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Il potere e la ribelle: Creonte o Antigone? Un dialogo
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E-book124 pagine1 ora

Il potere e la ribelle: Creonte o Antigone? Un dialogo

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Info su questo ebook

Creonte è un tiranno cinico e impietoso o un governante attento alle sorti della città? e Antigone è un simbolo di libertà e di difesa dei diritti fondamentali o una ribelle senza progetto destinata alla sconfitta?
La tragedia di Sofocle continua a parlare alla modernità. E il conflitto che in essa va in scena attraversa le più drammatiche vicende contemporanee: il caso Moro, il terrorismo, la tortura e il carcere, il significato e i limiti della disobbedienza civile (da ultimo esplosa a fronte della chiusura dei porti italiani a migranti salvati in mare). Sullo sfondo i dilemmi di sempre: autorità e libertà, diritti e potere. Su questi temi, a cavallo tra giustizia e politica, si confrontano – l’uno a sostegno delle ragioni di Antigone, l’altro di quelle di Creonte – due magistrati che hanno vissuto intensamente le vicende degli ultimi decenni del Paese in settori diversi della giurisdizione.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2019
ISBN9788865792209
Il potere e la ribelle: Creonte o Antigone? Un dialogo

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    Anteprima del libro

    Il potere e la ribelle - Livio Pepino

    Demuro

    Il libro

    Creonte è un tiranno cinico e impietoso o un governante attento alle sorti della città? e Antigone è un simbolo di libertà e di difesa dei diritti fondamentali o una ribelle senza progetto destinata alla sconfitta?

    La tragedia di Sofocle continua a parlare alla modernità. E il conflitto che in essa va in scena attraversa le più drammatiche vicende contemporanee: il caso Moro, il terrorismo, la tortura e il carcere, il significato e i limiti della disobbedienza civile (da ultimo esplosa a fronte della chiusura dei porti italiani a migranti salvati in mare). Sullo sfondo i dilemmi di sempre: autorità e libertà, diritti e potere. Su questi temi, a cavallo tra giustizia e politica, si confrontano – l’uno a sostegno delle ragioni di Antigone, l’altro di quelle di Creonte – due magistrati che hanno vissuto intensamente le vicende degli ultimi decenni del Paese in settori diversi della giurisdizione.

    Gli autori

    Livio Pepino magistrato sino al 2010, è stato pubblico ministero, giudice minorile e consigliere della Corte di Cassazione. Già segretario nazionale di Magistratura democratica, si occupa oggi di democrazia dal basso e di difesa della società dai guasti delle grandi opere.

    Nello Rossi magistrato sino al 2018, è stato giudice del lavoro, procuratore aggiunto di Roma e avvocato generale presso la Corte di Cassazione. Già presidente di Magistratura democratica, è attualmente direttore della rivista Questione giustizia e vicepresidente del Tribunale permanente dei popoli.

    Indice

    Prologo. Ci sono più Antigoni

    I. Antigone e Creonte: realtà e simboli

    II. Il ruolo di Creonte, ovvero il dovere di governare

    III. Obbedienza e disobbedienza nella polis

    IV. L’irriducibilità di Antigone: ribelle senza progetto?

    V. La giustizia e i giudici

    VI. Concludendo: tra eresia e riforma

    Per l’Antigone di Sofocle faremo riferimento alla traduzione di Maria Grazia Ciani (Antigone. Variazioni sul mito, Sofocle, Anouilh, Brecht, Marsilio, Padova, 2013) e, in alcuni casi specificamente indicati, a quella di Massimo Cacciari (Einaudi, Torino, 2007). Le citazioni dell’Antigone di Anouilh sono tratte dalla traduzione di Andrea Rodighiero e quelle dall’Antigone di Brecht dalla traduzione di Mario Carpitella, che si leggono entrambe nel citato volume, curato da Maria Grazia Ciani, Antigone. Variazioni sul mito, Sofocle, Anouilh, Brecht.

    Prologo.

    Ci sono più Antigoni

    L’Antigone di Sofocle: la tragedia civile

    Se, con riferimento all’età greca classica, Sofocle è, forse, il drammaturgo più moderno, certamente Antigone è la tragedia più attuale.

    La vicenda che le dà corpo è nota. Tutto avviene a Tebe, dopo la fine drammatica del regno di Edipo e lo scontro per la successione tra i suoi figli maschi, Eteocle e Polinice, il cui originario accordo di governare un anno ciascuno si infrange rapidamente. La conseguente guerra civile diventa guerra esterna quando Polinice si allea con la città di Argo i cui eserciti assediano Tebe. Il conflitto termina con un duello tra i due fratelli, che si danno reciprocamente la morte. Gli Argivi fuggono e il governo di Tebe torna nelle mani di Creonte, zio di Eteocle e Polinice, il quale emana un editto con cui decreta funerali solenni per Eteocle e dispone che il corpo di Polinice, considerato traditore della patria, sia lasciato insepolto e che chiunque tenti di dargli sepoltura sia messo a morte. L’ordine del re è, peraltro, violato dalla sorella di Polinice, Antigone, che ricopre nottetempo di terra il corpo del fratello. Scoperta, viene condotta davanti a Creonte il quale respinge le richieste di salvarle la vita avanzate da suo figlio Emone, fidanzato di Antigone, e dispone che la ragazza sia murata viva in una caverna destinata a diventarne la tomba. La tragedia si è ormai compiuta quando Creonte, cedendo di fronte alle profezie del vecchio Tiresia, decide di tornare sui suoi passi: allorché arriva alla caverna, Antigone si è ormai uccisa e anche Emone si dà la morte con la spada. A Creonte, solo e disperato, non resta che piangere sulla propria sconfitta personale e politica.

    Nella tragedia si sovrappongono le questioni di sempre dell’etica e della politica: l’autorità, il potere, la libertà, la giustizia, la ragion di Stato, la pietas.

    Per questo Antigone è una grande tragedia civile.

    Dall’epoca di Sofocle la storia della polis e del governo delle società ha subìto trasformazioni profonde: lo Stato assoluto ha lasciato il posto allo Stato di diritto; la questione dei limiti al potere del sovrano è diventata, almeno a parole, il connotato principale delle democrazie; la giustiziabilità dei diritti è oggi un tema all’ordine del giorno; il riferimento alle leggi non scritte degli dei è stato sostituito volta a volta dal richiamo al diritto naturale, alle dichiarazioni dei diritti universali, alle costituzioni e via elencando. Tutto ciò ha parzialmente spostato i termini del dramma sofocleo, ma il suo nucleo forte è rimasto intatto.

    Ma non c’è una sola Antigone.

    Antigone è stata studiata, nei secoli, da artisti e filosofi ed è stata oggetto di riscritture e di rivisitazioni: in epoca moderna da parte, tra gli altri, di Vittorio Alfieri (1783), di Jean Anouilh (1942), di Bertolt Brecht (1947) e di Salvador Espriu (1955). Riscritture e rivisitazioni tra loro assai diverse. Due particolarmente significative per il lettore e lo spettatore moderno: quella di Anouilh e quella di Brecht.

    L’Antigone di Anouilh: il dramma esistenziale

    L’Antigone di Anouilh è uno straordinario affresco sul potere e sulla ribellione. Vi si rappresentano la necessità, a tratti vile, mediocre, compromissoria che continuamente costringe il politico e la libertà assoluta, ma anche dolorosa e autodistruttiva, del rivoltoso.

    Nel Prologo Antigone è dipinta come «la ragazza magra, di carnagione scura, chiusa che nessuno prendeva sul serio in famiglia e che si ergerà sola in faccia al mondo» (p. 63).

    Ribelle esistenziale, portatrice di un rifiuto assoluto, di un no irriducibile, Antigone è la donna in rivolta contro la politica e la storia: «Cosa volete che facciano, a me, la vostra politica, la vostra necessità, le vostre povere storie? Io posso dire ancora no a tutto quello che non mi piace e sono il solo giudice» (p. 96). Come ella rivendica nel drammatico scontro con Creonte e con la sua cinica razionalità, le ragioni della politica sono estranee ad Antigone, pienamente consapevole che questo la voterà alla distruzione: «Non voglio capire. Va bene per voi. Io sono qui per qualcosa d’altro che capire. Sono qui per dirvi di no e per morire» (p. 98).

    Di contro a lei sta Creonte. Il politico disincantato, affaticato, gravato, che sente il bisogno di giustificare il suo potere come un fardello accettato malvolentieri. «Una mattina mi sono svegliato re di Tebe. E Dio sa se desideravo altro nella vita che essere potente. […] Solamente mi sono sentito all’improvviso come un operaio che rifiutava il lavoro. Non mi è sembrato onesto. Ho detto di sì». E le ragioni del suo sono espresse con eccezionale forza persuasiva: «Per dire sì, bisogna sudare e tirarsi su le maniche, impugnare la vita a piene mani e mettercisi dentro fino ai gomiti. È facile dire no, anche se si deve morire. Non c’è che da non muoversi e aspettare. Aspettare per vivere, attender anche perché vi si uccida. È troppo vile. È un’invenzione degli uomini».

    Creonte cercherà di evitare con ogni mezzo – anche con la progettata soppressione dei testimoni del tentativo di sepoltura – di sottrarsi al dovere politico di condannare e far mettere a morte Antigone. Fino al punto di rivelarle la vera, ignobile, storia, che lui solo conosce, della rivalità tra i suoi fratelli Eteocle e Polinice, entrambi traditori della città: «Noi avevamo a che fare con due ladroni che si ingannavano l’un l’altro ingannandoci e che si sono sgozzati come due teppistelli quali erano, per un regolamento di conti» (p. 102).

    Se Polinice, il cui corpo è stato condannato a marcire al sole, si è mosso contro Tebe a fianco dei nemici, anche gli onori decretati a Eteocle, il principe leale alla città, sono stati un inganno. Non ci si poteva «offrire il lusso di una canaglia in entrambi i campi» (p. 101) svela Creonte. E occorreva perciò fare di Eteocle un eroe, nonostante il suo tentativo di far assassinare il padre Edipo e il suo progetto di vendere Tebe al miglior offerente.

    Nulla, naturalmente, distoglierà Antigone dal suo desiderio di solitaria testimonianza, di sacrificio e di morte e Creonte sarà, come lui stesso dice, «obbligato a farla morire» (p. 108).

    Si conclude così la più inquietante e affascinante versione moderna di Antigone. Senza di lei, scrive il drammaturgo francese, «sarebbero stati tutti più tranquilli. Ma adesso è finita. Sono comunque tranquilli. Quelli che credevano una cosa e poi quelli che credevano il contrario e si sono trovati presi nella storia senza capirci niente. Morti uguali, tutti, stecchiti, inutili, marciti. E quelli che ancora vivono cominceranno dolcemente a dimenticarli e a confondere i loro nomi». Antigone, Creonte, Ismene, Emone, le guardie che dopo il tragico epilogo della vicenda continuano a giocare a carte sono tutti gettati lì, su di una zolla di cosmo, simboli miseri e caduchi dell’insensata esistenza degli uomini e della vanità della loro storia.

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