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Sofocle Edipo Re: A cura di Pio Mario Fumagalli
Sofocle Edipo Re: A cura di Pio Mario Fumagalli
Sofocle Edipo Re: A cura di Pio Mario Fumagalli
E-book346 pagine4 ore

Sofocle Edipo Re: A cura di Pio Mario Fumagalli

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Info su questo ebook

Quali sono le vie dell’umano intelletto, quale la sua autonomia e il suo potere, se
anche colui che si era innalzato a comprendere il linguaggio degli dèi sprofonda
nell’oscurità dell’ignoranza? La risposta di Sofocle è desolata. Non l’incesto e il
parricidio, che egli non ha voluto, sono le colpe di Edipo: ma l’ingegno dell’uomo è
per se stesso una hybris, quando tenta di trascendere la propria frammentarietà e
debolezza. La presenza costante di Edipo sulla scena impone alla sua figura la
logica del simbolo, più forte di ogni verosimiglianza: egli rappresenta l’impotenza
dell’uomo di fronte alle forze che trascendono la sua volontà, sia questa rivolta al
bene oppure al male. Proprio in ciò consiste l’eccellenza e l’esemplarità poetica
dell’Edipo re: nella fusione incandescente e totale che riassume il significato
dell’azione drammatica e la definizione della colpa tragica nell’inevitabilità della
catastrofe da cui è travolto l’eroe.
Dario Del Corno
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2016
ISBN9788190983761
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    Anteprima del libro

    Sofocle Edipo Re - Pio Mario Fumagalli

    A cura di Pio Mario Fumagalli

    Sofocle Edipo Re

    ISBN: 9788190983761

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    INTRODUZIONE

    Ipotesi sulla datazione dell’Edipo re

    La data di rappresentazione dell’Edipo re, in assenza di dati certi, è una questione destinata a rimanere irrisolta. Sono state avanzate tante proposte, che spaziano in un arco che va dal 429 al 411 a.C.

    Fra le varie ipotesi, degna di nota appare quella che sostiene che Sofocle scrisse la sua opera negli anni immediatamente successivi alla peste scoppiata ad Atene nel 430: la peste rappresentata all’inizio della tragedia coinciderebbe con quella reale. Se si accetta questa ipotesi, il termine post quem sarebbe il 429.

    Altri escludono una datazione più alta del 425, sulla base del v. 27 degli Acarnesi di Aristofane, che sembra alludere al v. 629 di Edipo re.1

    Al v. 629 Edipo esclama ὢ pόliς, pόliς, che figura anche negli Acarnesi (v. 27). In Aristofane il contadino Diceopoli, solo sulla scena, depreca lo scarso interesse degli altri cittadini e persino dei pritani, che tardano all’assemblea di Atene e, dopo l’esclamazione riportata sopra, esclama: Io siedo in assemblea sempre per primo

    (vv. 28-29). Se si accoglie l’ipotesi che Aristofane riecheggi l’Edipo re, se ne ricava un indizio fondamentale per la datazione, che acquista come termine ante quem la rappresentazione degli Acarnesi di Aristofane, cioè il 425. Del Corno2 afferma perentoriamente che

    "Edipo re è anteriore al 425, come dimostra un’allusione al v. 27

    1 Di questo parere sono N.V. Bates, The Dating of the Oidipus Tyrannus, in American Journal of Philology, 54, 1933; B.M.W. Knox, The date of the

    Oidipus Tyrannus of Sophocles, in American Journal of Philology, 77, 1956 (rist. in Word and Action. Essays on the Ancient Theatre,Baltimora-London 1979; A. Lesky, Storia della letteratura greca, trad it., Milano 1962; Di Benedetto-Medda, La tragedia sulla scena, Torino 2002.

    2 D. Del Corno (a cura di), Sofocle. Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, trad. di R. Cantarella, note di M. Cavalli, Milano 1991.

    degli Acarnesi di Aristofane, che sono di quell’anno, ma verosimilmente non di molto".

    G. Perrotta3 stabilisce come termine ante quem l’anno 410-409, la data della rappresentazione delle Fenicie, opera che presenta una serie echi che richiamano l’Edipo re sofocleo. Lo studioso colloca la tragedia di Sofocle fra il 414 e il 411. Si noti come, per esempio, nel prologo delle Fenicie sia la stessa Giocasta, che non è morta, a narrare che Edipo si è accecato con le sue fibbie. Il particolare, nota Perrotta, non è verosimile. Come Edipo si sarebbe procurato le fibbie di Giocasta? Questo e altri punti dell’opera euripidea hanno spinto Perrotta a pensare ad una reminiscenza dell’Edipo di Sofocle, il che significa confermare senza dubbi l’anteriorità dell’Edipo re rispetto alle Fenicie, di cui conosciamo la datazione. Ma, come vedremo più sotto, Perrotta accennerà a un’altra importante considerazione riguardante il secondo stasimo della tragedia.

    Ad analoghi risultati di datazione sono giunti C. Diano4 e O. Longo5, prendendo le mosse dall’analisi del secondo stasimo. La collocazione di questo canto del coro, che, con una certa approssimazione, corrisponde alla parte centrale della tragedia, fa sì che lo stasimo occupi una posizione simile a quella della parabasi della commedia (come molti studiosi hanno notato) e il Coro si rivolga al pubblico facendosi portavoce del poeta (come appunto accadeva nella parabasi). La condanna del tiranno e la paura della tirannide sottesi al canto non avrebbero dunque nulla a che fare con la vicenda drammatica di Edipo (ma alcuni studiosi di grande fama sostengono l’esatto contrario6), bensì rifletterebbero la posizione politica di Sofocle in un momento particolare della storia di Atene. Tutto ciò implica un problema di interpretazione non facile da risolversi,

    3 G. Perrotta, Sofocle, Messina-Milano 1935.

    4 C. Diano, Edipo figlio della Tyche, in Saggezza e poetiche degli antichi, Vicenza 1986.

    5 O. Longo, Edipo re, Firenze 1970.

    6 Basti citare K.Sidwell, The argument of the second stasimon of Oedipus tyrannus, JHS, 112, 1992 e G. Paduano, Sofocle. Tragedie e frammenti,Torino 1982.

    appunto per il semplice fatto che non si conosce la data della composizione dell’Edipo re (e torniamo al punto di partenza). Comunque, proprio per le riflessioni espresse in questo stasimo, alcuni, svincolandolo dall’episodio precedente, hanno ipotizzato un nesso con gli eventi del 411 e il colpo di stato oligarchico.

    Degani7 data Edipo re subito dopo il 415 per alcuni riferimenti all’empietà e al sacrilegio che alluderebbero alla profanazione dei Misteri eleusini, di cui Alcibiade si era reso responsabile nel 415, alla vigilia della spedizione in Sicilia. Anche secondo Perrotta (cit.), che, come abbiamo detto sopra, data la tragedia fra il 414 e il 411, sostiene che qui il Coro alluderebbe ad Alcibiade e all’atmosfera creatasi ad Atene dopo la catastrofica spedizione in Sicilia e poco prima del colpo di stato oligarchico del 411.

    Oggi la datazione più accreditata è quella bassa, che assegna, come ipotizza Avezzù8, la tragedia intorno al 413 a.C., sulla scia delle osservazioni di Perrotta, Diano, Degani e altri.

    La trilogia che comprendeva Edipo re fu rappresentata alle Grandi Dionisie in una data che, come abbiamo visto, ci è sconosciuta. Sofocle non ottenne il primo premio, che fu aggiudicato a Filocle, nipote di Eschilo (che, secondo alcuni, concorreva con una tragedia dello zio).

    Il mito di Edipo

    I soggetti delle tragedie erano prevalentemente tratti da un repertorio mitico che si perde nella notte dei tempi. Si trattava, ovviamente, di temi ben noti al pubblico, pur nella varietà delle versioni che la tradizione offriva. Davanti a questa tradizione mitica, il tragediografo si riservava la libertà di intervenire con modifiche e adattamenti personali, che rendessero la vicenda rappresentata funzionale ai propri obiettivi drammaturgici e poetici e al messaggio che voleva comunicare.

    Fra questi miti, quello di Edipo era e resta esemplare.

    7 E. Degani, Sofocle, in Storia e civiltà dei Greci, dir. R.B. Bianchi Bandinelli, La Grecia nell’età di Pericle, Milano 1989.

    8 G. Avezzù, Il mito sulla scena, Venezia 2003.

    5

    La saga tebana era senza dubbio conosciuta dagli aedi omerici, che seguono una tradizione diversa rispetto a quella seguita da Sofocle: in Iliade, XXIII, 679-680 si trova un accenno agli onori funebri tributati a Edipo (di due generazioni più vecchio dei guerrieri che si battono sotto le mura di Troia), caduto in battaglia; in Odissea, XI, 271-280, si dice che, al momento della scoperta dell’incesto, la madre-moglie Giocasta (dal poeta epico chiamata Epicàsta, che è il nome nella versione più antica) si impiccò, mentre Edipo continuò a regnare su Tebe, sia pure col cuore pieno di dolore per quanto accaduto.

    In Esiodo c’è un breve cenno (Opere, v.162 s.) alla guerra combattuta per le greggi di Edipo (forse un riferimento alla guerra scoppiata tra i figli per la successione) e alla Sfinge, rovina funesta per i Tebani, nata da un mostro detto Echidna (Teogonia, v.326).9

    Al di là dei cenni omerici ed esiodei, il mito di Edipo fu materia del cosiddetto Ciclo tebano (si veda l’Introduzione alla mia Antigone).

    Dall’Edipodia si può sapere, in modo incerto e sommario (fra citazioni testuali e frammenti di contenuto), che Edipo uccideva Laio ad un crocevia e derubava il suo cadavere della cintura e dalla spada, quindi lo seppelliva in un mantello nello stesso luogo in cui l’aveva ucciso. Il carro di Laio veniva donato a Polibo. Passato molto tempo, il nuovo re di Tebe si trova con Giocasta sul luogo del delitto: Edipo confessa a Giocasta l’omicidio e le mostra la cintura rubata a Laio. Giocasta, pur riconoscendo in Edipo l’assassino del marito, in quell’occasione tace, ma poi il pastore le mostra le fasce con cui il piccolo fu esposto e la regina, comprendendo l’intero corso degli eventi, si suicida. Edipo non solo le sopravvive, ma si risposa con Euganeia e da quest’ultima ha quattro figli: Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice. Dunque nell’Edipodia i figli di Edipo sono frutto

    9 Per questa parte, cfr. soprattutto E. Cingano, The Death of Oedipus in the Epic Tradition, in Phoenix, 46, 1992; Tradizioni su Tebe nell’epica e nella lirica, in P.Angeli Bernardini (a cura di), Presenza e funzione della città di Tebe nella cultura greca, Roma-Pisa 2000.

    6

    di un successivo matrimonio; come ha notato E.Cingano10,

    l’empietà e la forza distruttiva dell’incesto sono attenuate dalla considerazione che i quattro figli nascono non dalla madre-moglie Giocasta, ma dalla seconda moglie.

    Nella Tebaide si narrava soprattutto il conflitto fra Edipo e i figli maschi per la successione al trono. Il re si adirava con essi per le loro trasgressioni rituali e per la negligenza di entrambi nel riservare a Edipo una piccola parte del sacrificio (frr. 2-3 Bernabé). Già nella Tebaide –ed è ciò che più ci interessa- è evidente il motivo, che tanta parte avrà nella riformulazione eschilea e sofoclea, della maledizione di Edipo nei confronti dei figli maschi.

    Anche a Stesicoro (la cui vita si colloca nell’arco fra il 632-29 e il 556-553) è da attribuire una Tebaide,un frammento della quale ci è stato restituito dal cosiddetto papiro di Lille, la città francese in cui fu scoperto nel 1977 (fr. 222b Davies): si tratta di un monologo Giocasta (ma alcuni pensano si tratti di Euganeia) rivolto ai due figli Eteocle e Polinice, già venuti a contesa dopo la morte del padre. Le parole della regina si appoggiano anche all’autorità di Tiresia (v. 234). E’ la prima volta che Giocasta (se è lei a parlare), non solo sopravvive alla vergogna e al rimorso dell’incesto (ed è probabile che a questo filone della tradizione si sia ispirato Euripide nelle Fenicie, scritte fra il 410 e il 408), ma anzi continua a detenere una posizione di rilievo anche dopo la morte di Edipo. Se, come è stato ipotizzato, i versi seguenti , malamente leggibili, sono frammenti di un discorso tenuto da Tiresia ai due fratelli, anch’egli poteva avere un ruolo di primo piano nella vicenda.

    Pindaro, in un’ode scritta per celebrare la vittoria di Terone di Agrigento nella corsa delle quadrighe nel 426 (Olimpica II, vv. 35-42), sintetizza in pochi versi come il parricidio di Edipo risvegli il demone di Laio, il quale, a sua volta, invia contro la discendenza del figlio una distruttiva guerra fratricida.

    10 E. Cingano, Riflessi dell’epos tebano in Omero e in Esiodo, in L. Cristante, A. Tessier (a cura di), Incontri triestini di Filologia classica,

    Trieste, vol. II.

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    Il nucleo irriducibile della storia fino a questo punto è solo il seguente: la madre ha trasmesso a Edipo la sovranità, non però in quanto l’ha generato, ma in quanto l’ha sposato al suo ritorno a Tebe.

    In queste antiche versioni, Edipo, pur nella sua sofferenza, continua a regnare anche dopo aver scoperto la sua vera origine; inoltre risulta molto improbabile che si accechi, menomazione che sarebbe stata incompatibile con l’esercizio del potere. Dunque la cecità di Edipo è quasi sicuramente un’innovazione del teatro tragico.

    Il mito di Edipo divenne materia drammaturgica con Eschilo, che portò sulle scene di Atene la trilogia Laio, Edipo, I Sette a Tebe (unica tragedia pervenutaci) e il dramma satiresco La Sfinge. Da quel poco che si può ricavare dai frammenti, probabilmente nel Laio si raccontava l’esposizione di Edipo, chiuso in un orcio (fr. 122 Radt). Parte del contenuto dell’Edipo si può evincere dai vv. 778-782 e 785-790 dei Sette a Tebe: la scoperta del parricidio, dell’incesto e la maledizione sulla discendenza11; il tema dei Sette a Tebe è noto: la guerra fratricida tra Eteocle e Polinice, con cui si realizza la maledizione scagliata da Edipo contro i figli, colpevoli di avergli negato asilo a Tebe. La tragedia è ambientata entro le mura della città, assediata da Polinice e da altri sei condottieri, schierati ciascuno a una delle sette porte che si aprono nella cinta. Un esploratore descrive a Eteocle l’armatura, le insegne, l’atteggiamento dei sette comandanti nemici, a ognuno dei quali Eteocle contrappone un adeguato difensore: al fratello Polinice farà fronte lui stesso. La città di Tebe sarà salva, ma i due fratelli cadranno uccidendosi reciprocamente in duello. La scena finale, in cui Antigone dichiara il suo proposito di dare sepoltura a Polinice, nonostante l’editto di Creonte, è sicuramente una tarda interpolazione che vuole anticipare il tema dell’Antigone di Sofocle.

    Sofocle aveva trattato nell’Antigone12 eventi cronologicamente successivi ai Sette a Tebe, mentre in Edipo re si concentra su un argomento anteriore; tornerà infine alla saga dei Labdacidi con Edipo

    11 E. Cingano, The Death of Oedipus in the Epic Tradition, cit.; G. Avezzù, Il mito sulla scena, cit.

    12 Cfr. la mia Antigone, Alef 2014.

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    a Colono: nell’ultimo atto della sua esistenza terrena l’eroe, vecchio e cieco, giunge, errando, nel sobborgo ateniese di Colono, e qui, accolto sotto la protezione di Teseo, sparisce prodigiosamente alla vista degli uomini. La sequenza mitica delle tragedie rimaste risulta dunque la seguente: Edipo re, Sette a Tebe, Antigone, Edipo a Colono.

    Euripide aveva scritto un Edipo (di cui possediamo solo frammenti), posteriore a quello di Sofocle, in cui l’eroe è un re sconfitto, i cui delitti sono portati alla luce da un’inchiesta non sua. Ma le differenze non finiscono qui: l’Edipo di Euripide viene accecato dai servi di Laio13, probabilmente perché la scoperta dell’omicidio era anteriore a quella dell’incesto e dunque il sovrano di Tebe veniva ancora creduto, in quel momento, figlio di Polibo, e non di Laio. E’ stato, inoltre, supposto che la rivelazione dell’identità di Edipo avvenga ad opera della madre adottiva14, cosicché sembrerebbe che Euripide, rispetto a Sofocle, moltiplichi gli effetti di intreccio, sui quali punterebbe in modo particolare. – Una totale rivisitazione del mito di Edipo si trova nelle Fenicie (giuntaci per intero) dello stesso Euripide, la cui composizione si colloca nel 411, fra Edipo re ed Edipo a Colono di Sofocle. In questa tragedia Edipo entra in scena solo al v. 1539, in una fase avanzata dell’azione. Egli dichiara di venire dall’oscurità del palazzo, dove è stato rinchiuso, e annuncia la propria intenzione di recarsi a Colono. Edipo, dunque, non è scacciato, ma imprigionato da Creonte e dai figli: e questo elemento introduce una notevole variante rispetto alla tragedia di Sofocle. Ma tante sono le innovazioni di Euripide, che si sforza di concentrare tutta la saga tebana in una sola tragedia, che si apre con l’assedio dei Sette contro Tebe e prosegue con un allargamento della prospettiva scenica, che ci mostra la giovane Antigone contemplare gli eserciti schierati davanti alla città. Contrariamente alla versione abituale del mito Giocasta è ancora viva, e tenta di conciliare i due figli. Con un altro sorprendente rovesciamento della tradizione, Polinice è disposto

    13 F. Jouan- H. Van Looy, Euripides, Fragments, II, Paris 2000, fr. 5.

    14 Le ricostruzioni più recenti sono di Juan- Van Looy e di Bettini-Guidorizzi, Il mito di Edipo, Torino 2004.

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    a un accordo, mentre Eteocle è caratterizzato come un intransigente uomo di potere. La conclusione, in particolare, risente dell’ambizioso progetto di condensare tutti i motivi della saga: Antigone, che gli eventi luttuosi hanno trasformato in una donna ben diversa dall’ingenua fanciulla dell’inizio della tragedia, proclama che, nonostante il divieto di Creonte, darà sepoltura a Polinice, quindi, rotto il fidanzamento con Emone, seguirà il cieco padre in esilio.

    ANTEFATTO DELL’ EDIPO RE.

    La cosiddetta saga tebana, di cui Edipo re costituisce solo un segmento intermedio, doveva essere un patrimonio culturale di ogni spettatore antico.

    Laio, figlio di Labdaco, sposa Giocasta. Poiché un oracolo gli aveva predetto che suo figlio lo avrebbe ucciso e avrebbe poi sposato sua madre, Laio, non appena nacque Edipo, per evitare il compimento dell’oracolo, strappò il neonato dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia; quindi lo consegnò a un servo-pastore con l’ordine di esporlo sul monte Citerone e di abbandonarlo a morte sicura. Il servo, tuttavia, ebbe pietà del bambino e lo affidò a un pastore, che lo portò a Pòlibo, re di Corinto, marito di Merope: essi divennero i genitori del piccolo, a cui diedero il nome di Edipo (dai piedi gonfi,15 poiché in tali condizioni era stato ritrovato). A Corinto Edipo crebbe, ignorando la sua origine, fino al momento in cui, durante una festa, gli fu rinfacciato da un coetaneo di essere il figlio illegittimo di Polibo.16 Inquieto, Edipo si recò a

    Delfi per consultare l’oracolo: il responso della Pizia fu che egli avrebbe ucciso il padre e sposata la madre, e che i suoi figli/fratelli sarebbe stato fonte di guai per l’umanità. Per evitare che l’oracolo si avverasse, Edipo fuggì da Corinto, dove abitavano quelli che egli credeva i suoi genitori, e si avviò verso Tebe. In vista della città, a un trivio, litigò con un viaggiatore che procedeva in senso contrario su un carro e ostacolava il passaggio: era il padre Laio. I due vennero alle mani ed Edipo lo uccise (questo malefico gioco fra l’uomo e gli

    15 Da oἶdoς, gonfiore e poύς, piede.

    16 Cioè un nόqoς, cioè un bastardo.

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    dèi, caratterizzato da oracoli ambigui, concepiti in modo da indurre l’uomo in errore, è l’idea-base di questa tragedia, che si svolge secondo la dimensione dell’enigma, e che tuttavia non sarebbe diventata il simbolo della condizione umana, se non fosse accompagnata da una drammaturgia e da uno stile di livello sublime). Giunto poi a Tebe, Edipo trovò la città in preda all’angoscia: il re Laio era stato appena ucciso e una Sfinge crudele funestava la città e i campi circostanti. Il mostro poneva un enigma a ogni passante e lo uccideva se non riusciva a risolverlo. Creonte, che regnava temporaneamente su Tebe in sostituzione di Laio, promise il trono e la mano di Giocasta a colui che avrebbe liberato il paese.

    Edipo riuscì a risolvere l’enigma che la Sfinge proponeva (quale fosse l’animale che aveva quattro gambe al mattino, due durante il giorno e tre la sera)17; divenne re di Tebe, sposò Giocasta e ne ebbe quattro figli, due maschi (Eteocle e Polinice) e due femmine (Antigone e Ismene): compì, in tal modo, inconsapevolmente, il destino che gli era stato predetto, commettendo parricidio e incesto.

    Quando, negli anni seguenti, un’epidemia di peste devastò il paese, l’oracolo attribuì questa sciagura al fatto che l’assassinio di Laio era rimasto impunito: ma ormai siamo giunti al prologo della tragedia.18

    ARGOMENTO DELL’EDIPO RE

    Un’esposizione analitica della trama della tragedia avrà, fra l’altro, la funzione di evidenziare, nell’incalzare del flusso scenico, la portata enigmatica dell’opera.

    Sono ormai trascorsi alcuni anni da quando Edipo, dopo aver liberato Tebe dalla Sfinge, ha avuto in premio il trono di Laio e la regina Giocasta come moglie, senza sapere che quella donna è in realtà sua madre. Ma ora la città è devastata da una pestilenza implacabile; e i suoi sudditi ricorrono a lui, il più sapiente dei mortali, per trovare la

    17 Come è noto, si tratta dell’uomo, che da piccolo cammina carponi, da adulto sulle due gambe, da vecchio reggendosi con il bastone.

    18 Gran parte delle notizie che abbiamo esposto verranno a galla lentamente durante la tragedia, distillate con alta sapienza drammaturgica, fino a costituire l’impressionante mosaico finale.

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    salvezza. Edipo, sollecito della sorte del suo popolo, ha inviato il cognato Creonte all’oracolo di Delfi per sapere la causa dell’epidemia; e il dio ha risposto che la città è contaminata dalla presenza dell’assassino del precedente re, Laio. Edipo si incarica in prima persona di far luce sull’omicidio: come primo atto maledice il colpevole, chiunque sia, e gli decreta l’esilio.19 Su consiglio del Coro, ricorre al vate cieco Tiresia. Questi dapprima rifiuta di rivelargli ciò che sa, ma poi, minacciato e pressato dalle domande di Edipo, proclama il terribile responso: Edipo stesso, il grande inquisitore, è l’assassino di Laio e si troverà ad essere fratello e padre dei suoi figli, figlio e marito di sua madre, uccisore del padre cui è successo nel trono e nel talamo nuziale. Edipo accusa il vecchio indovino di congiurare ai suoi danni d’accordo con Creonte, per sete di potere; ma il seme del dubbio si è ormai insinuato nella sua mente. Giocasta cerca di tranquillizzare il marito, lo esorta a non prestare fede ad oracoli e a falsi profeti e gli rivela che, nonostante l’antico vaticinio secondo cui Laio sarebbe morto per mano del figlio e per questo il re avesse fatto esporre il bimbo nato dalla loro unione su un monte, con i piedi legati, Laio è stato ucciso da briganti in un luogo lontano da casa, alla convergenza fra tre strade. Ma Giocasta non rassicura Edipo, anzi le tre strade evocate dalla moglie/madre gli suscitano uno spaventoso ricordo. A sua volta, egli sente il bisogno di raccontare la sua storia: cresciuto da Polibo, re di Corinto, Edipo aveva sempre creduto di essere suo figlio, ma dall’ingiuria di un coetaneo, che lo aveva chiamato bastardo, era stato indotto a interrogare l’oracolo di Apollo. Questi aveva eluso la sua domanda, tuttavia gli aveva predetto che sarebbe diventato l’assassino del proprio padre e il marito della propria madre. Per sfuggire

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