Vendette incrociate
Di magi
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Anteprima del libro
Vendette incrociate - magi
MAGI
Vendette incrociate
GDS
©Maria Giulia Improva
Vendette incrociate
GDS
di iolanda massa
Via G. Matteotti, 23
20069 Vaprio d’Adda (MI)
tel. 02 9094203
www.gdsedizioni.it
Tutti i diritti sono riservati.
Quadri in copertina di Magi.
Personaggi
Ahiran anziano e ricco mercante di Sidone
Neko, Tihiti, Aken suoi figli
Shina seconda moglie di Ahiran
Lila schiavetta africana della famiglia
Zhara cuoca africana della famiglia
Shur giovane mercante di Tiro
Hassan suo socio
Eubeo e Aiace schiavi greci dei due giovani mercanti
Antares sommo sacerdote di Biblo
Thareos e Gores sacerdoti di Biblo
Tuzio re di Ausonia
Althea sua figlia
Eibisch capo delle guardie ausonie
Elios architetto greco
Amin nocchiero di Shur
Kam nocchiero di Hassan
Karim nocchiero di Aken adulto
Marcus un uomo ausonio
Pollio capo delle guardie
Anna fu attratta da un groviglio vegetale che si trovava ad un metro circa dal laghetto.
Osservando con attenzione l’intrigo che i rami dei vari arbusti avevano ordito fra loro notò qualcosa di scuro acquattata nel centro.
Un animale? Un inghiottitoio dall’ampia apertura?
La ragazza battè le mani, roteò nell’aria un ramo secco raccolto battendolo contro il tronco di uno dei rari alberi della zona, lanciò un ciottolo verso gli arbusti. Niente!
Se fosse stato un animale sarebbe fuggito via. Dunque si trattava di un inghiottitoio.
Ce n’erano tanti in quella zona calcarea appenninica!
Tanti e dall’apertura talvolta così ampia da poter costituire un pericolo per l’escursionista inesperto.
Lei non era inesperta, studiava geologia e aveva già partecipato a diverse spedizioni speleologiche in altre zone calcaree, ma era la prima volta che s’inerpicava lì, sui monti Ausoni. Era rimasta incantata dall’alternarsi di zone brulle e zone con rigogliosa vegetazione, torrenti che sbucavano dalle gallerie sotterranee e che percorrevano all’aperto impetuosi camminamenti tortuosi fra le rocce per poi sprofondare di nuovo nel sottosuolo e uscire, più avanti, in una rumorosa cascata.
E quei laghetti sparsi qua e là dove galleggiavano delle zolle di terra ricolme di piante!
In realtà non erano veri laghi ma ampissime pozze d’acqua appantanata in un avvallamento di rocce impermeabili.
La ragazza, però, non aveva mai visto un inghiottitoio fra la vegetazione. Si avvicinò, i rami erano molto intricati, non riusciva a vedere. Le sue mani erano coperte da guanti adatti, pesanti e ruvidi.
Inginocchiatasi cominciò ad allargare i rami per insinuarsi fra essi e, finalmente comprese cos’era la cosa scura.
Ebbe la sensazione che il cuore si fosse fermato per un attimo, una paura irrazionale la gelava, non osava muoversi ma doveva retrocedere, uscire fuori dal groviglio di rami e allontanarsi al più presto.
Questa sensazione durò alcuni secondi poi si dette della stupida ed inspirò profondamente.
Nel suo futuro lavoro chissà quante ne avrebbe incontrate di quelle cose
, non c’era d’aver paura ma solo pietà e commozione: la macchia scura era una mummia, un essere umano morto ormai da tanto tempo!
Anna di solito piangeva quando vedeva questi reperti in foto o nei musei, si commuoveva pensando alla loro vita passata: gioie, dolori, cattiverie, bontà, tutto finito in un essere rinsecchito e scuro e, in senso più lato, la commozione si volgeva anche verso la storia dell’umanità: da una piccola scimmietta era venuto fuori l’animale Uomo dall’intelligenza certo non superiore a quella degli altri animali ma più coordinata.
Quante cose era riuscito a fare l’animale Uomo per aver avuto la semplice fortuna di essere nato con le mani strutturate in modo da poterle utilizzare per prendere, amalgamare, costruire.
E l’intelletto si era sviluppato di conseguenza. Quante
cose è stato capace di creare l’Uomo, alcune positive ma la maggior parte sono risultate negative per la vita della Terra e di tutti i suoi abitanti!
Anna si tolse un guanto e si asciugò gli occhi col dorso della mano, voleva osservare la mummia, cercare di capire la causa della morte…
Si trattava di un maschio, giaceva inclinato sul fianco destro col viso rivolto verso il lago e le gambe leggermente piegate. Il braccio destro era parallelo al corpo, la mano era arcuata come se avesse tenuto qualcosa, forse un’arma ma la vegetazione intricata non lasciava scorgere nulla.
Il braccio sinistro, steso sul petto, aveva un’inclinazione innaturale come se la spalla fosse stata ferita e fratturata.
Una ferita alla spalla può procurare la morte? Dissanguamento, infezione?
«Anna vieni… dove ti sei cacciata? Vieni a vedere la cascata! Anna, Anna… dove sei? Ho seguito il corso del torrente, ehi vieni!»
La ragazza si riscosse, la sua amica e collega Silvia continuava a chiamarla, aveva dimenticato di essere in compagnia!
Retrocedendo carponi all’indietro sgusciò fuori dagli arbusti «Sono qui, ti raggiungo!»
Non le avrebbe detto nulla della mummia, non l’avrebbe detto a nessuno per non turbare quel sonno che, probabilmente, durava da secoli, altrimenti il corpo sarebbe stato rimosso, studiato, infiltrato dai raggi x e poi avrebbe trovato posto in un museo, lontano da quel luogo incantevole. No, non poteva permetterlo!
Aken era riuscito a sfuggire agli inseguitori infilandosi in uno spazio fra le rocce. Sentiva le voci concitate e anche se quel linguaggio gli era quasi sconosciuto non gli fu difficile comprendere che lo stavano cercando suddivisi in vari gruppi.
Si lanciavano dei richiami, forse del tipo «Qui non c’è», «Noi saliamo più in alto», «Non si è lanciato nel fiume», «Sarà morto dato che l’abbiamo colpito!»
La ricerca durò delle ore, infine si arresero.
L’inseguito udì una voce levarsi sulle altre, doveva essere il comandante, considerato il tono e l’improvviso zittirsi delle urla.
Dopo qualche minuto ci fu il silenzio assoluto, finalmente!
Aken poteva uscire dal suo nascondiglio, si issò facendo leva sulle braccia ma lo sforzo fece peggiorare la ferita alla spalla sinistra, il dolore diventò lancinante, non riusciva più a muovere l’arto.
Quando l’avevano colpito, mentre correva per sfuggire alla cattura, era caduto e l’asta lignea della freccia si era spezzata lasciando la punta metallica nel suo corpo. Ciò gli aveva impedito di liberarsene e aveva peggiorato le sue condizioni. Ma non doveva pensare a se stesso, il suo dovere era di mettere in salvo l’oggetto che stringeva nella mano destra.
Lasciò cadere a terra la faretra con le frecce e l’arco in quanto non avrebbe potuto servirsene con un solo braccio utilizzabile, mentre la lancia andava bene, ne strinse l’asta con la stessa mano che racchiudeva la cosa preziosa da occultare e prese a salire sempre più in alto sull’altipiano calcareo.
La volontà di sfuggire agli inseguitori, che certo sarebbero tornati, gli dava la forza d’inerpicarsi su per quelle rocce scoscese evitando le doline e scansando i gruppi arborei e gli arbusti, finchè giunse in uno spiazzo enorme, forse la cima, dove la natura presentava una bellezza incredibile.
Aken si guardava intorno estasiato «Sono arrivato in uno dei rifugi degli dei» mormorò «Mi aiuteranno, ne sono sicuro».
Le rocce chiare si stendevano dinanzi ai suoi occhi in un alternarsi aridobrullo e vegetale, ampie pozze d’acqua erano sparse qua e là dando vita a cespugli lussureggianti
e a gruppi di alberelli i cui tronchi parevano dipartirsi da un’unica base.
Una delle pozze era particolarmente ampia tanto da sembrare un lago di modeste dimensioni, al suo centro galleggiava un isolotto di terriccio brulicante di vegetazione.
Il giovanissimo uomo, affascinato, si diresse sulla sponda di quella pozza, allargò le dita della mano destra di quel tanto che bastava a lasciar scivolare in terra la lancia, poi entrò con i piedi nell’acqua, alzò il braccio e scagliò l’oggetto verso l’isolotto.
Vide che penetrava tra le piante e si sentì più tranquillo.
Era stanco, debole «Se solo potessi togliermi quella punta di ferro dalla spalla!», avvertiva la sua linfa vitale, il sangue, che scorreva lungo il dorso, la freccia era dunque penetrata in un vaso sanguigno.
Un gruppetto di alberi, a poca distanza dalla pozza, attirò la sua attenzione, vi si diresse e si lasciò cadere sulle ginocchia.
Tentò in tutti i modi, contorcendosi, di raggiungere la ferita con la mano destra ma a nulla valsero i suoi sforzi «Oh dei! Se i miei giorni sono finiti, se il mio destino si è concluso» parlava a gran voce, con le lacrime agli occhi «accoglietemi benevolmente anche se morirò qui, lontano dalla mia terra e senza sepoltura».
Si sentiva stanco, debole, gelato, s’infilò tra i tronchi e si distese sul fianco destro, il viso rivolto verso la grande pozza.
Il freddo si fece più intenso, la spalla gli doleva tremendamente, un malessere generale lo assalì partendo dallo stomaco, ebbe solo il tempo di pensare Eppure morire qui, in questo posto stupendo, è quasi piacevole, può essere dolce… El, padre degli dei…
e poi perse conoscenza per alcuni minuti.
Quando rinvenne si sentiva quasi bene, il dolore era scomparso e così il freddo, ora avvertiva il calore forte del sole, però era stanco, molto stanco, languido.
L’acqua di fronte a lui luccicava alla luce, un vento leggero muoveva le foglie e… caldo, tanto caldo come… mare… spiaggia… si… la spiaggia della sua terra e lui aveva dieci anni.
Giocava sulla sabbia insieme al suo Bath, il fedele amico cane, in lontananza, ma non troppo, vedeva le mura rassicuranti di Sidone dove si trovavano la sua casa e la sua famiglia.
Ahiran, padre di Aken, spesso lontano per lavoro, era uno dei più ricchi mercanti della città e faceva parte del Consiglio degli Anziani, formato dai capi delle famiglie più ricche, che si riunivano per discutere e prendere decisioni importanti e, nello stesso tempo, per limitare e controllare il governo, del re.
La sua era una famiglia felice, almeno finchè…
Le ore libere dallo studio Aken le passava sulla spiaggia con il suo cane, si rincorrevano, si rotolavano nella sabbia, facevano il bagno, insomma erano grandi amici e si volevano un bene dell’anima.
Fu durante una di quelle scorribande, in una tarda mattinata piena di luce e di calore che furono interrotti dalla voce squillante di Tihiti «Aken, vieni, nostro padre è tornato!»
Bath abbaiò festoso e fu il primo ad arrivare vicino alla fanciulla.
«Sono contento di rivedere nostro padre!»
«Non è solo, con lui c’è Shur, il mio promesso sposo».
«Cosa vuole?»chiese sgarbatamente il ragazzo.
«Non ti è proprio simpatico, vero?»
«Non è questo…….è che ti porterà via di qui!»
«Eh si, quando mi avrà sposata andrò a vivere nella sua città, ma tu verrai spesso a trovarmi» «Ma certo sorellina!.»
Oltrepassarono la porta di Sidone e si addentrarono nelle strade fra le case addossate l’una all’altra.
Sidone, come Tiro, Biblo e Arado erano delle splendide città, espressione della ricchezza del popolo fenicio abile, come pochi, nei commerci via mare e via terra.
Giunti alla loro spaziosa casa Tihiti si fermò «Lascia il cane fuori, ti prego, ora che ci sono nostro padre e Shur».
Aken annuì e comandò «Bath, resta qui» e lui si accoccolò, ubbidiente vicino all’uscio.
I due ragazzi entrarono nella sala dei banchetti, Ahiran stava raccontando qualcosa al loro fratello maggiore Neko, s’interruppe per chiamare presso di sé anche il figlio più piccolo.
Shur ne approfittò per guardare compiaciuto la bella fanciulla che tra poco tempo sarebbe diventata sua sposa. Indossava una tunica di lino verde che due fermagli gioiello fermavano sulle spalle, i capelli neri, mossi e molto lunghi erano sciolti, alle braccia e alle caviglie portava degli splendidi bracciali d’oro, dei sandali, anch’essi verdi, lasciavano vedere i suoi piedi perfetti.
Gli occhi neri della fanciulla ricambiarono, per un istante, l’occhiata, con la sicurezza di chi sa di essere desiderata e poi, con un lieve inchino di saluto, lasciò la sala per recarsi nella grande cucina dove Shina e le schiave stavano preparando il pranzo.
«Dunque vi stavo parlando di un mio avo» riprese Ahiran «lui era un piccolo mercante, come tuo padre, Shur, e come te, per il momento almeno» sorrise al giovane «in quanto sposerai mia figlia, e, col mio aiuto, voglio che anche tu diventi ricco».
Shur rispose al sorriso con un altro sorriso ma tacque. Aken, accoccolato fra le ginocchia del padre lo osservava attentamente.
«Il mio avo, non possedendo navi, svolgeva i suoi traffici commerciali via terra, con un gruppo di amici. Si erano recati in Egitto.Conclusi gli affari stavano tornando a Sidone portando dei sacchi colmi di pezzi di natron che, come tu sai, serve per tingere le stoffe. Giunti sulla riva di un fiume si fermarono per riposare e accesero un fuoco per cuocere le vivande.Sassi non ce n’erano e le pentole furono collocate sopra alcuni blocchi di natron, sotto i recipienti il fuoco ardeva da rami poggiati sulla sabbia fine del fiume. Mentre, nella notte, la legna finiva di bruciare, i mercanti, affaticati dal lungo cammino, si addormentarono… ma quale fu la loro meraviglia quando si svegliarono! I blocchi di natron erano spariti, sparita era anche la sabbia fine sotto i pezzi di natron, e al posto di queste cose essi videro una lucida crosta di una materia sconosciuta, una meravigliosa crosta luccicante e trasparentissima… era nato il vetro!
Infatti, ragazzi, quegli stupendi e fragili oggetti che abbelliscono la nostra casa sono fatti proprio riscaldando la silice, cioè la sabbia biancastra con il natron (carbonato di soda o di potassa). Si ottiene prima una massa liquida, rossa e fumante, che si può lavorare facilmente. Raffreddandosi si indurisce e diventa vetro.
I due fratelli avevano ascoltato con molto interesse il racconto.
Shur intervenne «Com’era avvenuta la scoperta lo sapevo, me lo raccontò mio padre quand’ero un ragazzetto ma ignoravo che nel gruppo dei mercanti c’era anche un tuo avo, Ahiran!»
«Sì e fu l’inizio della fortuna della nostra famiglia e di quella degli altri mercanti ch’erano con lui. Il vetro ci ha portato la ricchezza».
E neanche vi bastava, ladroni
pensò Shur dovevate prendere…
Una schiavetta nera che poteva avere si e no dodici anni entrò timidamente nella stanza e restò ferma sulla soglia con gli occhi bassi
«Cosa c’è Lila?»
«Chiedo scusa, la padrona dice se possiamo servire il pranzo»
«Ma certo, abbiamo fame, vero Shur? E voi, figli miei?»
Il pranzo era finito da un pezzo, le donne si erano ritirate nelle loro camere mentre gli uomini si trattenevano a bere il vino che veniva prodotto con le viti coltivate sulle pendici dei loro monti.
Non c’era Aken che, considerato non ancora in età di bere, la matrigna Shina aveva costretto a ritirarsi nella propria camera, ma non dormiva, ascoltava il suono delle voci maschili e lottava contro il sonno perché aveva deciso di controllare Shur.
Aken amava molto sua sorella, la considerava una delle più belle creature esistenti, non solo bella ma anche dolce e gentile, per questo non approvava l’idea di suo padre di darla in sposa a Shur. Odiava il suo futuro cognato, era un mercante di medio calibro, agiato ma non in grado di dare a Tihiti la ricchezza cui era abituata. Ci sarebbe riuscito con l’aiuto del suocero, ma allora la sposava per interesse?
Certamente, aveva captato lo sguardo di lui quando la fanciulla era entrata nella sala dei banchetti, uno sguardo di desiderio per quella bellezza eccezionale, non uno sguardo innamorato!
Aken aveva solo dieci anni ma certe sfumature le capiva perché spesso aveva ascoltato, non visto, i discorsi degli amici di suo fratello e sapeva che gli uomini possono desiderare, senza amarlo, un bel corpicino, e poi, sfogata la passione, disinteressarsene completamente. Io non sarò mai così
si diceva spesso: quei discorsi vuoti, cinici, non gli piacevano proprio.
Si accorse, improvvisamente, che il suono delle voci non gli arrivava più:erano andati a dormire.
Shur sarebbe stato loro ospite anche per la notte.
Silenzio assoluto.
Poteva rilassarsi e dormire? Qualcosa gli diceva che doveva prima controllare la casa, scivolò dal letto e sgusciò fuori dalla camera che si trovava nell’ala riservata alle donne, padrona e schiave.
Dato che era notte una sola torcia ardeva nel corridoio
illuminandolo fiocamente.
Il ragazzo si era appena nascosto nell’angolo buio creato dalla statua di El, il dio protettore, quando udì un leggero scalpiccìo di piedi nudi. Sbirciò al di sotto delle braccia della statua, levate in alto in segno di benedizione, e vide venire un uomo. Distingueva solo il chiarore della tunica ma presto sarebbe passato sotto la torcia… si, si… eccolo, non poteva che essere lui!
Aken balzò allo scoperto e ostruì il passaggio allargando gambe e braccia «Fermati Shur, di qui non si passa