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Piccola, sei mia!: Harmony Destiny
Piccola, sei mia!: Harmony Destiny
Piccola, sei mia!: Harmony Destiny
E-book145 pagine2 ore

Piccola, sei mia!: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Hey, che bambola!

La famiglia Tanner vuole adottare Laura, la figlia del defunto padre e di una ballerina, e per questo incarica Woodrow di comunicarlo, come solo lui sa fare, alla dottoressa Elizabeth Montgomery, l'unica parente che potrebbe reclamare la bimba. Woodrow si aspetta di trovare una donna tutta cervello e niente fascino, in realtà le sue curve mozzafiato lo inchiodano con ben altri convincenti discorsi.

Accipicchia, che uomo!

Elizabeth ha sempre desiderato dei figli tutti suoi. Per questo, quando uno sconosciuto incredibilmente sexy le racconta di avere una nipote, lei si sente al settimo cielo! In più l'uomo la invita nella tenuta di famiglia per conoscere la piccola. Lei accetta non aspettandosi, però, la proposta che i Tanner hanno in serbo per lei.

LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2015
ISBN9788858939345
Piccola, sei mia!: Harmony Destiny
Autore

Peggy Moreland

Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.

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    Anteprima del libro

    Piccola, sei mia! - Peggy Moreland

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Baby, You’re Mine

    Silhouette Desire

    © 2003 Peggy Bozeman Morse

    Traduzione di Lucilla Negro

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-934-5

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Collerico. Così le persone più educate definivano Woodrow Tanner. I meno gentili, invece, usavano un’espressione più colorita, da non pronunciare in presenza di una donna o di un prete. A Woodrow non importava un fico secco di come la gente lo considerasse o che giudizio avesse di lui. Gli piaceva fare a modo suo, al diavolo chi lo disapprovava.

    Possedeva un ranch di settecentocinquanta acri a sudovest di Tanner Crossing e viveva in una casetta di legno, che si era costruito al centro di quell’immensa proprietà. L’aveva situata lì con il solo scopo di interporre più distanza possibile tra sé e i vicini. A parte un pastore tedesco che gli dormiva ai piedi del letto, viveva da solo, e solo intendeva restare.

    L’incubo peggiore per lui erano le folle oceaniche, le grandi città, il traffico e i suoi ingorghi. Riusciva al massimo a tollerare un paio di furgoni intrappolati dietro a un trattore. Inutile dire che, da quando aveva messo piede a Dallas, la sua abituale irascibilità era arrivata a un pericoloso livello di guardia.

    Se avesse avuto sottomano suo fratello Ace gli avrebbe fatto di sicuro un occhio nero, o piuttosto spaccato il naso, per avergli appioppato quell’assurda missione di alta diplomazia. Non che Woodrow avesse accettato l’incarico di buongrado, senza battere ciglio. Anzi, aveva fatto il diavolo a quattro per convincere uno dei fratelli a intraprendere il viaggio al posto suo.

    Ma, a quanto pareva, era lui l’unica persona disponibile.

    Ry non poteva rubare altro tempo alla sua attività di chirurgo e Rory era fuori città, ad acquistare della merce per la sua catena di negozi stile western.

    Ace non aveva fornito alcuna scusa per Whit e Woodrow non gliel’aveva neppure chiesta. Essendo un loro fratellastro, Whit era automaticamente dispensato da tutta una serie di obblighi familiari, immunità che, mai come in quel momento, lui non riusciva a mandar giù.

    E così, alla fine, era stato scelto lui per andare a Dallas a occuparsi di una delicata questione di famiglia. Però, quanto gli seccava! Non era tagliato per le pubbliche relazioni.

    Vide l’uscita davanti a sé e si incanalò nella corsia di destra. Una volta lasciatasi dietro l’autostrada e le auto che l’affollavano, iniziò a rilassarsi e controllò di nuovo in quale direzione dovesse procedere. Due svolte a destra e una a sinistra e si ritrovò in un’area parcheggio di fronte a un moderno edificio a cinque piani.

    Rimase stupefatto alla vista di tutto quel vetro e metallo che gli torreggiavano davanti. Personalmente, preferiva i materiali naturali come la pietra e il legno. Riteneva i mattoni accettabili nella costruzione di edifici pubblici, per esempio un ufficio postale o una banca. Ma tutto ciò che andava oltre quei tre materiali era da lui considerato un obbrobrio, un oltraggio al paesaggio, oltre che alla vista. Qualcosa che meglio si addiceva a un posto come Marte.

    Con un umore sempre più nero, discese dal fuoristrada e si incamminò verso l’ingresso dell’edificio. Una volta dentro, ricontrollò le indicazioni e prese l’ascensore fino al quinto piano. Trovò la porta sulla quale era attaccata la targa Elizabeth Montgomery, pediatra, e l’aprì. Senza neppure guardarsi intorno, andò dritto al banco dell’accettazione e picchiò con le nocche contro il vetro.

    Una donna sollevò lo sguardo dalle carte che stava sistemando e, non appena lo vide, sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Woodrow era abituato a quel genere di reazione. I fratelli Tanner erano ben noti per la loro corporatura imponente e per il loro sguardo tenebroso che, volontariamente o meno, producevano un certo fremito tra l’universo femminile.

    Lentamente, la donna si alzò e si accostò al vetro. «Desidera?»

    «Dovrei vedere la dottoressa Montgomery.»

    Lei sbirciò discretamente alle sue spalle, come se si aspettasse di vedere qualcuno di taglia decisamente inferiore dietro di lui. «Ha un appuntamento?»

    «No. È una faccenda personale.»

    La donna inarcò le sopracciglia. «La dottoressa la sta aspettando?»

    «No.»

    «Se mi dice il suo nome, vado ad avvisarla che è qui.»

    «Woodrow Tanner.»

    La segretaria mosse un passo indietro, gli occhi fissi nei suoi. «Aspetti un secondo. Torno subito.»

    Woodrow la osservò piroettare su se stessa e percorrere il corridoio con passo spedito. Poi, bussare con foga a una porta e infilarsi dentro. Con faccia truce, allargò le grandi mani sul bancone e iniziò a tamburellare con le dita sul ripiano di legno, attendendo con impazienza.

    Qualche istante dopo, la donna ricomparve da dietro la porta. Si fermò per sistemarsi i capelli e lisciarsi il camice, prima di ripercorrere il corridoio verso di lui. E Woodrow non poté fare a meno di osservare l’ancheggiare che ora aveva aggiunto alla sua andatura.

    Quando giunse al bancone, la donna si protese languida verso il vetro. «Spiacente» pronunciò con una voce che era diventata più roca e sommessa di prima, «ma la dottoressa Montgomery ha la giornata fitta di appuntamenti e non può riceverla. Se vuole» aggiunse, iniziando a giocherellare con l’ultimo bottone del camice e a battere le ciglia, «le fisso un appuntamento per un altro giorno.»

    A meno che non si stesse sbagliando, il che avrebbe significato che era un po’ arrugginito, quella donna stava flirtando con lui, notò Woodrow. Un altro giorno, in un altro posto, avrebbe volentieri accettato la provocazione. Ma al momento, niente e nessuno avrebbero mai potuto convincerlo a trattenersi un giorno più del necessario in quella città infernale.

    «A che ora chiudete?» le domandò.

    «Alle quattro» rispose lei con un sorrisetto ammiccante.

    Era evidente che pensava che lui si stesse informando dell’ora in cui si sarebbe liberata per chiederle un appuntamento. Ma Woodrow non si curò di chiarire l’equivoco. Non l’aveva creato lui. Consultò quindi l’orologio e si accorse che erano le tre e mezza. «Bene. Aspetterò.»

    Impacciata, la segretaria della dottoressa agitò una mano, indicandogli la sala d’attesa. «Si accomodi pure di là, allora. Le posso portare qualcosa da bere?»

    Mentre si voltava, Woodrow scosse la testa, immaginando che l’offerta non includesse superalcolici. E in quel momento avrebbe mandato giù volentieri solo due dita di whisky.

    Incastrato in una sedia più adatta a uno dei sette nani, Woodrow meditò di ammazzare il tempo sfogliando una delle tante riviste sparse sul tavolino. Dopo aver osservato alcuni titoli, Donna e mamma, Mamme in carriera e Io e il mio bambino, si disse che neppure una martellata in fronte lo avrebbe persuaso a toccarne una.

    Rassegnato alla noia, appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. Due istanti dopo, già dormiva.

    «Bisognerà chiamare il laboratorio e sollecitare i risultati delle analisi del figlio dei Carter. Avevano promesso che ce li avrebbero fatti avere lunedì alle quattro.»

    Woodrow drizzò il capo di scatto e batté le palpebre. Vide una donna sulla porta che separava la sala d’attesa dalle stanze delle visite. Era appoggiata con una mano sulla porta, tenendola aperta, e stava parlando con la segretaria, impartendole le ultime direttive.

    Doveva essere la dottoressa Montgomery, stabilì, notando il camice bianco e lo stetoscopio appeso attorno al collo. Ormai del tutto sveglio, restrinse gli occhi ed esaminò la figura.

    Non sembrava affatto un medico, decise. Piuttosto, la classica zia zitella. Gli occhiali dalla montatura di tartaruga ne erano un chiaro indizio. Un altro era lo chignon che le teneva i biondi capelli raccolti ordinatamente dietro la testa. Poi, però, la donna gli rivolse le spalle, esponendo una nuca e un collo sottile dalla pelle porcellanata. Appena sotto l’attaccatura dei capelli, dove questi si arricciavano in ciuffetti sottili e biondissimi che sfuggivano alla costrizione di qualunque acconciatura, notò una macchiolina di un rosa più scuro.

    Una voglia?, si chiese. Una specie di eritema o di sfogo nervoso della pelle?

    Qualunque cosa fosse, gli venne un insano desiderio di posare proprio lì le labbra.

    «Il dottor Silsby prenderà le mie telefonate» la sentì dire e tese di nuovo l’orecchio. «Ho lasciato sulla scrivania il numero dove potrò essere rintracciata in caso di emergenza. E, naturalmente, ho con me il mio cercapersone.»

    Woodrow raddrizzò la schiena, deglutendo. La dottoressa stava lasciando la città? Guardò verso la segretaria, la quale gli strizzò l’occhio. Pensando che fosse meglio svignarsela prima che quella donna intraprendente gli soffiasse l’opportunità di bloccare la pediatra, si alzò in piedi e sgattaiolò fuori.

    Giunto agli ascensori, si fermò, sperando d’incrociare la dottoressa Montgomery.

    Qualche istante dopo, udì la porta dello studio medico aprirsi e allungò il collo per sbirciarvi dentro. La dottoressa stava camminando nella sua direzione, la testa piegata in avanti mentre frugava nella borsetta appesa alla spalla.

    Pigiò il bottone con la freccia in giù e dopo qualche secondo la porta si aprì. Woodrow appiattì una mano contro di essa e si fece da parte. «Scende?» le domandò.

    Lei sollevò lo sguardo, di soprassalto, come se non si fosse accorta della sua presenza. «Oh... sì. Grazie.»

    Estrasse un mazzo di chiavi, quindi lasciò ondeggiare la borsetta lungo il fianco mentre si infilava nell’ascensore. Woodrow staccò la mano dalla porta ed entrò dopo di lei. «Pianoterra?»

    «Sì, grazie» replicò lei, fissando immediatamente

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