L'Ultima Cosa
Di Matt Luciani
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Info su questo ebook
Un viaggio nel tempo attraverso civiltà perdute, sulle tracce di antichi reperti alla ricerca dell'inizio della civiltà.
L'inizio attende chi è pronto alla conclusione.
Riedizione del romanzo Science fantasy di Matt Luciani "L'ultima Cosa".
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Anteprima del libro
L'Ultima Cosa - Matt Luciani
L’Ultima Cosa
di
Matt Luciani
PROLOGO
Chi sei tu che cerchi
e cosa cerchi?
Io ho la risposta
L’ho scritta lungo la tua vita
Khaar-Seth
«Vi invito quindi a non commettere l’errore, divenuto ormai comunissimo, di non dare validità a testimonianze indirette solo perché non sono ancora state suffragate da elementi oggettivi. Ricordatevi di Schliemann, e fatene tesoro: nei campi di studio che si spingono a ricercare nel passato, non possiamo ne dobbiamo compiere l’errore di presunzione di giudicare mai esistito e frutto di fantasia ciò della cui esistenza non abbiamo ancora prove tangibili. Ancora vi ripeto che il reperto archeologico prova di per sé la propria esistenza, ma tutto quello che vi è di correlato non può né essere considerato valido né essere considerato non valido: in entrambi i casi, vi trovereste a sostenere un dogma, e la scienza non è affermazione di fede.
Con questo chiudo questa prima lezione. Arrivederci a domani»
Il giovane professore aspettò che l’aula s’iniziasse a svuotare, poi uscì mescolandosi agli studenti.
«Professore, scusi»
La voce cortese fece volate il giovane che incontrò a mezz’aria due occhi profondi.
«Mi scusi, professore. Ma allora lei è dell’opinione che anche ciò che è leggenda possa essere esistito»
«Certo, signorina…anche in ciò che è poesia, e qui parlo di Omero, le gesta degli eroi non dimostrate si sono svolte in un luogo oggi identificato e della cui esistenza passata non è più legittimo dubitare… Si sentirebbe lei, a questo punto, di asserire che la città c’era, è vero, ma gli eroi erano parto della fantasia di un poeta cieco e forse mai esistito anch’esso?»
Così dicendo il professore riprese a camminare lungo il corridoio, verso l’androne. La ragazza lo seguiva al fianco, senza rispondere.
«Forse non sono stato chiaro, non mi sono spiegato bene»
«No professore, è stato chiaro, anche troppo… ma allora Atlantide, il Paradiso Terrestre…tutto può essere esistito»
«Esatto: giustamente ha detto può. Non escludiamo né affermiamo, ma possibilisticamente diciamo può essere esistito. E quindi…può esistere.
Il professore era ancora giovane e non creava imbarazzo, destava anzi una sensazione di familiarità. Mentre scendevano le scale la ragazza lo prese sottobraccio con fare spontaneo.
«Professore, perché…Può esistere? Scusi ma non ho capito»
«Vieni, parliamo allora».
E così dicendo si diressero verso un tavolo all’aperto di fronte alla facoltà, al bar dell’angolo. La fontana sullo spiazzo zampillava a sprazzi, e le gocce che ricadevano formavano picchiettati disegni semoventi sulle leggere increspature dell’acqua appena mossa dal vento.
Nel Periodo della fine d’anno l’Università sospese, come di consueto, le lezioni, e il professore tornò al paese dove era nato.
Dai finestrini del treno i grandi palazzi sembrarono allontanarsi ancora una volta, e ancora una volta ad una stazione secondaria il paese era in quiete attesa, pronto a mostrarsi.
L’alba del nuovo giorno vide il professore destarsi nella calma di una casa vicina al paese, e con fare soddisfatto sbadigliare a lungo, assaporando la fresca pulita aria del mattino.
L’alba del nuovo giorno ancora, sarebbe stata l’ultima del paese e la prima di un lungo viaggio: ma questo ancora non lo sapeva nessuno.
C’era si una persona, ancora in viaggio, che portava qualcosa in una valigia e che conosceva in parte, ma solo in parte: come pezzo di mosaico, questi andava ad incastrarsi nel suo giusto punto.
SPAZIO: lì, al paese, in quella piccola casa dove il professore si era appena destato.
TEMPO: ora.
IL PAESE
L’anello fu sacro sin da allora
quando il Dio Luna coprì la sua sposa
la Dea Sole non parlò, per lei
il vecchio già porse parole segnate
donandole nel nome
dell’ ULTIMA COSA
Khaar-Seth
Il professore uscì di casa appena in tempo per vedere uno sconosciuto che stava per suonare al cancello del giardino.
Rientrò e spinse il pulsante di apertura, poi si riaffacciò sull’uscio
«Avanti, è aperto»
Con un sorriso il nuovo arrivato varcò il cancello, lo richiuse con garbo e quindi, avvicinandosi
«Buongiorno professore e ben alzato. Mi chiamo Bolk. Dovrei parlarle, ma in privato: posso entrare?»
Il giovane annuì, guardando con distrazione la valigia che lo sconosciuto portava con sé.
«Mi scusi, ma è una cosa importante. Come le ho detto il mio nome è Bolk, e sono un parente di una sua alunna che mi ha parlato di lei. Quello che mi ha detto mi ha incuriosito: sembra quasi che sia proprio lei la persona che attendo da tempo».
Così dicendo Bolk poggiò la valigia sulla scrivania e sedette
«Permette, vero? Ho fatto un lungo viaggio per incontrarla, e come vede non sono più giovane, anzi, sono proprio vecchio. Comunque non voglio farle perdere tempo: mia nipote mi ha detto che lei, traducendo alcuni testi sumeri, ha trovato dei riferimenti relativi all’epopea di un eroe anteriore ancora al mito di Gilgamesh»
«Si, è vero. Mi riferivo alle tavolette trovate nel tempio di Khaar-Seth»
«Esatto, professore. Posso chiederle quante sono queste tavolette?»
«Veramente ne ho trovate molte, ma solo una, di quelle che ho visto, parla di quest’eroe»
«Scusi se le chiedo ancora una cosa: perdoni, non voglio farle un interrogatorio, ma devo sapere alcune cose prima di… Scusi, le chiedevo: lei è stato nel tempio?»
«Si, lo scorso anno. Ero entrato dal passaggio del re e lo stavo percorrendo, quando a destra si aprì una lastra: al di là… Ma perché le interessa?»
«Continui, la prego: al di là c’erano, in una vasta sale sei scrigni»
«E’ vero: ma lei come lo sa?»
«Professore, cosa ha trovato in quegli scrigni?»
«Niente in cinque di essi, solo nel primo c’era una tavoletta, gli altri cinque erano vuoti»
Bolk annuì. Poi, prendendo la valigia e aprendola
«Grazie, professore. Ora credo di poter parlare».
Quindi si alzò e con le due mani prese da dentro la valigia un voluminoso involucro che porse al giovane.
«E’ una storia molto lunga…anzi credevo di non poterne vedere più la fine. Tenga, queste sono sue»
Mentre il vecchio sedeva di nuovo, il giovane aprì il pacco. Dentro vi erano cinque tavolette di creta impresse con caratteri cuneiformi: su ognuna di esse, vivido spiccava un segno di sigillo.
«Ma questo è il sigillo di Khaar-Seth!» e, rivolgendosi al vecchio: «come le ha avute?»
«Che importa come le ho trovate. Le ho. Ed ora le ha lei»
Il giovane riportò lo sguardo sulle tavolette, le allargò sulla scrivania e sedette seguitando a parlarne.
Poi ne prese una e la porse a Bolk.
«Sa cosa c’è scritto?»
Il vecchio prese la tavoletta con mano tremante, la guardò un attimo quasi a soppesarne il significato, quindi lesse ad alta voce:
«Saluto allo straniero.
A te Straniero, io, Khaar-Seth, rendo omaggio.
Questa mattina una vergine venne al mio giaciglio e mi donò le sue grazie.
Allora vidi.
A te salute, Straniero. Questa è la tua storia.
Salute a colui che nacque perché l’incantesimo di Babel
Avesse un sacro.
Salute a te, che ogni lingua comprendesti
e l’idioma sacro trafiggesti con il tuo sguardo regale.
Salute a colui che è in cerca dell’Ultima Cosa»
Il professore fissava Bolk con sguardo curioso e indagatore, fissava il vecchio quasi a volergli strappare tutti i segreti finora nascosti.
Sempre guardandolo così gli si rivolse.