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La rosa di Ledmore Vale: Rovi di sangue per l’ispettore Trollope
La rosa di Ledmore Vale: Rovi di sangue per l’ispettore Trollope
La rosa di Ledmore Vale: Rovi di sangue per l’ispettore Trollope
E-book188 pagine2 ore

La rosa di Ledmore Vale: Rovi di sangue per l’ispettore Trollope

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Info su questo ebook

Un giallo storico alla Agatha Christie nella misteriosa Inghilterra dell’Età vittoriana. Un omicidio passionale cui indagherà Scotland Yard. Un giallo ricco di misteri e colpi di scena.  

Settembre 1890.
Il brutale omicidio di una ragazza squarcia la pungente notte della campagna inglese. Strani disegni dipinti col sangue vengono ritrovati sul suo corpo, riaprendo vecchie ferite mai rimarginate lungo i confini di Ledmore Vale, dove i delitti non si arrestano.
E proprio da questi segni rossi si snoda l’indagine del tormentato e meticoloso ispettore Trollope, addentrandosi in un rovo oscuro di vicende che intrecciano amore e morte, passione e vendetta, segreti e misteri fino a coinvolgere tabù e simboli dal sapore esoterico.
  • Con la sua scrittura Carolina Giorgi coltiva una rosa di accadimenti e personaggi in cui ogni petalo è potenzialmente pericoloso e sospettabile senza mai dare tregua ai dubbi.
  • La rosa di Ledmore Vale – Rovi di sangue per l’ispettore Trollope è anche un tributo al giallo investigativo e alle atmosfere del periodo ottocentesco, con la volontà di non tralasciare quelle spine e quei colori che parlano di passioni senza tempo.
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2014
ISBN9788897469810
La rosa di Ledmore Vale: Rovi di sangue per l’ispettore Trollope

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    La rosa di Ledmore Vale - Carolina Giorgi

    Court

    ​Correndo si era sfilata il vestito

    Correndo si era sfilata il vestito, poi si era fermata. Aveva lasciato che Lionel la raggiungesse, che da dietro le accarezzasse i seni diventati turgidi per la corsa, che con l’altro braccio le cingesse potentemente la vita, facendola sentire proprietà di qualcuno, finalmente... «Libellula!» urlava ancora sfuggendogli sul sentiero. Una libellula che quella notte voleva assolutamente essere presa.

    Respiravano forte, nel punto più buio del bosco nonostante la luna. Fermandosi ancora Isabel appoggiò il capo sulla sua spalla. Pensò che sarebbe volentieri rimasta lì, rinunciando all’idea iniziale di raggiungere la capanna di Lakemounth, perché ormai capiva che era vero che a cominciare l’amore ci si sentiva sciogliere.

    Ma poi riprese improvvisamente la corsa, scappandogli di nuovo.

    Era settembre, milleottocentonovanta, Lionel ansimava, il desiderio di possederla lo aveva fatto sanguigno in volto e gli riempiva di voluttà le gambe, le caviglie, era euforico, furioso, sentiva suo malgrado quella forza sconosciuta rimpicciolirgli il cuore, non c’era più sentimento adesso che tutto diventava corpo. Nel disordine dei movimenti anche lui aveva iniziato a spogliarsi.

    Mancavano poche centinaia di metri alla baracca. Il ragazzo le stava addosso, quasi respirandole sul collo, così decise di fingersi stanco per darle strada. Si strinse nelle braccia, si morse violentemente le labbra per resistere, contò fino a dieci inginocchiandosi sul terriccio e poi si precipitò alla capanna. In una manciata di secondi arrivò all’ingresso, afferrò con passione la maniglia ma si accorse che la baracca era chiusa, sbarrata da fuori con una catena di ferro.

    Il giorno prima il custode doveva essersi accorto di loro.

    Si voltò smarrito. Isabel non c’era più. Si guardò attorno nel buio del bosco. All’improvviso sentì un gemito provenire dalla radura. Si rincuorò e corse dietro ai cespugli, acconsentendo a inscenare quel gioco erotico.

    Da lontano la vide. Rimase fermo. Sentì aumentare impetuosamente i battiti.

    Ci mancava solo un ragazzino…

    «Ci mancava solo un ragazzino… Largo, fate largo gente, Scotland Yard!» esclamò pestando un ammasso scivoloso di muschio. «Ma cosa c’è qui sotto? Ehi, tu, fammi luce con quella torcia.»

    «Ispettore capo Jeremy Trollope, immagino» replicò sorridendo un poliziotto piuttosto giovane che prese ad armeggiare con quell’arnese per puntargli la luce all’altezza delle caviglie.

    Una lampada finalmente, ora di grazia qualcosa lì in mezzo si cominciava a vedere.

    «Sì, sì» bofonchiava Trollope guardando a terra «può mostrarmi dov’è il cadavere?» e inciampò di nuovo in un groviglio di rami secchi. Niente di più facile a quell’ora di notte che infilare due piedi dentro una buca, ripeteva a se stesso restando all’erta. Era noto che gli investigatori della capitale non fossero inclini a destreggiarsi in boschi così intricati.

    «La stavamo aspettando, ispettore Trollope» l’uomo gli strinse la mano. «Sono l’agente Mark Pawliger, in servizio alla centrale di polizia di Meireworth. Siamo dispiaciuti per l’inconveniente, sappiamo che lei era in viaggio da Londra per quel furto di cavalli dalla tenuta di Sir Robert Auden.»

    «Esattamente, Pawliger, adesso mi faccia il quadro.»

    «Spero che abbia parlato con il soprintendente Enderby.»

    «Enderby?»

    «Saprà che è stata sua l’idea di affidarle il caso, sempre che si trovi d’accordo, ci rendiamo conto che apprendere dell’accaduto tutto d’un tratto può aver generato…».

    «Stia tranquillo, Pawliger, ora può farmi il quadro.»

    «Signorsì. La vittima si chiamava Isabel Gissing. Sedici anni, orfana di padre, viveva con la madre al villaggio di Meireworth. È stata accoltellata con un pugnale. Si ritiene che la lama fosse della lunghezza di almeno quindici centimetri. Cinque colpi inferti con violenza in direzione del cuore, il medico riferisce che il decesso è avvenuto per la recisione dell’aorta.»

    «Chi l’ha trovata?»

    «Lionel Larkin. Coetaneo della ragazza, anche lui orfano di padre, vive con la madre a pochi chilometri da qui» rispose indicando un sentiero che si dirigeva verso ovest.

    Trollope si voltò a guardare. «Come siete stati avvisati?» gli chiese a quel punto strofinandosi le dita l’una contro l’altra per levar via gli aloni del tabacco.

    Era una domanda di rito per l’investigatore londinese.

    Pawliger si strinse nella giacca scura, era arrivato il suo momento. Tossì per schiarirsi la voce, era stato il primo fra tutti a venire a conoscenza dell’accaduto e ora stava per riferirlo nientemeno che a un ispettore capo di Scotland Yard. Per questo si raddrizzò, petto in fuori e gambe leggermente divaricate.

    «Accortosi della presenza del cadavere,» cominciò a rispondere a raffica «Lionel Larkin ha sentito il dovere di avvisare le forze dell’ordine. Pertanto, ancora in stato confusionale, si è diretto a piedi sulla strada principale dove ha incontrato padre Ronan, il parroco della chiesa di Saint Keyne, che si dirigeva a casa di un malato. Il sacerdote, vedendo il giovane, gli ha dato un passaggio in carrozza fino alla centrale, senza sapere alcunché del crimine perpetrato ai danni di Isabel Gissing. Alla stazione di polizia ho incontrato personalmente il giovane Larkin e ho appreso dell’omicidio.» Tirò il fiato mentre Trollope scribacchiava su un’agenda grigia.

    «Mi dica Pawliger, se ho ben capito questo Larkin ammette di avere inquinato le prove.»

    «Il ragazzo tace sull’accaduto, confessa soltanto di aver fatto quel disegno sulla gamba del cadavere, una specie di viso stilizzato che sorride.»

    «E con cosa l’avrebbe fatto?»

    «Immergendo il dito nel sangue della vittima. Non sa spiegare il perché... Ah, guardi, quello è il corpo. Aspetti che le faccio luce.»

    L’ispettore si avvicinò. Strinse gli occhi e si morse violentemente il labbro: «Per la miseria, come si fa a ridurre così… Un lenzuolo, per favore, non vede che è già pieno di mosche qui?»

    «Secondo il medico la morte risale a due ore fa, come ha dichiarato il ragazzo.»

    «Ho visto, grazie Pawliger, potete spostare il cadavere.»

    «Presto, portatela via!» ordinò a due guardie.

    «Ha del fuoco?»

    «Del fuoco… sì, sì, certo, ecco!»

    Trollope si accese un sigaro. Rimase fermo a osservare il bosco. «Maledizione…».

    «Mi scusi?»

    «Credevo che certe bestialità accadessero solo a Londra, di questi tempi…».

    «Nient’affatto, mi creda. In queste campagne ormai tira una brutta aria.»

    «Altri omicidi irrisolti nella zona?»

    «Riferisco al sergente Williams. Ci dia solo il tempo di esaminare gli archivi.»

    Ottimo, sembrò dire l’ispettore rivolgendosi a Pawliger con un cenno del capo, in realtà si era solo girato di spalle per poter osservare le guardie che portavano via il corpo della ragazza. Rimuginò qualcosa sulla vicenda: c’erano un bosco, una vittima di sedici anni, l’aria pulita della campagna. Sì, in effetti era da mesi che non si occupava dell’omicidio di un’innocente, tra tanti farabutti e puttane che si facevano fuori nei sobborghi di Londra. O almeno questo gli pareva che fosse quella giovane donna, Isabel Gissing, una che passava di lì per caso, presa nel buio, ammazzata per ragioni che certamente le erano estranee. E poteva ben dirlo, lui, perché l’aveva guardata negli occhi prima di tirarle giù per sempre le palpebre col dito indice, ed era sicuro di averci visto dentro della purezza.

    Questo era tutto, pochi minuti e Trollope se ne andò via. Alla fine aveva accettato di buon grado di occuparsi del caso e aveva dato ordine a Pawliger di avvisare della tragedia Victoria Gissing, la madre della vittima, e di interrogarla non appena fosse stata in grado di rispondere. Voleva conoscere le abitudini di sua figlia, le sue frequentazioni, il rapporto con Lionel Larkin. Aveva anche dato disposizioni affinché il giovane fosse accompagnato a casa e restasse in compagnia della madre: «Che sia informata delle azioni compiute da suo figlio, ma sempre in presenza di una guardia. Lo incontrerò personalmente nel mio ufficio alle cinque di pomeriggio».

    Niente di concreto. Non ancora. Allo stato dei fatti era impossibile tirare le somme. E questo spiaceva parecchio all’ispettore capo, che amava velocizzare i tempi e le procedure. Non gli restava che uscire da quel bosco fetido e buio, allora prese il viottolo che gli aveva indicato l’agente Pawliger. Camminò appoggiandosi alle cortecce finché non arrivò esattamente di fronte alla baracca, che nel frattempo era stata aperta perché la polizia potesse usarla come base d’appoggio per le indagini.

    Lionel Larkin: fu questo che gli apparve davanti, il testimone chiave del delitto di Isabel Gissing. Ma lo sentì non appena incrociò i suoi occhi che c’era un’infinità di segreti dietro quella magrezza, dietro quel passo acerbo e quella vanità percepibile da come il ragazzo abbassava astutamente lo sguardo. Era chiaro. Aveva una consapevolezza tutt’altro che mesta di portarsi addosso una presenza fisica straordinaria per i suoi anni.

    Si avvicinò al giovane fino a sfiorarlo. Gli chiese con una certa ironia se fosse stato lui a uccidere quella donna. Ma non ottenne risposta.

    Quindi si allontanò, salì in carrozza e si recò all’abitazione che gli era stata assegnata nei dintorni del villaggio di Meireworth. Dove avrebbe soggiornato per tutta la durata dell’indagine.

    Trollope aveva chiesto espressamente un luogo isolato e la scelta era caduta su un vecchio cottage distante circa quindici minuti a cavallo dalla centrale. Quando l’ispettore lo vide notò che quel posto era decisamente congeniale alla sua natura, ma non aveva tempo di deliziarsi a guardare i mobili che arredavano la sala da pranzo: ci volevano rigore e puntualità per affrontare un caso di omicidio. Così lasciò a terra i bagagli, si lavò la faccia e si recò immediatamente alla stazione di polizia.

    Entrò con una certa fretta, aveva intenzione di buttarsi a capofitto sul nuovo caso. Infilò il corridoio di quell’edificio sconosciuto e aspettò che qualcuno gli indicasse dove andare.

    «Bene arrivato ispettore capo, sono il sergente Alfred Williams» lo accolse un uomo affabile, robusto, con lo sguardo un po’ assente ma dai modi estremamente meticolosi. Era il superiore diretto di Mark Pawliger. Salutando con gentilezza l’ispettore di Scotland Yard, il sergente gli mostrò l’ufficio che da quel momento avrebbe potuto occupare.

    «Novità per l’interrogatorio della madre della vittima?» gli chiese Trollope a bruciapelo.

    «È stata portata in ospedale, l’ha colpita un attacco di cuore non appena ha saputo della morte della figlia. Ho chiesto al medico di avvisarmi non appena sarà in grado di rispondere. Ah, capo, dimenticavo: sir Robert l’ha aspettata più di due ore questa notte.»

    «Per la miseria!»

    «Lo abbiamo informato della variazione che hanno dovuto subire i suoi programmi. Dice che l’attende domani mattina al suo castello.»

    «Mi lasci solo il tempo di schiarirmi le idee, Williams…» rispose lui, varcando la soglia di quell’ufficio messo in piedi alla buona ma del tutto adeguato alle sue abitudini. Non fece nessun commento. Si sfregò le mani. Notò che quell’Alfred Williams aveva un atteggiamento spassoso, colleghi del genere gli piacevano, perché all’occorrenza sapevano essere confidenziali ma subito dopo erano anche pronti a rimettersi al proprio posto. Si guardò attorno. L’ambiente era confortevole, anche se Trollope non amava dare l’idea di compiacersi davanti agli altri di qualche cosa, riteneva, infatti, che l’immagine più efficace che un ispettore capo dovesse dare era quella dell’uomo impassibile e distaccato. Mai farsi prendere dall’emozione era il motto che si ripeteva nella mente quella mattina di fine estate accomiatando il sergente, chiudendo la porta e prendendo finalmente posto alla scrivania.

    Si mise seduto. Aprì la sua agenda color grigio fumo e cominciò a scrivere.

    «Ehi, Jeremy» diceva a se stesso «hai avuto un bel colpo di fortuna stanotte. Per startene lontano dall’inferno della capitale avevi persino accettato di indagare sul furto di quattro cavalli di un nobile della contea. Ma ecco che ti arriva tra capo e collo l’omicidio perfetto, pane per i tuoi denti, mio caro, adesso farai vedere a questi zotici quanto vali. Allora, tiriamo le somme. Un ragazzo di sedici anni, Lionel Larkin, si presenta sconvolto alla centrale di polizia di Meireworth in piena notte. Dice che nel bosco c’è il cadavere della sua coetanea Isabel Gissing e che devono correre, che non possono lasciarla lì a marcire al buio. Poi confessa di avere inquinato le prove. Una volta trovatosi davanti il cadavere gli è venuta la bella idea di andare a dipingerlo con il sangue stesso della vittima. Ha disegnato sulla gamba un piccolo viso stilizzato che sorride. Non sa spiegare le ragioni del suo gesto. Nega ovviamente di averla uccisa. Sul resto non apre bocca. Un feticista o un assassino bell’e buono?». Trollope si chiese tutto questo chiudendo il quaderno. Contento del fatto che il mattino dopo avrebbe ufficialmente ceduto il caso riguardante i cavalli di sir Robert Auden al soprintendente di Contea, vecchio amico James Cloade.

    Ormai i confini del territorio si facevano incerti, dopo che la città di Londra si era estesa assorbendo gran parte della vicina contea del Revenshire. Di grazia, tra lui e Cloade i rapporti erano ottimi. Dopo le ultime disposizioni attuate dal governo conservatore, infatti, era possibile che si creassero malintesi di carattere operativo.

    Tuttavia quel pomeriggio il sergente Williams gli diede una versione leggermente diversa della faccenda: «Il soprintendente del Revenshire, capo, non è più James Cloade: ha temporaneamente preso il suo posto David Enderby, che soprintende già la contea del Dartchale».

    «Ah, Enderby» quel nome l’aveva già sentito pronunciare da Pawliger. «E dove è andato a finire Cloade?» replicò sorpreso l’ispettore.

    «Ha mollato tutto da un giorno all’altro. Una grave malattia, pare. Fatti i bagagli, se n’è partito per il sud Africa.»

    «Dubito che laggiù sapranno curarlo bene…»

    «Credo che i medici gli abbiano dato poche speranze. Forse desidera solo morire in pace.»

    «Poveraccio…»

    «In ogni caso, adesso il nostro referente di zona è Enderby, capo.»

    «E gli dovrei rendere conto delle indagini?» ribatté Trollope infastidito.

    «Non lo biasimi, il maggiore Cloade ha lasciato parecchie faccende in sospeso e forse Enderby vuole solo dimostrare di essere all’altezza. Ma non si preoccupi, capo, il caso della Gissing è suo, credo che il maggiore abbia ben altro cui pensare.»

    Allora Trollope si tranquillizzò, non amava dividere il proprio lavoro con persone alle quali non potesse

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