Tra le braccia del ribelle: Harmony Bianca
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In vacanza in Australia per ricucire il rapporto con suo fratello, Sara Jones non si aspettava certo di essere coinvolta in un incendio e di essere tratta in salvo dalle braccia rassicuranti e super sexy del dottor Reece Fletcher! Reece è bello, coraggioso e insieme formano una squadra affiatata, ma Sara non può ignorare le responsabilità che l'attendono a Londra e soprattutto non può negare l'indole ribelle dell'uomo di cui si è innamorata. Nonostante la passione che li unisce, la loro relazione ha già una data di scadenza. A meno che il cattivo ragazzo non si decida a mettere radici.
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Anteprima del libro
Tra le braccia del ribelle - Annie Claydon
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Rebel and Miss Jones
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Annie Claydon
Traduzione di Daniela De Renzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-879-3
1
«Devo andare. Questo lo sai, vero?»
Sara sorrise al fratello. «So che cosa vuol dire essere reperibili. Non si può far aspettare un incendio.»
Simon si rilassò per la prima volta da quando aveva risposto al telefono quella mattina. «Sei cresciuta mentre io non c’ero. Continuo a dimenticarmene.» Si pizzicò come se non riuscisse ancora a credere ai suoi occhi. «Dieci anni sono un lungo periodo.»
E dall’ultima volta che si erano visti erano successe molte cose. Ma non era quello il momento di pensarci. «Se fosse arrivata una chiamata per un paramedico, me ne sarei andata all’istante. Devi andare.»
Simon diede un’alzata di spalle. «Ci sarai, quando torno?» Lo chiese come se il legame che avevano cercato di ricostruire negli ultimi giorni avesse potuto spezzarsi al più piccolo tocco. Questo Sara lo capiva, perché era quello che temeva anche lei.
«E dove dovrei andare? Quando tornerai avrò già superato il jet lag, sistemato la casa e insegnato a Trader ad abbaiare in inglese.»
«Ho ancora l’accento inglese...» affermò serio Simon. «Oppure no?»
«Ora che ci penso, direi di no. Non più.» Per lei l’accento di Simon era decisamente australiano. E lui non era più il ragazzo allampanato, che aveva appena terminato l’università e aveva litigato violentemente con la madre, uscendo per sempre dalla loro vita. Si era fatto più robusto, più riflessivo e molto più controllato. Ed era diventato più ordinato. «Ti ho già detto che sono orgogliosa di te?»
«No, ma grazie.» Simon si mise in spalla lo zaino e si voltò a guardarla negli occhi. «Informerò qualcuno del fatto che sei qui. Sulla rubrica in cucina c’è un elenco di numeri che puoi chiamare, se hai bisogno di qualcosa. Ma se non torno per domani, arriverà certamente qualcuno.»
«Starò bene. Non ho più sedici anni.»
«L’incendio è lontano e sta andando verso ovest. In caso di pericolo verranno a prenderti. Se puoi prendere le cose di valore bene, altrimenti non perdere tempo prezioso...»
«Lo so, lo so» affermò Sara, sollevando le mani.
«Bene.» Simon stava ancora esitando. Poi si sporse verso di lei e la baciò sulla guancia con un po’ d’imbarazzo.
«Stai attento. A presto» gli mormorò Sara con un largo sorriso, cercando di sospingerlo fuori.
Era stata agitata tutto il giorno e durante la notte aveva alternato periodi di sonno leggero a periodi di veglia. Ora però qualcosa l’aveva svegliata completamente. Forse il silenzio eccessivo. O forse il senso d’inquietudine, che aveva cercato in tutti i modi di tenere a bada, senza riuscirci. Anche le prime luci dell’alba le apparivano in qualche modo minacciose.
Forse Simon era rientrato mentre lei dormiva. Quel pensiero la fece alzare dal letto e raggiungere la finestra, che si affacciava sul davanti della casa. Niente. La macchina di Simon non era parcheggiata al solito posto e la sua giacca non era nell’ingresso. Sara sapeva che non lo avrebbe trovato in camera da letto, ma andò comunque a controllare.
Aveva una certa esperienza di emergenze. Ma non le era mai capitato di dover rimanere in attesa, mentre qualcun altro affrontava i problemi. Il giorno prima aveva portato Trader a fare una passeggiata e il fatto di non aver incontrato nessuno l’aveva spaventata. Quando era tornata a casa, aveva acceso il televisore e si era messa a guardare un DVD dopo l’altro, solo per ascoltare delle voci umane.
Andò in cucina e sentire Trader che raspava alla porta riuscì a metterla di buon umore. Aprì subito e venne quasi travolta da venticinque chili di pastore australiano, l’unico che avesse mai visto in vita sua.
«Ehi, Trader!» Il cane trotterellò fino alla camera di Simon e, quando scoprì che la stanza era vuota, cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro. «Non è qui. Ti darò io la colazione.»
Sembrava che Trader avesse motivo per essere inquieto. Forse il cibo lo avrebbe tranquillizzato. Sara uscì sulla veranda con la ciotola di plastica.
Il vento doveva essere cambiato. O magari dipendeva dal fatto che adesso era uscita all’esterno. Ma l’odore acre del fumo la colpì come uno schiaffo.
Trader si premeva contro le sue gambe e la fece quasi barcollare. Le mordicchiò i talloni, per indurla a entrare in casa e Sara lo afferrò per il collare. «D’accordo. Facciamo come dici tu.» Forse il cane aveva ragione. Lei invece non aveva la minima idea di come comportarsi.
Afferrò le ciotole, rovesciandosi un po’ d’acqua sulla camicia da notte, e portò l’animale dentro casa, richiudendo a chiave la porta. Come se, in quel modo, avesse potuto impedire alle fiamme di entrare. «Oggi mangerai qui.» Mise il cibo sul pavimento della cucina e si diresse al lavello, per riempire la ciotola d’acqua. Ma quando girò il rubinetto non successe niente. Sara si voltò e vide che le luci del frigo e dei fornelli erano spente.
«Accidenti!» Niente elettricità significava che la pompa del serbatoio dell’acqua non era in grado di funzionare. Richiuse il rubinetto e prese dell’acqua dal frigo, versandola nella ciotola del cane. Poi bevette un sorso dalla bottiglia.
Poteva esserci un altro incendio. Oppure era girato il vento. In ogni caso la situazione era cambiata. Simon avrebbe dovuto mantenere la sua promessa e tornare a prenderla. Oppure avrebbe mandato qualcuno. Poteva essere questione di poco.
Il telefono era isolato e, anche se Sara sapeva perfettamente che non c’era segnale, tentò di usare il cellulare. «È soltanto un po’ di fumo, Trader. Si sposta per chilometri. Non credo che l’incendio sia vicino.»
Era quello che sperava, ma non ne era affatto convinta. Gli occhi gentili e intelligenti di Trader sembravano già più tranquilli. Forse era un buon segno. Sara lasciò mangiare il cane e andò a prendere il binocolo, che Simon teneva in ufficio. Lo puntò nella direzione dalla quale proveniva il fumo.
Improvvisamente quel viaggio in Australia le apparve una scelta azzardata. Era stata la nonna a spingerla a partire. Si era perfino fatta ricoverare in un istituto per tre settimane. Ma aveva ormai novant’anni e dipendeva completamente da Sara. Che cosa avrebbe fatto, se non fosse tornata?
Simon avrebbe mandato qualcuno. La mamma poteva anche considerarlo un irresponsabile, ma Sara sapeva che non era vero.
Rovistando nei cassetti della cucina trovò una radio che funzionava a batteria. L’accese e cercò un’emittente locale. Sicuramente avrebbero trasmesso un notiziario.
Portandosi dietro la radio, Sara cominciò a riempire un paio di borse con quelli che sembravano gli oggetti più importanti. Poi le depose nell’ingresso. S’infilò i jeans e fece il giro della casa, chiudendo le persiane antincendio. Trader correva avanti e indietro, cercando di allontanarla dall’odore acre del fumo, che stava cominciando a addensarsi come una nebbia scura.
In quel momento dalla radio cominciarono a uscire dei suoni e Sara avvicinò l’orecchio, per cercare di afferrare ogni parola. Venivano menzionati luoghi che aveva soltanto sentito nominare e pronunciate parole di allarme che per lei non significavano niente. Evacuare. Mettersi in salvo. L’area a basso rischio più vicina. Era chiaro però che ci fosse un’emergenza.
Sara non sapeva dove andare. Non aveva una macchina e, se anche avesse saputo come raggiungere la città più vicina, coprire a piedi un percorso di una trentina di chilometri era pura follia.
Simon aveva progettato la casa personalmente. Le persiane erano state realizzate per tenere all’esterno i tizzoni e i muri in mattoni di terra funzionavano da barriera. Se la situazione fosse peggiorata lei e Trader avrebbero dovuto cercare di restare all’interno e augurarsi che andasse tutto per il meglio.
Sara ingoiò le lacrime e si rivolse all’unica creatura vivente che poteva offrirle conforto. «Non si dimenticherà di noi, Trader.» Sembrava che l’animale fosse in grado di percepire la sua ansia e continuava ad annusarle la mano. «Forse la situazione non è così grave. Forse cambierà il vento...»
Sara s’irrigidì nel vedere qualcosa che assomigliava a del fumo sollevarsi dalla strada sterrata che portava diretta alla casa. Vide qualcosa muoversi e risplendere sotto la luce del sole e si sentì pervadere da una sensazione di terrore. Ma improvvisamente capì di che cosa si trattava. Un veicolo si stava avvicinando a velocità sostenuta. Stava venendo da lei. Quella strada portava soltanto alla casa di Simon.
Non volendo lasciare niente al caso, corse di nuovo dentro e strappò dal tavolo la tovaglia rossa. Poi tornò fuori gridando e sventolando la stoffa colorata.
«Siediti, Trader.» Sara cercò di capire se la persona alla guida del Suv l’avesse notata. Agitò di nuovo la tovaglia e stavolta, attraverso le lacrime, riuscì a distinguere qualcosa. I fari della macchina lampeggiarono tre volte. Seguì una pausa e lampeggiarono ancora. Per essere sicura, Sara sventolò ancora la tovaglia. I fari lampeggiarono tre volte.
«Grazie» mormorò lei tra sé. «Va tutto bene, Trader. Sta arrivando qualcuno.»
Quando il Suv si fermò di fronte alla casa, Trader cominciò ad abbaiare contento, tirando Sara verso l’uomo che era appena sceso dalla macchina.
Lei avrebbe voluto abbracciarlo. Ma quello non era il tipo d’uomo che si abbraccia senza avere qualcos’altro in mente. Alto, ben piantato e con luminosi occhi azzurri, che risaltavano sulla pelle scura. Folti capelli biondi che non erano stati spazzolati da un po’, ma che aggiungevano qualcosa di estremamente interessante al suo aspetto.
«Sara? Sara Jones?» domandò lo sconosciuto avvicinandosi con decisione. Lei si limitò ad annuire, incapace di pronunciare una parola. «Simon mi manda a prenderla.»
Non era il momento di chiedere perché non fosse venuto prima. E non era nemmeno il momento di usare troppe precauzioni, prima di salire in macchina con uno sconosciuto. Trader sembrava sapere di chi si trattava e, a un suo ordine, smise di leccargli la mano e saltò sul Suv, sistemandosi sul sedile posteriore.
«Dobbiamo sbrigarci.» L’uomo non sembrava disposto a fermarsi per rispondere a delle domande. Aveva già salito a due a due i gradini che portavano alla veranda e stava abbassando la maniglia della porta. Quando questa non si aprì, lui si voltò con aria interrogativa verso Sara.
«Ho qui la chiave» affermò lei, avvicinandosi e tirandola fuori dalla tasca. Ma per l’agitazione la lasciò cadere e la chiave andò a infilarsi in una fessura tra le tavole del pavimento.
Lui alzò le spalle, avviandosi verso il retro della casa. Sara gli corse dietro. «Ho chiuso anche la porta sul retro. Potremmo sollevare una delle assi...»
Lui la guardò scettico. E, prima che lei riuscisse a fermarlo, aveva dato una spallata alla porta, che era ricaduta all’interno andando a sbattere contro la parete.
«Era necessario?» domandò Sara sbigottita. Lui non aveva alcun diritto di comportarsi in quel modo.
L’uomo