Ingenuità dell'arte
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Anteprima del libro
Ingenuità dell'arte - Salvatore Fazia
(Terenzio)
Indice
INDICE
Prefazione
Introduzione
Prima Parte
Art-naïf
descrizione, definizione e istruzioni per l’uso
Questioni generali, letteratura critica e critica della letteratura
a) letteratura critica, Renzo Margonari - Oto Bihalji Merin
b) critica della letteratura, gli errori
problemi
soluzioni
Questioni particolari, teoria delle immagini e delle emozioni
a) teoria delle emozioni
b) teoria delle immagini e delle immaginazioni
Seconda Parte
Art-naïf e oltre (evolutività e non-evolutività)
Statuto della naïveté, critica
clinica
Possibilità evolutive
a) il caso Lorenzo Lovo
b) il caso Marisa Gramola
c) cronaca
Riepilogo, temi e tesi
Note
Prefazione
L’ingenuità dell’arte è l’ingenuità di chi ci crede. Ora chi ci crede è l’uomo comune, mai l’artista, che per presa di posizione fa il gioco delle tre carte e tiene il banco, ed è così che si determina chi vince e chi perde.
Non si dà mai la possibilità di indovinare all’interpretazione; perfino il critico, che, tra quelli che stanno a guardare, è quello che parla e alza la carta, perde, perché è vero che non c’è mai un artista che l’accetti e ne paghi la vincita. Succedesse, è l’arte che non funziona, Perché l’arte è l’arte di nasconder l’arte, come sapevano certi del Rinascimento, e se perfino Omero non ce l’ha fatta: voleva sapere di dov’erano i suoi, viene a saperlo, è l’isoletta di Io, ci va, sbarca, e incontra due giovani spidocchiatori, intenti al loro uso. Uno di loro gli fa: «quello che abbiamo preso abbiamo lasciato, e quello che non abbiamo preso portiamo». Omero non indovina e muore.
Un’arte scaccia l’altra, forse i due erano della banda di Orfeo, forse l’ermetismo del nuovo stile ha portato Omero al suo tramonto.
E’ sempre dell’ingenuità che si tratta, ma è possibile perdere quando sono addirittura gli artisti a essere ingenui, e fino a che punto è spinta l’ingenuità di credere all’arte che, anche quando l’arte è ingenua, la critica perde?
L’art naïf, a differenza dell’arte intellettuale, è ingenua, non ha secondi fini, non è tecnicamente truccata. E’ immediara, letteralmente senza mezzi.
La critica dovrebbe accorgersene e stabilire di che si tratta, possiede tutti i mezzi per farlo, e dovrebbe venire a sapere chi sono i naïfs, se sono artisti, come mai, quanto, perché?
Succede, invece, il contrario, e, per contiguità, per un’attrazione alla somiglianza, per il piacere stesso dell’ingenuità, il desiderio di sciogliervisi, ne contraggono la sindrome, e, più degli artisti, vi cadono dentro, nel deliquio di leggerezza e immediatezza, come la povera gente.
I critici, invece, dell’arte intellettuale, forse anche loro per contiguità, per attitudine a somigliare, a imitare, cadono nella stessa malattia degli artisti colti, e si danno tutte le opportunità del caso, aggiungendo al trucco dell’arte, l’estetica, l’arte del trucco della critica, che è una cosmetica dell’io, il dandysmo della posa e la faziosità dell’alter ego, il suo narcisismo strabico. Un occhio a se stessu, un occhio agli artisti.
L’ingenuità, anche in questo caso, colpisce la critica, che non fa il suo mestiere e non critica l’arte, non ne calcola l’economia: tanto di verità, tanto di illusione... eccetera. La critica ancora non entra nella fisica dell’arte e non ne critica l’azione, non ne rivela i segreti commerci con la metafisica, quella ‘cattiva’ che dice Hegel. Perché, l’arte, come altre pratiche del dominio, sposta il luogo degli uomini, cose e pose, e con l’idea di una terra promessa ipnotizza il senso comune nell’utopia, intanto che gli porta via la terra sotto i piedi.
Ma, che cos’è l’arte?
*
I capitoli che seguono, gli argomenti, i discorsi e le contabilità del caso, investono intanto sulla critica che, nel miraggio dell’ingenuità e della leggerezza delle’esser naïf, ne ripete il supposto edonismo.
La meccanica del libro, il suo svolgimento macchinico, involontariamente ha assunto un’aria un po’ tetra, un po’ tragica, come accade quando, al posto degli uomini si vedono macchine, e dappertutto non c’è altro.
La metafora guasta un po’ la lettura, ma la scena è giusta.
Introduzione
È dall’inizio che si lotta contro la pressione di qualcosa sul desiderio della leggerezza, in favore del desiderio di fare della propria vita un gioco.
La tecnica, tutta la tecnica, anche la tecnica dell’arte, è questo sforzo di dare superficie e leggerezza a questo desiderio, e di mettere le ali all’io.
Le condizioni sono tante, e sono tante anche le modalità dello sforzo. La lotta si svolge su due campi, la natura e l’umanità. Dobbiamo sempre vedercela col mondo così com’è, e con gli uomini che sono come noi, perché ognuno di noi non vuol cadere nel buco nero della propria sparizione.
Tecnica, dice Heidegger, deriva da ‘ticto’, la cui radice ‘tec’ indica venire in chiaro, apparire, emergere in superficie. Il mondo moderno è il mondo della tecnica, il mondo della società che viene in superficie appare ed è visibile; per questo in tanti appaiono, hanno la loro tecnica: anche la mediocrità, genio diffuco della qualità della superficie, appare, prende leggerezza e viene in superficie, è un’emergenza moderna, i mediocri sono sempre più visibili e vengono in chiaro, ognuno ha la sua tecnica.
Il naïf è, nella vita, tra tutti, il soggetto che si trova in uno stato di confusione esistenziale, di sparizione, ma questo è evitato. Trova anche lui la sua tecnica?
Se ne può parlare?
Art-naïf
(descrizione, definizione e istruzioni per l'uso)
Due aree teoriche di osservazione.
Teoria della Relatività Ristretta o area propria (criterio geografico)
Teoria della Relatività Generale o area comune (criterio storico)
Tre proposizioni pratiche di orientamento.
I - il naïfismo è un fenomeno moderno;
II - la modernizzazione produce differenziazioni anche di struttura soggettiva;
III - il naïf è un soggetto a parziale o a totale interruzione evolutiva.
Queste tre proposizioni contengono la descrizione e la definizione del fenomeno psicologico di cui l’art-naïf è l’espressione. Nel mondo antico e pre-moderno non si dava naïfismo perché la velocità evolutiva della società era talmente bassa (o non esisteva affatto) che non si producevano differenze di struttura psicologica. Il movimento della modernizzazione, la velocità del movimento impresso alla evoluzione sociale, la sua incisività psicologica anche individuale, producono da una parte spinte di intellettualizzazione diffusa, dall’altra veri e propri arresti dell’io.
Il fenomeno naïf, dal punto di vista artistico, è stato visto invece finora come un fatto naturale e privato, un esito di personalità particolari, visitate nell’emergenza estranea della loro stessa espressività, casi a sé: in questa gestione teorica e critica sono stati poi commessi parecchi errori, sono stati prodotti dei luoghi comuni che hanno impedito di capirne e farne capire l’economia simbolica, l’economia di valore rappresentativo, generale e generalizzabile, culturalmente agibile.
Gli errori sono questi:
a) l’interpretazione di infantilismo: la loro estetica sarebbe caratterizzata e caratterializzata da un codice infantile;
b) l’interpretazione di primitivismo: la loro estetica sarebbe caratterizzata e caratterializzata da un codice primitivo;
c) l’interpretazione di innatismo: la loro estetica sarebbe caratterizzata e caratterializzata da un codice innato.
Sono stati proprio questi errori che non hanno consentito di dare cittadinanza culturale a questi artisti, di trovarne le motivazioni di realtà per legittimarne e regolarizzarne la posizione nell’ambito dell’arte in genere: mentre si sa che artisti infantili, in realtà, o primitivi o innativi, non esistono, e se si fanno esistere diventano una istituzione a sé, a-referenziali e irrelati, incomunicabili, culturalmente inagibili, come difatti è avvenuto e avviene: fenomeni da circo o comunque, absit iniuria verbis, animali curiosi e a un passo dalla scimmia che dipinge.
Questi errori, fossero stati veritativi, avrebbero dovuto aprire prospettive di sperimentazione cognitiva, sia di simbolo che di codice, nell’ambito dell’infanzia e della vita infantile, nell’ambito delle comunità primitive e della loro vita, nell’ambito di una presunzione innativa e di una sua capacità d’impronta.
Non è successo nulla del genere, i bambini e i primitivi sono rimasti quello che sono e cioè degli esseri evolutivi, i primi per età, i secondi per epoca, e per quanto riguarda la ipotesi di un’arte insita la psicologia porta a conclusioni opposte alle ipotesi di innatismo magico.
Gli artisti naïfs non sono né infantili, né primitivi, né innativi.
Sono un’altra cosa.
Il problema si risolve solo se si cerca:
a) quando, perché e come sono nati, come si è prodotto il fenomeno;
b) qual è il fenomeno e in che cosa è realmente distinto e significativo;
c) qual è la differenza con l’arte intellettuale.
Per produrre la nostra spiegazione, noi partiamo da due campi di osservazione, dei quali, l’uno:
- il primo, è quello che chiamiamo della relatività ristretta, ed è il campo dove troviamo i naïfs, il loro piano di immanenza, il loro luogo di nascita e di vita, perché, come dice la parola ‘naïf’ ( ‘nativo’, i naïfs sono artisti del posto;
- l’altro, il secondo, è quello che chiamiamo della relatività generale ed è il piano della trascendenza simbolica o della trasfigurazione dove vediamo che pure i naïfs, come gli altri, artisticamente, scambiano realtà con estetica.
Ci sarebbero due psicologie artistiche, una che partecipa ad alto livello nella stessa evoluzione storica della società, nella sua stessa direzione; l’altra che esce dalla società per insufficienza psicologica e culturale, si isola e vive il suo caso di vita. Si darebbero così due tipologie artistiche:
- un’arte intellettuale, che partecipa al processo di trasformazione della forma della vita, ne riconosce il rischio, ne patisce e individua il negativo, se ne fa parte lesa, e reagisce: così, per iniziativa di cambiamento, prende qualche nodo ostile e lo trascende, producendone prima il restauro o la riparazione stilistica, secondo desiderio o protesta, e poi la trasvalutazione del senso in un effetto di oltranza generale, e di sublimazione;
- e ci sarebbe invece un’arte psicologica di chi soffre la trasformazione moderna della vita fino a subirne la crisi dell’emarginazione civile e dell’interruzione dell’io, che reagisce isolandosi e votandosi all’arte come attività di recupero narcisistico, che, dell’oggetto ostile e del suo nodo, non solo non produce evoluzione, ma, al contrario, riproduce l’effetto di involuzione, di volta in volta segnalato o nelle forme della rêverie o nelle forme del delirio, e dove casomai la trasfigurazione avviene nella direzione contraria a quella della sublimazione operata per via intellettuale.
Realismo. Mantenendo allora la metafora chimica, potremmo dire che i naïfs, diversamente dagli artisti colti e contrariamente agli effetti simbolici di sublimazione, producono effetti simbolici di precipitazione, di doppia precipitazione: quella esistenziale di ricaduta allo stato più elementare della propria soggettività, e quella biografica il cui precipitato simbolico ne è (bene o male) lo stato di sola densità patetica, come pathos occulto e irrisolto. Qualcosa che intanto viene