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Henry Wood – Detective Privato
Henry Wood – Detective Privato
Henry Wood – Detective Privato
E-book196 pagine2 ore

Henry Wood – Detective Privato

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Info su questo ebook

1° gennaio 1955. Henry Wood è uscito malconcio dai bagordi della notte di capodanno del 1954. Nel suo mondo le cose finora sono state bianche o nere, giuste o sbagliate, ma la sua vita sta per cambiare e d’ora in poi ci saranno sempre sfumature di grigio. Tutto sommato non è niente male come detective. Tifoso sfegatato dei Brooklyn Dodgers, Henry sta per essere ingaggiato da una bella ragazza affinché le ritrovi il padre e il libro contabile di cui questi si stava occupando. Il caso appare alquanto semplice, ma quando un seconda donna richiede i suoi servizi per ritrovare lo stesso libro contabile, Henry comincia sospettare che dietro alla sparizione dell’uomo ci sia qualcosa di grosso, di molto più grande di lui. E ha ragione. Ritrovare l’uomo e il suo libro contabile diventerà ben presto l’ultimo dei suoi problemi perché anche il capo della mafia locale, Tommy “il Coltello” mira a quel libro contabile e, finché non riuscirà a entrarne in possesso, il boss sa di essere vulnerabile, facile preda degli altri capi famiglia. Ma di chi si può fidare Henry? C’è un misterioso quanto sconosciuto benefattore che sembra avere a cuore solo il suo bene. Henry accetterà l’aiuto che gli verrà offerto? Ma soprattutto, ha altra scelta?

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita23 mag 2018
ISBN9781547530724
Henry Wood – Detective Privato

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    Anteprima del libro

    Henry Wood – Detective Privato - Brian D. Meeks

    Brian D. Meeks

    111 W. Kohl

    515-402-0809

    EcocandleRiel@gmail.com

    Henry Wood – Detective Privato

    di Brian D. Meeks

    Traduzione di Marina Albamonte

    ––––––––

    Questo romanzo è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi e gli accadimenti descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo fittizio e ogni somiglianza con persone reali, vive o defunte, eventi o luoghi è puramente casuale.

    É vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale del presente scritto, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualsiasi tipo di supporto elettronico e meccanico, stampa o fotocopie, registrazioni, senza previa autorizzazione scritta da parte dell’autore, tranne che per brevi citazioni all’interno di recensioni. Per informazioni sui permessi contattare l’autore.

    Copyright© 2013 by Brian D. Meeks

    Tutti i diritti riservati

    CAPITOLO UNO

    Non era il clima, né la città e nemmeno le auto ancora in giro a sorprendere Henry, ma che, alle tre di notte, tutto apparisse in bianco e nero. Era il 1955, la sua vita stava per cambiare e ci sarebbero sempre state sfumature di grigio.

    La città sembrava noncurante delle faccende di un detective che a piedi se ne tornava a casa dopo aver salutato l’anno nuovo. In giro c’era ancora gente sorridente che si scambiava baci; non pochi incespicavano. Ancora un paio di isolati e sarebbe arrivato al suo appartamento, solo. Aveva una casa, ma poiché non gli andava di guidare aveva continuato a vivere in un minuscolo appartamento. Era bello poter vivere in città se ce n’era bisogno, o se c’era da farsi una buona bevuta. La vita di un detective privato non era entusiasmante; trascorreva giornate intere appresso a perdigiorno, a pedinare gente fedifraga o a starsene seduto in ufficio a chiedersi come mai fosse finito lì.

    Giunto davanti alla porta di casa era inciampato, meno male non era caduto perché istintivamente aveva poggiato una mano a terra. Era parecchio sbronzo e non gli riusciva di ricordare il nome della biondona del bar, quella dal sorriso a trentadue denti e con quelle grosse...

    Lanciò il cappello sull’attaccapanni, non ci era nemmeno vicino, e barcollando andò verso il tavolo della cucina dove ad attenderlo c’era una bottiglia di vodka. Previdente com’era, l’aveva sistemata sul tavolo prima di uscire per festeggiare il Capodanno, ben sapendo che lo avrebbe accolto al suo ritorno, sempre che fosse rincasato tutto intero; aveva però dimenticato di preparare il bicchiere, sicché ne tracannò un po’ dalla bottiglia. Il caldo scintillio del nuovo anno e il pensiero del bacio di mezzanotte della biondona gli strapparono un sorriso. Avrebbe voluto ricordarne il nome o sapere lei dov’era in quel momento.

    Ci sono detective, pensò, che non riescono nemmeno a rintracciare una signora cui hanno dato un bacio. Forse il marinaio seduto in fondo al locale sì, le stava lanciando certi sguardi. Caso chiuso, pensò, non perché fosse sicuro della cosa, ma perché non gliene fregava. Decise allora che sarebbe andato a dormire, ma, mentre raccoglieva tutte le energie per dirigersi verso la camera da letto, crollò con la testa sul tavolo.

    ***

    In un appartamento di Brooklyn, una donna dalla chioma scura se ne stava seduta tutta sola. Non riusciva a crederci. L’agitazione e il suo camminare avanti e indietro preoccupata non le erano stati di alcun aiuto, quindi aveva provato a spargere lacrime per diverse ore senza alcun giovamento e ora, le gambe rannicchiate al petto, era rimasta sola con le sue paure. Lanciò un’occhiata all’orologio: le 3:37 del mattino.

    Sul tavolo, accanto a un piatto pieno di biscotti appena sfornati, un taccuino con un indirizzo. Il nome del detective privato che aveva trovato sull’elenco telefonico era sottolineato ben tre volte. Aveva deciso di contattarlo dopo tre giorni cioè il lunedì, ma l’angoscia era diventata insopportabile. Decise che sarebbe andata in città nel giro di qualche ora e gli avrebbe lasciato un messaggio. Certo, così facendo non avrebbe anticipato gli eventi, ma aveva bisogno di fare qualcosa. Era esausta, alla fine scrisse il biglietto, ma Caro Henry fu tutto ciò che riuscì a metter giù prima di addormentarsi sui biscotti.

    CAPITOLO DUE

    Henry aveva sperato che andare in ufficio a piedi lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio. Ma così non fu. Non aveva lavoro da sbrigare e tuttavia a Henry piaceva starsene in ufficio, soprattutto perché c’era calma. Avrebbe voluto starsene a letto.

    La testa gli scoppiava, sentiva ancora le orecchie ronzare dei rumori del Capodanno. Lanciò uno sguardo al calendario, regalo del fratello che viveva a Manhattan, fan sfegatato dei New York Giants in tutto e per tutto. La pagina del calendario mostrava la foto dei Giants, squadra campione del mondo, che aveva steso i Cleveland Indians in quattro partite. Averla davanti agli occhi era insopportabile e fra sé e sé si disse che almeno quei maledetti Yankees non avevano vinto il loro sesto campionato di fila. Non che gli importasse dei Giants, ma nei due anni precedenti i suoi Brooklyn Dodgers erano stati battuti dagli Yankees e lui non lo sopportava. Tuttavia uno sguardo al primo gennaio 1955 bastò per fargli rinascere speranza e ottimismo. Questo sarebbe stato l’anno di Robinson, Hodges, Snider, Reese, Koufax, Newcomb, Campanella e di tutti i ragazzi della squadra. I suoi sogni a occhi aperti furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta, un rumore simile al raspare di un topolino. Era lì lì per urlare avanti, ma abbassò il tono di voce e mormorò «Sì?» Il mal di testa lo fece trasalire dal dolore.

    Lentamente la porta si aprì e una donna alta e slanciata scivolò nel suo ufficio. Capelli scuri raccolti in uno chignon, era piuttosto bella, ma chiaramente timida. Bibliotecaria, si azzardò a indovinare.

    «Posso aiutarla?» le chiese, cercando di non avere un’aria triste.

    «Lei é Henry Wood, il detective?»

    «Si. E lei è?»

    «Sono Luna Alexander e temo che mio padre si sia messo nei guai. Ho bisogno del suo aiuto; mi dispiace disturbarla, non ero nemmeno sicura di trovarla in ufficio, ma...»

    Henry era detective di giorno e falegname di sera. Per dirla tutta, era un segugio piuttosto bravo, ma un mediocre artigiano. Solo due giorni prima aveva incollato una maschera sul banco fresa che gli serviva per realizzare scanalature perfette e gli schizzi di colla erano arrivati dappertutto. Anche lui si era messo nei guai, per come la vedeva lui. Rivolse nuovamente l’attenzione a Luna che di certo non era interessata ai suoi problemi con la colla.

    Dopo avergli raccontato del padre e dell’ultima volta che lo aveva visto, Luna chiese di potersi sedere. Non appena si sedette sembrò che tutto il peso del mondo minacciasse di piombarle addosso e schiacciarla. Aveva un’aria affranta e triste. «Mi aiuterà?»

    Henry era sul punto di risponderle che sembrava un caso di persona scomparsa perfetto per la polizia, invece rispose, «Sarei felice di occuparmi del suo caso, Luna.» Lei ricambiò accennando un lieve sorriso, si alzò e gli strinse la mano. Henry ebbe l’impressione di scorgere nello sguardo di lei un barlume di speranza. Gli porse una lettera e disse, «qui dentro ci troverà il mio indirizzo, il mio numero di telefono e l’anticipo. Mi faccia sapere appena scopre qualcosa.»

    Chiusa che fu la porta, prese il suo taccuino e annotò i dettagli. Il padre di Luna lavorava da vent’anni come contabile esperto, presso lo studio legale Smith, Havershome e Blickstein. Lui e Luna vivevano insieme in un modesto appartamento di Brooklyn e l’uomo prendeva la metropolitana per raggiungere il centro. Luna lavorava in un panificio. Al mattino si svegliava molto presto, usciva di casa e rincasava dal lavoro diverse ore prima del padre. Glielo aveva descritto come un uomo meticoloso che amava la vita abitudinaria, rincasava sempre alle 18:22 ogni pomeriggio. Di recente, invece, aveva cominciato a ritirarsi a orari strani, saltava la cena e non si preoccupava nemmeno di ascoltare la radio. Amava il suo lavoro, adorava i gialli radiofonici e ci teneva alle sue abitudini. La donna aveva detto che la prima volta che aveva notato qualcosa di strano era stato quando non avevano mandato in onda L’ombra e il padre non aveva battuto ciglio.

    Henry si chiese se L’ombra sapeva cosa aleggiava nel cuore di Mr. Alexander. Si mise in cammino verso il suo minuscolo appartamento e scese in cantina. Controllò il suo armadio magico che conteneva un portale temporale sul futuro. La storia del portale era un mistero che Henry non era riuscito a risolvere, sebbene ci avesse provato. Ma poiché la porta non lo aveva ancora risucchiato negli abissi, ma al contrario gli faceva trovare spesso dei regali, non si preoccupava più di tanto. A volte spuntava un nuovo e meraviglioso aggeggio. La fresa verticale della Bosch, ad esempio, gli era arrivata soltanto un mese prima o giù di lì, insieme a una rivista con la descrizione di tutto quanto fosse in grado di fare. Oggi però l’armadio era vuoto. Lo aspettava la colla del giorno prima, pronta per il passaggio successivo. Trovava che i lavori di falegnameria lo aiutassero a riflettere sui suoi casi.

    Le istruzioni all’interno della rivista dicevano che le dimensioni erano sommarie e Henry immaginò di aver bisogno di un po’ di pratica, per cui dedicò molto tempo a essere preciso. Dopo che ebbe tagliato due pezzi si rese conto di non avere tenuto conto dello spessore della lama della sega circolare e che aveva pure fatto un errore di valutazione di cinque centimetri buoni. Lo divertì che i suoi tentativi di essere preciso si fossero rivelati un fallimento abissale. In previsione, aveva acquistato in anticipo una grossa quantità di legname. D’altra parte, lavorare con la fresa circolare gli era risultato più agevole. Henry era il tipo di persona che vedeva il bicchiere sempre mezzo pieno.

    Scattò alcune foto alla colla fuoriuscita e andò di sopra per telefonare allo studio legale in cui lavorava Mr. Alexander, ma il suo cervello offuscato ricordò a scoppio ritardato non solo che era sabato, ma per giunta il primo dell’anno, e quindi per quella telefonata avrebbe dovuto attendere fino a lunedì. Si mise nuovamente al banco fresa e con la mente tornò a Luna.

    CAPITOLO TRE

    La domenica era trascorsa in modo rilassante, Henry si era dedicato tutto il giorno a completare la guida per le scanalature per il banco. Cominciò ad avere più dimestichezza, creando bordi dritti e raddrizzando la guida. Non riusciva a credere ai suoi occhi quando, misurando con la squadra, gli angoli risultarono perfettamente a novanta gradi. Che botta di adrenalina. Quando ebbe terminato la guida e l’ebbe fotografata per i posteri, si rilassò un poco e iniziò a scrivere il diario di questo nuovo caso, annotando alcuni pensieri:

    Due gennaio 1955. Anno nuovo, caso nuovo. Trentasettesimo piano, grattacielo Chrysler, interno sedici... andare di persona e parlare con i colleghi di Mr. Alexander; cercare indizi. Otto del mattino, lunedì.

    Henry aveva telefonato a Luna per verificare se avesse avuto notizie del padre e le aveva riferito circa la sua intenzione di recarsi nel suo studio il lunedì. Lei gli accennò ad alcuni suoi sospetti su qualcuno dello studio legale. Il padre era scomparso la vigilia di Natale e lo studio avrebbe riaperto il lunedì successivo. Henry si chiese se sapessero della scomparsa di quell’uomo schivo. Avrebbe dovuto mostrarsi riservato.

    La porta dell’ufficio di Mr. Alexander era di mogano, con il nome scritto sopra. Entrando, Henry si trovò di fronte a una donna attempata, dall’aspetto serioso, che se ne stava seduta dietro a una scrivania. Sul volto aveva un certo cipiglio, tutta intenta ad aprire la posta. Alzò lo sguardo e gli chiese: «Prego?» con un tono di voce decisamente più gentile di quanto Henry si aspettasse. «Vorrei parlare con Mr. Alexander,» replicò, levandosi il cappello. Aveva deciso di fare l’indifferente per testare la reazione di lei.

    «Non è ancora arrivato, sarà qui a momenti, non fa mai ritardo. Ha un appuntamento?» ribatté continuando ad aprire la posta.

    «No, speravo che potesse dedicarmi qualche minuto» disse Henry. Ora aveva la certezza che non sapesse minimamente che Mr. Alexander non sarebbe mai arrivato a lavoro.

    Aprì un’altra missiva. Squillò il telefono, lei rispose e poi rivolgendosi a lui, «Mi scusi, lei è Mr. Wood?»

    «Sì.» la domanda colse Henry di sorpresa, sebbene fosse bravo ad assumere un’espressione nonchalant. Pensò che la donna stesse riflettendo e aveva ragione.

    «Mr. Alexander si scusa del ritardo, venga, può attenderlo nel suo ufficio. Sarà qui a momenti.» Pigiò un pulsante sotto alla scrivania. Un suono sordo, come un ronzio, la donna si alzò, aprì la porta e fece accomodare Henry.

    L’ufficio era ben arredato, vi erano un’ampia scrivania e tutt’intorno una libreria stile art déco. Henry notò la presenza di due piante della stessa altezza poste agli angoli dietro alla scrivania. Tutto si trovava esattamente dove avrebbe dovuto essere. Luna aveva descritto il padre come una persona meticolosa e ora che Henry era lì dove lui lavorava, capiva tante cose. La scrivania era in ordine, eccezion fatta per un block notes vicino al telefono con il filo a sua volta sistemato parallelamente al bordo della scrivania che pendeva dritto di lato. Accanto al block notes erano perfettamente allineate sei matite, l’una accanto all’altra, tutte esattamente della stessa identica lunghezza; si avvicinò per guardare più da vicino e notò qualcosa di strano. Le matite erano state sistemate in modo che non vi si leggesse la marca, tutte tranne una. Poi diede uno sguardo in giro per tutto l’ufficio, ma non trovò nulla fuori posto.

    Aveva passato la domenica a misurare e rimisurare spasmodicamente i fori e ogni taglio e ora aveva la netta sensazione di aver compreso cosa fosse la precisione. Non si poteva certo dire che lui fosse un tipo ordinato e ben organizzato, tuttavia ne apprezzava i vantaggi e l’estetica. Si chinò per guardare meglio e fece ruotare delicatamente una matita. Sul lato nascosto vi erano impressi sei numeri che lesse mentalmente: uno, due, tre, cinque, sette e ventitré. Si infilò la matita in tasca e risistemò le altre. Proprio in quell’istante udì il fruscio della porta che si apriva. Sedette immediatamente.

    La segretaria entrò: «Mr. Alexander ha chiamato in questo istante, è spiacente, ma oggi non riesce proprio a essere al lavoro. Mi ha chiesto di scusarlo se non potrà discutere dei suoi numeri.»

    «La ringrazio,» rispose Henry mentre si alzava per accomiatarsi.

    «Se posso permettermi, lei è già cliente del nostro studio? Sa, credevo di conoscere tutti i nostri assistiti.»

    Henry, che era un tipo sveglio, replicò «Sto pensando di diventarlo. Poco tempo fa ho incontrato Mr. Alexander che si è offerto di dare uno sguardo ai miei libri contabili. Mi ha detto che ogni avvocato è specializzato in un ramo e avrebbe potuto consigliarmi quello che meglio avrebbe fatto al caso mio, non voglio essere assistito da chicchessia.»

    La donna sorrise, sembrava soddisfatta della risposta.

    Di ritorno a casa sulla metro, Henry ripensò a quei numeri. Cosa volevano dire? Mr. Alexander era certamente vivo e vegeto, ma che stava facendo? E come faceva a sapere che alle otto lui si sarebbe recato nel suo ufficio e avrebbe trovato quei numeri? Henry cercava risposte e invece gli erano sorte altre domande. Il detective che era

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