Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

De Bello Seliacido
De Bello Seliacido
De Bello Seliacido
E-book306 pagine4 ore

De Bello Seliacido

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Durante i freddi mesi dell'inverno 1126/1879-1127/1880, mentre insieme al suo esercito si trovava accampato tra i boschi ostili della Cadusia, il generale Constantinus Gabras scrisse una strana opera, sullo stile di quelle dell'antichità, tra tutte i Commentarii del Divus Caesar. Proprio ispirandosi ad essi, assume un senso il titolo di "De Bello Seliacido", ossia il racconto della guerra combattuta dai Romani contro il popolo di Seliacus,proveniente dall'est e composto da temibili cavalieri, agguerriti arcieri e spaventosi guerrieri di montagna. Pensato come un'integrazione al mondo e alla storia del romanzo "Roma A.D.1127", questo breve libro è dunque il racconto degli eventi che precedettero le avventure dell'Augusto Iohannes, di Constantinus e di Theodora, e descrive il mondo in cui queste sono ambientate. Questo libro, in sostanza, è un manuale di storia ucronica.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2015
ISBN9786050385021
De Bello Seliacido

Leggi altro di Paolo Fontana

Correlato a De Bello Seliacido

Ebook correlati

Narrativa letteraria per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su De Bello Seliacido

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    De Bello Seliacido - Paolo Fontana

    CONCLUSIO

    ​PRÆFATIO

    Il presente volume, pubblicato per la prima volta in assoluto, riporta in forma integrale gli scritti di un importante personaggio politico e militare vissuto tra l'XI secolo e il XII secolo A.D. (XVIII-XIX secc. aUc), legatus dell'esercito e magister d'Albània, Constantinus Gabras. Egli, come si vedrà più avanti, scrisse nei ritagli di tempo libero, durante la campagna (durata più anni) contro i cadusii e i seliacidi in Media Atropatene e in Armenia, parte della Terza Guerra romano-seliacide (1122/1875-1131/1884).

    Pensata in un primo tempo per la pubblicazione (e forse letta solo dall'Augusto di quegli anni, Iohannes III Comnenus Augustus), non venne però mai completata e mai ripresa dal generale, neppure negli anni dopo la guerra. Come il lettore paziente scoprirà, anche attraverso l'apparato di note a piè pagina, Gabras tentò di scrivere un breve compendio, che riportasse le origini del popolo seliacide (a tutt'oggi considerata la parte più interessante) e gli eventi delle tre guerre combattute contro di loro, in maniera piuttosto schematica, secondo una serrata divisione in capitoli più o meno brevi.  

    Non è però completa, per due motivi: il primo riguarda il materiale che ci è pervenuto, perché, non essendo mai stata pubblicata, nel tempo sono andate perse delle parti e dunque alcuni fogli sono tuttora mancanti; il secondo invece riguarda il fatto che la narrazione si interrompe nell'anno 1122/1875, proprio all'inizio della Terza Guerra, nonostante Gabras scriva durante l'inverno 1126/1879-1127/1880.

    La presente edizione, quindi, si limita, attraverso l'apparato critico, a presentarla al lettore così com'è, senza aggiunte né integrazioni di sorta.

    Un'ultima precisazione sul titolo: Gabras non diede mai un titolo ai suoi scritti, e se lo fece anch'esso nel caso non ci è pervenuto, e dunque si è deciso di chiamarla, senza però nessuna pretesa di accostarla troppo alle altre opere della storiografia antica, De Bello Seliacido, così che anche il lettore inesperto possa sin da subito farsi un'idea dell'argomento di cui tratta il generale. 

    PROEMIUM

    All'Imperatore Augusto princeps dell'Impero Romano, primus inter pares, cittadino santissimo, Isapostolo e Protettore delle Fedi, padre spirituale e figlio devoto, imperator e magister delle province e delle terre di Roma, Iohannes III Comnenus Augustus;[1]

    A tutta la sacra gens Comnena, nata nella porpora e reggitrice del mondo;[2]

    Ai Senati e alle capitali, Roma l'Eterna e Constantinopolis l'Invitta,[3]

    io, Constantinus Gabras, legatus legionario delle forze armate imperiali e devoto e umile cittadino, sempre fedele allo Stato e alle istituzioni citate sopra, dedico questa mia opera, nella speranza che le forze terrene e quelle del Cielo mi sian favorevoli, per la grazia concessami dalla Vostra intercessione.

    La pace e la grazia, la felicità e la gloria delle fedi di ogni cittadino dell'Impero siano con Te, e con Voi, alto e possente Imperatore dei Romani, e Sante istituzioni di Roma.

    Ho letto da qualche parte (nonostante mi si creda un barbaro violento, sono anch'io un Romano!)[4] che un figlio saggio reca gioia al proprio padre e che un padre affezionato si compiace di un figlio prudente e sensibile.

    Ecco, io modificherei questa massima, mio Augusto, dicendo che un figlio saggio reca davvero gioia al proprio padre ma che il padre si compiace ancor di più quando il figlio, grazie ai suoi insegnamenti, abbandona la prudenza e ottiene successi.

    Così, come tu sei un padre per tutti noi Romani, io sono uno dei tuoi figli, figlio tuo e dell'Impero, figlio di Roma Eterna che mai scomparirà, se non alla fine dei tempi. Avrai dunque saputo che in questi anni ho più volte messo da parte la prudenza per adempiere agli ordini che Tu mi hai dato, e per non tradire la fiducia che, come il padre che sei, hai riposto in me: non ti sarà sfuggito come abbia conseguito parecchie vittorie importanti sul nemico.

    Questi miei scritti, che ho la presunzione di chiamare a volte opera (persino questo proemium non è composto esattamente come si deve!) riguardano appunto lui, il nemico, e la sua storia perché ritengo sia importante non perdere il ricordo di come tutto questo sia cominciato e di come gli eventi siano precipitati a tal punto da portarci fino a qui: io stesso, ora, scrivo nella mia tenda, in piena notte, nell'attesa che il sonno mi raggiunga e possa finalmente riposarmi un po', e soprattutto nell'attesa di un nuovo giorno in cui marcerò di nuovo, con i miei soldati, tra queste valli e in questi boschi, per contrastare le forze del nemico, sempre così numerose.[5]

    Anche per questo motivo, oltre al fatto di non essere un vero storico e neppure un vero scrittore, perdonate, mio Augusto (se mai leggerai queste righe) e mio lettore (magari qualcuno ci sarà!), se il mio stile non vi soddisferà appieno e rimarrete delusi al termine della lettura. Questo mio sforzo di scrittura ha in realtà un motivo più pratico rispetto a quello di imitare i grandi del passato per ottenere un po' di gloria: non mi considero certo un Divus Cæsar, il quale, mentre combatteva in Gallia e in Germania, scriveva i suoi Commentarii! Questo proprio no!

    Io voglio solo mettere nero su bianco una narrazione schematica degli eventi, senza prestar fede alle dicerie o alle storie inventate, dato che, a quanto so, non esiste ancora un'opera o una cronologia che preservi la memoria dei nostri tempi: nessun storiografo che conosco ha ancora scritto nulla sul nemico e su queste guerre, e so che, più il tempo passa, più ciò che è accaduto nel passato sfuma e il ricordarlo costa fatica e imprecisione. Per questo, tenterò ora, provando a mantenere uno stile più o meno semplice (per quanto le mie capacità me lo permettano!) di narrare i fatti, sia quelli di cui sono a conoscenza per lettura o racconto di altri, sia quelli vissuti in prima persona.

    La guerra vera e propria scoppiò nel 1065/1818. Questo lo sanno tutti. Il fatto è, però, che quello che moltissime persone non conoscono è il perché e il percome si sia arrivati all'invasione e quali siano stati gli eventi che ci hanno tragicamente condotto a vivere quegli anni così devastanti, per noi e per il mondo intero. Mi limito a dire che la maggior parte della gente dimentica presto e le basta che ci sia qualcuno che le dica cosa pensare e cosa no per continuare a vivere tranquilla: più o meno tutti sanno che nemico e seliacide sono parole che indicano ormai la stessa cosa e questo più o meno sembra essere sufficiente. Se giungono dai fronti notizie di sconfitte i cittadini si disperano per un pò, mentre se le notizie sono buone, essi esultano e festeggiano, come se fossero stati loro a combattere davvero nelle polvere dell'Oriente o nelle valli innevate. Alcuni ricordano certe date o certi eventi, ma già se chiediamo ad un abitante di Rotomagus o di Londinium, è facile che questi non sappia quasi nulla, se non che in questi anni si sta combattendo la terza delle tre guerre in soli sessant'anni..

    Spero davvero che, in futuro, qualcuno più competente e brillante di me, sia in grado di scrivere, non so, un'Historia Seliacidarum, o una cronaca delle guerre dotata di più profondità e analisi della mia. In quel caso, se avessi la fortuna di essere ancora vivo, non potrei dirmi più felice, sapendo che queste mie scarne righe sarebbero state usate come fonte, la prima esistente, per la preservazione della memoria e del passato.

    Perché, non smetterò mai di dirlo: non bisogna mai dimenticare.

    [1] All'epoca, la formula di saluto nelle opere dedicate all'Imperatore era stata volutamente accorciata proprio dall'Augusto Iohannes III, che detestava i formalismi di un'etichetta troppo elaborata. Quindi la formula che utilizza Gabras, pur breve, è quella corretta. In seguito, soprattutto nell'Epoca Aurea, i titoli e le presentazioni si sarebbero di nuovo allungate parecchio, con il crescere delle fortune dell'Impero. L'Augusto Iohannes III aveva però accettato che nella formula si ricordasse il "primus inter pares" (a cui teneva particolarmente) e il Protettore delle Fedi, in quanto, pur essendo l'Impero a maggioranza cristiana, un Imperatore romano era in sostanza custode di ogni religione e culto (anche se alcuni, a volte, venivano perseguiti) presente sul territorio dell'Impero. Il titolo di Isapostolo, cioè uguale agli Apostoli, gli garantiva la preminenza sugli episcopi, cosa particolarmente importante anche dal punto di vista politico, in quanto essi, tra tutti i religiosi delle varie Fedi, erano da sempre (e lo sono tuttora) i più portati a ingerenze nella politica e nelle istituzioni, abitudine contrastata dagli Augusti di ogni epoca a partire dalla fine del V secolo A.D.

    [2] In altre forme della formula di saluto, bisognerebbe rivolgersi prima anche all'Augusta consorte e ai figli, i cæsares e le cæsarissæ, ma visto che l'Augusto Iohannes III non si sposò mai e non ebbe figli, ovviamente Gabras non poteva salutare nessuno di loro, così rivolge i suoi ossequi all'intera gens imperiale. 

    [3] Infine, in ultima posizione, si rivolgeva sempre un saluto anche ai Senati, espressione della tradizione romana considerata fondamentale per gli equilibri dell'Impero, e alle capitali, spesso personificate.

    [4] La gens di Gabras sembra provenisse dalle regioni di confine dell'Impero, forse dalla Media Atropatene o dalla Mesopotamia, anche se qualcuno, in passato, ha proposto persino l'Albània. Non si conoscono con esattezza le sue origini.

    [5] Gabras scrive nell'inverno del 1126/1879-1127/1880 e le valli e i boschi a cui si riferisce sono quelli della Cadusia e della Media Atropatene, anche se, più genericamente, anche quelli sul fiume Cyrus e Araxes, dove ritornava spesso.

    INTRODUCTIO

    Tra tutti i nostri nemici – del passato e del presente – quelli che chiamiamo seliacidi (spiegherò fra poco l'origine di questo strano nome) sono senz'altro i più temibili e di certo i più combattivi.

    Ormai da sessant'anni, le province orientali dell'Impero costituiscono il teatro di una guerra sanguinosa e distruttiva e sono molti i luoghi andati in rovina, abbandonati dagli abitanti nella speranza di trovare un po' di pace e serenità altrove. 

    Fidati, mio lettore, non invento nulla, perché, purtroppo, io ho visto buona parte di ciò che racconto con i miei stessi occhi: intere regiones sono ormai spopolate tanto che in alcune valli diventa persino difficile incontrare altri esseri umani per miglia e leghe. Capita spesso, a me e all'esercito, di attraversare un territorio e non vedere nessuno per due, tre giorni di seguito.

    Non credo di esagerare dicendo che questi nostri nemici hanno rimpiazzato i nordici nell'immaginario popolare, almeno qui a Oriente e a Sud, proprio a causa di tutte le storie che in queste due generazioni si sono diffuse per le contrade e hanno raggiunto le città, spesso deformate e non del tutto veritiere. Come ho già affermato nel proemium, uno degli obiettivi di questa mia modesta opera è pure quello di presentare solo i fatti, e gli eventi realmente accaduti, senza prestare orecchio o fede alle storie che si inventa la gente o, peggio, a quegli strani accadimenti magici e misteriosi che popolano le pagine degli opuscoli a Constantinopolis, scritti da speculatori che intendono guadagnare facile sfruttando la curiosità delle persone e la loro ingenuità. Se mai leggerà questa breve historia, l'Augusto Iohannes dovrebbe sapere che penso sia necessario metter fine a questo tipo di attività perché danneggia chi non sa, portandolo a sapere ancor di meno per mezzo di una scarsa informazione, e perché danneggia anche l'esercito e chi come me combatte ogni giorno lontano, in quanto quasi mai la verità dei fatti viene presentata tale e quale, con onestà e rigore.[1]

    Detto questo, voglio ora introdurre l'argomento che mi sono prefissato di buttar su carta ma per farlo, proprio per il fatto che non tutti conoscono davvero ciò che è successo e gli eventi che ci hanno portato a questo triste punto, ho il dovere di riassumere anche gli anni immediatamente precedenti all'invasione e alla Prima Guerra.

    Per ultimo, mi preme sottolineare il fatto che i seliacidi sono nemici formidabili: per ferocia li paragonerei agli hunni, e per intelligenza e rapidità di movimento agli arabi dei primi secoli. Inoltre, non sono da meno dei persiani, dato che poi nei loro eserciti ne arruolano moltissimi, avendo infatti conquistato interamente il loro paese. Pur mantenendo forte la propria identità e le proprie tradizioni, i seliacidi hanno infatti saputo assorbire con eccezionale rapidità le migliori qualità dei nostri nemici più antichi, oltre che di tutti gli altri popoli sottomessi, ed è per questo, ne sono sicuro, che i nostri eserciti incontano tutte queste difficoltà nel vincere la guerra. I seliacidi hanno insomma riunito nell'unico corpo del loro giovane impero – uso la parola impero forse a sproposito dato che al mondo, si sa, esistono solo due Imperi, il nostro e quello speculare in Seria, mentre gli altri sono semplici imitazioni e tentativi di re barbari di addossarsi poteri che non spettano davvero a loro – tutte le caratteristiche migliori dei nostri vecchi nemici, diventando così estremamente pericolosi, una minaccia non solo tattica, ma soprattutto strategica a livello più che provinciale. Per il momento, essi non sono mai riusciti a raggiungere Constantinopolis ma questo non esclude il fatto che non possa mai succedere. Bisogna stare attenti.

    In ogni caso, questa mia analisi mi ha portato a riconoscere e a ritrovare nel nostro nemico noi stessi, forse quelli di un tempo, ma pur sempre noi stessi: anche noi, infatti, abbiamo sempre assorbito e sfruttato il meglio dei popoli conquistati, dando allo stesso tempo loro l'illusione di adottarne i costumi e le tradizioni, in una sorta di gioco del conquistato che diventa il conquistatore. Non è mai stato davvero così ma questo metodo di governo ci ha sempre permesso di stringere la presa sui territori occupati e, nel giro di poco, renderli romani, eliminando o almeno riducendo il pericolo di rivolte e disordini. 

    Per questo dico che i seliacidi assomigliano a noi. La somiglianza, però, termina qui perché è cosa nota come, nonostante siano palesi i tentativi dei vari sultani di imitarci nel modo di governare e di organizzare lo Stato, in realtà le loro antiche tradizioni della steppa non sono state ancora abbandonate e si riflettono fortemente nel loro modo di gestire tutto, anche la guerra. Spiegherò meglio più avanti.

    Ora, arrivo finalmente a ricostruire gli eventi che portarono alla Prima Guerra romano-seliacide (1065/1818-1095/1848) e come il potere turco sia cresciuto tanto fino a diventare così temibile.[2]

    [1] b Qui Gabras si riferisce alle pubblicazioni di fogli, venduti agli angoli delle strade e un ovunque nelle grandi città, che contenevano le principali notizie provenienti dalle province più lontane o  eventi spesso inventati o dal tono misterioso e difficilmente verificabili. Nulla a che fare con i giornali moderni ma essi sono lo stesso considerati i precursori dell'informazione e del giornalismo dei giorni nostri.

    [2] Gabras scrive così ma in realtà la struttura stessa dell'opera lo smentisce, in quanto, pur partendo a descrivere le origini dei seliacidi e di come si arrivò alla Prima Guerra, poi i capitoli si susseguono uno dopo l'altro senza altre divisioni particolari, assumendo più la forma d'insieme di una lunga cronologia.

    I

    Delle origini di Seliacus

    Seliacus è il nome latinizzato del capostipite del popolo seliacide e appunto quest'ultimo termine, seliacide è una corruzione del suono che in latino il suo nome riflette, anche se in persiano (o turcico) esso andrebbe scritto a questo modo: Seljiuk o Seldiuq. Per la nostra narrazione, la figura di Seliacus non è davvero importante ma, come ho già detto in precedenza, non sono in molti a conoscerla, per cui ritengo che questo excursus sulla sua vita non sia per nulla inutile. Cercherò di non dilungarmi troppo.[1]

    Da quanto riportano i dotti, Seliacus visse quasi due secoli fa e nacque da qualche parte negli oscuri meandri dell'Asia interna, quelle regioni talmente vaste e lontane che nemmeno il prode Alexander si sognò mai di esplorare e che solo le ultime nostre spedizioni verso la Seria ci hanno permesso vagamente di conoscere. L'unica cosa che sappiamo davvero è che esse si trovano nella Transcaspica, al di là di quel mare e probabilmente nei pressi della Palus Oxiana, non lontano anche dalla Chorasmia. Sono solo nomi questi, perché non disponiamo di informazioni precise a riguardo e in verità la nostra ignoranza è grande: forse sono io e ad Alexandria esisteranno interi volumi con mappe precise e dettagliate ma ne dubito. L'Asia nera viene considerata da sempre il luogo da cui partono ciclicamente le tribù barbariche che tentano di rovesciare sia noi che i Seri, in quanto i nostri due Imperi sono speculari e soffrono degli stessi problemi. A quanto pare, la prima invasione nomade che ci ha colpito, durante i terribili anni del V secolo, portata dagli hunni di Attila, aveva già interessato anche l'Impero Serico. Per inciso, esso si trova esattamente all'altro capo dell'immenso continente euroasiatico, fatto che rafforza nei geografi la convinzione della validità della teoria speculare. Divago.

    Seliacus, figlio di Tocacus (detto anche Temur), era dunque un nomade del composito popolo turcico che visse i suoi primi anni insieme alla propria tribù, una delle tante che componevano una sorta di federazione, nota con il nome di ochus, o oghuz. Io preferisco ochus.[2] Molto tempo fa abbiamo già avuto a che fare con popoli turcichi, precisamente nel VII secolo A.D., durante la guerra con i persiani: a quell'epoca, alcune loro tribù avevano conquistato vasti territori a nord del Caspium ed erano scese fino al Caucasus, cosa che li aveva messi in contatto con noi. Ad ogni modo, pur non essendone certa, la maggior parte dei dotti crede che il popolo seliacide abbia origine da qualche parte oltre il Caspium, dove le sue innumerevoli tribù lottano da sempre tra loro e solo ogni tanto, grazie a un condottiero capace, riescono ad unirsi e diventare veramente potenti.

    [1] Anche se il termine seliacidi è quello più diffuso, qualche linguista moderno ha cercato di ricostruire una forma latinizzata più simile all'originale parola turcico-persiana, sostenendo che selgiucidæ sarebbe stato più corretto. Pur avendo ragione, l'uso della prima forma non è stato ancora minimamente soppiantato dalla seconda.

    [2] Gabras non ha ben chiaro cosa indichi il toponimo ochus. Egli lo utilizza per indicare la confederazione di popoli turcichi che viveva ai margini del mondo cazaro, nell'estremo nord-est del Mare Caspium e, data l'assonanza, la sua affermazione può essere accettata senza troppi problemi. ochus è parecchio simile al termine turco oghuz. Forse Gabras aveva in mente l'Ochus menzionato da Strabo, come fiume che proveniva dall'Oriente e si gettava nel Caspium, in una regione dove era abbondante la nafta e l'ozocera ma di sicuro non poteva sapere che, in quegli anni, mentre lui si trovava in Cadusia, il megadux Constantinus Angelus aveva effettivamente identificato il fiume, che sfociava in una baia diffusamente abitata sulle coste orientali di quel mare e che, consigliato proprio dai suoi sotto-ufficiali che avevano letto Strabo, lo aveva chiamato Ochus. ochus potrebbe però essere una semplice corruzione di Oxus, il fiume gemello dello Iassarte.

    II

    Della famiglia di Seliacus

    Ho letto che Seliacus ebbe quattro figli, da un'innominata moglie: non so se i loro nomi siano completi o meno, ma noi li conosciamo come Michæl, Israhel, Moyses e Ionas. Avrai già notato, mio lettore attento, come questi nomi siano indubbiamente di origine ebraica, e fra poco spiegherò perché.

    Di Ionas non so nulla di più. Gli altri è certo che crebbero e misero a loro volta su famiglia: per la nostra storia, è importante ricordare soprattutto i figli di Michæl, Togrelianus, e Carianus.[1] Questi, alla morte prematura del padre, vennero presi in custodia proprio da Seliacus e allevati come figli. C'è chi dice che Michæl sia morto in circostanze non chiare: alcuni sostengono sia caduto da cavallo durante la caccia e io ci credo. Non condivido invece le dicerie di chi sostiene che sia stato Seliacus stesso ad eliminarlo, per paura che lo spodestasse prima del tempo. 

    Un padre è un padre ovunque, sia a Roma che nella steppa selvaggia, dopotutto.

    [1] Togrelianus, ovviamente, è Toghrul, mentre Carianus è il fratello Chagri, come attestato dalle fonti persiane e arabe. Dei figli di Seliacus, la storiografia moderna non ha ancora trovato i nomi completi e quindi si accettano i quattro di origine ebraica.

    III

    Dei cazari

    Sappiamo che, in gioventù, Seliacus partecipò all'esodo della sua famiglia (e forse anche di altre minori che la seguirono) dai luoghi in cui era nato alle terre, più fertili, sulle sponde dello Iaxartes, fiume noto anche a noi. Esso, insieme all'Oxus, si getta nella Palus Oxiana che, a dispetto del nome, è un grande lago che alcuni chiamano persino mare.

    Prima di questo evento, così importante per il futuro del mondo – se non avessero cominciato a spostarsi, a quest'ora non staremmo combattendo così duramente!, anche se devo dire che non serve a niente pensarla a questo modo e che la storia fatta con i sé non mi ha mai interessato più di tanto – la tribù di Seliacus (non sappiamo quando ne divenne il capo)  viveva nei territori soggetti ai cazari, o perlomeno in zone di confine dove per lungo tempo furono in contatto con loro. Noi conosciamo bene i cazari poiché il grande Augusto Basilius II ha conquistato il loro regno e abbiamo saccheggiato le loro biblioteche e per questo sappiamo parecchio pure sui popoli con cui intrattenevano relazioni.[1]

    Gli ochusi (dal nome della loro federazione) erano uno di questi e sono più volte citati nelle loro opere e nelle cronache di Atil, città che noi abbiamo rifondato con il nome di Basileana Magna.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1