L'ultima guerra di Dama Tai-Pan
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Narrativa - romanzo breve (100 pagine) - Dama Tai-Pan, regina dei mari e delle rotte commerciali, è pronta a tutto per cambiare il corso della sua ultima guerra. Una storia ambientata all'epoca della serie tv “Shogun”
Nel mondo della Corona d’Acciaio, simile ma non uguale al nostro, la sanguinosa rivolta del daimyo Tokugawa sta spazzando via gli stranieri dal Giappone e solo la grande città di Edo resta ancora fedele al vecchio shogun, ma si trova sotto assedio. Il samurai Dayu ormai vede davanti a sé solo la sconfitta e una morte onorevole, ma viene incaricato dal suo Signore di giocare un’ultima carta. Deve chiedere aiuto ad alleati potenti quanto infidi: i mercanti forestieri di Edo, che dispongono di navi e mercenari provenienti da tutto il mondo conosciuto. Alla loro guida, colei che è nota come Dama Tai-Pan, un’anziana mercantessa dagli occhi color del fulmine e dalla chioma nivea, regina delle rotte commerciali. La misteriosa straniera, come Dayu avrà modo di capire, è una vera leonessa dei mari, ancora piena di energia e di forza di volontà, sebbene porti sulle spalle il peso di tutti i rimpianti e le nostalgie che una vita lunga, intensa e tormentata le ha donato. La Dama domina tattiche e stratagemmi sconosciuti in Oriente e non intende cedere di un passo davanti all’assalto di Tokugawa. Il Fato stesso tratterrà il respiro davanti alla sfida tra il Feudatario ribelle e la Tai-Pan venuta dall’ovest, quando il Giappone e il mondo esterno incroceranno le lame.
Marco Rubboli si dedica da decenni alle arti marziali storiche europee: scherma storica medievale e rinascimentale, pugilato greco, pancrazio, gladiatura, scherma di navaja spagnola, stage combat (che insegna presso l’Università privata BSMT). Istruttore al massimo livello con numerosi titoli agonistici nazionali, ha fondato la più grande realtà europea del settore, la Sala d’Arme A. Marozzo, e collabora stabilmente con l’Accademia Nazionale di Scherma, con numerose pubblicazioni in materia sia per ANS che per la casa editrice Il Cerchio. In ambito narrativo, ha pubblicato Per la Corona d’Acciaio (Watson Edizioni, di prossima riedizione per Nocturna, GDS), il sequel Contro due Imperi (Nocturna, GDS) e Gli ultimi eroi dell’arena (Accademia Nazionale di Scherma). Per Delos Digital ha pubblicato Ombre sulla Dacia, Il contagio di Meung e L’inferno sotto Parigi (collana Heroic Fantasy Italia), La danza pietrificata (collana History Crime), La signora delle caverne (collana Innsmouth), Seta macchiata di sangue (collana La Via della Seta). Altri racconti compaiono in varie antologie per Watson, Plesio, Sensoinverso, Dimensione Cosmica e su Book Magazine e Hyperborea.live.
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Anteprima del libro
L'ultima guerra di Dama Tai-Pan - Marco Rubboli
Prologo
Il mio sguardo vagò pigro sulle colline in fiore, seguendo il volo acrobatico di una rondine solitaria. Non accadeva nulla, da ore, ma non mi annoiavo. Quel vuoto era pieno di senso e di bellezza. Sedevamo sotto il portico e Akira era intento ai suoi esercizi di calligrafia. Continuai a seguire la rondine, attraverso gli occhi semichiusi. La luce del meriggio tingeva le mie ciglia di molti colori, scindendosi in un tripudio iridato.
– Cominciò così, con le rondini. Le rondini e i gabbiani – mi sorpresi a dire. – Fu molto strano. Nessuno, né i nostri saggi e sacerdoti né quei sapientoni degli stranieri, seppe spiegarne il motivo. All’improvviso le rondini e i gabbiani iniziarono a levarsi in cielo e a chiamarsi l’un l’altro. Si radunarono in folti stormi, presero a girare sopra la città creando grosse nuvole scure dalle forme cangianti. Era come se gli Dei stessi li stessero chiamando. Poi, quando finalmente si furono radunati in due schiere distinte, i gabbiani sul porto e le rondini dal lato della terraferma, d’un tratto presero una direzione precisa e se ne andarono, lasciandoci tutti a naso in su a interrogarci, stupefatti, su cosa fosse appena successo. Non si era mai vista una cosa simile, né mai più mi risulta che sia stata veduta in seguito, almeno non qui da noi. Fu così che cominciò.
A occhi chiusi, con l’istinto di un vecchio guerriero, percepii il corpo del ragazzo che si spostava e si protendeva sempre più verso di me, spinto dalla curiosità. Alla fine si decise a chiedere, e io ricevetti la sua domanda con un sorriso sornione, perché in realtà non aspettavo altro.
– Cominciò cosa, nonno?
– Ti ho mai parlato di Dama Tai-Pan e del grande assedio di Edo? Io ero là, in quel tempo. E non come uno spettatore qualunque. Posso ben dire di aver contribuito a forgiare il destino della nostra amata patria, anche se non saprei se fu per il meglio o per il peggio.
Akira mi sorrise, benevolo e pieno di interesse.
– No, tu non me ne hai mai parlato, nonno. Ma tutti gli altri sì, eccome. Sono eventi leggendari e ancora sulla bocca di tutti. Credevo che non ti facesse piacere ricordare quei tempi.
I miei occhi vagarono ancora, stavolta inquieti. Non ero più così sicuro di voler rievocare tutto ciò. Ma ormai avevo iniziato e non potevo deludere mio nipote. La spada era uscita dal fodero, ormai, e quando questo avviene non si può più tornare indietro, come avevo appreso anni addietro nel modo più duro.
– Ecco, sì… e no. Ho perso molti cari amici in quella guerra, molti valorosi samurai hanno incontrato il momento supremo della fine, da una parte e dall’altra. Però lo scorrere della Storia a volte ti avvolge e ti trascina con sé in gorghi grandiosi, spaventosi, e non lo puoi evitare, non ci puoi fare proprio nulla. Puoi solo decidere da che parte stare e cercare di fare il tuo dovere con onore. Io non so dire, ancora oggi, se mi trovassi dalla parte giusta del campo di battaglia, sono pieno di dubbi su questo, come del resto lo ero allora, e adesso ancora di più vedendo i risultati della nostra lotta. Però sono onorato di essermi trovato spalla a spalla con una certa Signora, o forse dovrei piuttosto dire una leonessa, e di aver goduto, per un po’, della sua amicizia e della sua confidenza. Era una gaijin, un demone bianco femmina, forse il più demone di tutti loro, nonostante la sua età fosse tanto avanzata. Molto tempo è passato e il mondo è andato avanti, tuttavia la direzione in cui è andato fu decisa in quei giorni: giorni di gloria e furore, giorni di sangue e di volontà inflessibili scagliate l’una contro l’altra. Lascia che ti racconti ciò che questi vecchi occhi videro in quel tempo.
Capitolo 1
Sfoderare la spada
Dayu schivò il colpo venuto dalle tenebre e sguainò la katana, sferrando un taglio. La spada scisse la veste nera dello shinobi e la carne tra il collo e la spalla, spezzandogli la clavicola, penetrando oltre e generando un alto schizzo di cui la prima luce dell’alba rivelò il colore cremisi. Dayu si girò appena in tempo per intercettare l’attacco dell’avversario che era apparso alle sue spalle, fregandosene della tacca che si sarebbe formata sul taglio della sua lama avita. Meglio la spada che la nuca. Rispose, mordendo però solo l’aria frizzante antelucana. Con la coda dell’occhio, scorse il corpo di Toshiro, suo amico e compagno d’arme da una vita: giaceva a terra silente, con la gola aperta da un lato all’altro, come un secondo, orrido sorriso sotto il mento. Quella vista lo riempì di furia, cancellando il panico.
– Suonate l’allarme! – gridò, senza smettere di incalzare l’incursore corvino che aveva assassinato alle spalle il suo amico fraterno.
Quello balzava all’indietro e parava con i due sai che brandiva, senza scomporsi. Dayu evitò una risposta di punta per poco, piegando il fianco, e spinse il nemico fino a ridosso di un soldato armato di yari che avanzava alle sue spalle. L’incursore, però, si accorse dell’ashigaru, evitò in modo acrobatico un attacco goffo e afferrò l’asta con la destra senza lasciar andare il sai poi, con l’altra arma, sgozzò il soldato. Qualcuno era tuttavia riuscito a suonare campane e tamburi per attirare i soccorsi.
– Merda, merda, merda… – sibilò Dayu fra i denti, senza smettere di attaccare il dannato spettro.
In tutto quel tratto di mura, uomini in nero lottavano contro i guerrieri dello shogun. Alcuni shinobi stavano già scendendo dall’altra parte, verso la città, con corde e rampini.
Dayu si scoprì in un affondo lungo tirando un fendente che l’altro parò ad armi incrociate, trattenendo la sua katana con una di esse e usando l’altra per tirargli una punta al viso. Dayu girò la testa di lato, lasciando che le falde dell’elmo fermassero la lama dell’assassino e chiuse misura, assestandogli una gomitata sul naso. Quello rinculò, stordito, ma Dayu non gli lasciò il tempo per riprendersi: disimpegnò la spada e sferrò un taglio orizzontale, decapitando di netto il proprio avversario. Corse avanti e infilzò alla schiena un altro guerriero della notte, occupato contro il proprio avversario, poi tagliò la corda con cui un nemico stava scendendo a terra, all’interno della città. Un grido acuto, quasi di donna, accompagnò la caduta letale del guerriero di Tokugawa. Da quell’altezza, il sicario non poteva avere avuto scampo. Non c’erano altri avversari vivi a portata di lama. Le mura erano tornate saldamente sotto il controllo degli uomini dello shogun, avvertiti dal segnale di allarme.
– Le porte! Difendete le porte o siamo tutti morti! – urlò.
Le mura erano piene di cadaveri: samurai e soldati della guarnigione in armatura purpurea accanto a decine di quei fantasmi neri apparsi dal nulla.
A terra, nugoli di soldati circondavano e braccavano gli shinobi che erano riusciti a scendere, stringendoli in una selva di appuntiti yari, mentre altri ashigaru si radunavano davanti alle porte, facendo muro. Dayu corse e guardò giù, all’esterno. Non si vedeva ancora quasi niente, ma movimenti della tenebra nella tenebra rivelavano le truppe nemiche, nascoste, in attesa che gli incursori aprissero le porte da dentro. Avrebbero atteso invano, almeno per quel giorno. Rivolse al nemico invisibile un’occhiata di sfida e di scherno. Bel tentativo, ma no, niente da fare. Poi pulì la lama dal sangue strofinandola sulla veste scura di un cadavere e la rinfoderò. Il suo sguardo ricadde sul corpo dell’amico ucciso a tradimento. Povero Toshiro, che morte infame. Sgozzato come un capretto, senza onore, senza la possibilità di difendersi. Mandò giù un boccone amaro e promise vendetta. Di colpo, pensò che avrebbe avuto anche troppe occasioni di vendicarsi, come anche di finire ammazzato a sua volta.
Trasse un profondo respiro. Era stato solo un primo tentativo da parte dell’esercito di Tokugawa, e quasi era riuscito.
Attese, fino a che anche l’ultimo dei ninja non fu ucciso dai soldati, là in basso. Poi attese ancora, vigile.
Il sole sorse. Il mondo uscì dall’ombra della notte e si riempì di colori.
Aoki Dayu si sporse dalle mura e scrutò fuori.
Nessuno.
Non si vedeva nessuno.
Qualcuno, però, era stato lì: gente assetata di sangue e saccheggio, pronta a fare irruzione se le porte si fossero aperte. E anche guerrieri freddi e spietati, intenti a osservare e soppesare la reazione della guarnigione di Edo a quel primo assaggio di assalto.
Il grosso dell’armata al seguito del daimyo Tokugawa Chomei ancora rimaneva occultato dai boschi, oltre i quali s’innalzava la visione imponente del Monte Fuji, incoronato da un pennacchio di fumo. Pareva un paesaggio tranquillo. Eppure lui, come tutti, sapeva che quelli erano laggiù, da qualche parte, pronti a dare l’assalto alla città. Se non fosse bastato quel silenzio di morte che pareva avvolgere il mondo intero, lo si poteva ben intuire dal fumo dei villaggi bruciati lungo le strade, tanto quelli situati lungo la Tokaido che quelli lungo la Nakasendo; entrambe le strade portavano da Edo alla Capitale, una passando lungo la costa e l’altra fra le montagne.
E tutti erano anche consapevoli che le forze dello shogun non erano sufficienti a respingere il nemico. L’Imperatore-bambino, d’altro canto,