La chiave
Di Mauro Milita
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La chiave - Mauro Milita
cammino.
I GIORNI PRECEDENTI
IL SEGNO PREMONITORE
Jan richiuse lo sportello dell’armadietto con un gesto automatico, era appena terminata una normale giornata di lavoro anche se per lui non era certamente un giorno qualunque. Uscì dal ristorante nel quale, come molti altri ragazzi, si pagava gli studi facendo il cameriere a giorni alterni e si ritrovò in strada ad affrontare il vento gelato di quella notte invernale. Si incamminò verso casa mentre nella sua mente turbinavano mille pensieri. Sua madre, l’ultima rimasta dei suoi genitori, era morta da appena tre giorni. Cosa avrebbe fatto ora? Quanto tempo avrebbe avuto per lasciare la casa che, per contratto di nuda proprietà, ora apparteneva a qualcun altro? Certo la modesta paga che riceveva dal suo lavoro saltuario non gli avrebbe permesso neppure un piccolo alloggio e quindi, pensò, avrebbe dovuto abbandonare gli studi e cercarsi un lavoro decente anche se non mancava molto al conseguimento del dottorato in fisica.
Signore, ehi, signore
sentì una voce chiamare alle sue spalle. Jan si voltò e a quell’ora della notte in strada c’era solo un ragazzo che si dirigeva a passo svelto verso di lui. Jan era cresciuto in un quartiere popolare e sapeva bene che se quella fosse stata una rapina da parte di qualche gang criminale, scappare non sarebbe servito a nulla, sarebbe stato raggiunto e pestato comunque dagli altri scagnozzi appostati poco più avanti. Restare, anche se con qualche apprensione, gli avrebbe invece permesso di mostrare che non aveva altro che pochi dollari in tasca e nessun oggetto di valore addosso. Se proprio avessero voluto quella miseria, pensò, beh avrebbero anche potuto prendersela ma almeno avrebbe evitato il pestaggio.
Quindi si fermò ed attese e mentre il ragazzo si avvicinava notò che era di colore, piuttosto magro e con un’andatura leggermente claudicante. Aveva in mano una grossa valigetta che aumentava la goffaggine del suo camminare.
Lei è Jan Korpinsky?
chiese il ragazzo. Si, rispose Jan mentre, sollevato, vedeva diminuire le probabilità di aver fatto un brutto incontro.
Un signore mi ha dato 20 dollari per consegnarle questa valigetta che, mi ha detto, le appartiene".
No, non è certamente mia, ci deve essere un errore
rispose Jan mentre le probabilità del brutto incontro riprendevano improvvisamente quota.
Senta, non so che dirle
, tagliò corto il ragazzo, so che devo consegnarla a Jan Korpinsky e, se quella persona è lei, il mio compito è finito.
Jan non ebbe il tempo di rispondere. Il ragazzo lasciò a terra la valigetta, si girò su se stesso e iniziò a tornarsene da dove era venuto.
Quell’episodio lo aveva scosso, i precedenti pensieri si erano azzerati e si chinò per guardare la valigetta. Era di pelle, molto ben rifinita e con i consueti due gruppi di cifre per l’apertura. Indubbiamente si trattava di un prodotto di lusso, e doveva essere molto costosa, pensò Jan mentre, dopo averla afferrata, si dirigeva verso la luce di un lampione per osservarla meglio.
Subito sopra alla maniglia vi era una targhetta di ottone con incise due lettere a formare la sigla JK
. Jan restò senza fiato. Quella sigla era disegnata esattamente come la sua firma breve, con la K che scaturiva dal gambo della J con un unico tratto di penna. Insomma ci si rivolgeva proprio a lui, non c’era alcuno scambio di persona, ma chi poteva averla mandata? E cosa conteneva? Jan provò ad aprirla facendo qualche tentativo con i numeri ma non ci fu nulla da fare, la combinazione non era una di quelle classiche da valigetta nuova, come una serie di zeri o i numeri crescenti a partire da 1.
Riprese il cammino verso casa mentre si interrogava su quell’episodio. Non aveva l’aria di uno scherzo. Giunto a casa poggiò la valigetta a terra e si soffermò a guardare le pareti del soggiorno. Per la prima volta gli sembrarono spente, svuotate di quell’aspetto vivo che avevano mantenuto anche se, da dopo il ricovero in ospedale, sua madre non abitava la casa da più di un mese. Era un po’ come se la casa sapesse che lei non c’era più e che tutto ciò che tra quelle mura c’era stato nel corso degli anni fosse perduto per sempre e la casa fosse pronta ad essere stravolta da un nuovo proprietario che avrebbe barbaramente gettato via tutte quelle testimonianze di vita, inconsapevole di quanto potessero essere importanti per qualcuno.
Jan aprì il frigo, ne estrasse una confezione di pollo precotto che mise a riscaldare nel microonde e prelevò una bottiglia di birra richiudendo quel frigo mezzo vuoto. Continuava a pensare alla valigetta ed al suo contenuto. Perché mai colui che aveva voluto inviargliela non aveva pensato anche a fornirgli la combinazione per aprirla o almeno un qualche indizio che lo aiutasse? L’idea di forzarla non gli piaceva ma forse non c’era altra scelta. Mentre mangiava un’idea gli balenò nella mente: se questo misterioso mittente lo conosceva così bene, forse conosceva anche la solita sequenza di cifre che usava sempre come password o per le combinazioni di lucchetti o, appunto, per una valigetta.
Convinto che fosse un’idea balzana, decise comunque di considerarla come ultima opportunità prima dell’intervento da scassinatore. Impostò il primo gruppo di tre rotelle con i numeri 120
e poi l’altro gruppo con 162
. Azionò le levette e, incredibilmente, la valigetta si aprì.
Jan era doppiamente sbigottito, sia perché il suo codice aveva aperto la valigetta, sia per il suo contenuto: era stracolma di banconote di grosso taglio, ma non organizzate con le classiche mazzette
, bensì pressate in modo disordinato e alla rinfusa. Su quell’ammasso di denaro prevaleva, spiegazzato, un biglietto pubblicitario di un fast-food sul quale una scritta a mano riportava le parole Quello che credi non ci sia più non è finito ma c’è e ci sarà sempre
.
Rimase attonito a riflettere ma nella sua mente si era formato un vero e proprio vuoto. Chi aveva scritto quelle parole? Che cosa volevano dire? Perché tutto quel denaro? Un turbinio di domande. Decise di contare il denaro e, dopo aver separato le banconote per valore, scoprì che si trattava di circa cinquantamila dollari. Una cifra per lui enorme che gli avrebbe consentito di guardare all’immediato futuro con serenità, almeno per quanto riguardava l’aspetto economico. Ma avrebbe potuto tenerlo tutto quel denaro? Poteva considerarlo davvero suo? Del resto, pensò, a chi avrebbe potuto restituirlo se non aveva il minimo indizio sul suo misterioso benefattore?
Aveva completamente dimenticato di aver interrotto il pasto e si distese sul divano immerso in questi pensieri, fissando il soffitto, finché si addormentò.
Quel maledetto cane del vicino iniziò ad abbaiare come faceva tutte le mattine alle 7 in punto quando il suo padrone lo portava fuori per la passeggiata. Jan si svegliò e si ritrovò ancora vestito sul divano, consapevole di aver trascorso una notte agitata benché non ricordasse nulla circa qualche eventuale sogno.
Si tolse gli abiti e si infilò sotto la doccia mentre nella sua mente non c’era altro che la valigetta. Come sempre, le ore del mattino gli portavano una visione diversa della vita rispetto a quelle serali. Una comprensibile allegria e soprattutto una grande curiosità avevano preso il posto dell’angoscia e dello sgomento che aveva provato la sera precedente. In fondo, pensò, a parte la frase sibillina, è un vero e proprio colpo di fortuna. Poi iniziò a pensare al da farsi, la sua nuova situazione gli permetteva di organizzare la sua vita e di terminare gli studi senza più la necessità immediata di dover lavorare. Ma, più andava avanti con questi pensieri, più gli si presentava la consapevolezza che la cosa non poteva finire lì. Non poteva semplicemente accettare quanto era avvenuto come un colpo di fortuna. Troppe erano le circostanze strane che lo incuriosivano, che lo spingevano a saperne di più e che, con il suo brutto carattere, lo avrebbero tormentato se non avesse potuto conoscere cosa ci fosse dietro a tutta quella vicenda.
Decise di utilizzare l’unica informazione che aveva, ben consapevole che molto probabilmente si sarebbe