Roma fa schifo: Come e perchè Marino sta fallendo
Di Enrico Pazzi
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Anteprima del libro
Roma fa schifo - Enrico Pazzi
Carla
Santo Condono prega per noi
Roma, 2 febbraio 2014
E la pioggia, oltre a renderci tristi, ci fa piombare sulla testa il fango. Esercizi commerciali al piano terra, seminterrati e piani rialzati, inondati. Le periferie, le borgate, le statali, le strade cittadine, il Santo Gra.
La metro allagata, i tram bloccati. Le motorette, come le utilitarie, impantanate.
Le buche, le voragini nelle quali buttarci dentro le imprecazioni. Non sapendo bene neanche con chi prendercela.
Con il sindaco, con la giunta, quello o quell’altro assessore, il parroco, la protezione civile, i vigili urbani, e pure quelli del fuoco.
Con chi?
Prendercela con ciò che oramai ci appare un fantasma? Prendercela con ciò che siamo diventati?
E non c’è tempo neanche per chiedersi di chi sia la colpa.
Il sindaco ci dice di restare tappati in casa.
Arriva l’invito allarmato a non recarsi a Roma.
E i turisti, i fori pedonalizzati, la Roma bella che il mondo ci invidia? Il famoso Made in Italy
, che ci ripetono in continuazione quale antidoto alla crisi?
A Roma la pioggia si porta via pure quello. Implacabile, la pioggia si porta via tutto.
Lavando Roma da quella patina di retorica pre e post-elettorale.
Decine di anni di ignavia, disprezzo per il territorio e per i cittadini.
Ladrocini che hanno vuotato le casse, affidando appalti a fornitori sempre più padroni e verso cui le amministrazioni, che si sono susseguite, si sono fatte zerbino.
Gli sfollati del secondo dopoguerra che diedero vita alle borgate, ammasso informe di casupole, poi divenute, piano piano, villette, palazzetti. Un piano alla volta.
Tutto a botte di condoni.
I palazzinari del mattone selvaggio, assecondati dalla vecchia Dc, ma pure dalla nuova sinistra, quella che voleva essere un po’ liberal.
Laddove liberal
ha voluto semplicemente dire prendersi le mazzette, come coloro che li avevano preceduti.
La Roma democristiana del mattone, ma pure quella del Modello Roma
, della bossa nova e del jazz all’Auditorium.
A Roma, questa pioggia implacabile disvela che se so’ magnato tutto!
. Che non ci sono più i soldi. Manco per gli affidamenti diretti di emergenza per far sgomberare le strade da detriti, mettere in sicurezza le montagnole, che smottano un po’ alla volta.
E Santo Condono prega per noi.
Perché a Roma, come in tutto l’intero Paese, è stato condonato di tutto. Condonato e perdonato in un unico afflato di indifferenza.
Implacabile, questa pioggia disvela decenni di incuria, ladrocini e disprezzo.
Ciao Roma, pur sempre bella ma, una volta di più, violata ed affogata nel fango.
E Santo Condono prega per noi. Adesso e nell’ora dell’ennesimo mattone.
Amen.
I
Marino sindaco per caso
L’identikit del Marziano: breve storia di un cattolico 2.0
Di lui i romani sapevano ben poco. Taluni militanti del Pd lo ricordavano per la sua partecipazione alle Primarie del 2009 per l’elezione del segretario nazionale dei Democratici. Arrivò terzo con circa il 12% dei voti degli iscritti, dietro Dario Franceschini e il vincitore Pierluigi Bersani.
La candidatura di Ignazio Marino alle Primarie del 2009 è ancor oggi avvolta nella leggenda. C’è chi narra di uno sgarbo subito dal chirurgo genovese proprio in virtù della sua candidatura, invisa ai capibastone del Pd. Tant’è che la Procura di Crotone, dopo aver disposto delle intercettazioni per indagare su presunti illeciti nella realizzazione di due centrali termoelettriche, incappa in una serie di conversazioni in quel di Bologna e scrive: «Le conversazioni mettono in risalto le azioni ostruzionistiche che alcuni dirigenti dell’Azienda sanitaria di Bologna avrebbero posto in essere nei confronti del Senatore Ignazio Marino, candidato alle Primarie del Pd. In particolare non gli sarebbero stati perfezionati i contratti che lo avrebbero legato, quale chirurgo, al policlinico S. Orsola di Bologna, per essersi contrapposto all’onorevole Luigi Bersani nella corsa all’elezione di segretario del Pd»¹.
Come vedremo più avanti, i rapporti tra Marino e il suo stesso partito sono uno dei principali elementi all’origine della sua sventurata amministrazione.
Dopo le Primarie del 2009, di Marino si perdono un po’ le tracce, almeno sulle cronache nazionali. E sicuramente non si è mai letto di lui sulle cronache romane. Non ce n’era ragione, essendo lui un profilo politico di levatura nazionale, tutto intento nella sua lotta per la promozione dei temi etici e di sanità nazionale.
In fin dei conti, Marino a Roma è un vero e proprio Marziano
. Infatti, nessun romano lo ha mai sentito nominare, prima di vederselo candidare a sindaco di Roma.
Lui è un chirurgo cardiologo di fede cattolica. A testimoniarlo una paio di pubblicazioni che indagano il ruolo del medico di fronte alla fede: Credere e curare (Einaudi, Torino, 2005) e un testo scritto con il Cardinal Martini, Credere e conoscere (Einaudi, Torino, 2012). Ma poi, da cattolico sui generis, si è sempre detto d’accordo rispetto al testamento biologico (tanto da lanciare nel 2009 un appello online su questo tema), all’eutanasia per omissione
(chiamando in causa, in una trasmissione di Porta a Porta, il placet papale addirittura di Paolo VI) e al riconoscimento dei matrimoni celebrati fuori dall’Italia tra soggetti dello stesso sesso.
I più benevoli lo definirebbero un cattolico illuminato, altri un cattolico con le idee confuse.
Se di Marino, di tanto in tanto, si leggeva circa i dibattiti di ordine etico che animavano il Bel Paese, poco si sapeva della sua visione della Capitale. Almeno sino al momento della sua candidatura alle Primarie a sindaco di Roma.
Ma allora, come ha fatto Ignazio Marino a vincere le Primarie del Centrosinistra e diventare sindaco di Roma?
In quell’aprile del 2013, la politica italiana era in crisi. Tanto in crisi che il candidato a sindaco di Roma designato per il Centrosinistra, oramai da almeno un anno, aveva preferito riparare per la candidatura più sicura e redditizia, a livello di immagine, ovvero la Presidenza della Regione Lazio.
Fu un fulmine a ciel sereno.
Era la fine di giugno del 2012 quando Nicola Zingaretti, la grande speranza del Pd romano, meglio conosciuto come il fratello del Commissario Montalbano
, annunciava: «Vi verrò a cercare casa per casa, strada per strada, quartiere per quartiere, per ascoltarvi, chiedervi aiuto e per diventare protagonisti. Insieme a voi mi candiderò sindaco di Roma»².
La Capitale ristagnava nella palude del Centrodestra di Alemanno, tra drastici tagli ai fondi per i servizi sociali e per le attività culturali, il cervellotico progetto di fare dell’Eur un circuito di Formula Uno, la vergogna dei punti Verde qualità
e la miriade di scandali e scandaletti, con tutta la marmaglia fascio-criminale a spartirsi il bottino.
Durò un anno scarso la Zingaretti-sensation.
Pochi, infatti, ricordano la cena elettorale che lo stesso Zingaretti organizzò all’Eur per l’élite della Città e per la raccolta fondi in vista della futura campagna elettorale. Con tanto di gadget a forma di mattoncini Lego giallorossi.
Qualcuno aspettò pure Zingaretti sull’uscio di casa, ma nessuno lo vide arrivare.
Era l’inizio dell’ottobre del 2012, quando Zinga annunciò: «Oggi c’è una priorità assoluta, un’emergenza democratica che sarebbe un crimine sottovalutare: fare piazza pulita del malaffare alla Regione Lazio e del degrado morale della destra che ha vinto»³.
La priorità non era più Roma Capitale, ma la Regione Lazio, lasciata senza timoniere in seguito agli scandali di Fiorito & Co e alle feste luculliane con le teste di maiale.
Si capì sin da allora come i romani si sarebbero dovuti accontentare del candidato di scorta del Pd.
L’unico problema era che il Pd il candidato di scorta non ce l’aveva.
Non ce l’aveva perché Walter Veltroni aveva portato con sé in Parlamento tutta la prima linea della classe politica romana del Modello Roma
. Quelli rimasti in città non erano che le seconde, terze, quarte ed ennesime linee, mentre il cerchio magico rutelliano si trovava disperso e minoritario all’interno dei Democratici.
In casi come questi, in politica si fa sempre ricorso agli esponenti lungimiranti e ricchi di fantasia.
A Roma ne era rimasto solo uno, un po’ come gli Highlander: Goffredo Bettini. Da più parti definito come colui che, in un’afosa serata estiva, inventò il Modello Roma
, condendolo di bossa nova, saudade dei tempi andati delle rivoluzioni impossibili e prosecchi da gustare su strabilianti terrazze romane. Le stesse che saranno poi decantate da Sorrentino ne La Grande Bellezza.
Non si sa come e quando, ma a Bettini, di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi all’estero, venne in mente un’idea portentosa: facciamo di un signor nessuno il sindaco di Roma!
Chi ha appoggiato Marino?
Il sindaco Marino oggi è orfano. A poco più di un anno, visto l’immobilismo, l’inefficacia, gli errori e i tentennamenti della sua amministrazione, nessuno vuole prendersi la paternità della sua candidatura.
La ragione è che Marino sta fallendo.
Ripercorrendo le cronache romane, non è difficile fare un elenco di coloro che nella primavera di un anno fa si spellavano le mani per il Marziano
.
I più convinti sono stati sin da subito quelli di Action e dei movimenti più estremisti a sinistra. In poche parole, le organizzazioni più o meno riconosciute che da decenni occupano stabili pubblici e privati a Roma in nome dell’emergenza abitativa.
Hanno da sempre rappresentato un gran bacino di voti per partiti come Sel.
Non a caso, Marino, una volta eletto sindaco, ha voluto come vicesindaco Luigi Nieri, esponente di punta di Sel Roma.
Una storia, quella tra Marino e Nieri, che oggi soffre.
È Nieri a essere intercettato mentre rassicura uno dei leader del centro sociale Angelo Mai, dopo lo sgombero del marzo 2014 disposto dalla Questura di Roma in seguito a un’indagine della magistratura che indaga su presunti abusi da parte di alcuni leader delle occupazioni ai danni di alcuni occupanti. E le dice: «Stai tranquilla, con il giudice ci penso io»⁴.
Inutile dire che, se fossimo stati in un Paese normale, il vicesindaco di Roma si sarebbe dovuto dimettere.
Se fossimo stati in un Paese fondato sullo Stato di diritto, il vicesindaco Nieri avrebbe dovuto, dopo le doverose dimissioni, chiedere scusa ai cittadini romani. E soprattutto a quei cittadini che sono da decenni in graduatoria per un alloggio popolare. Quei cittadini che, pur versando in situazione di disagio, si vedono negare il sacrosanto diritto di ottenere un alloggio popolare.
Siamo, invece, in un Paese in cui Pina Vitale, che gestiva il punto ristoro dell’Angelo Mai (anch’essa indagata nella faccenda) racconta a un amico di essere stata presso l’abitazione dell’assessore alla Casa Daniele Ozzimo e di averlo minacciato: «Adesso mi hai proprio rotto il cazzo!»; «Vi metto in ginocchio come ho messo in ginocchio la Destra»⁵.
E come potrebbe mettere in ginocchio l’amministrazione comunale di Sinistra?
Minacciando nuove occupazioni. Muovendo, come carne da macello, decine di famiglie che si