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Sbucciando arance
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E-book264 pagine3 ore

Sbucciando arance

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Info su questo ebook

Sbucciando arance racconta di come Derek Foley, esaminando i diari del defunto padre e le lettere inviate dalla madre a un membro dell’IRA, scopre che Patrick Foley, diplomatico nella Spagna di Franco, non è il suo vero padre. La madre di Derek, malata, non vuole parlare del passato, e il figlio si vede dunque costretto a intraprendere una ricerca che lo riporterà alle origini della diplomazia irlandese, e lo condurrà in Spagna e nell’Irlanda del Nord, fino alla scoperta del suo vero padre… con tragiche conseguenze. Sbucciando arance è un romanzo che alterna vicende politiche e vicende personali, carico di ideologia, in cui s’intrecciano gli avvenimenti storici di due nazioni emergenti, Irlanda e Spagna. È inoltre una bellissima storia d’amore dai toni lirici che vede coinvolti sin dalla loro infanzia due personaggi all’opposto: Derek, apolitico, e Sinéad Ní Shúilleabháin, nazionalista convinta.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita3 mag 2023
ISBN9781633391345
Sbucciando arance

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    Anteprima del libro

    Sbucciando arance - James Lawless

    Sbucciando arance

    James Lawless

    ––––––––

    Traduzione di Martina Divisoli 

    Sbucciando arance

    Autore James Lawless

    Copyright © 2023 James Lawless

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Traduzione di Martina Divisoli

    Progetto di copertina © 2023 Vikncharlie at Fiverr.com

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    Sbucciando arance

    James Lawless

    ––––––––

    Traduzione di Martina Divisoli 

    Sbucciando arance

    Autore James Lawless

    Copyright © 2014 James Lawless

    Tutti i diritti riservati

    Distribuito da Babelcube, Inc.

    www.babelcube.com

    Traduzione di Martina Divisoli

    Progetto di copertina © 2014 Vikncharlie at Fiverr.com

    Babelcube Books e Babelcube sono marchi registrati Babelcube Inc.

    author photo

    Le opere in prosa e poesia di James Lawless hanno vinto molti premi, tra cui il Scintilla Welsh Open Poetry competition, un WOW award, un premio Biscuit International Short Story, il Cecil Day Lewis Award e una candidatura per il premio Hennessey nella sezione narrativa. Il suo racconto Jolt è entrata nella graduatoria finale per il Willesden Prize 2007. È autore di una raccolta di poesie molto apprezzata, Rus in Urbe, e di romanzi acclamati dalla critica, Sbucciando arance, For Love of Anna, The Avenue, Finding Penelope e Knowing Women, oltre all’autorevole saggio sulla poesia moderna Clearing The Tangled Wood: Poetry as a Way of Seeing the World, per il quale ha ricevuto un premio arts bursary. Nato a Dublino, si divide tra la Contea di Kildare e il West Cork. Per saperne di più sull’autore, potete visitare il suo sito web: http://jameslawless.net/

    Indice

    Introduzione dell’autore. Sbucciando arance: Le origini di un romanzo

    I Una mente orfana............................1

    II Alla deriva: Irlanda e Spagna 1932-19472

    III Fare la propria parte: Spagna e Irlanda 1966-1973105

    RINGRAZIAMENTI........................203

    Domande per i club del libro..................204

    ‘Nadie ha visto jamás una naranja.’

    (‘Nessuno ha mai visto un’arancia’).

    José Ortega y Gasset.

    In memoria di Kit e Nell

    Introduzione dell’autore

    Sbucciando arance: Le origini di un romanzo

    Negli anni novanta scrissi un racconto intitolato Diaries in cui il protagonista Derek Foley, passando al setaccio i diari del defunto padre, diplomatico nella Spagna di Franco, scopre delle cose che mettono in dubbio la sua paternità. Mostrai il racconto a Bernard Farrell, il drammaturgo, che lo elogiò e vi trovò quella che chiamò una qualità mistica.

    Lasciai perdere la storia per alcuni anni, diventai professore e conseguii una laurea specialistica. Ma alla fine tornai alla storia. Qualcosa simile a un prurito o a un dolore mi stava infastidendo. T. S. Eliot descrive la non-creatività in un artista creativo come una specie di stitichezza; può darsi quindi che si trattasse di qualcosa di simile, di qualcosa di incompleto nel personaggio di Derek Foley che si portava appresso l’incertezza, come dice lui stesso, come una ‘ferita’. A quel punto avevo preso l’abitudine di fare ricerche, avendo appena terminato una tesi sulla poesia come forma di comunicazione. Mi ritrovai nell'archivio nazionale di Dublino, appena aperto, a fare ricerche sulla Spagna e sulle origini della diplomazia irlandese, argomenti che erano stati insabbiati in passato, soprattutto per quel che riguarda il coinvolgimento di Spagna e Irlanda nella guerra civile spagnola. Lentamente, una storia più grande cominciò a dispiegarsi, e quel personaggio, Patrick Foley, il diplomatico, quello che nel mio racconto era morto, iniziò a resuscitare.

    Al contrario di molti altri romanzi irlandesi che avevano trattato numerosi aspetti della storia del paese, per quanto ne so quella era la prima volta che la diplomazia irlandese in Spagna appariva come un motivo portante. Continuavo a vedere parallelismi tra due nazioni emergenti, Irlanda e Spagna, nei loro rispettivi e turbolenti viaggi verso la democrazia, con le guerre civili, la povertà, il ruolo della religione, la fioritura artistica: Yeats e il suo teatro, Federico García Lorca in viaggio per tutto il paese con i suoi attori ambulanti (con conseguenze fatali, bisognerebbe aggiungere). Così come le cose venivano insabbiate in Irlanda, allo stesso modo Franco ne insabbiava altre in Spagna, per esempio negò sempre ogni suo coinvolgimento con la città di Guernica o con l’uccisione di Lorca.

    Martha, la madre del protagonista, è una donna delle Liberties e sa cos’è la povertà perché impegnata ad aiutare i bisognosi, e mostra tale empatia anche ai poveri spagnoli. Ma se bisogna trovare un argomento per questo romanzo, tale argomento è l’ideologia: come conduce le persone a comportarsi in determinati modi. Cosa tiene in piedi la loro parte di cielo, come Patrick Foley si chiede riguardo a Gearóid MacSuibhne quando gli fa visita nella sua squallida cella nella prigione di Burgos.  E Patrick stesso, con le sue contraddizioni religiose/sessuali, è persino più complesso di Gearóid e delle sue convinzioni repubblicane sostenute fino alla morte.

    In contrasto con tutto ciò, il protagonista Derek Foley è un apolitico, il che gli permette un punto di vista esterno sulle cose, finché naturalmente viene coinvolto dal suo amore per l’ideologa suprema, Sinéad Ní Shúilleabháin.

    Il titolo originario del romanzo, prima di essere cambiato per quel che considero una semplificazione, era Percependo arance. L’ispirazione venne dall’affascinante citazione di Ortega y Gasset ‘Nessuno ha mai visto un’arancia’. Un’arancia, dopo tutto, è una sfera. Dunque, quello che cercavo di esprimere era che tutti noi abbiamo solo una percezione parziale del mondo; nessuno possiede l’intera verità, come invece sostenuto da alcune religioni o ideologie rese per questo incendiarie, come osservato da Derek mentre viaggia verso il nord del paese. L’arroganza dell’occhio che vede tutto è, in realtà, la visione limitata del súil amháin.

    Derek diventa sempre più apolitico a mano a mano che diventa più europeizzato, facendosi specchio di un’Irlanda moderna che forse si stava staccando dalla sua insularità per unirsi alla CEE nel 1973, anno significativo in cui termina il romanzo. Che cosa avrebbe fatto di te Pearse, Derek? si chiede Sinéad, rimproverandolo dopo il ritorno dalla Spagna quando si mostra critico nei confronti del suo nazionalismo ristretto. Non fu di Pearse, stava pensando Derek, guardarsi avanti gettando uno sguardo molteplice sulla realtà, secondo le istruzioni date dal leader dell’insurrezione del 1916 sul 'ród seo romhainn', ma di Picasso e della sua donna con gli occhi che guardano simultaneamente in direzioni diverse.

    Tuttavia, nonostante la nostalgia per il vecchio titolo, il simbolo dell’arancia rimane: lo sbucciare le arance per calmare l’enfisema di sua madre segna anche il tentativo di Derek di togliere gli strati di segretezza per arrivare alla verità sulle sue origini. Siamo coperti da sette veli, diceva sua madre, e nessuno riesce a toglierli tutti.

    Le arance erano l’incentivo dato ai bambini per contrastare l’ideologia dell’imperialismo britannico quando la regina Vittoria venne in visita a Dublino nel 1900.

    Le arance erano l’unico cibo a tenere in vita Gearóid nelle trincee durante la guerra civile in Spagna.

    Le arance divennero una profezia destinata ad avverarsi nelle parole di Yeats, veri e propri eufemismi per indicare le bombe dell’IRA che esplosero nella città medievale di Coventry nel 1939.

    Tutti i simboli, arance, gigli, papaveri, distintivi, bandiere o azioni simboliche erano, come racconta Martha a Derek in uno dei suoi rari momenti rivelatori, l’origine di direzioni future nella vita.

    E che ne è delle vecchie Liberties, ahimè oggi decimate, con stradoni che procedono metodicamente in quelle che un tempo furono viottoli imbevuti di labirintici misteri? Brendan Behan considerava chiunque vivesse oltre a Dolphin’s Barn un ‘culchie’, un rozzo contadino che abita fuori città. La madre di Martha, che visse temporaneamente a Aughavanagh Road, non vedeva l’ora di tornare nelle Liberties a causa della solitudine che provava.

    La gente delle Liberties era in generale gente di cui Martha dice, in contrasto con il dispiacere di Derek (per via della reticenza della donna), che viveva con il cuore in mano; non avevano paura di esprimere le proprie emozioni, l’allegria e la tristezza della vita, che nella nostra epoca più sofisticata possiedono forse più sfumature. Tale qualità di apertura è esemplificata dall’amica ugonotta di Martha, Mrs. Chaigneau.

    Nel romanzo la periferia è rappresentata da Rathfarnham, forse ingiustamente dipinta come un luogo freddo agli occhi di Martha e Derek, anche se ciò aveva più che altro a che fare con le circostanze che con il luogo in sé. La fuga verso la periferia, fenomeno degli anni cinquanta per cui la periferia era vista come la panacea di tutti i mali, è un argomento a se stante che è anche la preoccupazione centrale di un romanzo successivo, The Avenue. Ma per Martha e Derek, Rathfarnham rappresentava un luogo di grandi traumi e un luogo che, per loro, non poteva essere chiamato casa.

    Naturalmente, il colpo decisivo per Martha fu scatenato non solo da un’immigrazione interna, ma anche da un’emigrazione reale: l’esilio a Madrid, lontano dal profumo di luppolo della fabbrica Guinness e il profumo di pasticceria di Jacob’s. Esilio: una forma di smembramento secondo Patrick, che cita Columba di Iona. Martha, però, fu testimone della stessa povertà che vide nelle case popolari di Dublino e udì il grido universale della miseria per le strade di Madrid.

    E per quel che riguarda Patrick Foley e il mondo della diplomazia? Cos’era nascosto in quegli archivi che de Valera non volle che vedessimo per così tanti anni? Censurò la copertura mediatica degli anni di guerra per assicurare la nostra neutralità, un’altra mossa politica che condivise con Franco, nonostante le aperture a Hitler. Le cose venivano insabbiate per tenere a bada le emozioni.

    Cos’è un diplomatico? Derek cercò di scoprirlo nei diari di Patrick. Dal greco diplomas, la salvaguardia di documenti. Patrick, mentre cercava rifugio sui Pirenei durante la guerra civile spagnola, ebbe tempo di riflettere sul suo ruolo. La diplomazia irlandese degli inizi era vista sul palcoscenico europeo come una semplice appendice alla politica coloniale britannica. Ma riconoscere il regime di Franco prima della Gran Bretagna (e questo punto è fondamentale) significava vedere l’Irlanda come uno stato indipendente. Ciò ebbe una portata nazionale e internazionale enorme: nel 1939 a Patrick Foley venne ordinato di ritornare a Madrid per assistere alla marcia trionfale di Franco. Nei circoli diplomatici venne preso come il riconoscimento della dittatura da parte dell’Irlanda, cosa che la Gran Bretagna non aveva ancora fatto. L’esito di una tale azione fu che l’Irlanda iniziò a essere vista come uno stato autonomo sul piano internazionale.

    Tuttavia, il fulcro del romanzo è la scoperta dell’impotenza di Patrick. Da cui la ricerca della vera paternità che porta Derek nelle sue personali avventure in Spagna e in Irlanda del Nord attraverso tutte le gradazioni di arancione, per scoprire nella spessa rete della storia, della religione e dell’ideologia chi fosse il suo vero padre.

    E naturalmente lungo la strada c’è l’Amore.

    Mi piace pensare a Sbucciando arance come a una storia d’amore innanzitutto, e all’inizio la ricerca non è tanto della paternità, quanto piuttosto dell’amore materno, cosa che influenza il modo in cui Derek guarda l’amore da adulto, e il suo smarrimento nei confronti di Sinéad è peggiorato, come abbiamo già detto, dall’ideologia di quest’ultima. L’episodio di bullismo in collegio chiarifica quel che Derek ha sempre provato: mancanza di amore. Che sua madre non l’amasse appare evidente; lui, invece, sembra non essere in grado di lottare per se stesso quando lei, senza farsi troppe remore, lo spedisce in collegio perché il suo ficcanasare nel passato le stava apparentemente sfuggendo di mano.

    Sinéad, l’amore della vita di Derek, l’amore infantile, il ricordo di lei come la bambina acerba sulla spiaggia di Dublino, e adesso improvvisamente trasformata davanti ai suoi occhi da quella crisalide nella studentessa universitaria ben dotata, come Derek nota all’improvviso, di tutte le magnifiche curve e sporgenze di una donna.

    Ma come può rompere il guscio nazionalista che ha avvolto così strettamente Sinéad nella ferrea risoluzione di raggiungere il suo scopo? È il dilemma centrale del romanzo: l’ideologia è più forte dell’amore? Ed è solo verso la fine della storia che otteniamo alcuni indizi per rispondere.

    Il mito e la sua creazione sono parti essenziali del racconto orale. Qualcuno ha detto che un artista non dovrebbe mai mettere a rischio una bella storia per amore della verità. Forse la parola ‘accuratezza’ o la parola ‘fatto’ sarebbero state usate, perché l’artista dice sempre la verità, o per lo meno lotta per una verità più importante, una verità poetica, una verosimiglianza che strappa via i fatti nudi e crudi che, a volte, possono sopraffarci e accecarci nella nostra visione, proprio come il personaggio dickensiano Mr. Gradgrind in Tempi difficili. ‘Ora quello che voglio sono i Fatti... Solo i Fatti servono nella vita.’ O il Shylock di Shakespeare nel Mercante di Venezia che reclama l’applicazione della legge alla lettera, ma manca di pietà.

    Il mito, naturalmente, ha un duplice significato: il mito delle storie antiche, le antiche leggende che Martha racconta a Derek, come la storia minacciosa di Labhras Loingseach e del re che aveva orecchie da cavallo. Tuttavia, con gran irritazione della madre, la storia non ha l’effetto sperato, come vedremo meglio in seguito.

    E poi c’è l’altro tipo di mito: i pericolosi miti moderni che cerchiamo di convincerci essere veri. Il mito della storia. Il modo in cui dipingiamo il mondo con i nostri colori; tant’è che Derek, quando diventa professore di storia, tiene in effetti una lezione intitolata ‘La funzione del mito nella storia’. E pone la domanda: cosa succede quando il mito è scomposto nei pezzi che lo compongono?

    La lingua irlandese, che appare con frequenza nel romanzo, avrebbe forse potuto essere salvata se fosse stata spogliata del suo bagaglio ideologico, come osserva Derek mentre la parla liberamente su una spiaggia spagnola. Ma è tutto legato a Sinéad e alla causa nazionalista della visione di Pearse dell’'Éire gaelach, Éire saor'.

    A volte si è portati a chiedersi se Sinéad veda Derek come un essere umano. Ha mai notato la luce nei suoi occhi, o era per lei solo un concetto, una virgola in una teoria? Da cui la domanda ricorrente: ha vinto l’ideologia o l’amore? Mentre Derek ascolta il suono delle campane della domenica, conclude che persino quelle hanno la loro retorica. Veniamo dunque lasciati alle nostre congetture sul risultato finale, finché all’ultimo minuto un nuovo attore entra nella mischia.

    James Lawless

    Febbraio 2014

    I

    Una mente orfana

    Da bambino ero convinto che l’assicuratore fosse mio padre. Non che lo conoscessi, badate bene, (l’avevo incontrato una sola volta), ma lo sentivo con una certa frequenza. Ricordo la voce di mia madre che lo supplicava. Era per i soldi? Non eravamo poveri, anche se mio padre, intendo dire il mio vero padre, era morto. Era stato un diplomatico, quindi non ci aveva certo lasciati nella miseria. Io, però, mi ero messo in testa che mia madre non avesse soldi per pagare l’assicuratore, e che lui cercasse di ottenere altri tipi di pagamento. A questo punto dovrei dire che mia madre era una donna di straordinaria bellezza. Lo so, ogni madre è bella agli occhi della sua prole, ma la bellezza di Mamma era universalmente riconosciuta. Da giovane, i suoi occhi azzurri e la sua figura sottile avevano attirato molti spasimanti che includevano, oltre all’assicuratore, studenti di medicina, membri del corpo diplomatico e persino un uomo dell’IRA. Quest’ultimo era un amico del fratello maggiore di mia madre, Tomás.

    Mia madre scoprì che zio Tomás era membro dell’IRA un giorno in cui, da ragazza, stava riordinando casa per Muddy (mia nonna) e trovò la sua revolver in un libro in cui era stato scavato un buco. Quel libro adesso si trova nello studio del mio defunto padre, in mezzo a libri veri, come una specie di cimelio di famiglia.

    In seguito mia madre cercò di negare, o almeno minimizzare, ogni suo coinvolgimento repubblicano. Tuttavia, ebbe sempre un debole per il patriota Michael Collins e parlava di frequente della perdita di ‘quell’uomo tutto d’un pezzo’. Naturalmente, tutto ciò successe prima che si sistemasse e sposasse il diplomatico, Patrick Foley. Insomma, non che si fosse sistemata per davvero.

    Con l’assicuratore era tutto un gridare e litigare, e c’era anche una confidenza troppo strana per delle semplici transazioni commerciali. Forse è per questo che pensavo che fosse mio padre; dopo tutto, non avevo nessun esempio da seguire. Il mio vero padre era morto quando avevo due anni, o per lo meno così mi avevano detto.

    Dovrei specificare che era l’uomo a gridare, poiché mia madre era docile e raramente alzava la voce. Le ero molto legato, o almeno così credevo. In quanto unico membro maschio della famiglia, pensavo che il mio ruolo fosse di proteggerla. Un giorno entrai nella stanza mentre l’assicuratore la stava rimproverando e lei piangeva. Vidi un gigante di fronte a me. Ricordo grandi stivali neri, molto lucidi. E quando alzai lo sguardo, vidi quella folta barba rossa che mi spaventò. Le barbe erano fatte per nascondersi. Babbo Natale aveva la barba solo perché non voleva farsi riconoscere dai bambini, ma quando tornava a casa se la toglieva insieme agli stivali e al costume. Tutti i bambini lo sapevano. Le barbe erano per le grandi occasioni. Le barbe non erano per cose banali come riscuotere assicurazioni.

    Tacque quando entrai nella stanza. Era stato colto alla sprovvista. Poi mi sorrise, ma quando cercò di darmi un colpetto sulla testa, afferrai un attizzatoio dal caminetto e gli balzai addosso.

    ‘Cos’hai fatto a mia madre?’ gridai.

    Parò i colpi e mi strinse forte entrambe le braccia, rendendole impotenti, lasciandole sospese come le parole nel libro scavato, e l’attizzatoio cadde a terra.

    ‘Un giorno quando sarò più grande ti ucciderò, bastardo.’

    ‘Suvvia, Derek, bastardo non è una parola per an buachaill beag.’

    Almeno credo che disse così.

    Tutto ciò accadde così tanto tempo fa che sembra un’invenzione. Ma il mio tentativo di assalirlo è un ricordo vivido. Mamma si rifiutò di parlarmi dell’accaduto; cercò di farlo passare per una cosa irrilevante. Disse che avevo un’immaginazione troppo fervida. Disse che quel giorno non si sentiva bene e che Mr. Counihan stava solo cercando di consolarla. Quando le dissi che il suo modo di consolare la gente era piuttosto rumoroso, mi lanciò una delle sue occhiate raggelanti che pose fine alla questione.

    Fu allora che capii che mia madre e io non eravamo affatto legati, e poco dopo mi spedì in un collegio nel Paese.

    La vita da reclusi del collegio genera una socializzazione forzata negli studenti (e immagino anche nel personale). Spesso si è costretti a cercare la compagnia di persone con le quali si ha poco o niente in comune. L’ethos più forte (spesso la voce di un bullo) è quello che prevale. Non ho mai condiviso l’idea di dover andare d’accordo con tutti, perché l’uomo è un animale sociale ecc. Per me significava che eravamo tutti uguali, che in una persona non esistevano caratteristiche come individualità, diversità o libertà di scelta. Queste qualità erano soffocate (spesso con violenza da un ‘animale sociale’) perché considerate comportamenti antisociali. Ma nei miei studi solitari scoprii che i risultati negli sforzi umani furono raggiunti da individui, spesso in lotta contro pressione sociale e collettiva.

    Tuttavia, nella realtà dei fatti, portavo con me un senso di insicurezza ovunque andassi: nella mia cartella,

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