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Sofocle Aiace: a cura di Pio Mario Fumagalli
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E-book270 pagine3 ore

Sofocle Aiace: a cura di Pio Mario Fumagalli

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Info su questo ebook

Prendendo le mosse dal mito e dal materiale epico, Sofocle crea nell'Aiace il primo dei suoi eroi solitari, imponenti e inflessibili, che rimangono fedeli fino alla fine alle proprie idee e alla propria concezione della vita: in questo caso ai principi della "cultura di vergogna", al senso dell'onore, alla morale pubblica e competitiva della civiltà arcaica. Quando, dopo la crisi di follia, l'eroe torna in sé, comprende che non c'è più spazio per lui fra gli uomini, neppure fra i pochi che lo amano. La scelta dell'autoemarginazione e del suicidio è l'unica possibile per l'ultimo degli eroi "puri". La sua lontananza da tutto e da tutti è incolmabile, la frattura fra Aiace e il mondo è ormai insanabile: egli non cede ai compromessi, non ammette conciliazione con il nemico. Gli altri personaggi, più moderni, più attuali, sanno piegarsi di fronte agli eventi o mediare con l'avversario (gli Atridi che rappresentano la tracotanza un po' ottusa della democrazia radicale; Odisseo, il politico pronto alla flessibilità, al compromesso): per Aiace non c'è più posto in una società di questo tipo; diversità, rigidità di principi, isolamento sono le categorie che caratterizzano l'eroe, un uomo d'altri tempi. E anche quando il percorso terreno dell'eroe è compiuto, nel dibattito relativo alla sua sepoltura, Aiace rimane, pur in "absentia", il protagonista assoluto del dramma.
LinguaItaliano
Data di uscita23 gen 2015
ISBN9788890983436
Sofocle Aiace: a cura di Pio Mario Fumagalli

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    Anteprima del libro

    Sofocle Aiace - Pio Mario Fumagalli

    9788890983436

    INTRODUZIONE

    Problemi di datazione

    Aiace è considerata la più antica fra le sette tragedie sofoclee pervenuteci e viene solitamente datata prima della rappresentazione dell’Antigone1, tra il 456 e il 446. Se si tiene conto della presentazione negativa degli eroi spartani, Agamennone e Menelao (nel 446 era stata conclusa fra Atene e Sparta una pace trentennale, che si rivelò assai precaria) e di un probabile riferimento a Temistocle, morto intorno al 460, si potrebbe ragionevolmente supporre che la tragedia sia stata messa in scena intorno al 450 a.C. Ma Ugolini2, in un’analisi in chiave politica della tragedia, propone una datazione più circoscritta, fra il 446 e il 444, che ora sembra la più accreditata. Lo studioso evidenzia il possibile nesso fra le valenze politiche della tragedia e l’impegno sofocleo, nella seconda metà degli anni quaranta, nella vita politica ateniese, quando il poeta accettò cariche pubbliche di una certa importanza: nell’hypothesis I all’Antigone viene affermato che, proprio in seguito alla rappresentazione dell’Aiace, Sofocle fu ritenuto degno della strategia. Il personagio, a livello civico, aveva in realtà una certa importanza, in quanto era celebrato come eponimo di una delle tribù formate da Clistene, l’Eantide, importanti personaggi, come Milziade e Cimone,rivendicavano la loro discendenza dai figli dell’eroe, Eurisace o Fileo.

    1 Rimane però ancora aperta la questione dell’anteriorità o posteriorità dell’Aiace rispetto all’Antigone, rappresentata nel 442 o 441. Tuttavia ormai si tende generalmente a considerare Aiace la più antica fra le tragedie pervenuteci.

    2 G. Ugolini, Aspetti politici dell’Aiace sofocleo, in QS, 42, 1995.

    Il dramma ha una struttura a dittico (come Antigone e le Trachinie): nella prima parte della tragedia la figura centrale è quella di Aiace, la cui vicenda culmina nel suicidio (vv. 1- 865); la seconda parte è dedicata agli esiti che l’episodio del suicidio proietta sulla comunità greca e al dibattito sulla sepoltura (vv. 866-1420). Tale struttura, come vedremo meglio in seguito, non inficia l’unità concettuale della tragedia.

    Dall’epos alla tragedia

    Aiace era una figura familiare al pubblico ateniese, che lo considerava uno dei protettori della città: a Salamina sorgeva la sua tomba e ogni anno si svolgevano sacrifici in suo onore. La sua storia di eroe senza macchia e senza paura era stata narrata nell’Iliade, e nell’Odissea la sua anima altera e silenziosa si aggirava nell’oltretomba, rifiutando di rivolgere la parola a Odisseo; nell’Etiopide e nei Piccola Iliade dei poeti ciclici Arctino di Mileto e Lesche di Chio (VIII e VII sec. a. C.) si raccontava la contesa per le armi di Achille, la follia di Aiace, il suicidio.

    Ma nel V secolo la situazione storica e culturale era notevolmente cambiata: il rapsodo che cantava le gesta degli eroi non esisteva più; il poeta non parlava più in terza persona; la funzione ricreativa e soprattutto di trasmissione culturale dell’epos andava svanendo. - E. A. Havelock3 sostiene che i poemi omerici erano stati un mezzo di educazione istituzionale, che non si limitavano a trasmettere valori e regole generali di comportamento: accanto a ciò, trasmettevano un intero patrimonio di informazioni tecniche, che andavano dalla descrizione delle regole per l’allestimento dei banchetti a quelle per la partenza e l’arrivo delle navi in porto, fino alle

    3 Eric A. Havolock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, trad. it., Bari 1995.

    prescrizioni per la costruzione di una zattera, e si potrebbe continuare a lungo ad elencare. D’altra parte, una civiltà che ignorava i documenti scritti non poteva ricevere un’educazione, non poteva acquistare il senso di un’identità collettiva e la percezione di appartenenza se non attraverso la poesia trasmessa per via orale. Omero era stato dunque, tout-court, l’educatore dell’Ellade.

    Nella tragedia il mito viene reinterpretato e questa operazione assume risonanze e valenze nuove e inaspettate: una ed una soltanto poteva essere la chiave di lettura dell’epos, molte invece appaiono quelle della tragedia, che è un’esecuzione orale, ma definita da un testo scritto.4 I poemi epici avevano fornito i popoli di lingua greca di una precisa identità morale, politica e storica; la tragedia attica divenne erede delle funzioni culturali svolte fino ad allora dai poemi omerici, ma in modo completamente diverso, nel senso che i cittadini trovarono nella tragedia la possibilità di riconoscersi e individuarsi come

    pol‹tai di una pόliς, ed è probabile che gli Ateniesi del V secolo furono i primi, durante la rappresentazione delle tragedie, a riconoscere in tali opere una forma di lettura dell’epos e, di conseguenza, una sorta di commento al loro nόmoς e al loro ἔqoς. Incontestabile è dunque lo spessore

    politico, in senso lato, della tragedia, sebbene essa non scenda

    mai nei particolari della cronaca e non faccia quasi mai allusioni a personaggi attuali (al contrario della commedia); la tragedia semmai si muove sempre sul piano della trascendenza, senza la quale verrebbe a mancare la sua essenza, la tragicità. Come ha notato un filosofo di notevole statura, K. Jaspers, "Anche nella superba sfida dell’affermazione di sé, rovinando di fronte agli dèi e al fato, c’è un elemento di trascendenza

    4 Ch. Segal, Interpreting Greek Tragedy, QUCC, 1989.

    verso l’essere, verso la vera essenza dell’uomo, che nella caduta sperimenta se stessa".5

    Il poeta tragico, al contrario degli aedi, ha pensato e definito prima ogni cosa; la sua storia assomiglia forse a quella di Edipo e di Tiresia, è la storia di un doppio sguardo o di un doppio linguaggio, di un ‘retroscena’, di qualcosa di nascosto dietro o al di sotto.6 Egli perciò non può essere considerato maestro di verità, non può avere, come l’aedo omerico, un suo formulario,un sistema simbolic convenzionale7per esprimere valori o norme assoluti: semmai proprio per mezzo di un linguaggio ambiguo e polisemico, con una tecnica ben lontana da quella dell’epos (e senz’altro più sofferta), il poeta tragico rappresenta questo doppio, questo sorta di continuo mutamento fra l’essere e l’apparire, che esprime l’inquietante e misteriosa dinamica dei sentimenti e della mente umana.

    Concludiamo queste brevi note con una considerazione di Havelock8 a proposito della lingua e dello stile della tragedia in rapporto all’epos: " Il dramma non poteva essere che poetico e i suoi autori erano considerati come poeti piuttosto che come drammaturghi. Il coro costituiva un elemento originale e centrale. Come sostituzione alla declamazione epica, esso presentava il grande vantaggio che la mimesi del linguaggio poteva essere rafforzata dalla mimesi della danza, e che la mimesi della melodia e del ritmo potevano essere sfruttati molto più ampiamente dell’esametro cantato. Nell’esibizione del coro venivano convogliati una massa di commenti di carattere sociale, prescrittivi e valutativi, che reiteravano e

    continuamente riassumevano il nόmoς e l’ἔqoς della comunità civile, stabilendo la correttezza e la proprietà degli

    5 K. Jaspers, Del tragico, trad. it., SE, Milano 2008.

    6 Ch. Segal, op. cit.

    7 L’espressione è di Segal, cit.

    8 Op. cit.

    atteggiamenti. Il dialogo prese dalla retorica di Omero la sua caratteristica forma d’invettiva e di ammonizione, consigliando, commentando, ordinando, esortando, pregando, denunciando, invitando al pentimento, esponendo con forza quello che doveva essere accettato e quello che bisognava evitare, esprimendo i comportamenti estremi della reazione maschile e femminile, drammatizzando i loro premi e i loro castighi. Infine il ‘mito’ di ciascun dramma, collocando la trama in un immaginario ed eroico passato, continuava il principio della fantasia omerica, rivestendo di un’aura di arcaismo il messaggio contemporaneo. Ma tutto ciò doveva essere fatto nel dialetto attico, con l’aggiunta di un po’ di dorico nei cori, per dare al tutto un tocco di solennità".

    Aiace nei poemi omerici e nel Ciclo troiano

    Nell’Iliade, come è noto, ci sono due guerrieri di nome Aiace: il figlio di Telamone, spesso chiamato Aiace maggiore e il figlio di Oileo, detto Aiace minore. La semplice denominazione di Aiace indica il Telamonio. Quest’ultimo è considerato come il più forte eroe greco dopo Achille. Dalla patria Salamina è giunto a Troia, dove ha scelto come luogo per porre la sua tenda l’estremità dell’accampamento, lungo la riva del mare. Per tredici libri, dal IV all’VIII e dall’XI al XVIII sono narrate le sue gesta gloriose.

    Aiace è così presentato nel II libro dell’Iliade: Ma ora, tu dimmi, o Musa, quali sono i migliori fra gli uomini e fra i cavalli che seguono i figli di Atreo […] Tra i guerrieri, Aiace, figlio di Telamone, è il più forte finché dura l’ira di Achille9. E nel libro seguente, durante la teichoskopίa, Priamo chiede ad Elena: E quest’altro guerriero acheo, nobile e grande, che supera tutti gli Argivi con la testa e le ampie spalle, chi è?";

    9 Iliade, II, vv. 761-62; 768-69.

    risponde Elena: Quello è Aiace gigantesco (pelώrioς), baluardo (ἕrkoς) dei Danai.10Anche gli epiteti che l’autore dell’Iliade attribuisce ad Aiace tendono a sottolinearne la forza fisica, la potenza, la grandezza: egli non ha scelto la gloria, bensì è stato educato dal padre a identificare l’onore con la gloria; forse per questo ad alcuni è parso, rispetto ad Achille, un eroe più umano, più vero, più sofferto. Aiace combatte senza dubbio anche per se stesso, ma non assume, come Achille, atteggiamenti esasperatamente individualistici; mi sembrano significative le parole che rivolge al fratello Teucro: "Caro mio, deponi l’arco e le frecce perché vane le ha rese un dio che odia gli Achei: prendi invece in mano la lunga asta, mettiti lo scudo sulle spalle, e battiti con i Troiani, esorta anche gli altri guerrieri. Che non prendano senza fatica, se ci sconfiggeranno, le navi dai solidi scalmi: ritroviamo il nostro

    coraggio" (cάrmhς, cfr.caίrw, è la gioia che proviene dal combattere, l’entusiasmo o il piacere della battaglia)11. Aiace ha una linea di comportamento che non è tanto prescritta dal

    nόmoς quanto piuttosto suggerita dal suo istinto morale, da quell’aἰdώς che è insito nella sua natura di ἀnήr, cioè di eroe. E quando si trova presso le navi, l’eroe grida ai suoi compagni: Vergogna, Argivi; ora è sicuro: moriremo o ci salveremo e allontaneremo il disastro dalle navi12 ed è fermamente

    convinto che se gli uomini hanno dignità (aἰdomέnwn d’ἀndrῶn), sono più i vivi che i morti; ma se si danno alla fuga, non c’è più gloria (klέoς) e neanche difesa13. In questa frase è sinteticamente racchiusa l’antropologia dell’eroe omerico, che non fugge mai davanti al nemico, che ricerca la

    10 Il., III, 226-27 e 229.

    11 Il., XV, 471- 477.

    12 Il., XV, 502-503

    13 Il. XV, 563-564.

    gloria, che non teme la morte, ma semmai la riprovazione sociale, il biasimo della collettività, il disprezzo dell’opinione pubblica. Insomma, nei poemi omerici, vige quella che Erich Dodds, in una saggio ormai classico14, chiamava shame culture, cultura di vergogna, cioè quella in cui l’adeguamento alle regole non è ottenuto attraverso l’imposizione di divieti (questa è la guit culture, cultura di colpa), ma la proposizione di modelli di comportamento (e coloro che non vi si adeguano incorrono nel biasimo sociale).

    Ma, per quanto concerne l’argomento della nostra tragedia, ci interessa soprattutto il cosiddetto Ciclo Troiano. Esso comprendeva, fra l’altro, l’Etiopide, che raccontava l’arrivo delle Amazzoni, guidate da Pentesilea, e poi uccisa da Achille. Nella seconda parte di questo poema - ed è questo che ci interessa- vi era la descrizione della morte di Achille, colpito da una freccia di Paride (aiutato da Apollo). Seguivano le esequie e i giochi funebri in onore di Achille, e infine la contesa fra Odisseo e Aiace per le gloriose armi dell’eroe la cosiddetta ὄplwn krίsiς, giudizio delle armi.- Nella seguente Piccola Iliade, Odisseo otteneva le armi di Achille e Aiace, impazzito, si suicidava. Il poema continuava, ma quello che ci

    interessa è contenuto in queste due parti dell’Etiopide e della

    Piccola Iliade. 15

    Passiamo all’XI canto dell’Odissea. Odisseo si trova nell’oltretomba e si imbatte nell’ombra di Aiace, il cui rancore si mostra inestinguibile: infatti l’ombra dell’eroe si rifiuta di rivolgere la parola a Odisseo, che considera il responsabile

    14 The Greecks and the Irrational, Berkeley 1951, tradotto in italiano con il titolo I Greci e l’irrazionale, Firenze 1959.

    15 Facevano parte del Ciclo troiano anche le Ciprie, la Distruzione di Ilio, i

    Ritorni e la Telegonia.

    della propria tragica fine, rivelandosi capace di un astio e di un risentimento che si protrae oltre la morte. In questo episodio, tuttavia, non si trovano accenni né alla follia di Aiace né alla strage del bestiame, che furono quasi sicuramente una brillante e fortunata invenzione di Sofocle. Per questo si può considerare quest’episodio dell’Odissea come un interessante documento che esplicita le caratteristiche del debito del poeta (e dei poeti tragici in genere) nei confronti dell’epos omerico: esso fu per essi una miniera a cui attingere con ammirazione e rispetto, senza tuttavia limitare la loro libertà creativa e interpretativa.

    Soffermiamoci sui vv. 541-567 dell’XI libro. Mentre le altre anime erano riunite, Sola, l’anima di Aiace, figlio di Telamone, se ne stava in disparte piena di sdegno a causa della vittoria che io avevo riportato su di lui nella contesa presso le navi per le armi di Achille16 (l’io-narrante è, ovviamente, Odisseo). Sappiamo che le aveva messe in palio la madre dell’eroe, Teti, che, dopo la sua morte, voleva che toccassero all’eroe acheo che più di tutti aveva contribuito a portare in salvo il cadavere di Achille. Agamennone, per scrupolo d’imparzialità, aveva affidato il giudizio ai prigionieri troiani; ed esso si era concluso, per ispirazione di Atena, con l’ingiusta vittoria di Odisseo. Aiace, dopo aver tentato invano di vendicarsi, si era sdegnosamente ucciso. Il brano così prosegue: Le mise in palio la veneranda madre, e giudicarono i figli dei Troiani e Pallade Atena. Oh, se non avessi mai vinto in tale contesa! Un eroe così grande a causa di quelle armi la terra coperse, Aiace, il quale per aspetto e per imprese era superiore a tutti gli altri Danai dopo il nobile Pelìde.17 Il testo, per la verità non chiarissimo, rievoca sinteticamente le vicende drammatiche che, narrate nell’Etiopide e nella Piccola Iliade, sono poi riprese nell’Aiace di Sofocle e attestate nella

    16 Odissea, XI, 543-546.

    17 Od., XI, 546-551.

    letteratura posteriore da Strabone (VIII, 1, 30), da Pausania (I, 35), dall’Anth. Pal. (IX, 115 e 116), e inoltre suggestivamente evocate da Ugo Foscolo, quando immaginava che il giovane Pindemonte potesse aver udito suonar dell’Ellesponto/ i liti, e la marea mugghiar portando/ alle prode retèe l’armi d’Achille/ sovra l’ossa d’Ajace. 18

    Odisseo, da parte sua, rinnega la falsa vittoria e proclama la superiorità di Aiace, al quale rivolge queste parole: Aiace, figlio del gran Telamone, e così neppure dopo morto avresti scordato il rancore contro di me per le armi funeste? Quelle armi che gli dèi diedero come sciagura agli Argivi: un tale baluardo è crollato per loro con te! E nessun altro fu la ragione, se non Zeus: terribilmente ebbe in odio l’esercito dei Danai armati di lancia e impose a te questa morte. Orsù, vieni qui, o signore per ascoltare il mio racconto e la mia parola! Vinci il tuo sdegno e il tuo animo duro!.19

    Odisseo parla a lungo con disperata sincerità, perché quelle armi che non gli spettavano (e che forse non voleva), ma che gli sono state assegnate come una maledizione, egli doveva respingerle allora, e non lo ha fatto. Adesso lo tormenta il rimorso , ma invano: il passato è irrevocabile e l’unica risposta possibile per Aiace è il silenzio: Così dissi, ma egli nulla mi rispose, e si avviò verso l’Erebo tra le altre anime dei morti defunti20. Questo silenzio di Aiace è eloquente, significativo, vorrei dire assordante. Già E. Bignone21 affermava che il silenzio di Aiace appartiene a quelle magie poetiche che egli giustamente definiva talento di omissione. Ma molto prima l’Anonimo Del Sublime aveva indicato questi versi come un

    18 U. Foscolo, Dei Sepolcri, 217-219.

    19 Od., XI, 553-562.

    20 Od., XI, 563-564.

    21 E. Bignone, Teocrito, 1934.

    modello di originalità: il silenzio di Aiace nella Nekyia è una grande invenzione, più alta di ogni parola.22

    Argomento e struttura dell’Aiace di Sofocle.

    Nell’Aiace Sofocle mette in scena l’ultimo giorno di vita dell’eroe, come nelle Trachinie il giorno della morte di altri due personaggi mitici: Eracle e Deianira.

    Nel prologo compaiono sulla scena la dea Atena e Odisseo, da lei sorpreso mentre si muove circospetto nella notte presso la tenda di Aiace. Il dramma si apre dunque come un’inchiesta che cerca

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