Alexander e il segreto del manoscritto
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Anteprima del libro
Alexander e il segreto del manoscritto - Fabrizio Alvarez
DIODATI)
Il passaggio ad Israele e il ritrovamento del fratello Ottavio
Correvo ed era il tramonto. In quei giorni che erano trascorsi, le nostre imprese sembravano ormai un sogno. Ma era finito veramente tutto? Mi continuava a tormentare questa domanda, mentre scorgevo il sole che pian piano si defilava dinanzi ai miei occhi.
Il mio cavallo al galoppo sfrenato sembrava avere le idee molto più chiare delle mie, chissà dove mi avrebbe portato questo tramonto e che alba avrei trovato il giorno che stava per arrivare.
Ma non fuggivo, ero alla ricerca della verità, così strinsi forte le briglie intorno ai dorsi delle mani e presi coraggio, l’istinto del cavaliere prese il sopravvento, dovevo tornare in me con i sensi e con lo spirito. Sapevo che circa un miglio più a nord, potevo trovare difesa, nascondiglio e riposarmi un po’ per trascorrere la notte. Arrivato vicino ad un abbeveratoio, scesi da cavallo per far abbeverare Horse wise, mi scrutai intorno, era il posto che cercavo pensai, mi tolsi il mio elmetto da combattimento, e mi adagiai presso la falda scoscesa di un albero, che avrebbe accolto i miei estenuanti pensieri.
Avevo con me della frutta secca, un pezzo di focaccia e dell’acqua. Mi ristorai un po’ e ripresi le mie forze, dovevo sistemarmi per la notte: mi strinsi addosso al mio corpo la mia spada con i due pugnali, ed il silenzio della notte un po’ alla volta mi fece riposare qualche ora.
L’alba del mattino e la freschezza dell’aria mi svegliarono molto presto, e lentamente osservai il meraviglioso paesaggio intorno a me, che la rugiada ancora copriva delicatamente, ma i colori della natura esplosero all’improvviso.
Ero arrivato fino a Costantinopoli, e più a nord a circa dieci miglia c’era il mare. Rimasi ad osservare in silenzio, l’aria soffiava verso nord, e sfilava via accarezzando i fili d’erba, come era stato il cammino intrapreso da me la sera scorsa.
Quindi ora dovevo ritrovare i miei compagni, che come me avevano disperso le loro tracce dopo una lunga battaglia contro i soldati israelitici.
Proprio così: abbiamo lottato contro i soldati di Israele per circa un mese, e la battaglia si spinse sempre più verso nord, è molto probabile che i soldati siano morti e la battaglia sostenuta da noi sia stata vinta. Dovevo a questo punto andare alla ricerca degli otto cavalieri che stavano con me, e per farlo non potevo rimanere ancora molto in questo posto, poiché, probabilmente, anche loro erano alla mia ricerca, così presi il mio equipaggiamento e rimontai in sella.
Pensai subito di dirigermi dalla parte da dove ero arrivato, quindi verso sud, e rifare il cammino inverso, per scorgere meglio con la luce del giorno le zone e i sentieri percorsi. Quindi mi dirigevo verso la Syria.
A quel tempo, le pestilenze erano molteplici e colpivano la maggior parte delle persone scaturendo lebbra, infezioni della pelle, fino a giungere molto rapidamente alla morte.
I percorsi che stavo ripercorrendo, in mezzo alla natura, mi ricordavano i giorni passati, dove le guerriglie avevano sterminato centinaia di vite.
Fino a quel giorno avevamo custodito il segreto del tempio di Salomone
al suo interno, nelle segrete camere. Eravamo stati commissionati da papa di combattere contro ogni forma di affronto e rivendicazione.
Si trattava di un manoscritto, il quale aveva all’interno un segreto, e se fosse finito nelle mani sbagliate avrebbe rivelato al mondo le imprese nei secoli trascorsi dei sapienti Egiziani.
Correva l’anno 1125 d.c. e noi cavalieri templari, che con spirito devoto al nostro Dio onnipotente avevamo giurato che sarebbe stata sempre osservata la giustizia, non potevamo esiliarci e mandare in rovina questo enorme monumento storico, che poteva far tremare il mondo intero se fosse stato divulgato da mani inette e incapaci.
Dunque con audacia, eravamo chiamati ad operare per conto del Dio d’Egitto nella pace come nella guerra.
In quel momento sapevo che i soldati delle gerarchie d’Egitto erano ormai assediati in ogni dove, quindi dovevo far attenzione, proseguendo con prudenza e destrezza, reo dei giorni precedenti.
Quindi avanzavo al galoppo con in dosso soltanto l’armatura nera, per non destare sospetto tra i soldati. Con le ore che passavano, il cielo si stava pian piano velando e addensando di nubi che non promettevano nulla di buono, ma non potevo distogliere l’attenzione da tutto quello che mi circondava.
Ero ormai arrivato ad Israele e il paesaggio intorno a me era devastato, vedevo in lontananza ruderi e casali saccheggiati, devastati e stancati dalle guerriglie.
Sapevo che il cammino era ancora molto lungo e più passava il tempo più cercavo di escogitare un piano di difesa allorché i soldati d’Israele avessero osato violenza contro di me. Il territorio mi metteva a disposizione delle zone di riparo e di difesa e non era una defezione, potevo contare su un po’ di fantasia ed astuzia.
Tra le molteplici devastazioni, mi avvicinai per scorgere qualche persona, mi ero addentrato in un piccolo borgo che contava ad occhio qualche centinaia di abitanti, ma da subito non notai nessuno, anche se in lontananza sentivo come un rumore di pietre che urtavano contro qualche cosa, così scesi da cavallo, ed Horse wise lo legai ad una staccionata, mi incamminai lungo un viale di pietra scura davanti a me, il cielo che si incupiva sempre di più e l’umidità dei muri raffreddavano sempre più il mio umore, ero pronto a trovarmi di fronte ad una nuova guerriglia.
Percorsi con passo adagiato circa cento metri, e passato sotto un arco con al centro raffigurato il fregio israelitico, si aprì davanti ai miei occhi una piazza con al centro tre uomini vestiti color marrone, capelli lunghi e folti barbe, erano gli Israelitici
pensai, ma non seppi da subito se erano i devoti di Gerusalemme o appartenenti alle gerarchie che contrariavano la legge di Dio.
Mi avvicinai e gli chiesi:
«per favore sapete dirmi quanto dista da qui il casale Beaufort
?»
Tutti e tre mi guardarono, e mentre stringevano in mano degli scalpelli con cui stavano scolpendo una roccia, mi dissero:
«mancano ancora quaranta chilometri verso sud signor! Prima incontrerà il casale Sidon
e poi sulla sinistra c’è Beaufort
.»
Pensai che non erano del mio stesso Dio, glielo leggevo negli occhi, ma ringraziai e me ne tornai verso il viale raggiungendo il mio cavallo,
quando d’improvviso mi chiamarono e uno dei tre mi disse:
«signor … la vediamo affaticato»!
«Sta’ andando con molta premura verso Gerusalemme.»
Mi fermai, mi girai e risposi:
«sì, sono alla ricerca di una persona.»
mi dissero:
«forse possiamo aiutarla noi.»
Avanzai verso di loro e dissi:
«non credo sappiate comprendere ciò che sto cercando! È una lunga storia.»
Ed uno dei tre esclamò:
«be noi abbiamo tempo Signor.» (e risero).
Ad un passo dal primo, presi uno dei miei pugnali, che indossavo sotto al bracciale ferrato dell’avanbraccio sinistro senza farmi vedere e all’uomo che mi si era imposto davanti, gli afferrai il collo, gli misi il pugnale sotto la gola e gli dissi:
«se hai peccato con gli occhi, meglio entrare nel regno di Dio senza.»
e me ne andai.
Erano rimasti di sasso, ed io ripresi a camminare verso Horse wise tra lo sdegno, mi rimisi in sella e proseguii verso sud, sapevo che li avrei rincontrati da lì a qualche giorno, sì… probabilmente si sarebbero rifatti vivi, ma in quel momento non volevo far scaturite una colluttazione, non erano soldati, ed io non uccidevo per conto del mio Dio, ma soltanto nella guerra contro ogni forma di male e sopraffazione.
Tra i massi e le rocce cadute in terra, mi rincamminai verso sud ed ero ormai alle porte di Gerusalemme, al galoppo feci ancora molta strada, pensai che avrei passato un'altra notte a dormire sotto le stelle.
Nel cammino d’un tratto vidi una casa colonica, sembrava ancora abitata, giunto fin sotto le mura mi fermai, sì…. riuscivo ad intravedere dei candelabri ancora accesi, con candele lacrimanti di cera, che fiocamente illuminavano le mura interne.
Da lì a poco sarebbe sopraggiunto il crepuscolo, ed io scesi da cavallo pensando