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Storie di pipa ovvero la pipa nella letteratura italiana
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Storie di pipa ovvero la pipa nella letteratura italiana
E-book194 pagine2 ore

Storie di pipa ovvero la pipa nella letteratura italiana

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Per prima cosa, e questo consentitemelo, premetto che questa opera non è un inno al fumo. Il fumo fa male ed è un fattore moltiplicatore di rischio malattie, per non parlare delle droghe. Punto. In Italia il "boom" della pipa, nel '900 si è verificato negli anni '60, quando il sublime Gino Cervi interpretò il Commissario Maigret in TV, il magico personaggio uscito dalla penna di George Simenon: quelle sere in cui c'era "Maigret", l'Italia si fermava letteralmente e la gente parlava dei gialli a puntate di Maigret come di calcio e si discuteva su chi fosse o meno il colpevole... Perchè dunque non parlare delle opere letterarie che parlano della pipa, i cui personaggi fumano la pipa? Scoprirete che molti e curiosi sono i riferimenti letterari, dall'elogio della vecchiaia di Mantegazza alla caccia al lupo di Verga, da Pascoli a Salgari, da Capuana a Grazia Deledda. Racconti e poesie da gustare lentamente, proprio come il fumatore assapora il fumo di una pipa...

LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2015
ISBN9781310046582
Storie di pipa ovvero la pipa nella letteratura italiana
Autore

Duilio Chiarle

Duilio Chiarle, writer and guitarist of "The Wimshurst's Machine".Duilio Chiarle, scrittore e chitarrista dei "The Wimshurst's Machine".Ha ricevuto il premio "Cesare Pavese" nel 1999. Gli sono stati attribuiti i premi internazionali "Jean Monnet" (patrocinato dalla Presidenza della Repubblica Italiana, dall’Università di Genova e dalle Ambasciate di Francia e Germania) e "Carrara - Hallstahammar" (quest'ultimo per due volte consecutive).Con il gruppo musicale "The Wimshurst's Machine" ha ricevuto tre nomination hollywoodiane consecutive: sono suoi i racconti dei "concept" musicali.Ha ricevuto l'onorificenza di "Ufficiale" dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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    Storie di pipa ovvero la pipa nella letteratura italiana - Duilio Chiarle

    BREVE STORIA DELLA PIPA

    Per prima cosa, e questo consentitemelo, premetto che questa opera non è un inno al fumo. Il fumo fa male ed è un fattore moltiplicatore di rischio malattie, per non parlare delle droghe. Punto.

    Ora concentriamoci sull’oggetto di questo libro: storie di pipa.

    Quasi tutti pensano che la gente abbia iniziato a fumare soltanto dopo la scoperta dell’america...

    FALSO! Sfatiamo questo mito sciocco una volta per tutte. Sin dalla preistoria si ha la certezza che le persone inalavano volontariamente fumi di vario genere, dai funghi allucinogeni usati dagli sciamani alle erbe medicamentose, ginepro, canapa, farfaro, lavanda, anice, salvia e chi più ne ha ne metta. Infatti sappiamo che i Sumeri prima, Sciti e Ariani poi, inalavano droghe e lo stesso Erodoto testimonia quest’uso presso gli ultimi due popoli citati. Siccome era comune l’utilizzo dell’inalare fumo a scopo medicinale e a questo scopo si utilizzavano erbe varie, la gente si ingegnò a realizzare dei fornelletti portatili. Esistono numerosi ritrovamenti archeologici di pipe (specialmente in metallo) di epoca gallo-romana che attestano fumo con pipa ben prima dell’epoca moderna.

    Il tabacco che ci arrivò dalle americhe era usato dai nativi soltanto in cerimonie importanti, specialmente sacre. A questo proposito, i nativi condivisero il fumo della pipa sacra (calumet) con i primi occidentali e questi ne esportarono subito l’uso in Europa. Il fumo divenne così subito un vizio molto diffuso, ben più di quanto non lo fosse prima... La pipa sacra dei nativi americani è forse l’aspetto esteriore della pipa che conosciamo meglio, dato che si trova in molti film e serie western (horse opera). Ne esisteva una per tribù ed era conservata con grande cura, più o meno come la mitica scure di guerra. Per scoprire come si usava il calumet consiglio il libro di Alce Nero "La sacra pipa".

    A questo punto possiamo tornare a parlare di "pipa" in senso moderno. La pipa, dopo l’importazione del tabacco, divenne così diffusa che ne furono avviate enormi produzioni in terracotta, estremamente economiche e alla portata di tutte le tasche, ma anche molto fragili...

    I soldati delle truppe francesi, impegnavano l’interminabile attesa della battaglia fumando proprio pipe di terracotta o di gesso. Proprio da questo uso viene il detto francese cassé la pipe, eufemismo che sta per morire: i soldati che venivano colpiti dalle pallottole nemiche, infatti, cadendo spezzavano le fragili pipe che vengono sovente ritrovate sui campi di battaglia napoleonici. Dello stesso periodo, in Piemonte, l’eufemismo tutto sabaudo del "drissé la pipa o drissé la fuma ovvero raddrizzare la pipa": dato che sovente le pipe avevano il cannello curvo, minacciare qualcuno di raddrizzargli la pipa era sinonimo di dargli una lezione.

    Per aprire una parentesi, la casa del fumatore di pipa si distingue da quella del fumatore di sigarette per la differenza di aromi; la sigaretta lascia nell’ambiente un puzzo di rancido inequivocabile mentre il tabacco da pipa lascia un aroma profumato che perlomeno non disgusta i non fumatori.

    Gli scrittori sono i più usuali a questo accessorio per fumatori ma, naturalmente, sono tantissimi i personaggi storici, gli scienziati e gli attori famosi che hanno apprezzato questo strumento fumoso. Noti fumatori di pipa erano il generale Douglas MacArthur, Gianni Brera, Sandro Pertini, George Simenon, Madame de Pompadour, Mark Twain, Ernest Hemingway, Carl Jung, Albert Einstein, Greta Garbo, Raymond Chandler, J.R.R. Tolkien, Charles Baudelaire, Jack Palance, Bismarck, Bach, Monet, Newton, Kipling, Orson Welles, Darwin, Bell, Molière, Lord Byron, Cary Grant, Gustave Courbet, Arthur Miller, Pier Giorgio Frassati, Charlotte Rampling, Enzo Bearzot e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare di come sia presente nelle opere letterarie e persino nei fumetti: Popeye è sempre raffigurato con la pipa in bocca e che ne sarebbe di Sherlock Holmes senza la sua incredibile Calabash, un tipo di pipa che si ricava da una zucca africana? Anche il Commissario Maigret, senza la sua onnipresente pipa è inimmaginabile. Persino nell’immortale opera di Tolkien (Il Signore degli anelli) si trovano lunghe pipe di gesso utilizzate per la celebre "erba pipa" fumata da Gandalf il grigio e dagli Hobbit.

    Nel XIX e XX secolo è poi esplosa la pipa come forma d’arte e molti artigiani, come ad esempio Vincenzo Grenci (il preferito di Pertini) Alberto Paronelli (che lavorò anche per lo Scià di Persia) o nordici come Sixten Ivarsson, Poul Rasmussen, W.O.Larsen. Persino grandi scultori hanno costruito modelli unici di rara bellezza, straordinarie opere d’arte: Baj, Mo, Pomodoro, Feriani, Lucchina, Burger, Bennati e molti altri. Di conseguenze, nacque il collezionismo e i Romanov, nel 1910, possedevano una collezione di ben 27.000 esemplari. Sono nati anche i musei dedicati alla pipa, in Italia il museo Paronelli a Gavirate, il museo della pipa di Brebbia, il museo della pipa Nicola Rizzi di Fermo. L’altro museo consigliabile non si trova in Italia: è il museo della pipa di Amsterdam (Amsterdam pipe museum).

    Insomma, non solo fumo ma anche tanta arte.

    Nessun fumatore di pipa riesce a resistere al fascino. Siccome la pipa, tra una pipata e l’altra, dovrebbe essere lasciata riposare (per evitare il danneggiamento del legno) i fumatori di pipa possiedono più di una pipa; da qui a farne una collezione, il passo è breve. Molti sono quindi i possessori di tante pipe, i collezionisti... In Italia il boom della pipa, nel ‘900 si è verificato negli anni ’60, quando il sublime Gino Cervi interpretò il Commissario Maigret in TV, il magico personaggio uscito dalla penna di George Simenon: quelle sere in cui c’era Maigret, l’Italia si fermava letteralmente e la gente parlava dei gialli a puntate di Maigret come di calcio e si discuteva su chi fosse o meno il colpevole... La pipa di Maigret divenne una moda e molti uomini si convertirono a questo oggetto da fumo: dava un’aria da intellettuale, faceva sentire e sembrare più intelligenti. In fondo, il caricare con lentezza il fornello, l’accenderlo con cura, il mantenerlo acceso a lungo richiedeva tempi che la nervosa sigaretta non concedeva e dava un tono di persona riflessiva a chi impugnava una pipa. Sovente spenta e usata come oggetto da mostrare proprio come un tempo si usava la canna da passeggio... Perché dunque non parlare delle opere letterarie che parlano della pipa, i cui personaggi fumano la pipa? Scoprirete che molti e curiosi sono i riferimenti letterari, dall’elogio della vecchiaia di Mantegazza alla caccia al lupo di Verga, da Pascoli a Salgari, da Capuana a Grazia Deledda. Racconti e poesie da gustare lentamente, proprio come il fumatore assapora il fumo di una pipa...

    DA ELOGIO DELLA VECCHIAIA DI PAOLO MANTEGAZZA (1893)

    LA PIPA

    Felice il vecchio, che non ha mai fumato e non invidia i fumatori; ma pur troppo gli amici del tabacco son molti, e tutta la popolosa schiera degli infelici, dei malcontenti, degli annoiati trova nella nicoziana un conforto, una sorgente feconda di piccole gioie.

    Fra i fumatori, nessuno fuma meglio né con arte più epicurea del vecchio.

    Se preferisce la pipa, ha per essa un culto, un’adorazione, che non si suole avere che per le cose più sante.

    Nessuno l’ha a toccare fuori che lui, nessuno la deve ripulire e tener tersa e lucente fuor di lui.

    La pipa è per lui quasi una creatura viva, appunto perché vive con lui, accompagnandone i pensieri, i ricordi, le voluttuose sonnolenze.

    È anche per questo, che preferisce fumare nella solitudine della sua cameretta o della sua passeggiata.

    Due quadri della vita umana ho veduto spesso, in apparenza molto diversi, in sostanza molto simili: una mamma che lava il proprio bambino, un vecchio che ripulisce la propria pipa.

    E le mamme non gridino al sacrilegio, perché nel mondo dei viventi non v’ha fibra o cellula, che non si con leghi per nervi invisibili alle fibre e alle cellule le più lontane.

    La mamma amorosa contempla il suo angioletto e lo ammira e ne segue con l’occhio e con la mano purificatrice i rosei contorni, palleggiandone le soavi rotondità, giuocherellando con le membra minute, che guizzano e saltellano nell’onda amica. È una tempesta di carezze e di baci che copre il ciangottar dell’acqua; è una profonda sensualità delle mani, che accarezzano, che palpano e direi quasi che parlano con le carni tenerelle e fresche. Carni belle e palpitanti di vita e che son carni della mamma, perché le ha fatte lei e le ricordano tutto un mondo di voluttà ardenti, di lunghi dolori, di lunghissime trepidazioni.

    E il vecchio ha la sua pipa, che per quanto fragile, ha già dieci anni di vita vissuti senza ferite e senza accidenti, ma con molto onore; dacché le zone del tempo che fu vi hanno scritto la loro storia in tante ondette, che dal bianco dorato vanno fino al nero dell’ebano. Quanto fumo è passato attraverso i pori di quella lucidissima pietra e quante dolci meditazioni hanno accompagnato quel fumo! In quelle tinte di ambra, di magogano, di noce, il vecchio ripensa mille pensieri giocondi e le tante ore vissute senza dolore e senz’ira.

    E quando la cava dal suo astuccio e la ripulisce cautamente, pazientemente, rispettando le carezze del tempo, ma levando ogni granello di cenere e passando e ripassando per il fornello, per il tubo e levigando l’ambra e rimettendola in assetto di guerra, prova un gran piacere, che ai non fumatori può sembrare puerile, ma ai veri artisti della nicoziana è tutto un poema.

    Chi ha veduto nella buvette del Senato il generale Durando con la sua eterna pipetta di gesso in mano e l’ha seguito nelle amorose cure che le prestava, può intendere le infinite compiacenze del vecchio fumatore, i suoi tanti e lunghi colloqui con la sua cara compagna di schiuma o di gesso.

    Anche per il sigaro il vecchio può aver moine e carezze, ma la poesia è molto minore, perché si rivolge a una creatura che vive un quarto d’ora.

    Il sigaro è un amore di passaggio, la pipa è un’amante, anzi una moglie; ma una moglie rimasta sempre amante.

    La mano alquanto tremula, che sfila un Virginia e vi passa e ripassa la fida paglia, che gli ha tenuto lunga compagnia, è una mano che gode.

    La mano che taglia la punta di un biondo e nervoso Avana, è una mano felice, perché promette al vecchio epicureo sogni e profumi.

    Ma Virginia e Avana sfumano fumando e di loro ahimé non rimane che un po’ di cenere; mentre la pipa, dopo averci offerto l’olocausto del suo altare, rimane nel nostro taschino accanto al cuore; tiepida dell’ultimo fiato, promettitrice di altre gioie future, fino all’infinito.

    NEERLAND DI LORENZO STECCHETTI (DA POSTUMA - 1877)

    Vorrei stare in Olanda,

    Ad Harlem, a Nimega od a Groninga,

    Perdermi nella pace veneranda

    Della vita fiamminga.

    Gli aranci m’han seccato,

    M’annoiano i gelati e il vin di Chianti;

    I giornalisti poi m’han stomacato

    E i frati zoccolanti.

    Oh, questo sol di brace

    Quest’eterno odiar come mi stanca!

    Datemi un po’ di nebbia un po’ di pace

    E una casetta bianca,

    Una casetta, e il mare

    Vicino all’uscio e cacio in abbondanza,

    Una raccolta di bottiglie rare

    E la santa ignoranza.

    Oh, come i dì modesti

    In quella dormirei pace profonda,

    E tu ragazza mia, come saresti

    Grassotta e rubiconda!

    Porterei le brachesse

    Colla bonarietà d’uno scabino,

    Tu m’accompagneresti alla kermesse

    In cuffia e gamurrino;

    Ivi seduti accanto

    Parleremmo d’amor tranquillamente;

    La birra bionda spumerebbe intanto

    Nel boccal rilucente.

    Tu colla tua gioconda

    Voce susurreresti una ballata,

    Io succhierei con maestà profonda

    La pipa smisurata.

    E in quest’ozio sublime

    Tabacco fumerei, non porcheria,

    Non il pelo, gli stracci ed il concime

    Della nostra Regìa.

    Là non ci son contese

    Di neri, di scarlatti e di turchini,

    Là nella sabbia del natio paese

    Dormono i contadini

    Là nessun vi domanda

    Impieghi, dividendi o beveraggi...

    Oh, benedetti della mite Olanda

    Pacifici villaggi!

    Villaggi fortunati

    Che non avete nè carabinieri,

    Nè superbia di sindaci avvocati,

    Nè preti cavalieri!

    LA CACCIA AL LUPO DI GIOVANNI VERGA (DA RACCONTI E BOZZETTI - 1880)

    Una sera di vento e pioggia, vero tempo da lupi, Lollo capitò all’improvviso a casa sua, come la mala nuova. Picchiò prima pian piano, sporse dall’uscio la faccetta inquieta, e infine si decise ad entrare, giallo al par dello zafferano, e tutto grondante d’acqua.

    Fuori l’ira di Dio, lui con quella faccia, e a quell’ora insolita: sua moglie, poveretta, cominciò a tremare come una foglia, ed ebbe appena il fiato di biascicare:

    - Che fu?... Che avvenne? ... -

    Ma Lollo non rispose nemmeno - Crepa -. Uomo di poche chiacchiere, specie quando aveva le lune a rovescio. Masticò sa lui che parole tra i denti, e seguitò a guardare intorno cogli occhietti torbidi. Il lume era sulla tavola, il letto bell’e rifatto, tanto di stanga all’uscio di cucina, dove polli e galline, spaventati anch’essi pel temporale, certo, facevano un gran schiamazzo, tanto che la donna diveniva sempre più smorta, e non osava guardare in faccia il marito.

    - Va bene, - disse lui. - In un momento mi sbrigo -.

    Appese a un chiodo lo scapolare, posò sulla tavola l’agnella che ci aveva sotto, così legata per le quattro zampe, e sedé a gambe larghe, curvo, colle mani ciondoloni fra le cosce, senza dir altro. La moglie intanto gli metteva dinanzi pane, vino, e la pipa carica anche, che non sapeva più quel che si facesse, in quel turbamento.

    - A che pensi? Dove hai la testa? - brontolò Lollo. - Una cosa alla volta, bestia! -

    Masticava adagio, facendo i bocconi grossi, colle spalle al muro e il naso sulla grazia di Dio. Di tanto in tanto volgeva il capo, e dava un’occhiata all’agnella, che cercava di liberarsi, belando, e picchiava della testa sulla tavola .

    - Chetati, chetati! - brontolò Lollo infine. - Chetati, che ancora c’è tempo.

    - Ma che volete fare? Parlate almeno! -

    Egli la guardò quasi non avesse udito, con quegli occhietti spenti che non dicevano nulla, accendendo la pipa tranquillamente, tanto che la povera donna smarrivasi sempre più, e a un tratto si buttò ginocchioni per slacciargli le ciocie fradice.

    - No, - disse lui, respingendola col piede. - No, torno ad uscire.

    - Con questo tempo? - sospirò lei, tirando un gran respiro.

    - Non importa il tempo... Anzi!... Anzi!... -

    Quando parlava così, con quella faccia squallida, e gli occhi falsi che vi fuggivano, quell’omettino magro e rattrappito faceva proprio paura - in quella solitudine - con quel tempaccio che non si sarebbe udito Cristo aiutami!.

    La moglie sparecchiava, in silenzio. Lui fumava e sputacchiava di qua e di là. A un tratto la gallina nera si mise a chiocciare, malaugurosa.

    - S’è visto oggi Michelangelo? - domandò Lollo.

    - No... no... - balbettò la moglie, che fu ad un pelo di lasciarsi cader di mano la grazia di Dio.

    - Gli ho detto di scavare la fossa... Una bella fossa grande... L’avrà già fatto.

    - Oh, Gesummaria! Perché?... perché?...

    - C’è

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