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La fonte: Un percorso di fede fra la Fonte Q e le Scritture
La fonte: Un percorso di fede fra la Fonte Q e le Scritture
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E-book195 pagine3 ore

La fonte: Un percorso di fede fra la Fonte Q e le Scritture

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Info su questo ebook

Esiste qualcosa di meno oggettivo della fede? In cosa crediamo, di preciso? Eppure la fede è uno degli aspetti fondativi della nostra civiltà, fondato su credenze e narrazioni condivise. E proprio di narrazioni si parla in questo libro: le narrazioni scritturali, ormai impresse nel nostro DNA, sono lo spunto per altre narrazioni, che raccontano, riflettono, interpretano.
L’autore ci guida in un personale percorso di fede, che prende spunto dalle Scritture per andare in quegli spazi misteriosi che forse non si possono spiegare razionalmente.

Il titolo La Fonte non ci deve ingannare. Non è una ricerca nell’ambito del metodo storico-critico letterario e biblico. Troppo arido, forse troppo ‘razionale’. Qui siamo alla ricerca e dentro la scoperta di una FONTE che va oltre. È un racconto che ha scoperto un altro personaggio, pur essendo sempre lo stesso personaggio di ogni fonte; è una fonte dove il tempo e lo spazio non sono quelli di prima, ma nello stesso tempo sono già prima; è il dispiegarsi di una vita raccontata in un non ancora che potrebbe ad-venire ogni giorno. È il racconto di un interpretante, che ha scoperto una fonte di grande valore e ha venduto tutto per poterla acquistare.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2018
ISBN9788868673420
La fonte: Un percorso di fede fra la Fonte Q e le Scritture

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    Anteprima del libro

    La fonte - Carlo Salvoni

    (2016).

    INTORDUZIONE - ECHI DALLE SCRITTURE

    Leggere un testo di Carlo Salvoni è sempre un’esperienza personale (come di fatto sono le esperienze).

    Con questa nuova opera la questione diventa ancora più pesante, come se si dovesse pesare l’anima sia dell’autore, sia del lettore. Ma quanto pesa un’anima? Forse solo 21 grammi? Oppure il suo peso non è nient’altro che la «la fatica dell’uomo sotto il sole», solo per citare Qohelet?

    Non è un caso che Qohelet giunga alla mia memoria nella lettura del testo di Salvoni.

    Infatti chi meglio di questo cercatore biblico potrebbe accompagnarci nella lettura di FONTE!

    Sì, perché l’autore di Qohelet ha gli stessi problemi, le stesse domande e le stesse speranze che il personaggio di Salvoni racconta, o meglio: interpreta.

    Il titolo FONTE non ci deve ingannare. Non è una ricerca nell’ambito del metodo storico-critico letterario e biblico. Troppo arido, forse troppo ‘razionale’. Qui siamo alla ricerca e dentro la scoperta di una FONTE che va oltre. È un racconto che ha scoperto un altro personaggio, pur essendo sempre lo stesso personaggio di ogni fonte; è una fonte dove il tempo e lo spazio non sono quelli di prima, ma nello stesso tempo sono già prima; è il dispiegarsi di una vita raccontata in un non ancora che potrebbe ad-venire ogni giorno. È il racconto di un interpretante, che ha scoperto una fonte di grande valore e ha venduto tutto per poterla acquistare. Paragone troppo alto? Chi ha orecchi per intendere, intenda!

    Nella storia del formarsi del cristianesimo (anacronismo, ma lo terremo per comodità), almeno alla fine del primo secolo d.C., due correnti di pensiero resisteranno tra le macerie del medio giudaismo: la strada dei rabbini e quella dei cristiani.

    Ma non sempre siamo consci che per arrivare ad una definizione unitaria di queste due denominazioni ci sono voluti decenni, se non secoli!

    All’inizio non fu così. Soprattutto per quello che sarebbe diventato il cristianesimo. Molte erano le fonti che parlavano del Messia, molti gli sguardi che lo indagavano, molte le interpretazioni che si davano. In fondo, il vangelo ‘quadriforme’ che possediamo è lì a testimoniare che nessuno dei singoli vangeli può cogliere la totalità del personaggio! All’inizio erano molti di più… E tutti, forse, avevano diritto di potersi raccontare. Più tardi questo non sarà più. Ma i testi, quelli che noi oggi chiamiamo apocrifi, hanno influenzato la storia del cristianesimo in modo così decisivo, che lungo i secoli ci siamo addirittura convinti che certe immagini fossero contenute nei vangeli canonici: provate a pensare dove potete trovare ‘un asino e un bue’, oppure che ‘i re Magi erano tre (con i rispettivi nomi)’, o che la ‘Veronica asciuga il volto di Gesù e sul suo telo rimane impressa la sua immagine’. E potremmo continuare.

    Ma per questo ci basta guardare alla storia dell’arte pittorica…

    Molte interpretazioni, molte visioni, molte conclusioni. Gesù fu visto in un poliedro di raffigurazioni, letto in prospettive altamente contrastanti. Nonostante questo la storia è stata raccontata per millenni.

    Nel testo di Salvoni echeggiano pensieri apocrifi, « amava la sostanza segreta delle cose, i movimenti espliciti e quelli impercettibili. Ne sentiva la vita, l ’ energia vera e palpitante», che mi richiamano il Vangelo di Tommaso: «Il Regno di Dio è dentro di te e tutto intorno a te. Non è negli edifici di pietra e cemento. Spezza un legno e io ci sarò, alza una pietra e lì mi troverai». Colui che trova il senso segreto di queste parole non assagger à la morte». Così come «propendeva per l’ultima delle sue ipotesi, quella secondo la quale tutto può avere un’anima».

    Ma gli apocrifi non sono l’unica rimembranza di Salvoni, trovo anche Giobbe, oltre al già citato Qohelet: «Che gli animali siano vivi è fuori di dubbio. Che abbiano una coscienza e provino sentimenti è tutto da vedere». Così il libro biblico: «Poi, riguardo ai figli dell’uomo, mi sono detto che Dio vuole metterli alla prova e mostrare che essi di per s é sono bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perch é tutto è vanit à . Tutti sono diretti verso il medesimo luogo: tutto è venuto dalla polvere e nella polvere tutto ritorna.

    Chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?».

    E la domanda di Salvoni, «Forse capire perché sono nato e qual è lo scopo della mia vita, se c’è. La mia esistenza qui è di vantaggio a qualcuno? … Non serviamo apparentemente a nulla…», si intreccia con il capitolo 3 del libro di Giobbe:

    ¹ Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. ²Prese a dire:

    ³ "Perisca il giorno in cui nacqui

    e la notte in cui si disse: È stato concepito un maschio!.

    ⁴ Quel giorno divenga tenebra,

    non se ne curi Dio dall’alto,

    n é brilli mai su di esso la luce.

    ⁵ Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte,

    gli si stenda sopra una nube

    e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno!

    ⁶ Quella notte se la prenda il buio,

    non si aggiunga ai giorni dell’anno,

    non entri nel conto dei mesi.

    ⁷ Ecco, quella notte sia sterile,

    e non entri giubilo in essa.

    ⁸ La maledicano quelli che imprecano il giorno,

    che sono pronti a evocare Leviat à n.

    ⁹ Si oscurino le stelle della sua alba,

    aspetti la luce e non venga

    n é veda le palpebre dell’aurora,

    ¹⁰ poich é non mi chiuse il varco del grembo materno,

    e non nascose l’affanno agli occhi miei!

    ¹¹ Perch é non sono morto fin dal seno di mia madre

    e non spirai appena uscito dal grembo?

    ¹² Perch é due ginocchia mi hanno accolto,

    e due mammelle mi allattarono?

    ¹³ Così, ora giacerei e avrei pace,

    dormirei e troverei riposo

    ¹⁴ con i re e i governanti della terra,

    che ricostruiscono per s é le rovine,

    ¹⁵ e con i prìncipi, che posseggono oro

    e riempiono le case d’argento.

    ¹⁶ Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,

    o come i bambini che non hanno visto la luce.

    ¹⁷ L à i malvagi cessano di agitarsi,

    e chi è sfinito trova riposo.

    ¹⁸ Anche i prigionieri hanno pace,

    non odono più la voce dell’aguzzino.

    ¹⁹ Il piccolo e il grande l à sono uguali,

    e lo schiavo è libero dai suoi padroni.

    ²⁰ Perch é dare la luce a un infelice

    e la vita a chi ha amarezza nel cuore,

    ²¹ a quelli che aspettano la morte e non viene,

    che la cercano più di un tesoro,

    ²² che godono fino a esultare

    e gioiscono quando trovano una tomba,

    ²³ a un uomo, la cui via è nascosta

    e che Dio ha sbarrato da ogni parte?

    ²⁴ Perch é al posto del pane viene la mia sofferenza

    e si riversa come acqua il mio grido,

    ²⁵ perch é ciò che temevo mi è sopraggiunto,

    quello che mi spaventava è venuto su di me.

    ²⁶ Non ho tranquillit à , non ho requie,

    non ho riposo ed è venuto il tormento!».

    La domanda va oltre, allora. «Come si fa a fotografare la vita?», si chiede Salvoni nella sua riflessione. Raccontando, direbbero i maestri ebrei!

    E ancora una volta il racconto assume sfumature kafkiane (la vicenda della mosca nella minestra), la morte che non si può raccontare, perché la si deve vivere, il tormento dell’amore con il grande riferimento al Cantico dei Cantici, «Il vero amore è per sempre, non può esaurisrsi o stancarsi di sé stesso. È una fiamma sempiterna che neppure la morte estingue», afferma il protagonista.

    E poi la caritas associata al giudizio, chiaramente edotti dal testo di Luca 6,37-42: 37: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sar à dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sar à versata nel grembo, perch é con la misura con la quale misurate, sar à misurato a voi in cambio». Disse loro anche una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sar à come il suo maestro.

    Perch é guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» .

    E ancora il lavoro e il suo significato: non c’è vero lavoro se non nel lampo della sua inutilità, della sua in-essenza, nella sua capacità di tasformare il mondo in qualcosa di bello e divino, così come comandato da Dio all’inizo della creazione: due alberi, un giardino da coltivare e custodire. Il lavoro come vocazione, come bellezza e non solo come profitto!

    Sulle fonti si è dibattuto molto in casa cristiana, soprattutto dopo l’avvento del metodo scientifico nell’indagine letteraria. Non così, invece nel casato ebraico: la dimostrazione di questo è la creazione di quella grande opera, frutto di secoli di discussioni e confronti, che è il TALMUD.

    Salvoni è forse uno scriba che usa il metodo interpretativo del Midrash. Il sostantivo Midrash deriva dall’ebraico darash (דרש) che, tanto nel Tanakh (la bibbia ebraica) quanto nella Torah orale, significa soprattutto ricercare, scrutare, esaminare, studiare ma anche « racconto», da intendersi come strada interiore in evoluzione.

    Infatti pur partendo dall’ipotesi di una fonte egli allarga ed espande quello che ha trovato prima di lui, ricevuto da altri e scoperto da secoli di trasmissione. Espande come un buono scriba, e come un buon maestro interpreta. In fondo i quattro vangeli fanno la stessa cosa: espandono un prima proiettandolo in un dopo, in un gioco continuo di ulteriori interpretazioni.

    Questo mi sembra il tentativo di Salvoni nel raccontare la sua fonte, che non è altro che la sua FEDE. Di quale fede, dirà qualcuno, si parla?

    Emmanuel Lévinas scrive a proposito della lettura ebraica della Scrittura: « Se un uomo non nasce, un senso non si rivela». Ecco cosa significa dire la fede: esplicitare un senso, il mio senso, che mi deriva da un prima che mi precede e che va oltre, ma che senza di me non può dirsi.

    La fede, la mia fede è l’intreccio di questo prima e di questo poi, condensato nella mia esperienza particolare, ma proiettato verso un Regno che è già.

    Per questo, allora, secondo Salvoni, la fede è la fonte primaria che alimenta le espressioni più nobili dell’uomo: la poesia, la musica, l’arte, la preghiera. Di essa narrano storie profeti, re e santi. Ma proprio per essa, vivono!

    Vorrei chiudere queste traballanti pagine, conscio di aver scorto solo un barlume di quello che Salvoni voleva dire, con quanto i maestri del Bereshit Rabb à, commentario talmudico-midrashico a Genesi, narrano e, cioè, che il Santo Benedetto dubita di sé stesso proprio nell’atto di creare. Quei maestri si interrogano su cosa facesse l’Eterno prima di creare questo mondo e si rispondono:

    «Creava mondi e li distruggeva e persino quando, dopo molteplici tentativi, la creazione fu compiuta, il Santo Benedetto la contemplò, sospirò e pronunciò queste due parole: halevai sheyaamod (purch é tenga) ».

    Creava mondi e li distruggeva perché non gli interessavano proprio quelli che certamente avrebbero tenuto.

    È il Dio della relazione e non del diktat.

    Troppo semplice far funzionare il mondo in maniera deterministica.

    È il Dio del corteggiamento, fedele oltre l’adulterio del partner.

    Accetta solo un mondo che non dia garanzie proprie perché è affidato unicamente alla responsabilità della creatura.

    E ancora oggi, poiché è affidato a noi, neppure il Signore sa se terrà!

    Venezia, 3 maggio 2018

    Francesco Capretti

    LA FONTE F - (UN FIORETTO QUARESIMALE)

    Dovrei scrivere questo libro come minimo fra vent’anni, invece lo comincio adesso.

    Forse ho sempre avuto troppa fretta: di dare una forma definitiva a un testo appena abbozzato, di farmi leggere, di pubblicare.

    È la stessa fretta che mi spinge a scrivere adesso, a trentasei anni, un libro che dovrei iniziare intorno ai cinquanta, come minimo. Battere la fretta con progetti ampi, a lungo termine, di ampio respiro, come si suol dire. Quanto odio quest’espressione! La collego a libroni con un minimo di 500 pagine, con una selva di personaggi impossibili da ricordare anche per il lettore più allenato, scritti apposta per far perdere il filo. Non ho mai sentito parlare di un libro di breve respiro, ma mi sarebbe piaciuto.

    La fretta ha vinto ancora, eccomi qui ad abbozzare un libro asmatico. Cerco di batterla scrivendo a mano, il che mi costringerà, una volta riempiti i dieci quaderni che mi prefiggo, sapendo di prendermi in giro, a riscrivere il tutto.

    Non so da dove si prenda l’ispirazione per scrivere, so che l’ispirazione esiste, non appartiene a un’elementare sfera di mitologia. So anche che non viene dalle stelle, dagli angeli o dalla fatina verde dell’assenzio. Probabilmente viene dalla vita, eppure non tutti (me compreso) sono poeti. Se ho scritto qualcosa, lo devo ai libri. A quelli degli altri, intendo, e non me ne vergogno. Anche adesso, mentre sporco questi fogli a quadretti con una BIC medium, ho in testa un modello ben preciso, che non svelerò neanche sotto tortura. Posso dire che è un libro di ampio respiro, molto ampio, roba da andare in iperventilazione dopo neanche dieci pagine. Bellissimo però. Inarrivabile nel suo genere.

    I libri, dicevo. Forse dovrei decidermi a rileggere tutto d’un fiato i miei, se non altro per capire che cosa è andato storto. Eccola, senza piangersi troppo addosso:

    "Già, perché dopo cinque libri pubblicati non è che abbia mai partorito un best seller. Non che me ne aspettassi uno, ma la scarsa risonanza prodotta dalle mie opere (fatico a imporle ad amici e parenti!) mi ha condotto a un lungo silenzio, che rompo solo ora e non so dove mi porterà".

    Quello che so già, però, è che sono due i temi fondamentali intorno ai quali gira tutta la mia produzione (suvvia, adesso non devo aver paura di tirarmela con certi paroloni: si tratta pur sempre di produzione, anche se è rimasta fine a sé stessa): la fede e gli animali.

    Il secondo non è dovuto a una mia particolare zoofilia. La multiforme varietà del mondo animale mi attira, la trovo ingenuamente poetica, si può usare per dare una forma appetibile a diverse idee. Si può addirittura insegnare qualcosa per mezzo delle bestie, però in questa direzione ho dato, e questo è uno dei motivi del lungo silenzio di cui parlavo (che poi così lungo non è). Non escludo di poter tornare in futuro alla biosfera, ma per ora l’arca è vuota: finito il diluvio, le varie bestie hanno ripreso la loro vita più o meno violenta, più o meno evoluta.

    Il tema delle fede, invece, torna regolarmente a tirarmi le orecchie. Chi mi conosce non lo direbbe: non sono pio, né posso dire che la religione occupi una fetta rilevante della mia esistenza. Ho anche vissuto un discreto numero di anni senza Dio, privo di conflitti interiori, anzi, per certi aspetti rimpiango quella mia volontaria ignoranza. Come dice Max Gazzé in una bella canzone: Ringrazio Dio per gli anni senza un Dio, perché sarei un uomo per metà.

    Ma a quanto pare il Grande Assente non ama vedere la sua sede vacante per troppo tempo e quando mi metto a scrivere sento il suo richiamo insistente e affascinante.

    In passato ho immaginato che Gesù tornasse ancora una volta. Un ritorno in sordina, nel mio tempo e nei luoghi dove ho vissuto la mia giovinezza. Un ritorno senza gloria, trasportato in una realtà intima e piccola, che voleva scostarsi dai fatti avvenuti in Palestina duemila anni prima, ma proprio per la

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