infetti cominciava a ledere gli interessi della buona cultura e non solo della piccola società.

    Quando morirono i primi cronisti mangiati vivi dalle truppe di zombie, alcuni parlarono di un ritorno del terrorismo non comprendendo che, se il terrorismo aveva alla base un’ideologia di progresso, in questo caso, invece, i presunti terroristi altro non erano che semplici identità prive di razionalità e dedite solamente all'esercizio del loro istinto primordiale: avevano fame e dovevano mangiare carne umana.

    Solo quando si comprese questo semplice corollario, si capì che era necessario cambiare strategia; cadde il governo, e cadde per la semplice ragione che le polemiche sulle disgustose morti provocarono gravi sommosse di piazza che rappresentarono un utile e spontaneo vantaggio per gli zombie a caccia di carne umana.

    Fu così che per sedare la protesta e, dall'altro lato, la mattanza, le forze dell’ordine non riuscirono più a distinguere tra i morti viventi e gli scioperanti commettendo un errore che costrinse il vecchio presidente a dimettersi.

    Infatti, le polemiche sulla strage di Piazza D’Arco, avvenuta cinque anni prima, forzarono il vecchio presidente a un discorso ufficiale tenuto a casa sua, anziché in Parlamento, ma in diretta televisiva.

    Giornali e televisioni non furono teneri con lui, da un lato si criticava il fatto di aver sottovalutato il problema sanitario per ragioni troppo legate a una affettività cristiana di cui lui era esimio portavoce, dall'altro lato questa affettività si scontrava col comportamento smisuratamente disumano che provocò la morte di troppi innocenti.

    Il comportamento iniziale che pareva frutto di buon senso e pacatezza, quel buon senso e quella pacatezza che diedero al vecchio Presidente la possibilità di vincere a mani basse le elezioni, ebbero un effetto boomerang, anche se gli stessi media in quei giorni lo appoggiarono a mani basse.

    Sui giornali si osannavano le capacità oratorie del Presidente che riusciva a mettere in luce il fatto che questi morti viventi erano comuni esseri umani e che necessitavano anch'essi di un semplice aiuto in modo da poterli curare e successivamente reintegrare nella società; a tutto ciò si aggiungeva pure il fatto che, nonostante l’aggressività macabra di questi esseri resuscitati, poteva risultare interessante studiare le motivazioni scientifiche della loro resurrezione in modo da poter immaginare addirittura un futuro di immortalità come conseguenza delle ricerche sulla malattia.

    Al termine ‘resurrezione’ rispose il Santo Pontefice che, sentitosi preso in causa, mise in atto il primo assalto al fortino che il vecchio Presidente si era creato di fronte all'opinione pubblica; fu il Papa, infatti, il primo a muovere delle obiezioni che suonarono comprensibili agli oppositori del governo.

    Ciò che il Papa non poteva accettare era l’assunzione che si considerasse questa malattia umana come una vera e propria ‘resurrezione’.

    La resurrezione appartiene soltanto alla sacra trinità, queste furono le parole del Pontefice che, con occhio irritato, guardava i fedeli con la paura che qualche infetto potesse infiltrarsi in piazza San Pietro e fare una strage.

    Va detto che quello di piazza San Pietro fu l’unico assembramento umano che gli zombie non toccarono, soprattutto perché si disposero militari a presidio dell’intero Stato Vaticano con controlli severissimi per non intaccare la santità del luogo con esseri pagani che avevano avuto l’ardire di resuscitare.

    Ma non furono solo queste le parole di Sua Santità, egli aggiunse al tutto anche il diritto di questi esseri viventi di poter essere riabilitati, seppur tenuti lontani dalla propria piazza, diritto cristiano che si scontrava con i dogmi della scienza. Di certo la prima commissione medica che venne preposta per analizzare il caso (ma forse sarebbe meglio dire il 'caos') notò di primo acchito che gli infetti in realtà erano persone decedute, le quali dopo la morte si risvegliavano in tempi misurati dalle 24 alle 48 ore, a seconda dei casi, con un’inconsulta rabbia cannibale.

    La commissione medica non poteva che fare valutazioni tratte da analisi deterministiche, ispirate alle ricerche effettuate su quei pochi zombie catturati dalla gendarmeria. Il risultato delle analisi scientifiche fu alquanto scioccante: gli infetti erano effettivamente morti perché cerebralmente nulla funzionava, a parte quelle zone neuroniche adibite al soddisfacimento rabbioso della propria istintività. Le parti cerebrali che definivano l’identità dell’individuo, invece, erano morte per sempre.

    Secondo questa definizione, l’assenza di identità della persona risultava la prova vivente della loro morte apparente.

    Ci furono accanite discussioni da talk show che portarono a litigi fra posizioni mediche contrastanti: in particolare primari di neurologia che litigavano sulla definizione di morte e vita.

    Li vediamo camminare per le città in cerca di carne umana, come potete definirli morti? Questi sono vivi e vanno curati!.

    Il problema secondo questa linea ideale era il rispetto della vita umana; in effetti, agli occhi della gente barricata in casa, essi apparivano vivi, li vedevano muoversi, urlare versi animaleschi e soprattutto cercare di ottenere successo nell'unico obiettivo che istintivamente era loro imposto: mangiare.

    Il mondo cattolico si mosse in difesa della vita, come consuetudine: vennero persino creati su finanziamento statale dei centri di accoglienza per infetti.

    Giovani parrocchiani, attivisti per la vita, missionari e iscritti a Comunione e Liberazione lavorarono in questo senso alla formazione di un grande centro di ‘riabilitazione umana’ in cui provare a rieducare gli infetti alla vita sociale, fondando il tutto sull'insegnamento base dei principi evangelici cristiani, una sorta di dottrina in cui poter far comprendere loro la bellezza della carità cristiana.

    Mal gliene incolse.

    Ciò che quei giovani non sapevano era il fatto tecnico che le menti degli zombie non erano atte a imparare; quelle zone cerebrali erano oramai morte e non ci poteva essere alcuna comunicazione tra umani e morti viventi.

    Fu una strage: le immagini del giorno dopo vennero pubblicate sui giornali, ma prima ancora arrivò la rete. Colpì molto all'occhio della gente l’immagine del corpo di un missionario totalmente sbrindellato, ma col viso curiosamente sorridente. Sembrava morto felice nel tentativo fallito di riattivare l’anima morale di un gruppo di zombie.

    Questo episodio fu il primo colpo al potere del governo che, prima di questi avvenimenti, sembrava inattaccabile; cominciarono a formarsi nell'opinione pubblica idee estremiste sul genere ‘a mali estremi, estremi rimedi’.

    L’estremo in questo caso era una sorta di gruppo di destra che cominciò a stampare volantini e a formare un’idea per cui, se questi esseri erano già morti, la gente aveva tutto il diritto di ammazzarli. A contrapporsi a questa idea furono alcune leggi speciali del governo che definirono l’uccisione degli zombie da parte di privati come ‘vilipendio di cadavere’.

    A questo l’estrema destra sovrappose un’antica polemica rendendosi ancor più ridicoli:

    E quei partigiani che appesero Mussolini per i piedi, allora?.

    Il popolo però agiva pro domo sua; della legge cominciò a infischiarsene e, in verità, se ne infischiava pure dell’estrema destra.

    La comunità cominciò ad armarsi col solo scopo di difendere la propria famiglia e le proprietà immobiliari a essa connesse da possibili assalti cannibaleschi, creando purtroppo più confusione che ordine. Troppi, infatti, furono i casi di uccisione involontaria, spesso le figure più colpite furono i postini.

    Esisteva però anche una fetta di popolazione, generalmente la più ricca, che alle armi preferiva i bunker.

    Fioccarono, infatti, le costruzioni sotterranee in cui potersi rifugiare in caso di pericolo; tutto ciò fece rilanciare l’economia edile e l’industria delle armi.

    Il colpo di grazia al governo, però, fu l’ormai famosa strage di Piazza D’Arco: una popolazione inferocita si riversò in quel luogo pubblico nel tentativo di manifestare contro la politica buonista del premier con la convinzione che si dovesse essere più duri verso il nemico; a favorire l’incontro di piazza fu proprio quell'estrema destra che aveva l’abilità di descrivere il problema, ma l’incapacità di proporre una risoluzione che fosse quantomeno umanamente accettabile.

    Al grido ‘sterminiamoli e basta’ i manifestanti, dotati di bandiere nere e gestualità neofasciste, si radunarono scortati ipocritamente dalla gendarmeria; quelle urla e quegli slogan cantati a voce alta furono un ghiotto richiamo per gli zombie della zona che arrivarono a frotte e invasero la piazza con la loro avidità.

    Inizialmente la gendarmeria ci mise tutto l’impegno possibile per evitare lo scontro ponendosi in condizione di barricata sulle vie d’ingresso di Piazza D’Arco, ma la verità è che i morti sono in maggioranza rispetto ai vivi e sparare non bastò a fermare quell'istinto famelico.

    Quando le barricate caddero fu una strage: da un lato gli zombie fecero carne da macello con le loro mascelle volitive, dall'altro le forze dell’ordine spararono a casaccio completando una delle peggiori stragi mai viste.

    Il giorno dopo il vecchio presidente fu costretto a dimettersi con le lacrime agli occhi comprendendo benissimo il caos che lui stesso aveva contribuito a formare.

    Il suo problema non era solo l’inconsistenza delle proprie azioni, ma l’incapacità di sviluppare una soluzione che fosse condivisa dalla comunità internazionale.

    La malattia faceva paura anche al di fuori dei confini nazionali: il virus Pandora rischiava di oltrepassare le Alpi e distruggere l’intera Europa. Il Presidente provò, come extrema ratio, ad avvertire del pericolo imminente di una possibile fuga dell’infezione al di fuori della Nazione e chiese aiuto a tutta la comunità europea per avviare un processo di solidarietà con cui risolvere il problema.

    Ciò che il vecchio Presidente fece, in realtà, fu di spaventare il mondo intero che, non solo si rifiutò di sporcarsi le mani di fronte a una simile situazione (per ovvie ragioni sanitarie), ma soprattutto decise di porre sul confine un esercito per controllare che non vi fosse fuga umana di alcun cittadino della Nazione verso l’esterno.

    L’intero arco montano venne presidiato da eserciti stranieri, nonché da caschi blu dell’ONU, ma la cosa che fece cadere ancor di più nel ridicolo la Nazione fu il fatto che anche il nostro esercito venne utilizzato a presidio dei confini nazionali per evitare che la nostra gente sfollasse col rischio di portare il virus Pandora in giro per il mondo.

    ‘Precauzione sanitaria mondiale’, così venne definita dallo stesso Presidente che ormai non sapeva più che pesci pigliare al di là delle solite triglie.

    In realtà agli occhi della gente tutto ciò appariva un sopruso, l’ennesimo subito dalla comunità internazionale più avvezza a salvare se stessa che aiutare gli altri.

    Il tutto veniva coronato da una sorta di embargo che l’ONU impose alla Nazione; un embargo alla rovescia: la Nazione poteva importare, ma i prodotti nazionali non potevano essere esportati, sempre per ragioni sanitarie.

    Tutto ciò provocò un crollo dell’economia che fondava la propria intraprendenza sulla qualità delle esportazioni.

    A quella gente dovremmo esportare il virus!.

    Questa era la frase più gettonata nei bar di provincia, sintomo di un odio crescente che rischiava di favorire sempre più quell'estrema destra che pretendeva di avere voce in capitolo quando si trattava di cose che conosceva benissimo: generare olocausti.

    Anche per questo motivo il vecchio presidente decise di fare un passo indietro; era meglio farlo subito, prima che l’odio feroce che serpeggiava fra le masse strisciasse fino ai vertici del potere.

    Secondo la sua visione delle cose c’era ancora bisogno di democrazia e un ritorno alle urne avrebbe favorito di nuovo i partiti conservatori.

    L’unico aspetto da risolvere era: chi avrebbe dovuto prendere il suo posto? Era necessario un decisionista, perché questa era la tendenza generale e, allo stesso tempo, un tampone che gestisse da una parte la ferita che il partito aveva aperto e dall'altra che trovasse una soluzione definitiva al problema degli zombie.

    Fu in quel periodo che si affacciò nell'agone politico

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