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I cattivi nelle serie tv
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I cattivi nelle serie tv
E-book188 pagine2 ore

I cattivi nelle serie tv

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Info su questo ebook

Cattivi. Quelli che ci terrorizzano e ci perseguitano nei nostri incubi dopo che li abbiamo visti sullo schermo, che ci fanno riflettere sulla nostra natura, che ci costringono a confrontarci con i nostri limiti morali senza doverci scomodare ad alzarci dalla poltrona. I cattivi ci spaventano al punto di farci cambiare canale. “I cattivi nelle serie tv” ci spiega come e perché i cattivi ci affascinano. Analizzando ventidue serie che hanno fatto la storia della tv (Breaking Bad, Il trono di spade, The Walking Dead, The Shield, Dexter, Hannibal, Angel, The Vampire Diaries, Buffy, House of Cards, Battlestar Galactica, Glee, X-Files, Homeland, 24, Heroes, Agents of S.H.I.E.L.D, Lost, I Soprano, Sons of Anarchy, Revenge e I segreti di Twin Peaks), Chiara Poli ci racconta quali sono le tipologia di cattivo del piccolo schermo: il cattivo-trappola, il cattivo perfetto, il supercattivo, il cattivo-simbolo e molti altri. Personaggi che amiamo odiare… E che odiamo amare.
LinguaItaliano
Data di uscita7 dic 2014
ISBN9786050341492
I cattivi nelle serie tv

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    Anteprima del libro

    I cattivi nelle serie tv - Chiara Poli

    Chiara Poli

    I CATTIVI NELLE SERIE TV

    Indice

    DISCLAIMER - Attenzione, spoiler!

    INTRODUZIONE - Il telespettatore consapevole

    NOI E I CATTIVI - Identificazione, proiezione e catarsi

    SERIAL LOVERS - Perché amiamo le serie tv

    IL FASCINO DEL MALE - Perché amiamo i cattivi

    A CIASCUNO IL SUO CATTIVO - I generi e i ruoli dei cattivi

    UNA LUNGA TRADIZIONE - Storia dei cattivi in tv

    BREAKING BAD - Walter White e il male come riscatto

    IL TRONO DI SPADE - Della crudeltà, dell’ego e delle origini del male

    THE WALKING DEAD - L’inadeguatezza che dà origine ai mostri

    THE SHIELD - La corruzione e il cattivo-trappola

    ANGEL e THE VAMPIRE DIARIES - Cattivi perfetti 

    BUFFY - Cattivi d.o.c.

    HOUSE OF CARDS - Del potere e di altri demoni

    BATTLESTAR GALACTICA - Della codardia: i cattivi per paura 

    DEXTER e HANNIBAL - Grandi cattivi, grandi personaggi 

    GLEE - Il cattivo politicamente scorretto 

    X-FILES - Il cattivo-simbolo e il cattivo-pedina

    HOMELAND - Del terrorismo

    24 - Cattivi per dovere

    AGENTS OF S.H.I.E.L.D. e HEROES - Cattivi storici e supercattivi

    LOST - Il manipolatore

    SONS OF ANARCHY - Il cattivo relativo 

    I SOPRANO - L’antieroe

    REVENGE - La vendetta è un piatto che va servito freddo

    I SEGRETI DI TWIN PEAKS - Quando i cattivi fanno davvero paura

    Disclaimer: Attenzione, spoiler!

    Tutte le serie analizzate in questo volume sono state trasmesse in Italia, integralmente o parzialmente. Le serie più popolari e seguite, come Il trono di spade e The Walking Dead, vengono affrontate citando apertamente eventi e colpi di scena inseriti negli episodi già andati in onda sulle reti italiane.

    Per altre serie, meno conosciute o da recuperare, i riferimenti sono più generici. In ogni caso, prima di leggere i capitoli relativi alle serie indicate nel titolo assicuratevi di essere a conoscenza di tutti gli sviluppi principali per non incappare in sgradite sorprese.

    Ringraziamenti

    L’autrice desidera ringraziare Lorella Ventura e Micol Grassilli per la realizzazione della copertina di questo libro. E Bob de I segreti di Twin Peaks, il primo cattivo televisivo che l’ha perseguitata nei suoi incubi spingendola a indagare più a fondo sulla questione.

    La copertina è di Micol Grassilli e Lorella Ventura Web Solutions (www.lorellaventura.it).

    INTRODUZIONE

    Il telespettatore consapevole

    Florida mom petitions against Toys 'R Us over Breaking Bad action figures: I’m so mad, I’m burning my Florida Mom action figure in protest! (Una mamma della Florida fa una petizione contro le action figures di Breaking Bad della ditta Toys ‘R Us. Sono così arrabbiato che sto dando fuoco alla mia action figure della Mamma della Florida in segno di protesta). Così Bryan Cranston, pluripremiato protagonista di Breaking Bad, rispondeva via Twitter alla decisione della Toys ‘R Us di ritirare dal mercato le action figures della serie in seguito alla lettera di protesta inviata da una mamma americana. La donna chiedeva il ritiro delle figurine per il cattivo esempio che davano ai bambini.

    Breaking Bad è la storia di Walter White, un professore di chimica che scopre di avere il cancro e decide di darsi al crimine per accumulare denaro sufficiente da lasciare alla sua famiglia. Insieme a un suo ex studente, contattato per smerciare la metanfetamina che produce, Walter si ritrova in situazioni sempre più pericolose.

    Quella di Walter White, timido e rispettoso padre di famiglia che ha rigato dritto per tutta la vita, è una scelta estrema. Ma anche una scelta che porterà alla luce un lato inedito di Walter, un lato che da timido e rispettoso padre di famiglia aveva represso per tutta la vita. Dopo aver scoperto quanto sia facile ottenere ciò che vuole senza rispettare le regole, e dopo essersi scoperto più avido di quanto sospettasse, Walter dovrà fare i conti con le conseguenze di ogni azione compiuta dopo aver deciso di rompere le regole, di saltare la fila, di diventare cattivo, di abbandonare la retta via (breaking bad, appunto). Ciò che la nostra mamma della Florida evidentemente non ha colto è che l’ingresso di Walter nel mondo del crimine - motivato dalla disperazione - non incita a infrangere la legge, anzi. Conferma che il crimine non paga. Non a lungo termine, almeno.

    Cattivi esempi e cattivi, cara la nostra mamma che scrive dalla Florida, sono due cose diverse. Incendiare auto e saccheggiare negozi con la scusa della protesta sociale è un cattivo esempio, Hannibal Lecter è un cattivo. Non è difficile individuare la distinzione fra fiction e realtà: ce la si può fare anche senza essere esperti di sociologia, psicologia, letteratura o linguaggio audiovisivo.

    I cattivi esempi inoltre provengono quasi sempre dalla vita vera. I cattivi reali sono un pessimo esempio per tutti, certo, ma quelli dei film e delle serie tv sono solamente la pallida imitazione dei malvagi in carne e ossa. La questione è sempre la stessa, in fondo: la vita imita l’arte o viceversa? Se lo chiedono tutti ogni volta che un caso di cronaca si lega a un prodotto per l’intrattenimento accessibile al grande pubblico. Come quando una action figure, oggetto di collezione per i fan di una serie o di un film, viene erroneamente considerata un giocattolo.

    A chi vuole scatenare polemiche queste sottigliezze però non importano. Immagino che la mamma della Florida impedisca a suo figlio di guardare la tv, se non sotto stretta supervisione, e di accedere a internet. Sono certa che controlli ogni conversazione con i suoi compagni di classe e verifichi ogni suo spostamento… Altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento contro degli innocui pupazzetti. O forse sì. Forse si spiega proprio con la tendenza a incolpare cinema e tv dei propri fallimenti come educatori, delle lacune in quel processo di crescita che dovrebbe prevedere anche l’insegnamento a sviluppare la capacità critica. Ma le mamme della Florida magari sono troppo occupate a demonizzare figurine da collezione per pensarci.

    La storia si ripete. Il tempo passa, la polemica no. Molti anni fa - venti, per la precisione: era il 1994 - un ragazzino di Milano decise di fare uno scherzo a mamma e papà. Rimasto solo in casa, si ricordò di aver visto Winona Ryder che fingeva di impiccarsi per ingannare il suo aspirante assassino, Christian Slater, nel film Heathers (Schegge di follia in italiano) in onda su Italia 1. Il ragazzino provò a copiare la finta impiccagione ma qualcosa andò storto e al loro ritorno mamma e papà lo trovarono privo di vita. Non per scherzo, per davvero.

    Sui giornali si scatenò un putiferio. I talk show ospitarono schiere di esperti pronti a demonizzare la rete, accusata di aver causato la morte di quel ragazzino con la messa in onda in orario inadeguato di un film che istigava alla violenza. Heathers, in realtà, è un film contro la violenza. Il regista Michael Lehmann e lo sceneggiatore Daniel Waters lo realizzarono nel 1988 per portare all’attenzione del grande pubblico il dramma del bullismo e del suicidio giovanile. Ma vai a spiegarlo alla schiera di esperti, che il film non l’avevano né visto (tolta la sequenza incriminata), né capito: impossibile riuscirci.

    Perché per capire il vero messaggio del film, che sotto uno humour così nero che più nero non si può celava un grido d’aiuto contro la prepotenza, ci sarebbero volute delle capacità di analisi testuale e un senso critico che gli esperti non possedevano. Erano ferrati nei loro rispettivi campi, ma nessuno aveva pensato di insegnare loro il linguaggio di cinema e tv. Proprio come purtroppo accade ancora oggi con i giovani telespettatori ai quali nessuno ha insegnato come acquisire i mezzi per valutare con oggettività un film o un telefilm. E per individuarne i messaggi, per guardarli con una coscienza critica e viverli serenamente, a prescindere dalle loro atmosfere. Eppure sarebbe così semplice. Basterebbe così poco.

    In passato ho tenuto diversi corsi di analisi dell’immagine e del linguaggio audiovisivo nelle scuole, dalle elementari all’università, e ho constatato in prima persona quanto sia facile far comprendere anche ai ragazzini più giovani i meccanismi di finzione che trasformano un sogno in immagini, che rendono possibile l’impossibile, che cancellano per un attimo i confini fra mondo tangibile e schermo, piccolo o grande che sia. La premessa, però, prevede che quell’attimo sia davvero un attimo, un processo che dura giusto il tempo della visione del prodotto: il meccanismo dell’identificazione fa il suo corso quando chi lo mette in atto ne è consapevole e di conseguenza è pronto a spegnerlo in automatico al momento opportuno. Ammesso che qualcuno gli abbia insegnato come farlo, naturalmente. Solo in quel caso l’intrattenimento rappresenta ciò che deve: un’evasione dalla realtà per la durata della visione, con un saldo ritorno al mondo vero al comparire dei titoli di coda.

    Quando questo non succede si instaurano dei meccanismi che nulla hanno a che vedere con l’industria dell’intrattenimento e molto hanno a che fare con la sfera della malattia. Le psicopatologie che spingono un assassino a confessare di essersi ispirato a una puntata di C.S.I. o al serial killer televisivo Dexter Morgan non sono la prova che la tv trasforma i bravi ragazzi in cattivi coi fiocchi. Sono solo la punta di un iceberg che i non addetti ai lavori non riescono a vedere nella sua interezza. È fin troppo facile accusare l’elemento scatenante, dare la colpa alla proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Molto meno semplice è prendersi le proprie responsabilità di educatori, insegnare ai ragazzi a distinguere fantasia e realtà, bene e male, giusto e sbagliato, reale e illusorio. Trucchi e finzione.

    Viviamo in una società desensibilizzata alla violenza, è un dato di fatto. Una società nella quale le mostruose immagini delle decapitazioni in diretta non vengono considerate poi così mostruose da chi fatica a distinguere realtà e finzione, telegiornale e film horror. Proprio per questo insegnare ai telespettatori, fin dall’età più adatta, a basare la propria visione critica sulla netta distinzione fra realtà e finzione farebbe la differenza. Riflettere sui meccanismi psicologici ed emotivi che intervengono di fronte alla tv, il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza, consentirebbe a tutti di trarre vantaggio da un’esperienza di visione pronta a trasformarsi in bagaglio culturale anziché in incubo. E c’è di più: consentirebbe anche ai telespettatori di porsi in modo diverso di fronte a quei prodotti non di fiction che affollano in massa in palinsesto generalista italiano. Mi riferisco, per fare un esempio, ai reality show e ai programmi di corteggiamento che spesso propinano al pubblico dubbio gusto e valori chiaramente diseducativi. Falsi valori molto più dannosi, se vogliamo, di quelli presentati alla platea televisiva  da film e telefilm, che non pretendono di far intervenire personaggi reali. Uso il termine pretendono perché in realtà gli show televisivi ai quali mi riferisco vedono la partecipazione di persone comuni assoldate come attori per interpretare un ruolo, oppure di personaggi reali che di fatto seguono un copione scritto. Un copione ricco di litigate in tv, di (finte o vere) scene bollenti fra coppie intente a nascondersi (ma non troppo) dalle telecamere che li spiano ventiquattro ore al giorno. E ancora: dichiarazioni shock, tradimenti e bugie costruiti ad hoc per far aumentare gli ascolti, colpi di scena e rilevazioni che non sono poi così credibili. Pensavate che le finte litigate in tv degli anni Novanta fossero ormai fuori moda? Vi sbagliavate, purtroppo.

    Il cinema verità professato dalla Nouvelle Vague, in tv non esiste. Così come in non esisteva davvero nemmeno al cinema, ed è questo che i suoi autori alla fine ci dimostrarono: nel momento in cui afferri una cinepresa e inizi a riprendere, dai un taglio alla tua storia. Scegli le inquadrature, il montaggio, i tempi, i soggetti da inquadrare. Restituisci a chi guarda una tua versione del mondo. L’oggettività dietro una telecamera o una cinepresa non esiste.

    A meno che non assistiate a immagini riprese da telecamere fisse che riprendono casualmente un evento (come accade con le telecamere di sorveglianza, per esempio), scordatevi di vedere in tv immagini non filtrate dalla soggettività dell’autore, del regista o del commentatore. Concentratevi, piuttosto, sulle riflessioni che queste immagini possono suscitare in spettatori che non hanno gli strumenti necessari a percepirle come non oggettive. Allora sì che avrete la risposta: la vita supera sempre l’arte.

    C’è anche un altro aspetto del rapporto fra fiction e realtà che va considerato. Tutto ciò che vedete al cinema o in tv ha un precedente storico, letterario, artistico o di cronaca. Non importa come e quando, qualcuno ci aveva già pensato. Tutte le storie sono già state raccontate, con le dovute variazioni sul tema, e l’originalità attribuita a un racconto da una narrazione non lineare o da punti di vista multipli non cambia la sostanza: si tratta immancabilmente di un viaggio, che può essere fisico, psicologico o metaforico. Si tratta sempre di un’avventura divertente, triste, romantica o spaventosa, di un gruppo di personaggi alle prese con le grandi domande della vita o con le piccole difficoltà quotidiane in un contesto verosimile o basato esclusivamente sulla fantasia. Ci sono teorie di sceneggiatura e di analisi del testo che permettono di dimostrarlo, riconducendo ogni racconto a determinate tappe obbligate, a fasi che ne determinano lo sviluppo e a tipi di personaggi che svolgono delle funzioni narrative standard.

    Se tutte le storie sono già state raccontate, però, perché noi continuiamo ad ascoltarle? Semplice: perché ci regalano emozioni, condivisioni con gli altri, esperienze nuove in momenti diversi della nostra vita. Come non esiste l’oggettività nel raccontare per immagini, non esiste nemmeno nell’ascoltarle: il nostro stato d’animo, le nostre condizioni di salute, i nostri rapporti famigliari e personali influenzano la nostra sensibilità e il modo in cui percepiamo ciò che ci viene mostrato. Tranne quando disponiamo di quegli strumenti critici che ci consentono al tempo stesso di abbandonarci consapevolmente all’identificazione e di analizzare il testo audiovisivo che stiamo guardando senza per questo perderci le emozioni che ci regala. È un’esperienza molto appagante: eserciti al tempo stesso le tue capacità di analisi, la tua capacità critica e la tua voglia di lasciarti trasportare in un altro mondo. Per questo amo tanto il mio lavoro. Perché ho imparato a far convivere le mie capacità professionali di analisi con il mio cuore di fan.

    Le serie tv ci intrattengono, ci distraggono, ci fanno passare il tempo. Ci danno ciò di cui abbiamo bisogno a seconda dell’umore, del momento in cui le cerchiamo, della sensibilità che ci spinge a giudicarle positivamente o negativamente.

    Come ho scritto nel precedente Maniaci seriali - Le serie tv e i loro fan, anche noi fan delle serie tv siamo collezionisti: collezioniamo emozioni. Siamo cacciatori seriali di emozioni, vogliamo rivivere all’infinito quelle sensazioni che

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