Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Giochi di Fuoco
Giochi di Fuoco
Giochi di Fuoco
E-book420 pagine5 ore

Giochi di Fuoco

Valutazione: 5 su 5 stelle

5/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un ragazzo, capace di usare una forma di magia illegale, perde il padre e la casa nel giro di una notte, mentre inizia la guerra.

La tranquilla serata di Neeko viene bruscamente interrotta dall’arrivo di una maga del fuoco appartenente all’esercito del re, che bussa alla sua porta chiedendo ospitalità per la notte. Dice che sta per iniziare la guerra, ma questa diventa l’ultima delle preoccupazione di Neeko quando scoppia un alterco tra il padre ubriaco e la maga. Il risultato dello scontro sarà la sua casa rasa al suolo dalle fiamme e il padre sepolto sotto le macerie.

La sola forma di giustizia che gli resta? Un documento di indennizzo: i danni gli verranno pagati se lo porterà al mastro della moneta, nella capitale, entro la scadenza. Con la guerra tra due regni che imperversa tra le cittadine, il viaggio sarà pieno di insidie. Ma sapendo di possedere un talento segreto, Neeko non è scoraggiato. Soprattutto quando viene a sapere che la sua nuova compagna di viaggio, anche lei in possesso dello stesso documento di indennizzo, conosce il territorio meglio di chiunque altro. Potrà anche essere strana – esprime i suoi pensieri cantando e seppellisce armi in tombe già occupate – ma Neeko dovrà affrontare ben di peggio per arrivare alla capitale in tempo.

Se solo Neeko sapesse cosa c’è veramente in serbo per lui laggiù.

LinguaItaliano
EditoreB.T. Narro
Data di uscita22 feb 2016
ISBN9781507132517
Giochi di Fuoco

Correlato a Giochi di Fuoco

Ebook correlati

Fantascienza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Giochi di Fuoco

Valutazione: 5 su 5 stelle
5/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Giochi di Fuoco - B.T. Narro

    FIRE GAMES

    B.T. NARRO

    LIBRO UNO DELLA TRILOGIA

    DEL MAGO PIFORIALE

    Copyright 2014 di B.T. Narro

    Copertina e mappa di Ricky Gunawan

    Quest’opera è frutto di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o no, fatti o luoghi è puramente casuale.

    Tutti i diritti sono riservati. Questo libro non può essere riprodotto per intero né in parte senza l’espresso consenso scritto da parte di chi ne detiene il copyright.

    CAPITOLO UNO

    Le mosche volavano in cerchio attorno al cibo che avevo preparato per mio padre. Le cacciai via con un rapido gesto della mano e coprii il piatto della cena con un panno di stoffa.

    Si udì un rumore di passi che si avvicinavano alla porta. Mi irrigidii, ma poi capii che non poteva essere Jon. I suoi stivali facevano un rumore diverso sulla ghiaia: scricchiolii pesanti e veloci quando era sobrio e colpi più disordinati quando era ubriaco. Quei passi invece procedevano dal tallone alla punta, premevano contro i sassi in modo cauto. Si trattava di una persona attenta che addirittura si fermò – probabilmente per guardarsi attorno – prima di arrivare finalmente a bussare alla mia porta. Presi il coltello che si trovava accanto al piatto di mio padre.

    Chi è? chiesi.

    Mi chiamo Callyn. Sono un soldato dell’esercito di Re Quince. Era una ferma voce di donna. Rimisi il coltello sul tavolo e avanzai verso la porta.

    Cos’ha combinato Jon? chiesi. Aveva detto di essere un soldato, non una guardia. Non riuscivo a immaginare cosa avesse fatto mio padre per portarla lì. Immaginai di aprire la porta e di vederlo dietro di lei, sostenuto da altri soldati, morto o magari privo di conoscenza. Un’immagine che mi ero figurato migliaia di volte.

    Ma c’era solo lei e nessun altro. Aveva capelli biondi e poco puliti e un’espressione che la faceva sembrare decisa a non accettare nessun genere di scherzo. Calzava a pennello con la severità e serietà della sua divisa nera.

    Non so chi sia Jon, disse con voce ora piuttosto irritata. Devo entrare. Fece un passo avanti guardando alle mie spalle, chiaramente aspettandosi che mi facessi da parte. Constatando che non mi muovevo, i suoi occhi si sollevarono fissandosi nei miei. C’è bisogno che ti ricordi che è dichiarato per legge il dovere di far entrare in casa propria un soldato se così viene richiesto?

    Non sapevo niente di quella legge. Guardando alle spalle della donna, vidi altre persone che indossavano la medesima divisa e che bussavano alle porte dei miei vicini.

    Che succede? chiesi facendomi da parte.

    Ho bisogno di un letto. Per me, aggiunse con decisione, e di qualcosa da mangiare. I suoi occhi si posarono sul piatto coperto che avevo preparato per mio padre. Avanzò e tolse senza esitazione il panno di stoffa. Dopo essersi chinata per annusare la carne, chiese: Dovevi mangiarlo tu, questo?

    È per mio padre, Jon.

    È qui? Si mise a sedere e mi guardò con occhi famelici.

    Non so dove si trovi adesso, ma potrebbe essere qui a breve. Credo che dovrai andare da qualche altra parte.

    Perché dovrei andare da qualche altra parte?

    Perché sei una donnina, avrei voluto dire, e probabilmente Jon sarà ubriaco. Mentre pensavo alle parole per dirglielo, la donna afferrò la forchetta.

    Devo mangiare qualcosa e andare a letto. Mangerò questa roba.

    Va bene, ma devi andartene quando avrai finito. Jon non sarà felice di vederti qui.

    Fece due bocconi. Con la bocca piena disse d’impulso: Non me ne frega di cosa lo renda o non lo renda felice. Sono troppo stanca per cercare un altro posto dove ci sia un letto. Mi guardò di nuovo. Qui c’è un letto per me, giusto?

    Sì. Non sapevo perché non riuscissi a mentirle. Forse erano quei cerchi neri che aveva sotto gli occhi.

    Mi sedetti dall’altra parte del tavolo, chino in avanti, sul bordo della sedia, pronto a balzare in piedi non appena avessi udito i passi di Jon.

    Cosa ci stanno facendo dei soldati a Lanhine? chiesi.

    Marciano in battaglia. Si mise un’altra forchettata in bocca. Stiamo proteggendo questa città.

    Da che cosa?

    Lei deglutì e mi guardò come se fossi uno stupido. Come ti chiami?

    Neeko.

    Dovresti sapere della guerra, Neeko. Lanhine è la città più meridionale di Re Quince, la più vicina al nemico. Non mi sembri poi così giovane. Quanti anni hai?

    Sedici.

    Callyn scosse la testa in segno di disapprovazione, poi scostò i capelli dal viso. Aveva probabilmente cinque anni più di me, ma la delusione nei suoi occhi la faceva sembrare molto più matura. O forse ero io che mi sentivo molto più piccolo.

    Sedici anni sono troppi per non sapere nulla della guerra. Si riempì di nuovo la bocca.

    Mi sforzai di contenere il mio fastidio. Siamo in guerra con il sud?

    Annuì. Le truppe nemiche sono state avvistate mentre si dirigevano verso nord. Stiamo attraversando Lanhine per incontrarli in battaglia prima che invadano il nostro territorio.

    Le domande mi riempivano la testa, ma non mi sentivo autorizzato a disturbare Callyn mentre mangiava.

    Alla fine si mise in bocca l’ultimo boccone e si appoggiò allo schienale della sedia. Facendo un respiro profondo masticò e chiuse gli occhi.

    Hai paura?

    No. Aprì gli occhi in una fessura. Tu sì?

    Perché avrei dovuto avere paura? Non ero io che dovevo combattere. No.

    Mi immaginavo che il giorno successivo sarebbe stato esattamente uguale a tutti gli altri.

    Mi sarei alzato presto per andare alla taverna della Vecchia Felce dove avrei continuato il mio lavoro: rimettere in sesto il vecchio tetto. Mi ci sarebbe voluta un’altra settimana per finire e dovevo accertarmi di trovare un altro lavoro prima di allora.

    C’era una piccola casa sulla strada che portava alla Vecchia Felce, e le mancava la porta d’ingresso. Ogni giorno ci passavo accanto, mi aspettavo sempre di trovare qualcuno che lavorasse per metterne una, ma ancora non era successo. Non era sicuro starsene senza porta d’ingresso. Pensavo di parlare con i proprietari il giorno successivo. Chiunque vivesse lì era probabilmente molto povero, ma se avessero pagato per il materiale, avrei potuto costruire loro una porta in... diciamo... una giornata per raccogliere l’occorrente, un altro giorno per...

    Faresti bene ad avere paura della guerra, trovandoti a Linhine. La voce di Callyn mi risvegliò dai miei pensieri.

    Non ne avevo, ma temevo ciò che sarebbe potuto accadere quando Jon fosse tornato a casa. Se fossi riuscito a farla entrare nella stanza sul retro prima che lui arrivasse, c’erano delle buone possibilità che non la vedesse.

    Avevo aggiunto la camera per gli ospiti a quella casa proprio l’anno prima. Nessuno l’aveva mai usata, ma non era quello lo scopo del progetto. Il nostro vicino Wylen era appena morto. Mi aveva insegnato tutto sulla carpenteria, trascorrendo con me ogni giorno molto più tempo di quanto effettivamente ne passasse Jon. Creare la camera per gli ospiti significava provare a me stesso che ero capace di cavarmela senza il mio mentore.

    Fino ad ora era il progetto che mi aveva dato maggiore soddisfazione. Lavorare nella mia stessa casa mi consentiva di utilizzare l’energia piforiale senza dovermi preoccupare che qualcuno mi vedesse. Era illegale farlo e poteva avere conseguenze catastrofiche. Essere arrestati per manipolazione dei poteri piforiali poteva significare la prigione a vita, una vita completamente solitaria. Mi sarei ritrovato solo in una cella, i pasti fatti scivolare sotto una solida porta di metallo. Non avrei visto neppure una guardia per tutto il resto della mia vita. Una legge ridicola, secondo me.

    Avendo finito di mangiare, Callyn si alzò in piedi. Quale stanza prendo?

    Solo in quel momento mi resi conto che doveva per forza essere una maga come me. Era troppo piccola per essere qualcos’altro, anche se doveva avere il controllo di una diversa forma di energia per poter camminare liberamente in giro. Cercai una bacchetta, e la vidi legata alla sua cintura per mezzo di una cinghia.

    Da questa parte, dissi incamminandomi verso la stanza sul retro. Bastiale? tirai a indovinare indicando la sua bacchetta. Era la forma di energia più facile da manipolare e la più pericolosa delle due, oltre alla piforiale.

    Sono una maga bastiale, sì.

    Bastiale... quindi, fuoco, pensai. Ora avevo veramente paura che mio padre tornasse a casa e la trovasse.

    Se senti qualsiasi rumore fuori dalla tua stanza, rimani all’interno con la porta chiusa a chiave, le dissi. È meglio che Jon non sappia che sei qui.

    E tua madre? mi chiese.

    Aprii la bocca, ma non ne uscì una sola parola. Quindi mi limitai a scuotere la testa.

    Capisco. Si guardò attorno nella stanza. Uscirò prima dell’alba. La sua mancanza di compassione fu una piacevole sorpresa. Di solito, quando saltava fuori l’argomento di mia madre, la gente si sentiva in dovere di fare domande. Alcuni addirittura continuavano ad insistere anche dopo che avevo detto loro con riluttanza che era morta quando ero piccolo. Non c’era cosa di cui mi fosse più difficile parlare, dato che ancora mi sentivo in colpa per ciò che era successo.

    Buona notte. Feci per chiudere la porta, ma poi mi ricordai le buone maniere. E grazie per combattere per noi.

    Lei annuì con il dovuto rispetto. Mi aspettavo che mi ringraziasse a sua volta per la mia ospitalità, invece mise giù la sua borsa, mi voltò le spalle e iniziò a sbottonarsi la divisa. Quando mi lanciò un’occhiata da dietro la spalla, chiusi la porta.

    Jon era stato una guardia di Lord Heon. Questo non lo rendeva esattamente un soldato del re come Callyn, anche se nella sua testa avevano tutti la stessa importanza. Non aveva mai avuto una grossa considerazione per alcun tipo di soldato, ma poteva cambiare idea ora che era iniziata la guerra.

    Mi uscì dalla bocca un risolino di scherno. Era un pensiero stupido. Neanche la guerra era abbastanza per cambiare le opinioni di Jon.

    Mi sbrigai a preparargli qualcosa da mangiare. Purtroppo era passato ben poco tempo che udii la ghiaia sbattere contro la nostra porta tra pesanti colpi di passi. Non era semplicemente ubriaco. Era furioso.

    Jon non sapeva che ero un mago piforiale. Sarebbe stata l’ultima cosa che mai gli avrei detto, oltre a dove tenevo i miei soldi.

    Non mi aveva mai picchiato, sebbene certe volte mi trovassi a lottare per togliergli di mano una scarpa che si era levato con l’intento di lanciarmela. Il più delle volte alla fine di queste scenate piangeva, gridando che era colpa sua se Faye se n’era andata. Cercavo sempre di alleviare la sua colpa. Poteva anche essere colpa sua che se ne fosse andata, ma era colpa mia se era morta.

    Jon era l’uomo più triste e infelice che conoscessi. Mi faceva pena quando non ero arrabbiato con lui.

    La porta si aprì di schianto. Maledetti soldati dappertutto!

    Parla piano, dissi. È tardi.

    Ruotò la testa e i sui occhi mi trovarono e si fissarono su di me.

    Hai fame? chiesi, indicando il cibo che stavo preparando.

    Contrasse le labbra e per un momento pensai che non fosse poi così arrabbiato come mi ero aspettato. Ma poi si slacciò la cintura e capii all’istante quanto mi fossi sbagliato.

    Dovrei insegnare loro il rispetto. Jon iniziò a dirigersi verso la porta con la cintura avvolta in mano.

    Soppesai rapidamente le mie possibilità. Se lo lasciavo andare, quante possibilità aveva di finire morto o arrestato? Ma se lo convincevo a restare, avrebbe magari trovato Callyn?

    Strinsi i denti e lo presi per una spalla. Hai superato il limite della ragionevolezza. Era una strategia che dovevo aver usato un migliaio di volte, un segnale che gli davo perché si fermasse e respirasse profondamente. Ma sembrò non sentirmi, né tantomeno notare la mia mano sulla spalla mentre usciva. Ripetei, questa volta con tono più alto: Hai superato il limite della ragionevolezza! Lo afferrai con entrambe le mani. Pensa a quello che stai facendo.

    Neeko, se non mi lasci andare...

    Era strano. Non era da lui usare il mio nome o avvisarmi prima di fare qualsiasi cosa quando era ubriaco. Lasciai andare la spalla.

    Paralizzato dalla paura, lo osservai avanzare a pesanti passi, gli stivali che calciavano ghiaia ovunque. Si fermò alla fine del nostro breve vialetto, ringhiò come un cane, quindi lanciò un urlo e gettò la cintura in terra.

    Imprecando contro i soldati, si girò e guardò di nuovo verso di me, tornando verso la cucina. Corsi a prendere la cintura. Cosa gli avevano detto i soldati? Probabilmente lo avevano semplicemente sbeffeggiato perché era ubriaco. Non contava: fui abbastanza stupido da raccoglierla.

    Chi sei? sentii Jon chiedere dalla cucina.

    Mi si rivoltò lo stomaco. Corsi dentro e trovai Callyn lì in piedi con indosso una sottoveste leggera e la bacchetta stretta in mano.

    Sono un soldato dell’esercito di Re Quince. Fai silenzio, così posso dormire.

    Il volto di Jon si infiammò di rabbia.

    CAPITOLO DUE

    Un soldato, dice lei! la canzonò Jon. Un soldato! Non sapevo con chi stesse parlando, ma non sembrava essere né Callyn né me.

    Siete ubriaco? chiese lei, anche se pareva più un’accusa che una domanda.

    Esci di casa mia prima che ti trascini fuori per i capelli. Jon indicò con forza e decisione la porta aperta. Balle che sei un soldato. Basterebbe un alito di vento per farti volare per aria, donna.

    Callyn sembrò sorpresa. Non si mosse né batté ciglio.

    Subito! gridò Jon. La sua testa si girava da tutte le parti. Lo avevo visto così tantissime volte: stava cercando qualcosa da lanciare. Feci per avvicinarmi a lui, ma era troppo tardi. Afferrò una patata che avevo tolto dal fuoco appena prima che lui entrasse.

    Nel momento in cui la mano la avvolse, Jon gridò. Seguì una sequela di imprecazioni prima che mi fissasse scuotendo la testa. Neeko, stupido ragazzino!

    Mi voltai verso Callyn, pronto a dirle che sarebbe stato meglio che se ne andasse. Ma mi immobilizzai vedendola puntare la bacchetta contro Jon.

    Ho bisogno di riposare, sussurrò furiosamente. Curati la mano in silenzio e non disturbarmi! Capisci o devo arrestarti per aver rifiutato l’ospitalità a un soldato in tempo di guerra?

    Esci! sbraitò Jon, apparentemente non più interessato alla mano bruciata, agitando il pugno contro di lei. Tutti voi soldati siete piscio di gatto!

    Lei restò perfettamente immobile, sempre con la bacchetta puntata.

    Jon strabuzzò gli occhi. Esci!

    Callyn non si mosse e io vidi la rabbia attraversarla. Decisi quindi che sarebbe stato meglio calmare mio padre che convincere lei ad andarsene. Mi portai davanti a lui.

    Lasciala solo dormire. Se ne sarà andata prima che tu...

    Ma Jon mi prese alla sprovvista sbattendo un pugno sul tavolo accanto a noi. Imprecò voltandosi e prendendo un coltello dal ceppo sul bancone. Balzai indietro di riflesso. Jon, non farlo! Hai superato il limite della ragionevolezza!

    Sembrò non udirmi. Non sembrò neppure vedermi, trascinandosi verso Callyn dopo aver spinto il tavolo da parte.

    Il tempo sembrò rallentare mentre il terribile evento si dispiegava. La punta della bacchetta nera di Callyn brillò di rosso.

    Basta! gridai ad entrambi. Non servì a nulla. Jon era a un passo di distanza, con il gomito piegato, pronto a sferrare il suo attacco. Callyn si morse il labbro e sgranò gli occhi. Aveva smesso di trattenersi, ora mise tutta la sua forza nel fargli del male. Lo capii dal modo in cui si chinò verso mio padre e agitò selvaggiamente il braccio.

    Scagliò una sferzata di energia bastiale che di certo aveva iniziato a raccogliere nel momento in cui lui aveva afferrato il coltello. La palla infuocata esplose contro il petto di mio padre illuminando tutta la cucina, mentre scintille di fuoco si sparpagliavano sul pavimento. Jon venne spinto attraverso la stanza. Andò a sbattere con la testa conto il bancone dalla parte opposta. Gli corsi accanto mentre rantolava e si aggrappava al nulla nel vano tentativo di tirarsi in piedi. Intanto il crepitio del fuoco si attenuava e la stanza tornava buia.

    Non avevo mai visto una palla di fuoco colpire qualcuno e non avevo idea che fosse una scena così tremenda. La camicia di mio padre si sbrindellò, ondeggiando come uno sciame di formiche rosso sangue. Sottili scie di fumo uscivano dalla ferita portando con loro l’odore di carne bruciata.

    I suoi rantoli continuarono mentre accorrevo da lui. Non sapevo cosa dire, quindi gridai a Callyn: Aiutalo!

    La rabbia era scomparsa all’istante dal suo volto, sostituita dal panico. Vado a cercare qualcuno. Corse fuori dalla casa.

    Se n’era andata da un attimo appena che Jon si afflosciò e le sue braccia scivolarono a terra. Il petto smise di bruciare e l’aspetto di formiche brulicanti svanì. La camicia era lacera e la carne nera sotto ad essa.

    Gli tastai il collo per sentire la pulsazione, ma non trovai nulla. Provai dall’altra parte. Ancora niente. Spinsi le dita con maggiore forza. Nulla.

    Dio, no. Provai più volte a chiamarlo. Jon. Jon? Jon!

    Mi spezzava il cuore gridare il nome di mio padre dritto in faccia a lui e non vedere alcuna risposta. Una parte di me ancora si aspettava che si alzasse. Perché non avevo lottato per togliergli il coltello di mano? Avrei potuto evitare tutto questo.

    Sentivo il mio respiro che tremava. Dove potevo andare? Cosa potevo fare? Non lo sapevo, quindi rimasi in ginocchio e piansi fino a che notai una donna in piedi accanto a noi. Si inginocchiò e gli mise due dita sul collo. Poi scosse la testa senza alcun rammarico.

    Per un po’ nessuno di noi parlò. Non riuscivo a distogliere lo sguardo.

    Chi sei? le chiesi alla fine. Non so perché la domanda venne fuori così all’improvviso e con tale rabbia. Non sentivo alcun controllo su me stesso.

    È un soldato, oltre che una mia amica. Mi voltai e vidi Callyn in piedi vicino al tavolo rovesciato dietro di me. Non so quando, ma si era rimessa la divisa. Aveva un aspetto triste, colpevole, stanco, e tanto altro. Ma la sua amica era l’opposto. Con indosso la stessa divisa nera, era posata e pronta a discutere, anche se non sapevo di cosa.

    Poi aprì la bocca e lo scoprii. Quest’uomo l’ha attaccata. Callyn aveva tutti i diritti di colpirlo.

    Anche se sapevo dentro di me che era vero, ero anche certo che quella era la cosa peggiore che potesse dire. Chi era per parlare a quel modo? Non mi interessava se era un soldato del re. Avevo appena perso mio padre!

    Infuriato, balzati in piedi. Mi preparai a gridare, pronto ad accettare qualsivoglia genere di ripercussione. Non avevo mai fatto del male a una donna, ma cavoli, quanto le avrei gridato addosso.

    Tu...!

    Ci fu uno schianto che fece tremare il suolo sotto i miei piedi. Le grida raggiunsero tempestose la cucina attraverso la porta aperta e quel tremendo rumore si mescolò al crepitio di fiamme in lontananza. Si udì un altro colpo, no, un’esplosione, il rumore di legno che si spezzava, una casa che collassava.

    Osservai i volti dei due soldati per avere degli indizi. Le donne si fissavano vicendevolmente con identica espressione di shock.

    È possibile che sia il sud? chiese Callyn.

    Non vedo come... a meno che non si stessero nascondendo nella foresta.

    Ma i nostri ricognitori avrebbero dovuto vederli.

    Le grida continuavano. Il fuoco ora infuriava in lontananza. Corsi alla porta per dare un’occhiata.

    Di solito dalla casa potevo vedere il limitare della città, ma ora, dove di solito c’era l’ultima fila di case, si vedeva solo un muro di fuoco.

    Spostati! L’amica di Callyn mi spinse da parte. Devono essere loro! Andiamo. Lei e Callyn corsero verso il fuoco.

    Qualcosa che volava colse la mia attenzione. Le donne si afferrarono a vicenda e si fermarono, insicure su dove sarebbe atterrato. Sembrava un masso di fuoco. Si faceva sempre più grande ed era diretto giusto verso di noi.

    Quando fu più vicino capii che sarebbe atterrato a breve, ma imprecai rendendomi conto che probabilmente avrebbe rotolato.

    Qualsiasi cosa fosse quella cosa infuocata, andò a sbattere contro il tetto della casa di fronte alla mia mandando in frantumi l’edificio e generando una nuvola di polvere che la nascose alla vista. Il terreno tremò mentre l’enorme palla di fuoco sfrecciava nella polvere un attimo dopo. Procedendo in maniera asimmetrica, fece uno strano rimbalzo, mancò di poco le due donne davanti a me, che si chinarono.

    Incapace di distogliere lo sguardo, arretrai nella cucina. I miei piedi inciamparono nelle gambe di mio padre. Caddi mentre un lato della mia casa veniva colpito. L’esplosione fu così forte che pensai di essere morto. Eppure ero ancora vivo, avvolto dall’oscurità, con il calore che mi colpiva il volto come se mi trovassi in un forno. Sentii la palla infuocata continuare la sua corsa, andando a sbattere contro un’altra casa. Le grida provenivano da ogni direzione. Un pezzo del mio tetto mi cadde accanto.

    Il fumo fu la prima cosa che vidi quando i miei occhi si adeguarono. Poi notai che il fuoco mi era troppo vicino. Balzai di lato. Cosa stava bruciando? Una parete? Parti di tetto caduto? Quella non aveva più l’aspetto della mia casa. Non sapevo dove fosse ogni cosa, ero troppo disorientato per trovare la mia stessa stanza.

    I miei soldi! Dovevo recuperarli e uscire da lì. Mio padre! Non potevo lasciare là dentro il suo corpo e permettere che venisse schiacciato e bruciato. Mormorai una scusa a Jon. Prima di tutto, i miei soldi.

    Sapevo dove doveva trovarsi la mia stanza... se stavo andando nella direzione che credevo. Iniziai a tossire, i polmoni bruciavano. Dovevo assolutamente uscire da lì.

    Mi tirai la camicia sulla bocca. Dio, vorrei avere qualche abilità con l’energia bastiale, pensai, così potrei fare luce.

    Brancolai nel buio davanti a me cercando qualcosa di familiare. Il crepitio del fuoco si stava facendo più forte e quasi copriva le grida. Inciampai su dei pezzi di legno e piantai le ginocchia su una cassettiera rovesciata. Finalmente le mie mani trovarono un letto. Per favore, fa che sia il mio. Quando sentii le lenzuola infilate sotto al materasso fui pervaso dal sollievo.

    Si udì un altro schianto nelle vicinanze. Mi aggrappai al letto per tenermi in equilibrio mentre cercavo di scoprire se il nuovo masso sarebbe rotolato in casa mia. Poi lo udii, no, lo percepii, rotolare oltre più veloce di quanto un uomo possa correre.

    Mi girava la testa. La tosse peggiorò. Le mani rovistarono sotto al letto.

    Dai! gridai al mio borsello dei soldi, sapendo che non me ne sarei andato fino a che non l’avessi trovato.

    Finalmente le mie dita toccarono il cuoio. Me lo ficcai in tasca e mi voltai verso la cucina. Potevo vedere il corpo di mio padre. Era quasi del tutto circondato dalle fiamme adesso. Dietro a me c’era la finestra della camera, forse l’unica parete della mia casa ancora non toccata dal fuoco. Potevo effettivamente vedere all’esterno, da quanto la città stava bruciando.

    Sfrecciai in cucina, gli occhi brucianti, i polmoni in fiamme. Non potevo raggiungere mio padre, ma avrei potuto sollevarlo con l’energia piforiale. Lottando contro il panico, mi concentrai. L’energia trasparente era facile da raccogliere, ma c’era bisogno di una tremenda dose di concentrazione per sollevare qualcosa di pesante quanto un uomo. Potevo usare la mia mente per sollevare in aria l’energia e dirigerla in una palla fluttuante davanti a me. Sebbene non potessi vedere l’energia, la sentivo allo stesso modo in cui percepivo le fonti di calore provenire da ogni parte.

    Quasi persi la concentrazione quando parte della casa mi cadde accanto. Sempre tossendo tirai altra energia piforiale attorno a me fino a che sentii che ce n’era a sufficienza per ciò che avevo pianificato.

    Non potevo portare l’energia sotto a mio padre per sollevarlo. Facevo fatica anche solo a vederlo attraverso le fiamme adesso, ma riuscii a scorgere i suoi polsi. Lanciai in avanti l’energia per avvolgerli. Al di sopra della luce delle fiamme, la pifo era visibile. Sembravano onde di calore, solo che in forma di palla, e respingevano il fumo invece di farlo passare. Vederla la rendeva più facile da controllare.

    Annaspando a ogni respiro, divisi un’estremità della fune piforiale in due in modo da poterla avvolgere attorno ai polsi di mio padre. Tirai l’energia con la mia mente per fare una prova. Le braccia si sollevarono. Era ben assicurata.

    Non ero abbastanza forte per sollevare tutto il suo corpo da quella distanza, ma immaginavo di poterlo trascinare fuori. Lottando contro il dolore lancinante, riuscii a malapena a concentrarmi per far distendere l’altra estremità della fune pifo attraverso il fuoco. Mi allungai e la afferrai, poi me la legai in vita. Sempre concentrandomi per tenere insieme l’energia, afferrai la fune piforiale che collegava mio padre a me. La potevo sentire nelle mani come una vera corda, solo non potevo vederla, eccetto dove le fiamme le danzavano attorno. Il suo corpo avrebbe dovuto attraversare il fuoco tra noi, ma ricordai a me stesso che tanto era già morto. Dovevo solo tirarlo fuori in modo da potergli dare degni funerali e sepoltura. Avevo già perso quelli di mia madre. Non avrei permesso che la stessa cosa accadesse a lui.

    Sbuffando e gridando, tirai con le mani, con le gambe e con la testa, afferrando mentalmente l’energia e tirandola per assistere il mio corpo nel processo. Riuscii a fare un passo, poi un altro. Potevo sentire il corpo di mio padre che scivolava. Apparve alla vista, ora nel mezzo di un muro di fuoco. La fune di energia pifo stava diventando rossa mentre le fiamme la lambivano. Non l’avevo mai vista di altri colori se non trasparente. Avrebbe retto al calore?

    Dopo un altro faticoso strattone, scoprii che la risposta era no. La fune si spezzò. Io caddi all’indietro andando a sbattere con la testa contro il legno. Avrebbe dovuto farmi male, ma sentii appena il dolore. Qualcos’altro mi cadde vicino alla gamba. Qualsiasi cosa fosse, era in fiamme. Quella la sentii! Saltai per il dolore.

    Poi crollò un enorme pezzo di soffitto, che quasi mi schiacciò.

    Mi spiace Jon! gridai e sfrecciai verso la finestra della mia stanza. La aprii di scatto e mi tuffai fuori.

    Guardai la mia casa in fiamme, la casa che mio padre aveva costruito. La stanza in più che avevo aggiunto l’anno prima era l’unica ancora non incendiata. Ma presto lo sarebbe stata anche lei. L’intera casa sarebbe diventata nient’altro che macerie, indistinguibili. Così come il corpo di mio padre.

    Sebbene l’odore di fumo fosse forte nell’aria, i miei polmoni godevano di ogni respiro. Avevo il corpo madido di sudore. Le grida acute mi riportarono all’erta.

    Corri, idiota! gridò qualcuno passandomi accanto di corsa. Mi guardai alle spalle e vidi migliaia di persone che combattevano. Circondanti dal fuoco, uomini armati di spada gridavano mentre si infilzavano a vicenda con le loro armi. Maghi bastiali scagliavano palle di fuoco. Tutti avevano una divisa, nera come quella di Callyn oppure rossa.

    Sembrava esserci molto più rosso che nero. Immaginai che fosse il colore del nostro nemico, anche se non avevo idea del perché stessimo combattendo. Le divise nere stavano cedendo e arretrando, venendo rapidamente verso di me.

    CAPITOLO TRE

    Mi ci volle un momento per rendermi conto che dovevo correre. Con una sorprendente mancanza di paura, scattai insieme ai miei compaesani allontanandomi dalla battaglia.

    Guardai indietro alla mia casa incendiata, a dove giaceva il corpo di mio padre. Il fuoco si era diffuso all’intero edificio, che non era l’unico avvolto dalle fiamme. Molti degli abitanti si sarebbero trovati senza una casa entro l’alba.

    Una folata di vento caldo mi soffiò contro il viso, facendomi trasalire e tossire mentre correvo vicino a quello che sembrava essere uno dei massi infuocati. Ora potei vedere che si trattava di un tronco d’albero, adesso deturpato. Sembrava tre volte più piccolo senza le fiamme, o forse buona parte di esso era stato consumato dal fuoco.

    Corsi insieme a tutti gli altri verso le colline orientali. Lungo il sentiero si trovavano molte case in fiamme. Mi fermai presso a una di queste e gridai: C’è nessuno all’interno? Non udendo nulla, mi sentii stupido per essere stato quello che aveva controllato, soprattutto quando un’occhiata alle mie spalle mi rivelò che gli eserciti in lotta stavano avanzando e si avvicinavano sempre più.

    Giunsi a una casa incendiata dove una giovane donna stava in piedi, all’esterno, guardando l’edificio che crollava, probabilmente sconvolta. La gente le corse accanto senza neanche guardare, ma io lanciai un’occhiata al suo volto mentre mi avvicinavano, e vidi i suoi occhi. Non potei andare oltre.

    Stava piangendo liberamente, senza il minimo sussulto, fissando le fiamme che avvampavano sul tetto della sua dimora. Non sembrò accorgersi di me.

    Era strano vederla sola, dato che non sembrava più grande di me. Molti ragazzi e ragazze stavano insieme alle loro famiglie fino ai vent’anni. Una donna nobile si sposava giovane, ma lei non era certo nobile: aveva un abito troppo semplice e una casa troppo piccola.

    Aveva infilato le dita nel colletto della camicia, allargandola sul collo come se la stesse soffocando. Pezzettini di fuliggine erano sparpagliati nei suoi capelli ora quasi totalmente del colore del carbone, e il fuoco donava ai suoi occhi scuri una tinta bronzea. Ma fu la delicatezza del suo volto ad attrarmi. Sembrava che in quel modo silenzioso stesse chiamando aiuto.

    Quando le misi una mano sulla spalla, mi resi conto di quanto mi sbagliavo.

    La delicatezza si sgretolò dal suo volto, rivelando un’espressione di assoluta aggressione. Fui stupito da quanto fosse cambiata repentinamente. Aprì la bocca, probabilmente per gridare, ma fui io a gridare rapidamente qualcosa prima che potesse farlo lei.

    "Dobbiamo andarcene.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1