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La casa dall'angolo dipinto
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E-book304 pagine4 ore

La casa dall'angolo dipinto

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Info su questo ebook

Narciso è un bambino di otto anni, che perde i genitori e sua sorella in seguito al terremoto di Balvano del 23 novembre del 1980. La narrazione si snoda tra Balvano, Castellammare di Stabia, dove il piccolo va ad abitare insieme a suo fratello di vent’anni, Matera, città d’origine di sua madre, e il Salento. Narciso diventa un famoso pittore, suo fratello un archeologo dell’UNESCO. Il suo animo è però sempre combattuto tra l’essere sopravvissuto all’immane tragedia e la sensazione di volersi ricongiungere a quella parte della famiglia che non c’è più. Dopo la morte dello zio che lo ha cresciuto, avvenuta proprio ai Sassi, Narciso, ormai trentacinquenne, decide di andare a trovare con suo fratello i due zii ultraottantenni che vivono in Australia. In aereo, sospeso tra terra e cielo, scopre il vero significato inedito della sua vita travagliata. La continua macerazione dell’anima e la lenta consunzione dell’animo diventano un pallido ricordo e si sente avvolgere da una fede indicibile e da una speranza infinita che lo portano a non desiderare più di ricongiungersi con la parte di sé sempre orfana, polverizzata e confusa tra le macerie del terremoto. Narciso ripensa alle gerbere che lo hanno aiutato a rinascere. D’altronde, i fiori fioriscono sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2014
ISBN9786050323801
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    Anteprima del libro

    La casa dall'angolo dipinto - Antonia Occhilupo

    Donata

    Uno

    Nella tiepida notte, al buio amico di tante notti tranquille, nella modesta casetta protetta dalle montagne e circondata da profumati calanchi e da verdi valli dove brucano l’erba le mucche, le pecore e le capre, Narciso si alza senza far rumore, con i piedi ricoperti dalle babbucce celesti sferruzzate da mamma Natalina. La sua manina stringe tanti pastelli colorati. Come un sonnambulo, cammina per il corridoio a passi felpati. Si ferma vicino all’unico angolo non ammobiliato né tappezzato di quadri. Il chiarore della luna piena inonda i vetri delle finestre del salotto e della cucina e filtra anche attraverso le imposte leggermente socchiuse della persiana del bagno, da un po’ di tempo eternamente a soqquadro a causa di Margherita.

    Margy divide con lui la cameretta angusta dove, oltre ai due lettini e ad un unico comodino, c’è soltanto una minuscola scrivania e, quindi, Narciso è solito fare i compiti in cucina, mentre la mamma fa i servizi di casa o si dedica al rammendo o alla maglia.

    Gelsomino, il fratello di vent’anni, studia Lettere antiche all’Università di Napoli e vuole diventare archeologo. Gelsomino è uno studente modello, dice sempre papà Peppe, ed è anche un bel giovanotto. Quando è a Balvano, le amiche lo chiamano in continuazione al telefono e non vuole che Margherita o Narciso vadano a rispondere. Lui è proprio bello, con quel corpo scultoreo, atletico e muscoloso ma, in quanto ad altezza, non è riuscito a raggiungere il suo papà e non c’è alcuna somiglianza tra i due. Gelsomino assomiglia di più ad uno fratello della mamma, zio Michele, che abita a Castellammare di Stabia, vicino Napoli, e ha i suoi stessi occhi neri e incavati, con un alone scuro intorno, e la fossetta al mento.

    Narciso sa già cosa farà da grande. A lui piace disegnare con gli acquerelli, con i colori a tempera, con i pennarelli, con i colori a cera, perfino con i tappi di sughero bruciacchiati; con la carbonella ha ornato le pareti esterne della loro casetta disegnando ragni e ragnatele. Il piccolo rivela già il suo interesse artistico futuro e ne ha ben donde, in quanto il suo nome non richiama solo il fiore ma anche la cultura e l’arte per il mito di Narciso. In salotto c’è una riproduzione che ritrae il bellissimo giovane mentre si rimira in uno specchio d’acqua.

    Il padre, un educatore pedagogista che lavora all’Istituto Penale per minorenni di Potenza, prova un non so che di ammirazione per quel figlio così fantasioso e creativo. Mamma Natalina è più con i piedi per terra e mal tollera l’intraprendenza del piccolo anche se, casalinga e con la seconda elementare, non osa contraddire il marito. Una cosa è riuscita ad ottenere: il nome di un fiore per i suoi tre figli. La sua è stata una trovata intelligente, per non seguire l’usanza di appioppare il nome dei propri genitori ai figli.

    Narciso conta i rintocchi della campana della chiesa, tre più forti e due più deboli: sono le tre e mezza. Inizia a disegnare sulla parete, stando attento a non far rumore, per non svegliare i genitori e sua sorella. Su un lato dell’angolo, da destra verso sinistra, disegna Gelsomino mentre immagina di scoprire una tomba egiziana con tanto di mummia. Sarebbe una vera fortuna per la sua carriera futura. Gli manca tanto: con lui Narciso si diverte un mondo e non c’è verso di annoiarsi. Vicino al fratello ritrae se stesso con i pastelli. Ogni tanto un ticchettio lo distrae e raccatta dal pavimento le matite che gli cascano dalla manina infreddolita e ricomincia a disegnare, non prima di sbirciare la grande luna, quasi a volerne aspirare la sua magia misteriosa.

    Sull’altro lato dell’angolo, ecco Margy, di quattordici anni, china sui libri, lei da grande vuol fare la maestra. Accanto alla sorella disegna il padre, in giacca e cravatta, davanti all’istituto dove ci sono tanti ragazzi da recuperare, come ripete spesso. Infine, disegna la mamma coi capelli sciolti, indossa un vestito blu decorato da puntiformi pallini rossi e in mano ha la torta al cioccolato, di cui lui e la nonna sono tanto golosi. Narciso ricorda che, tra qualche giorno, sarà il compleanno della nonna.

    Ad un tratto s’ode una cascata tintinnante: a Narciso son caduti tutti i pastelli. Sta per raccoglierli, facendosi aiutare dal fulgore lunare che pennella di bianco quell’angolo, quando la mamma, mezza addormentata, fa la sua comparsa, dopo aver acceso la luce in bagno e accostato la porta della cameretta, per non svegliare Margherita.

    Cosa stai facendo? gli domanda, un po’ stralunata e tremante di freddo, con la camicia da notte di flanella color panna a cuoricini gialli, coi capelli lunghi sulle spalle, con le babbucce rosa ai piedi.

    Al bambino piace guardare sua madre in camicia da notte. È l’unico momento in cui si veste di colori belli e luminosi. Di giorno ha sempre i capelli legati ed è sempre vestita di nero o di scuro in eterno lutto. I suoi capelli, nonostante gli anni, sono neri con rari fili bianchi e i suoi splendidi occhi virano dal verde al celeste a seconda della luce. In un battibaleno, compare anche il padre che accende la luce del corridoio. È buffo con le babbucce grigie. A Narciso vien da ridere, ma si trattiene sapendo che si buscherà un bel rimprovero per l’angolo violato.

    Che bello! Sei proprio un genio nel disegno, magari fossi così bravo in matematica! sospira il suo papà, nel tentativo di mettere meglio a fuoco quel capolavoro, in quanto ha lasciato sul comodino i suoi occhiali quadrati, con le lenti spesse, a fondi di bottiglia.

    La mamma, invece, sembra ancora imbambolata e non proferisce parola.

    Aspetta che corro a prendere la macchina fotografica continua Peppe.

    E gli occhiali gli ricorda Natalina.

    Mentre cerca e ricerca la macchina fotografica, Narciso ne approfitta per finire di colorare la torta al cioccolato. La sua mamma è sempre immobile sulla stessa mattonella e soltanto adesso sta realizzando che quell’angolo è stato, secondo lei, imbrattato, mentre per il padre è da immortalare come opera d’arte da mostrare, orgoglioso, ai suoi colleghi.

    Invece del rimprovero, Narciso s’è pure guadagnato una sfilza di foto!

    Ora fila in camera che sono ancora le quattro e fai piano per non svegliare tua sorella gli ordina la mamma, mentre gli dà un bacio sulla fronte.

    Tanto può cascare il mondo o esserci il terremoto, Margy non si sveglia nemmeno con le cannonate. Chissà se a lei piacerà il mio disegno! bisbiglia Narciso.

    Le piacerà, vedrai le piacerà. Per fortuna che oggi è domenica e possiamo alzarci tutti un po’ più tardi! lo tranquillizza la mamma.

    Narciso va a letto, ma non riesce a dormire. Sente l’ululato di Alì, il cane da guardia. Al suo guaito si aggiungono via via quelli di altri cani e Narciso fa fatica a distinguere la voce del suo Alì: è un’orchestra lugubre, quasi sinistra.

    Mamma, non riesco a dormire si lamenta il piccolo, arrivato al buio vicino al lettone, toccando il suo seno, e la mamma acconsente a farlo infilare nel letto in mezzo a loro.

    Mamma mi canti sottovoce la ninna nanna?

    Mio Dio! Non è che gli prende la febbre? si chiede sgomenta.

    Speriamo di no mormora suo padre, non prima di avergli toccato la fronte e arruffato i capelli; poi si gira sul lato interno, per fare più spazio nel letto.

    Luna pienotta

    dammi una pagnotta

    con dentro la mortadella

    o meglio con la nutella.

    Luna falcetta

    dammi una casetta

    con accanto una stalla

    o con dentro una palla.

    L’ululo del lupo

    non è poi così cupo

    il raglio dell’asinello

    riscalda il Bambinello.

    E una cometa s’è posata

    sulla grotta immacolata

    gli angioletti coi pannicelli

    accolgono i Magi coi mantelli.

    Il bimbo si addormenta, placido e sereno, accanto alla sua mamma che continua, in una scena alquanto insolita, ad accarezzarlo, con la mano che si muove in automatico sul suo corpicino.

    Si è appena appisolata quando si sveglia all’improvviso a causa di un lamentio di sottofondo che proviene dalla stanza accanto: Le scarpe. Oddio! Le scarpe. Le mie scarpe.

    Si alza e corre nella cameretta. Margherita si sveglia in quell’attimo: Mamma, non riesco a prendere le scarpe, quelle che devo mettere alla messa. Le scarpe. Le scarpe. Più mi avvicino, più mi sembrano lontane ripete piagnucolosa con lo sguardo sbarrato.

    Hai fatto un brutto sogno. Stai tranquilla, tesoro di mamma! Ti prendo le scarpe tenta di calmarla, nell’atto di aprire la scatola, posta sulla scrivania, con le prime scarpe nere dal tacco un po’ alto, acquistate pochi giorni prima a Potenza, insieme al suo papà, all’uscita di scuola.

    Accarezza quel volto, così identico al suo, più e più volte.

    Torna a letto e, in un soffio, racconta a Peppe l’incubo di Margherita. Finalmente si addormenta tra il ronfare di suo marito e il lieve respiro di Narciso, con una mano intrecciata a quella di Peppe, a formare un semianello sulla testa di Narciso, e l’altra posata sulla pancia morbida del piccolo.

    Due

    Le colline intorno al paese sono disseminate di tante abitazioni illuminate da una luce fioca con accanto il fienile e la stalla per le mucche, gli ovili per le pecore e le caprette e c’è anche lo spazio per le galline, i tacchini, i conigli e qualcuno ha anche i maiali. La famiglia di Narciso abita alla contrada San Nicola e, dalla loro casa, si spazia per tutto il paese e in fondo, su in alto, si vede il doppio filare dei cipressi che fa un gomito a sinistra. Là, in quel piccolo cimitero sono accolte le spoglie dei balvanesi e, sul finire della curva, c’è una chiesetta con dentro i loculetti di tanti forestieri. Peppe la chiama la cappella dei napoletani. Lo sparuto paese è circondato dai Monti della Maddalena e si adagia in un declivio alla fine dell’ondulazione delle valli, come incuneato in una stretta fenditura, sorvegliato da rocce, forre e dirupi con le montagne ricoperte da una folta vegetazione. Poche luci lo illuminano, con il vecchio campanile della Chiesa dell’Assunta e il sovrastante Castello Girasole il quale, pur se diroccato, esiste e resiste da secoli. Proprio ieri mattina, a scuola, Narciso ha fatto una ricerca sulle origini del castello e sui vari avvicendamenti dei signorotti, a partire dai Longobardi, come il suo cognome.

    Loro abitano in mezzo alla natura per scelta del padre, che preferisce fare su e giù ogni giorno da Potenza, per garantire ai figli aria salubre e autenticità nei rapporti, invece che anonimato, fretta e inquinamento. In realtà, Peppe è molto legato agli anziani genitori, che vivono nel podere accanto, in quanto i suoi due fratelli sono emigrati da anni in Australia e laggiù si sono pure sposati.

    Nonno Giovanni è stato sempre un uomo di fatica. Ogni mattina, incurante del freddo e del caldo, della pioggia e della neve, si alza all’alba per dar da mangiare ai suoi animali, galline, galli, conigli, tre tacchini e due caprette. Poi, con incedere lento, ma per nulla incerto, arriva da Peppe. Appoggia sul vecchio tavolo, sotto il patio, il latte di capra appena munto e si dirige dietro la casa per dar da mangiare alle galline e a un gallo, alle paperelle e ai coniglietti, tre grigi e due bianchi candidi con gli occhi rossi. Lo segue Babà che, arrivato a casa di Narciso, viene accolto da Alì che scodinzola, pronto per abbuffarsi della sua scatoletta preferita che divide ogni santa mattina con Babà. Fanno da contrasto tutti e due. Alì ha il pelo lungo e morbido, dal colore biondo birra, Babà un manto nero lucente con il pelo corto e ispido. Alì è piccolo e bello, Babà è grande e sgraziato su quelle zampe troppo lunghe e secche, ma stanno bene insieme e si cercano continuamente. La notte si danno alle scorribande per le dolci valli, ma, al mattino presto, sono tutti e due ai rispettivi posti di guardia: Alì da Peppe, Babà da Giovanni.

    Il nonno indossa sempre, estate e inverno, una giacca a vento verde militare e, quando cammina per i campi, tiene sempre le mani dietro la schiena. Malgrado l’età, è sempre ritto e magro, ha tanti capelli bianchi e la barba lunga, morbida e curata. Ogni sabato pomeriggio si fa accompagnare dal figlio giù al paese, al salone del barbiere. Ci tiene tanto alla sua fluente capigliatura e alla sua barba bianca: È segno di saggezza non di vecchiezza ama ripetere lisciandosi la barba, come dire che lui non è vecchio - ha ottantacinque anni suonati - ma saggio.

    Nonna Rosina, invece, al mattino resta a casa. O c’è il sole o piove o nevica lei deve spalancare tutte le finestre, per far arieggiare tutti gli ambienti. Dopo le sue abluzioni, inizia, ogni santo giorno, a rassettare dappertutto; non un soprammobile o un santino fuori posto né un granello di polvere sui poveri mobili troppo antichi, in quella vecchia casa sempre linda e pinta.

    Soltanto dopo, inizia a pensare a cosa cucinare e spesso chiama la mamma per preparare insieme un buon pranzetto. La nonna è infaticabile nei suoi ottanta anni anche se è magra come un grissino, ma si vede solo dalle mani lunghe e ossute e dal viso con le guance incavate e la pelle vizza. Il suo corpo è infagottato da larghe gonne scure, lunghe e pieghettate fino alle caviglie. In testa ha sempre un foulard scuro che nasconde i radi capelli grigi, intrecciati a crocchia dietro la nuca.

    Una volta Margherita, con la sua curiosità di adolescente un po’ impertinente, le aveva chiesto d’istinto: Nonna, hai mai indossato il reggiseno?

    Figlia mia, ai miei tempi la gente povera non aveva da mangiare, figurarsi se spendeva i soldi per un reggipetto! le aveva confidato.

    Sei stata anche fortunata ad avere un seno piccolo, immagina con il mio, che ho già la terza misura, eh nonna? l’aveva stuzzicata Margy, senza alcun imbarazzo.

    Il mio seno era talmente piccolo che, ogni volta che allattavo, ero fiera di averlo grosso, ma poi San Giuseppe ci ripassava la pialla! le aveva risposto, avvertendo un feeling particolare per quella nipote.

    Scostumata l’aveva apostrofata sua madre. Che domande fai alla nonna!?

    E che ho chiesto mai, dopo tutto son cose da femmine! le aveva risposto, accattivante, come per tessere una complicità tra donne.

    Aspetta, aspetta. Sei diventata signorina da nemmeno un anno e già ti senti donna? aveva replicato la mamma, con fare tra il divertito e il rimprovero.

    Frena! Frena! aveva rincarato la dose la nonna.

    La nonna ci va a nozze con gli scherzi, è un tipo allegro e spiritoso ed è sempre attiva, ha sempre qualcosa da fare, non le piace rimanere con le mani in mano. Margherita aveva riso così tanto che le sue guance eran diventate rosse ed erano proprio belle con le fossettine al centro.

    Il pomeriggio per i nonni è sacro. Il nonno si concede la pennichella sulla poltrona in similpelle, vicino al camino, la nonna si dà ai solitari con le carte napoletane. Nella loro casa regna il silenzio per circa un’ora, allietato dal canto fuori orario dei galli, dallo starnazzare delle galline, dal gloglottare dei tacchini, dal belare delle caprette e dal tubare dei colombi, mentre in lontananza si ode lo scampanio e il muggito delle mucche al pascolo. Alì e Babà spariscono dalla circolazione. Sanno che non devono disturbare e allora scorrazzano in libertà, senza abbaiare, per non essere richiamati all’ordine, al loro posto di guardia.

    Qualche domenica mattina il nonno, con al seguito i cani, invita Narciso ad andar per valli di querce, cerri e faggi alla ricerca dei tartufi e si accompagna al suo bastone nodoso, senza impugnatura, ricavato con le sue stesse mani da un resistente ramo di faggio. Con l’aiuto insostituibile di Alì e Babà, d’estate va in cerca dello scorsone nero, d’inverno del tartufo nero, ma a Narciso non piace il gusto del tartufo, il cui profumo è troppo forte.

    Quella domenica di fine novembre, i guaiti di Alì e Babà e di altri cani svegliano Narciso. Sono così incessanti che i versi degli altri animali sembrano, al confronto, appena sussurrati. Prima di chiamare la mamma, si concede una carezza sui loro cuscini. Poggia la sua testolina prima sull’impronta del cuscino di papà, odorandolo: sa di menta; si rotola sul lato della mamma: il suo cuscino sa di lavanda. Non l’ha mai fatto, ma gli desta una sensazione piacevole.

    Piroettando di qua e di là, avverte un forte senso di nausea: Mamma, mi vien da vomitare.

    I genitori giungono subito in camera da letto e gli fanno una bella ramanzina: Hai visto? Stanotte sei stato in piedi e ora hai la febbre lo rimbrotta il padre, toccandogli la fronte.

    La mamma gli tasta le mani: Scottano, vieni, ti portiamo nel tuo letto e il suo papà lo prende in braccio.

    Il termometro segna 38°. Narciso stringe il culetto al pensiero della supposta di tachipirina. Margherita è già sul piede di guerra per prenderlo in giro. Sembra una gattamorta, ma è sempre pronta a graffiare. In alcuni momenti Narciso la odia. Gli fa proprio rabbia, lei non si ammala mai. Narciso, tutto pelle e ossa, è un bambino linfatico, basta un nonnulla e si becca la febbre e la tonsillite. Suo padre ha già consultato vari otorini a Potenza e pure a Napoli e alcuni non sono d’accordo a togliergli le tonsille.

    Peccato che non puoi venire con noi in chiesa sogghigna Margherita, poltrendo ancora nel letto.

    Vuol dire che stasera i nonni ti terranno compagnia lo rassicura il padre con la sua tipica voce stentorea.

    E tu perché stanotte cercavi le scarpe? chiede, con una vocina dileggiante, il piccolo a Margy.

    Perché? Anche tu eri sveglio? si meraviglia la mamma.

    Boh! Non ricordo quasi nulla. Mi rivedo la scena in cui io sapevo che le scarpe stavano in un determinato punto, ma non riuscivo a raggiungerlo tenta di spiegare Margy, ancora sconcertata da quel ricordo per nulla sfocato.

    Dalla finestra della camera Narciso ammira il sole che abbaglia le cime; non un filo di vento, tutto sembra sospeso, quasi soffocante.

    Eppure siamo al 23 di novembre e questo caldo fuori stagione non produce nulla di buono sente borbottare il nonno.

    Il nonno sta camminando lentamente accanto alla nonna che ha messo nel grembiale, modellato a mo’ di cestino, gli ultimi sorbi raccolti dall’unico albero che sta a metà viottolo tra la loro casa e quella del figlio. La domenica si rinnova sempre il medesimo rituale. Il nonno arriva più tardi, accompagnato dalla nonna, e porta il latte ancora caldo nel bricco d’alluminio. Dopo averlo appoggiato sul tavolo sotto il patio e aver dato da mangiare ad Alì e Babà, insieme vanno a governare gli animali da cortile, in modo che Peppe si alzi con calma per aprire. Una volta entrata con il latte, la nonna, con movimenti circolari, antichi di sempre, sbatte vigorosamente un rosso d’uovo con lo zucchero per Margherita e per la mamma, quindi è il turno di papà e del nonno e a loro aggiunge mezzo guscio d’uovo di marsala. Anche a Gelsomino piace così. Narciso, invece, causa febbre e sensazione di nausea, non berrà l’uovo crudo a cui la nonna fa due buchetti alle estremità. La nonna è l’unica che non mangia l’uovo alla domenica, a lei piace solo cotto e ben cotto. La nonna non butta mai i bianchi d’uovo e puntualmente, ogni lunedì, la mamma prepara una frittata alta e soffice soffice aggiungendovi un uovo intero, oppure prepara un brodo vegetale e vi immerge le palline ricavate dagli albumi più un uovo a cui mescola formaggio caprino grattugiato, prezzemolo tritato, sale e un pizzico di pepe bianco. È bello vedere le palline che, appena salgono in superficie, si rigonfiano, facendosi spazio le une accanto alle altre. Per Narciso è come se giocassero a biliardo. Ma la ricetta non è facile, bisogna saper far bene l’impasto, altrimenti o le palle si spappolano o son troppo dure.

    Dopo aver fatto il loro dovere, i nonni tornano a casa e il nonno pulisce il pollaio e la conigliera, ma lui ha anche la passione dei colombi, che arrivano a torme nella colombaia che libera dal guano ogni tanto. All’una in punto tornano per il pranzo e il nonno, dopo un breve pisolino, pulisce i vari ambienti degli animali di Peppe. Ad ogni festa che si rispetti, pranzano tutti insieme e la nonna porta sempre il pan di spagna preparato con dodici uova, a forma di ciambella, dai colori giallo e nero di cioccolato. Nei giorni successivi, con il dolce avanzato, i ragazzi ci fanno la colazione inzuppandolo nel latte di capra.

    A pranzo, ogni domenica, si gusta la pasta fresca di consistenza piacevolmente ruvida, preparata dalla mamma e dalla nonna, in particolare cavatelli, strascinati, scialatelli, conditi col sugo. La pasta al sugo è resa divina da una grattugiata di bianco rafano, coltivato dal nonno, o di tartufo nero, ma è buona anche condita con la mollica di pane sbriciolata e fritta, a cui la nonna aggiunge una manciata di prezzemolo tritato. Mamma Natalina era proprio contenta quando faceva i tagghiarini con il sugo di braciole di maiale, che sono buonissimi anche con i ceci; era come sentirsi a casa sua, ai Sassi. Alla stagione, si fa festa con la pasta fatta in casa condita con i funghi raccolti dal nonno, in primis cardoncelli e gallinacci. Quando il nonno raccoglie i natalin, la mamma e la nonna si danno da fare per farli sott’olio, per quanto sono carnosi e squisiti. Qualche volta il nonno ammazza un coniglio o un pollo o una gallina e, quando la scelta cade sul coniglio, per la valle, fin dal primo mattino, si spande un buon profumino, perché la nonna mette da parte le interiora e apre l’intestino con le forbici, togliendo tutte le palline nere degli escrementi. Lava le frattaglie con l’aceto rosso di casa, quello buono fermentato con la madre gelatinosa, ereditata da suo padre, e le soffrigge con la cipolla, irrorandole con il vino rosso, e il nonno ci fa la colazione, altro che latte o uovo sbattuto.

    Il nonno non ha nemmeno un dente in bocca, ma le sue gengive si sono ossificate e mastica tutto. La nonna ha pochi denti, ma ancora forti e rosicchia persino la carne vicino all’osso e ogni volta Narciso la guarda con tanto d’occhi. A tavola il nonno tira fuori dalla giacca il suo vecchio coltello da tasca, un po’ arrugginito e con il manico di legno, e con quello taglia la sua fetta di pane a tocchetti e la frutta a pezzetti. Ogni tanto lo affila con una piccola mola grigia e liscia e la lama diventa lucente e tagliente, perché gli serve per potare, innestare, raccogliere le verdure.

    Mentre stanno pranzando, allo squillo del telefono, Narciso salta giù dalla sedia per rispondere per primo: Gelsomino quando vieni? Lo sai che ho la febbre? lo aggiorna all’istante.

    Gelsomino, sempre calmo e paziente, sorride dall’altro

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