Sofocle Antigone
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seconda parte della tragedia, diventa l’elemento scatenante dell’azione scenica
dell’”Antigone”. La protagonista ha visto i fratelli uccidersi reciprocamente, il
primo all’assalto di Tebe, il secondo a difesa della città, su cui regnava. Ora il
sovrano della città è diventato Creonte, che ha ordinato che il corpo del
traditore rimanga insepolto, ma Antigone non accetta il bando: se Creonte
agisce così in nome delle leggi scritte, per impedire che la città cada in preda
all’anarchia, Antigone ritiene che le leggi degli dèi e i vincoli del sangue debbano
essere salvaguardati ad ogni costo. Tuttavia sarebbe fortemente limitativo
interpretare “Antigone”, sulla scia dell’intuizione hegeliana, come un conflitto
fra le due forze più profonde operanti nella storia: la famiglia e lo stato,
entrambe legittimate a imporre le proprie leggi. Nell’insanabile dualismo fra
Antigone e Creonte, la tragedia chiama in causa le alternative intrinseche
all’esistenza umana, opposizioni irriducibili che si manifestano in cinque coppie
polari: uomo-donna; vecchiaia-giovinezza; società-individuo; vivi-morti;
uomini-divinità. Antigone è donna, giovane, si ribella contro una società
patriarcale a cui una donna doveva sottostare; ogni sua cura è rivolta al mondo
dei morti e alle leggi non scritte che lo governano: la sua norma sono gli dèi.
Creonte è maschio, anziano, ritiene che la dimensione dell’uomo sia lo stato:
ogni sua decisione è presa in funzione di chi è vivo. Queste strutture
fondamentali della vita, ieri come oggi, costituiscono un’esperienza umana che
tiene i due protagonisti lontani da un semplice e sterile dibattito ideologico,
riversando nel loro antagonismo insanabile la passione e anche la violenza con
cui i mortali vivono le inevitabili fratture della loro limitatezza.
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Anteprima del libro
Sofocle Antigone - Pio Mario Fumagalli
Pio Mario Fumagalli
Sofocle Antigone
ISBN: 9788190983624
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SOFOCLE ANTIGONE
a cura di Pio Mario Fumagalli
EDIZIONI ALEF
2
INTRODUZIONE
Informazioni preliminari
Il tema di una sepoltura contestata, che nell’Aiace trovava spazio solo nella seconda parte della tragedia, diventa elemento scatenante dell’azione scenica dell’Antigone. Anche in questo caso ci troviamo davanti a una tragedia con struttura a dittico, tipica delle prime opere sofoclee, resa evidente dalla bipartizione delle vicende che riguardano i due protagonisti: quando Antigone esce definitivamente di scena (v. 943), la narrazione prosegue spostandosi sul dramma personale di Creonte, le cui sventure rimangono al centro dello sviluppo drammatico fino alla conclusione dell’opera.
Antigone fu messa in scena nel 442, e già anticamente si mise in relazione la vittoria del poeta nell’agone tragico con la sua elezione a stratego nel 440: anche se non sostenuta da prove certe, questa connessione è una prova del grande impatto sul pubblico che dovette avere questo straordinario capolavoro, la cui materia si suppone essere stato inventata da Sofocle, perché non se ne trova traccia nel cosiddetto Ciclo tebano.
Il Ciclo tebano
Il Ciclo tebano ha inizio con la fondazione di Tebe a opera di Cadmo, giunto dalla Fenicia in Beozia in cerca della sorella Europa, rapita da Zeus. Dalla moglie Armonia, Cadmo ha vari figli, tra cui Semele (dalla cui unione con Zeus nasce Dioniso) e Agave, madre di Penteo, successore di Cadmo sul trono tebano. Dopo alcune generazioni, al trono sale Laio, figlio di
Labdaco, che dall’unione con Giocasta genera Edipo: il neonato viene abbandonato lontano da Tebe, perché l’oracolo di Delfi ha predetto che, una volta diventato grande, egli ucciderà suo padre e si unirà a sua madre. Ma il tentativo di Laio di opporsi al destino si rivela vano e la profezia si compie
ugualmente. Edipo, diventato adulto e ignaro delle proprie origini, incontra casualmente il padre senza riconoscerlo e, durante un diverbio, lo uccide; giunto a Tebe, libera la città dalla Sfinge risolvendo l’enigma, viene proclamato re e prende in sposa la vedova di Laio, Giocasta, ignorando che è sua madre. Dall’unione incestuosa nascono quattro figli, le femmine Antigone e Ismene e i maschi Eteocle e Polinice.
Scopertosi colpevole del parricidio e dell’incesto, Edipo si acceca e abbandona Tebe, lasciando come reggente lo zio-cognato Creonte (questa parte del mito, come è noto, viene drammatizzata da Sofocle nell’Edipo re). Ritroviamo, nell’Edipo a Colono, ancora Edipo (che avrà una lunghissima e fortunata storia nella letteratura mondiale): sono passati molti anni, egli è un mendicante, allontanato da tutti, accompagnato solo dalla figlia Antigone, che lo segue devota nel suo esilio.
L’altra figlia, Ismene, porta la notizia che Eteocle e Polinice sono in lotta per il potere e che, secondo un oracolo, la vittoria spetterà a chi sarà riuscito ad assicurarsi l’appoggio paterno.
Giunge anche Creonte a pregare Edipo di tornare in patria, e poi Polinice, nella speranza di ottenere l’appoggio paterno: ma viene scacciato e maledetto dal padre. Nulla riesce a smuovere Edipo. Una serie di tuoni fragorosi lo chiamano al suo destino: solo Teseo lo accompagna nel momento supremo, di cui custodirà il segreto, avendone in cambio sicurezza e protezione per la patria. Ma facciamo un passo indietro. Eteocle e Polinice, raggiunta l’età adulta, assumono il potere, accordandosi di regnare ad anni alterni. Eteocle, al termine del proprio anno di regno, rifiuta di cedere il trono: allora Polinice con alcuni alleati assedia la città e fra i due scoppia una guerra violenta, in cui soccombono entrambi, trafiggendosi a vicenda. Questo argomento è drammatizzato ne I sette contro Tebe di Eschilo. In questa tragedia si compie la maledizione di Edipo sui figli maschi. Il finale della tragedia eschilea fu manipolato
già in epoca antica: compariva Antigone, sorella dei due fratricidi, che proclamava la volontà di seppellire il fratello Polinice, malgrado l’editto contrario di Creonte (questo finale è chiaramente modellato sull’Antigone sofoclea). Sta di fatto che Creonte assume nuovamente il potere e condanna a morte
Antigone, perché ha violato l’ordine regio di non dare sepoltura al fratello Polinice, colpevole di aver condotto l’esercito contro la patria.
Argomento dell’Antigone
La scena della tragedia è a Tebe. All’alba, davanti al palazzo reale, Antigone comunica alla sorella Ismene il contenuto del decreto di Creonte: i due fratelli Eteocle e Polinice, che si sono uccisi a vicenda, avranno sorte diversa dopo la morte; Eteocle è morto per la salvezza della patria e verrà sepolto con tutti gli onori che gli spettano; Polinice, l’usurpatore
, rimarrà insepolto, pasto per cani e uccelli. Chiunque trasgredirà a questi ordini, verrà lapidato. Ma Antigone non può obbedire a quest’ordine, che ritiene empio e ingiusto: darà sepoltura a Polinice e comunica la sua decisione alla mite sorella Ismene, che non si sente di partecipare a un’azione così audace.
Antigone allora si avvia sola a compiere quello che ritiene il proprio dovere. Intanto Creonte convoca il Consiglio degli anziani, rappresentato dal Coro, per comunicargli il suo programma di governo e i principi che lo ispirano. Annuncia poi il bando relativo alla sepoltura dei figli di Edipo (Eteocle avrà funerali solenni; Polinice rimarrà insepolto) ed esorta gli anziani a vigilare sul rispetto del suo decreto: ma i vecchi Tebani vorrebbero essere esentati da un tale compito. Intanto sopraggiunge un guardiano, a cui tocca il compito sgradevole e rischioso di segnalare a Creonte che qualcuno ha reso onore al corpo insepolto di Polinice, ricoprendolo con un simbolico velo di terra. Creonte, in nome dell’inviolabilità delle leggi scritte e
della ragion di stato, ordina di eliminare subito tale oltraggio. Quindi il Coro eleva un canto dedicato alla potenza dell’ingegno umano, prodigioso quando muove verso il bene
, terribile quando si volge al male, dimentico delle leggi della patria e della giustizia degli dèi. Poco dopo, all’inizio del secondo episodio, ritorna in scena il guardiano e racconta le circostanze che lo hanno spinto a catturare Antigone: dopo aver ripulito la salma dalla terra che la ricopriva, egli ha visto con i suoi occhi, insieme ai compagni di guardia, un turbine che ha occupato tutto il cielo. Quando il prodigio si è dileguato, è apparsa la fanciulla a ripetere la sepoltura del fratello nuovamente denudato. A questo punto finisce il resoconto del guardiano (fin dal suo primo intervento connotato da una mistura di spavento e di sfrontatezza[….],tratti analoghi improntano il suo secondo intervento e gli assicurano una marcata caratterizzazioneindividuale[…]Il suo microdramma è a lieto fine, come si addice alla sua misura ‘comica’, ossia normale, del personaggio)
1. Inizia ora il confronto fra Antigone e Creonte, che costituisce il punto nodale della tragedia. I due protagonisti sono uno di fronte all’altro: l’una agisce in nome dell’amore per il fratello e per scrupolo religioso; il re per garantire l’ordine e il rispetto delle leggi che, soli, possono garantire la sopravvivenza dello stato. Si tratta di posizioni inconciliabili: emerge in modo chiaro il contrasto fra l’uomo di potere, che segue la logica ferrea della legge vigente nello Stato, e la giovane eroina, che nel conflitto fra quella stessa logica e le leggi non scritte e salde degli dèi
(vv. 454-
455: ἄgrapta kἀsfalῆ qeῶn nόmina), le seconde. A Creonte e Antigone bastano per dirsi tutto, cioè per accertare che il
sceglie decisamente meno di cento versi conflitto fra le loro
1 D. Del Corno, Un cadavere buttato a marcire, in I narcisi di Colono,
Milano, 1998.
convinzioni non ammette soluzioni, né compromesso.
L’intervento tardivo di Ismene, che tenta di condividere con la sorella la responsabilità di quanto ella ha compiuto, non fa altro che peggiorare la situazione: scatena il fiero rifiuto di Antigone e inasprisce ancor di più l’ira di Creonte, che condanna a morte entrambe. Nel terzo episodio entra in scena Emone, il giovane figlio di Creonte, fidanzato di Antigone. In un confronto con suo padre, che inizia con toni pacati per poi degenerare in uno scontro violento, Emone supplica il padre di liberare la fanciulla, che è stata condannata solo per un atto di pietas, ma Creonte non è disposto a perdonare, si mantiene saldo sulle sue posizioni e accusa addirittura il figlio di essere schiavo di una donna. Davanti a queste parole, Emone fugge, travolto dall’ira. Intanto Creonte conferma la condanna a morte di Antigone, mentre proscioglie Ismene dall’accusa. Dunque Creonte, per garantire le leggi scritte della città, condanna Antigone, che pure è figlia di sua sorella e promessa sposa di suo figlio Emone, ad essere sepolta in una caverna, affinché vi muoia d’inedia: un isolamento che ha il valore simbolico di evitare la contaminazione delle leggi della città. Nel quarto episodio le guardie conducono Antigone fuori dal palazzo per portarla fino alla sua prigione di pietra, al suo orribile sepolcro: la ragazza porta a compimento il destino di emarginazione che, come figlia di Edipo, l’ha marchiata fin dalla nascita. Nel suo ultimo viaggio terreno, Antigone piange il suo crudele destino, che la conduce a una morte precoce, ancora vergine, inesperta di nozze2, e il Coro le esprime per la prima volta una commossa solidarietà. La tragedia di Antigone termina qui, ma l’eroe sofocleo, come sappiamo, incide, anche dopo la morte,
2 L’eroina porta nel suo stesso nome un destino di sterilità (ἀntί e gonή,
dalla radice gen-: generare), che è anche negazione della vita, prospettiva di auto-annientamento.
sull’altrui destino. Finita la tragedia di Antigone, ha inizio quella di Creonte. Nel quinto episodio fa il suo ingresso in scena il cieco indovino Tiresia, consigliere dei re tebani da quattro generazioni, che è giunto per portare consiglio a
Creonte: la città è contaminata dal cadavere buttato a marcire
3 di Polinice e ciò costituisce un’empietà, tanto che gli dèi mandano strani prodigi e rifiutano i sacrifici. Quindi Creonte deve ammettere il suo errore e concedere la sepoltura al morto. Ma Creonte non si lascia convincere, disprezza i consigli di Tiresia e lancia insulti contro tutta la stirpe degli indovini. Amareggiato e offeso dalle parole insolenti del re,
Tiresia predice l’imminente rovina che sta per travolgere la sua famiglia. A questo punto, Creonte comincia ad assumere la consapevolezza degli errori commessi. Chiede addirittura l’aiuto dei cittadini di Tebe, che gli consigliano di dare sepoltura al morto e di liberare Antigone. Nel quinto episodio giunge un messaggero a riferire le sciagure che si sono abbattute sulla famiglia reale: alla presenza della regina Euridice, uscita dalla reggia angosciata per quanto ha sentito, egli racconta che Creonte, dopo aver provveduto alla sepoltura di Polinice, si è recato alla prigione di Antigone: all’interno della grotta ha trovato la giovane impiccata e il figlio Emone abbracciato a lei: il giovane, quando vede il padre, tenta invano di ucciderlo, poi si toglie la vita davanti a lui. Creonte entra in scena tenendo fra le braccia il corpo del figlio; poco dopo giunge il messaggero ad annunciare la morte di Euridice, che si è uccisa per il dolore. Davanti al pianto di Creonte, che finalmente riconosce gli errori commessi e la superiore potenza degli dèi, il Coro conclude il dramma affermando che la saggezza è per l’uomo la condizione essenziale per una vita feli
3 D. Del Corno, op. cit.
Un’invenzione di Sofocle?
Oggi, l’opinione prevalente negli studiosi è che il racconto tragico di Antigone, così come noi lo conosciamo, sia stato probabilmente un’invenzione di Sofocle. In tale contesto, in cui non si può dire cosa si intenda per invenzione, assumono un certo rilievo i vv. 1080-1083, in cui Sofocle fa un breve accenno a un tema ampiamente sviluppato nella saga tebana, cioè quello degli Epigoni, i discendenti dei sette che avevano mosso contro Tebe, i quali cercavano di ritentare l’impresa. Essi erano guidati da Adrasto, l’unico superstite della prima spedizione. Questa seconda si era conclusa con la restituzione dei resti dei cadaveri dei padri, anche grazie all’aiuto di Teseo.
Sofocle, come sappiamo, incentra la sua tragedia sul tema della sepoltura di Polinice e concentra la sua attenzione sulla disputa fra Antigone e Creonte. Questo tema non è attestato nella tradizione epica: dunque, o si tratta di un’invenzione di Sofocle o, come sostengono alcuni, il poeta si sarebbe ispirato a una leggenda locale tebana, testimoniata da Pausania, che, in una passo4 della sua Periegesi della Grecia, accenna ad una località
presso Tebe chiamata Sύrma ᾽Antigόnhς, Trascinamento di Antigone, cioè luogo dove Antigone avrebbe trascinato il corpo di Polinice.
Sicuramente un’invenzione sofoclea è l’amore fra Antigone ed
Emone, che, secondo la tradizione epica (Edipodia)5, era morto, vittima della Sfinge. – Anche la figura di Euridice, moglie di Creonte, era un personaggio quasi sconosciuto alla tradizione. E’ probabile che Sofocle lo abbia addirittura inventato perché, nonostante la sua breve presenza in scena
4 Pausania, IX, 25, 2.
5 Giustamente Steiner (Le Antigoni) osserva che l’Edipodia si colloca in un clima di pura oralità.
E osserva che " lo stesso Sofocle arriva molto tardi.
E’ molto più vicino al nostro concetto di letteratura che non alle ‘origini’ della saga di Laio e del suo clan funesto".
(vv. 1183-1243), essa ha la funzione di enfatizzare il dolore provocato da Creonte alla sua stessa famiglia.
Del tutto nuova era anche l’importanza attribuita dal poeta ad Antigone e Ismene: nella tradizione i due personaggi hanno scarsa importanza, in Sofocle Antigone diventa la protagonista.
Invenzione di Sofocle è l’idea di una netta contrapposizione fra i caratteri delle due giovani.- Ismene, secondo la tradizione arcaica, doveva già essere morta al momento del conflitto fra Tebe ed Argo: uccisa, per ordine di Atena, da Tideo ( uno dei sette campioni dell’esercito argivo), dopo che questi l’aveva sorpresa a giacere con Teoclimeno.
L’interpretazione di Hegel: pregi e limiti.
Una famosa formula di Hegel individua nello scontro fra
Creonte e Antigone l’insanabile opposizione fra lo stato e la famiglia. Si tratta di un’ipotesi politico-antropologica sostanzialmente esatta, ma parziale, in quanto essa rischia di limitare la dimensione sia artistica sia concettuale del dramma: tuttavia l’interpretazione hegeliana ha un grande merito: quello di evidenziare il dualismo che caratterizza la tragedia. Antigone e Creonte si dividono il ruolo di protagonisti, bilanciando lo svolgimento e il significato dell’azione secondo un’inconciliabile polarità. Ma Hegel non coglie che il conflitto fra i due sistemi di idee si manifesta attraverso una serie di affermazioni, in cui si riflette la condizione individuale dei personaggi, poiché, come afferma Del Corno6, all’energia sintetica e simbolica della forma tragica appartiene la prerogativa di trasferire l’astrazione dei principi nel pathos dell’esistenza
. Continua lo studioso: "I due livelli del pensiero e della passione sono portati a un punto incandescente di fusione. Ad Antigone e a Creonte risulta conferita una realtà
6 I narcisi di Colono, op. cit.
personale che è inscindibile dalla coerenza, con cui l’una e l’altro impersonano consapevolmente e programmaticamente la propria visione sia dell’evento che li costringe ad affrontarsi, sia delle norme universali che tale occasione chiama in causa. Ma il loro scontro va oltre la prospettiva della sepoltura di Polinice, e delle sue implicazioni ideologiche. Sullo sfondo del conflitto opera una serie di opposizioni affatto oggettive, e altrettanto frontali, che stanno alla radice della condizione umana –dove non è la convinzione teorica a produrre l’antinomia, bensì la realtà stessa del vivere. Viene quasi ignorata da Hegel l’opposizione uomo-donna; vecchiaia-giovinezza; società-individuo; vivi-morti; uomini-divinità. Antigone è donna, giovane, rivendica il diritto individuale di seguire i propri principi, ogni sua preoccupazione è rivolta al mondo dei morti e alle leggi divine che lo governano; Creonte è uomo, è vecchio, ritiene che l’unica dimensione possibile per l’uomo sia lo stato, ogni suo atto è in funzione di chi è vivo, l’uomo è la misura di tutte le sue decisioni.
La necessità fisiologica, e quella altrettanto coercitiva delle strutture fondamentali della vita, imprimono ad Antigone e Creonte il marchio concreto della realtà. E’ questa autenticità dell’esperienza che li protegge dall’astrazione del dibattito delle idee, riversando nel loro antagonismo la passione aggressiva con cui l’uomo vive le fratture non negoziabili della sua limitatezza".7
Nella critica a Hegel si spinge oltre e su binari diversi G. Susanetti8: in un paragrafo dal titolo La nobile menzogna (borghese) di Hegel, lo studioso afferma che Antigone e Creonte, come si è già detto, secondo Hegel, sarebbero
7 D. Del Corno, op. cit.
8 D. Susanetti, Antigone, intr., trad. e commento di D. Susanetti, Carocci, Roma 2012.
rispettivamente incarnazioni di famiglia e stato; emblemi di un mondo greco che non sa ancora comporre individuo e comunità. Il reciproco tracollo dei due costituirebbe solo il transito verso più progressive forme di universalità fino a giungere, dopo la Rivoluzione francese, al costituirsi di un’individualità moderna capace di essere insieme identità e differenza. Ma, afferma Susanetti, tutto ciò che si è dispiegato dopo Hegel –nel pensiero e nei dati evenemenziali-contraddice tale configurazione e la rivela come un’inutile menzogna al servizio di una società che si sarebbe voluta pacificata e armonica. Mentre Antigone ha continuato a riproporsi e a emergere, la riflessione filosofica e la produzione letteraria hanno dovuto misurarsi con la rivoluzione comunista, i totalitarismi, con la banalità del male e la persistenza cangiante del capitalismo, sondando, al di là di ogni possibile illusione, la violenza interna all’ordine stesso del diritto e la paura che lo stato ha di quella stessa violenza su cui pure si è fondato e prodotto. ‘C’è del guasto nel diritto’, diceva Walter Benjamin, riflettendo sulla crisi della democrazia borghese, liberale e parlamentare (‘Per la critica della violenza’,1921). In tale orizzonte, le Antigoni della guerra, della contestazione e del terrorismo non possono certo coincidere con la gelosa intimità domestica, con i sentimenti e con il privato famigliare
.
Antigone
Quanto al personaggio di Antigone, così inizia la sua analisi Charles Segal9, introducendo subito un parallelo con il precedente Aiace: "Like other Sophoclean heroes,