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Radioactive 2 - I dimenticati
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E-book299 pagine4 ore

Radioactive 2 - I dimenticati

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Info su questo ebook

Dopo essere stata costretta a lasciare Finn, il suo primo amore, Cleo si sveglia nell’infermeria della legione. Anche se non ha perso la memoria, nulla sembra andare secondo i piani dei ribelli. I capi della legione non la considerano una minaccia e la fanno tornare a una quotidianità che a Cleo ormai sta stretta. Solo il capo della legione A350 sembra interessarsi di lei e assecondarla, ma quando Finn viene improvvisamente fatto prigioniero dalla legione tutti i piani sembrano vanificarsi. Cleo sarà costretta a decidere il destino di Finn: consentire alla legione di cancellare i suoi ricordi o condannarlo a morte...

LinguaItaliano
Data di uscita11 ago 2016
ISBN9781507134863
Radioactive 2 - I dimenticati

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    Anteprima del libro

    Radioactive 2 - I dimenticati - Maya Shepherd

    Romanzo

    E-book

    1ª edizione

    - -

    Per Henny,

    sempre vicina

    - -

    01. Di ritorno alla normalità

    La luce è così intensa che mi bruciano gli occhi. Non vedo nulla e stringo le palpebre. Vorrei proteggermi gli occhi con la mano, ma non riesco a muovere le braccia, né il resto del corpo. Mi sento tutta indolenzita e intorpidita. Ho la sensazione di essere intrappolata nel mio stesso corpo. Anche se non riesco a muovermi, so di essere nuda. Fa freddo.

    Davanti a me appare ora un viso che mi fa ombra dalla luce abbagliante. È una donna. I suoi occhi brillano del colore RAL 5012, blu luce. Ha la testa calva e il suo vestito bianco riflette la luce delle lampade. Sono tornata nella legione.

    Prima che io possa reagire in qualche modo, mi mette una specie di imbuto di gomma nera sulla bocca e il naso. Cerco di ribellarmi. Voglio gridare, non voglio dimenticare.

    Anche se in questo momento Finn e i ribelli dovrebbero essere l’ultimo dei miei problemi, non riesco a non pensare a loro. Credere fermamente di poter un giorno rivedere Finn è l’unica cosa che mi dà speranza, mentre scivolo indietro nel vuoto senza fondo da cui mi sono appena svegliata.

    C’è silenzio. Nessuna voce, niente cinguettio degli uccelli, nessun vento che soffia tra le foglie degli alberi. Niente.

    Apro gli occhi e guardo il soffitto bianco. Sarebbe stato confortante vedere invece l’irregolare arenaria rossa delle grotte dove ho vissuto con i ribelli, ma mi renderei conto di essere tornata nella zona di sicurezza anche senza aprire gli occhi. La riconosco dall’odore. Le grotte odorano di terra, aghi di pino, muschio, sabbia e spesso anche del profumo del pane appena sfornato di Marie. Odorano di vita e libertà. La zona di sicurezza invece sa solo di sterile. Nell’aria aleggia sempre un forte odore di detergente. Prima non me ne ero mai accorta, ma ora è così forte che mi toglie il respiro.

    Lascio correre lo sguardo in tutta la cella. Non ci sono né tavoli né sedie, non c’è la doccia di vapore o la cassetta di prelievo del cibo. Non ci sono finestre, ma nemmeno mi aspettavo che ce ne fossero. La zona di sicurezza si trova nelle profondità sotterranee, dove la luce non penetra mai e non si sa se sia notte o giorno. Non sono infatti il sole e la luna a deciderlo, ma i capi della legione.

    Il letto su cui sono sdraiata è l’unico mobile del piccolo locale, ma è diverso dai letti a cui ero abituata nel passato. All’altezza di mani e piedi sono presenti chiusure a scatto. Forse dovrei essere grata del fatto che non mi abbiano legata, eppure mi sento vuota dentro, non sento nessuna emozione. Mi riesce difficile pensare con chiarezza.

    Le pareti sono di freddo acciaio dalla superficie opaca, cosicché non riesco a vedere più di una piccola macchia rosa al posto del mio riflesso. Passo delicatamente le mani sul tessuto grezzo della camicia da notte marrone. Lentamente salgo con le dita e mi tocco la testa. È nuda e fredda come il soffitto e le pareti della cella. Mi hanno rasato i corti capelli castani che mi erano cresciuti mentre ero tra i ribelli. Ora sono di nuovo una di loro, un individuo senza opinioni, sogni o sentimenti. Più un robot che un essere umano.

    Vedo il mio corpo rabbrividire prima ancora di percepirlo. Le mani tremano e le labbra sono così strette che la pelle si spacca e sento il sapore metallico del sangue. Una goccia bagnata mi scorre sulla pelle fredda. Mi tocco incredula la guancia, è una lacrima. Mentre guardo la goccia luccicante sulla punta del dito scopro qualcos’altro. Nel palmo della mano c’è la stretta linea bianca di una cicatrice. Ricordo distintamente il giorno in cui è successo. Era uno dei miei primi giorni con i ribelli, dopo che mi avevano liberato dalla prigionia. Dovevo aiutarli nel lavoro nei campi. Ero stata così stupida e goffa da tagliarmi con un coltello. Finn era fuori di sé dalla rabbia, mi aveva insultata e schernita e il calore del sole mi aveva fatto svenire. In realtà non è uno dei più bei ricordi del tempo passato con i ribelli, eppure ora mi premo la mano sul cuore come fosse un tesoro. La legione non mi ha portato via né le mie cicatrici, né i miei ricordi. Sono parte di me. Anche se agli occhi della legione sono nuovamente D518, nel mio cuore conserverò Cleo fino al giorno in cui potrà tornare alla luce del sole, il giorno in cui ritroverà Finn.

    Mi lascio scivolare indietro sul cuscino e chiudo gli occhi.

    Mi riesce già difficile ricordare l’aspetto che avevo durante l’ultima sera passata con i ribelli, tuttavia mi ricordo molto bene di Finn. Il suo volto è come impresso nella mia retina. Vedo le fossette delle sue guance quando penso a quel suo sorriso, che usava sempre con parsimonia, e la luce sbarazzina nei suoi occhi, azzurri come il cielo di un giorno di sole. Le onde dei suoi capelli biondi mi sembrano così vicine che mi basterebbe allungare la mano per toccarle.

    Mi ricordo il nostro ultimo momento insieme. È stato un addio per un tempo indeterminato, forse per sempre, ma ha cambiato la mia vita, perché è stato il momento in cui ho amato. Mi passo le dita sulle labbra screpolate e sento le labbra di Finn sulle mie. Il nostro bacio è stato pieno di disperazione e paura, ma c’era anche molto di più. Era una promessa inespressa. Ci rivedremo. Un giorno.

    È difficile avere un’idea del tempo che passa se non c’è il sole con cui orientarsi. Una volta, nella zona di sicurezza, avevo un programma giornaliero ben definito. Mi alzavo quando la legione mi svegliava, lavoravo e andavo a letto quando la legione mi diceva che era il momento giusto per farlo. Ero in grado di contare i minuti e i secondi nella mente. Stando con i ribelli ho dimenticato tutto. Lì mi alzavo quando mi svegliava il sole che penetrava dalla piccola finestra della stanza mia e di Iris. Nessun giorno era uguale agli altri. Tutto era nuovo e bello allo stesso tempo.

    La cosa peggiore è però l’incertezza. Non so cosa vogliano da me i capi della legione. Mi considerano un nemico? Oppure si aspettano che li aiuti a distruggere i ribelli?

    Suppongo di trovarmi ora in infermeria, ma cosa succederà dopo? O forse non succederà niente? Mi tratterranno qui per il resto della mia vita? In una cella vuota, intrappolata nei miei sentimenti e ricordi?

    Mi fermo e ascolto. Sento un debole tintinnio, poi risuona un ronzio meccanico e la porta in acciaio si apre scorrendo di lato. Entra un capo della legione, è una donna. In mano ha uno stretto vassoio. Dietro di lei vedo lo sterile corridoio dell’ala dell’infermeria contrassegnato da strisce verdi, abbinate alle tute verdi dei medici e del personale del laboratorio. Quando ero piccola e frequentavo ancora le lezioni, sognavo di indossarle anch’io un giorno. Volevo diventare qualcuno nella zona di sicurezza. Volevo essere qualcosa di speciale, ma è andato tutto diversamente. Invece di B518 sono diventata D518, un’addetta al servizio di distribuzione alimentare.

    La porta si chiude dietro il capo della legione e lei entra con passo lento. Questo mi insospettisce subito. Normalmente nella legione nessuno cammina piano, poiché tutti hanno attività da svolgere e devono farlo nel tempo specificato. Non c’è motivo di perdere tempo.

    Questa donna, però, fa qualcosa di ancora più strano: si siede sul letto accanto a me. Il suo atteggiamento esprime qualcosa di simile alla compassione. Forse me la sto solo immaginando, nella zona di sicurezza non c’è spazio per i sentimenti. Certo, non sono del tutto proibiti, ma è perché semplicemente non esistono, non fanno parte della nostra vita, proprio come il sole.

    Osservo curiosamente la donna negli occhi e per un attimo mi immobilizzo. La conosco. Anche se i suoi occhi sono color blu luce come tutti gli altri, riconosco in loro una scintilla di sentimento. È il capo della legione che incontrai da bambina. Avevo distrutto la mia camicia da notte, ma anziché punirmi lei mi predisse un grande futuro. Disse che dovevo essere molto intelligente. Evidentemente si era sbagliata, ma probabilmente non si ricorda nemmeno di me. Per lei io sono solo una dei tanti.

    Il mio codice è A350. Ti porto la tua razione di cibo.

    Mi porge il vassoio su cui vi è un bicchiere di acqua e alcune pillole colorate, compresse e capsule. Cosa darei in questo momento per un pezzo di pane.

    Per prima cosa prendo i cubetti di cereali. Sono quattro, uno in meno della razione per una donna adulta. Lo so bene, dopotutto ho lavorato nella distribuzione alimentare.

    Sei ingrassata dice A350 rispondendo alla mia esitazione. Quindi ora sarei troppo grassa per loro, eppure avevo appena iniziato ad avere una corporatura normale. Mi ero vista allo specchio, avevo visto le costole che sporgevano dal vestito sottile, gli zigomi che spiccavano dal viso. Ero rimasta così atterrita dalla mia vista che avevo osato guardarmi di nuovo allo specchio solo alcuni mesi dopo. Capisco però di non essere adatta alla vita nella legione finché non corrispondo alle loro misure ideali. Senza dire nulla ingoio i cubetti in una volta sola.

    Poi è il turno della capsula di proteine. Ovviamente hanno notato il duro lavoro svolto dal mio corpo. Sono sicura di aver sviluppato più muscoli in questi pochi mesi che in tutta la vita trascorsa nella zona di sicurezza.

    Per il finale ho lasciato le pillole di vitamine rosa. Sono più del normale. I capi della legione mi avranno analizzata accuratamente per escludere la presenza di malattie, tuttavia le vitamine servono a rafforzare il mio sistema immunitario.

    Quando Iris era ancora F701, era felice ogni volta che riceveva le pillole rosa. Per questo, poco prima del mio rapimento, le avevo assegnato più di una pillola. A quel tempo era il mio modo di ribellarmi. Se ci penso oggi, mi sembra ridicolo. Assegnare a qualcuno troppe compresse di vitamine non è una ribellione, nemmeno una piccola sommossa. Non è nulla, completamente insignificante. È semplicemente un tentativo di convincersi di essere in grado di controllare almeno una parte della propria vita.

    Invece di ingerire le quattro compresse di vitamine in una volta sola, come ho fatto con la capsula di proteine e i cubetti di cereali, me le metto sulla lingua una alla volta.

    Una per Iris.

    Una per Finn.

    Una per i ribelli.

    Una per Cleo.

    Il capo della legione mi guarda senza dire niente. Sta solo seduta lì tutta rigida e mi osserva con le labbra strette. Forse ho solo immaginato di vedere un’emozione nei suoi occhi.

    Come stai?

    Ecco di nuovo quello strano luccichio negli occhi e il suono delicato nella sua voce normalmente così meccanica. Nessuno mi ha mai chiesto prima come mi sentissi, nella zona di sicurezza.

    Ti fa male qualcosa? Il tuo corpo è pienamente funzionale? O percepisci qualche disturbo?

    Ecco dunque cosa vuole sapere. Non le interessano i miei sentimenti, bensì solo la mia condizione fisica.

    Il mio corpo è funzionale.

    A350 esita un attimo, ma poi si alza e si dirige verso la porta. Tutto qui? Non mi dice nemmeno cosa ne sarà ora di me?

    Che cosa mi accadrà ora?

    Il capo della legione si gira verso di me. Rimarrai qualche giorno in infermeria, poi potrai tornare alla tua unità operativa.

    Torno al centro di distribuzione del cibo? E basta? Nonostante il tempo passato con i ribelli? Non ha significato nulla?

    Al centro di distribuzione alimentare? chiedo come una sciocca.

    Certo! Sei D518. Questa è la tua vita.

    La porta si apre e A350 esce. Mi lascia qui con tutte le mie domande in sospeso. Mi aspettavo molte cose, ma certo non questa. Avevo paura che mi uccidessero o torturassero. Ho pensato che mi rubassero i ricordi, avevo paura che mi usassero contro i ribelli, ma certo non avrei mai immaginato che facessero come se non fosse mai successo nulla. Tornano tutti alla normalità, come se non fossi mai stata con i ribelli. Nessuno me ne parla, nessuno fa domande, nessuno se ne interessa.

    Come è possibile che i ribelli abbiano creduto che mi nominassero capo della legione? Hanno riposto ogni speranza in me, ma io sono completamente inutile. Come piccola addetta al centro di distribuzione alimentare non posso aiutare nessuno. Non posso né cambiare le vite dei ribelli, né quella delle persone che vivono nella zona di sicurezza. Non riesco nemmeno a cambiare la mia vita. Ho avuto l’opportunità di ricominciare, avevo una vita con i ribelli, avevo una vita con Finn, ma vi ho rinunciato per uno stupido sogno. Per niente.

    - -

    02. Un aiuto inaspettato

    Indosso il vestito marrone, che mi contraddistingue come membro del gruppo D. Il tessuto aderisce al mio corpo quasi come una seconda pelle, eppure per la prima volta nella vita mi sento nuda nonostante indossi un vestito. Mi mancano gli indumenti larghi dei ribelli. Erano diversi, un’immagine del carattere delle persone che li indossavano. Qui sono tutti uguali, anche se solo esteriormente. In me infuria una tempesta che dall’esterno non si può vedere. Anche se la mia situazione sembra senza speranza, non mi arrendo. Lotterò. Per i ribelli e per me.

    La porta della cella scorre di lato e si presenta un giovane uomo vestito di blu. Devo osservarlo con attenzione per capire che non è C515. Sarebbe stato bello rivedere un volto familiare. Anche se non siamo mai stati amici come fanno i ribelli, tra noi c’è sempre stato un legame, forse è solo perché sapevo distinguerlo da tutti gli altri ed evidentemente anche lui distingueva me. Ci siamo sempre riconosciuti e compresi anche senza parole. C’erano gli sguardi, che spesso dicono più delle parole.

    Seguimi, ti scorterò alla tua unità.

    Quando parla i suoi occhi sono completamente immobili, come paralizzati. Il suo volto non tradisce alcuna emozione e anche i suoi movimenti sono meccanici. Lo seguo fuori dall’infermeria, che non è diversa, a parte la striscia verde sulla parete, da qualsiasi altro corridoio della zona di sicurezza. È vuoto e freddo. È scandito da una sequenza di porte d’acciaio tutte identiche. La luce che si diffonde dal soffitto è così innaturale che mi fa quasi male agli occhi. L’unica ragione per cui non vedo l’ora di rimettermi al lavoro nel centro di distribuzione è Zoe. Sarà felice di sentirmi parlare di Finn e gli altri e io sono contenta di poter parlare con un’altra persona. Saremo alleate, non dovremo più tenere il segreto da sole, potremo condividere questo peso e fare progetti insieme. Io sono pronta.

    Quando però entriamo nella sala di controllo, mi blocco. Ci sono oltre venti scrivanie con computer e operatori, ma due sedie sono vuote, la mia e quella di Zoe. Lei non c’è più.

    C590 mi punta il dito nella schiena. Presentati a servizio. Sembra infastidito di dovermelo intimare. Sente che io non funziono come dovrei e non capisce perché. Sa cosa mi è successo o mi considera semplicemente pazza?

    D518 a servizio.

    Il caporeparto mi riceve freddamente. D375 accoglie D518.

    Questo è il segnale che C590 può andarsene. Mi ha consegnato alla mia unità e il suo compito è terminato. Anche il caporeparto non si interessa più di me. Il primo giorno avevo ricevuto le mie istruzioni, ora tutti si aspettano che conosca i miei compiti. Confusamente brancolo fino al mio posto e mi lascio cadere sulla sedia. Davanti a me sfarfalla lo schermo con le finestre delle persone di cui mi devo occupare oggi, eppure non riesco a distogliere lo sguardo dalla sedia vuota accanto a me. Persa nei miei pensieri, passo la mano sul sedile. Che cosa le è successo? Ha perso la testa dopo il salvataggio non riuscito? È ancora viva?

    Mi guardo attorno. Tutti sembrano incatenati alla sedia e fissano lo schermo con sguardo apatico. Si saranno accorti che ero scomparsa? Nessuno si preoccupa di dove sia stata, non vedo nemmeno uno sguardo curioso. Come fanno a essere tutti così indifferenti? Non è possibile che per loro tutto sia completamente irrilevante. Sono esseri umani proprio come me e gli esseri umani hanno sentimenti. Qui non può essere diverso. Avrei tanta voglia di gridare e scuoterli dal loro torpore, ma riesco a dominarmi. Mi alzo con i pugni serrati. Ho una domanda.

    D375 alza lo sguardo irritato. Non è abituato che qualcuno faccia domande. Una domanda? Sembra che non sappia nemmeno cosa sia.

    Dov’è D523?

    Lui aggrotta la fronte confuso. È come se vedessi il suo cervello che cerca di analizzare la mia domanda. Sembra completamente sconcertato. Perché ti interessa?

    Noto altre teste staccarsi dagli schermi e guardarmi timidamente. Mi hanno rivolto la loro attenzione. Forse pensano tutti che sia pazza, ma non avrò tanto presto una possibilità migliore di questa. È forse la mia unica chance di entrare in contatto con loro.

    D523 è un membro della nostra unità, appartiene a noi. Mi preoccupo per lei se non la vedo.

    Il caporeparto scuote la testa senza capire. Siamo tutti uguali. Tutti sono sostituibili. D523 non è diversa.

    Essere tutti uguali non è automaticamente sinonimo di sostituibile. Mi riesce difficile tenermi sotto controllo.

    Nessuno di voi si è chiesto che cosa le sia successo? esclamo ad alta voce, raccogliendo tuttavia solo sguardi perplessi. Forse non mi vogliono capire?

    Qualcuno di voi ha notato che non c’è più?

    Nella mia voce si insinua ora la disperazione e mi sento vicina alle lacrime. Le mani mi tremano nel disperato tentativo di respingerle.

    D518, non è compito tuo criticare le decisioni dei capi della legione. Siediti al tuo posto e riprendi il lavoro o chiamerò le guardie.

    La minaccia ha effetto. Mi lascio cadere frustrata sulla sedia. Cosa farò adesso senza Zoe? Come farò a sopravvivere nella zona di sicurezza se non c’è nemmeno una persona con cui parlare normalmente?

    Lo schermo davanti a me inizia a lampeggiare. In otto piccole finestre vedo persone che aspettano la loro razione di cibo. Il computer richiede una conferma della quantità di capsule, ma ora li guardo più da vicino. Uno di loro è della seconda generazione ed è quindi uno dei più vecchi abitanti della zona di sicurezza. Fra tre anni, all’età di sessant’anni, la sua vita finirà. È un metodo utilizzato per controllare la densità della popolazione della zona di sicurezza. In precedenza la consideravo una cosa normale, ma ora so che le persone possono raggiungere un’età ancora più avanzata. Gustav e Marie hanno entrambi più di sessant’anni e sono molto felici. Non c’è ragione perché debbano morire prima.

    L’uomo sta lì come pietrificato in attesa del cibo. Non è nemmeno stupito che l’assegnazione del cibo tardi tanto, proprio come gli altri sette. Nessuno di loro sembra avere intenzione di premere nuovamente il sensore per la richiesta di cibo, né osserva l’apertura con impazienza. Nessuno di loro picchietta con il piede o tamburella con le dita. Sembrano tutti senza vita. I loro sguardi sono rigidi e i corpi immobili. Nessuno di loro è come Iris, che era sempre tanto felice di ricevere le compresse di vitamine rosa. Nessuno di loro è in grado di provare gioia o dolore. Anche se il loro corpo funziona, la loro umanità deve essere morta tanto tempo fa. Sono solo involucri privi di vita e di anima. Sono sempre stati così? Una volta non li vedevo così, vedevo qualcosa di speciale in ognuno di loro. Prestavo attenzione ai dettagli che nessuno notava. Cercavo forse di trovare in loro qualcosa che non c’è? Oppure con i ribelli ho disimparato a guardare dietro la facciata delle persone? Sono diventata cieca per i dettagli?

    Confermo tutto ciò che il computer mi propone senza nemmeno controllare. Il sistema non commette errori ed è inutile ribellarsi.

    Dopo il turno nel centro di distribuzione del cibo attraverso l’atrio con le sue immagini colorate. Oggi si vede una foresta con uccelli sui rami e cerbiatti che si affacciano da dietro un albero. Una volta queste immagini mi colpivano e mi fermavo a guardarle, ma chi ha visto una vera foresta anche una sola volta nella vita, vedrà nelle immagini dell’atrio solo ciò che sono: immagini. Nessuna raffigurazione può suscitare le emozioni che nella realtà ci sommergono in ogni momento. Non si sente né l’odore di terra coperta di muschio, né il vento che soffia attraverso le foglie. Mi manca lo scricchiolio del terreno sotto le scarpe ad ogni passo, quindi oggi mi fermo non perché sono meravigliata, ma perché ho il terrore di rimanere da sola nella mia cella. Tutta la zona di sicurezza non è altro che una prigione. Non esistono finestre o porte che si possano aprire senza il permesso dei capi della legione.

    Mentre gli altri mi oltrepassano in fretta, io cerco un volto familiare. Se non riesco a trovare Zoe, forse almeno C515. Sarebbe confortante provare la sensazione di essere riconosciuta. Purtroppo non è tra i pochi guerrieri presenti. Quando si manifesterà il contatto dei ribelli? Ho sempre pensato che facesse parte del gruppo C, ma anche se si presentasse, cosa dovrei dirgli? Come reagiranno i ribelli quando sentiranno che non sono riuscita a infiltrarmi tra i capi della legione e addirittura che Zoe è sparita? Come reagirà Finn? Farà qualcosa di stupido e cercherà di assaltare la zona di sicurezza da solo?

    O forse è questa la ragione per cui finora nessuno mi si è rivelato? Forse il contatto sa già che la mia missione è stata infruttuosa e quindi non si presenterà affatto? Sono forse completamente insignificante per i ribelli, ora che sono diventata inutile per i loro scopi?

    Tornata nella mia stanza mi stendo sul letto con la tuta ancora addosso. So che in realtà avrei dovuto inviarla alla lavanderia e mettermi la camicia da notte, ma mi mancano le forze. Non ho lavorato sodo come facevo tutti i giorni dai ribelli, in fondo ho la sensazione di non aver fatto niente, eppure mi sento lo stesso sfinita. Semplicemente non so più cosa fare. Ero seriamente intenzionata ad adattarmi, perché c’era uno scopo per cui combattere. I capi della legione dovevano credere che i ribelli non significassero nulla per me, dovevano credere che fossi una di loro, invece sono inutile per loro tanto quanto per i ribelli. Non servo a nessuno, perché dovrei essere forte? Che senso ha mantenere questa facciata?

    Sento le lacrime calde scendermi sulle guance. Il mio sguardo si posa sulla telecamera nell’angolo destro della cella. Le lacrime

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