All'alba saremo liberi
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La stessa speranza rimane sospesa nel tempo, sepolta dal peso della tanta polvere respirata nelle gallerie del lager e dai ricordi che quel giovane militare, divenuto nonno, non ha mai voluto svelare, come se non farsi mai notare in nessun modo, resistendo e cercando il più possibile di non pensare a ciò che doveva subire non fosse solo una delle regole di sopravvivenza principali di Dora-Mittelbau, ma servisse anche per sopravvivere dopo quella tragica esperienza. D’altronde, al campo ognuno poteva pensare solo a se stesso se voleva uscirne vivo, e forse, per Antonio, tenere per sé quella storia vissuta ha rappresentato un modo per farla scomparire e far sì che, insieme al ricordo, anche la sofferenza si affievolisse.
"… quando tutto fu pronto, il convoglio iniziò la sua lenta marcia". Una marcia inesorabile che si svela pian piano agli occhi della nipote di Antonio, Deborah, che grazie anche ad approfondite ricerche d’archivio, riesce a ricostruire il dramma raccontato dal nonno, spazzando così via la polvere dell’oblio.
Antonio non poté mai dimenticare il campo Dora, ma sessant’anni dopo la liberazione Antonio ebbe la forza di raccontare la sua storia e di tornare in Germania, al Dora. Questo racconto ci accompagna tragicamente in quel ritorno, facendoci rivisitare i luoghi, i momenti, e le vite che hanno caratterizzato uno dei momenti più cupi della storia e dell’evoluzione dell’uomo.
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Anteprima del libro
All'alba saremo liberi - Deborah Muscaritolo
All'alba saremo liberi
edizione aggiornata
Un racconto biografico di
Deborah Muscaritolo
Editing e impaginazione:
R. D. Hastur
Copertina:
Laura Soriani
Presentazione a cura di:
Elvis Mazzoni
ISBN: 978-88-6817-022-6
Prodotto e pubblicato da:
per conto di:
Associazione Culturale KREATTIVA
Via Primo Maggio, 416, 41019, Soliera (MO)
Tel. +39 3316113991 – +39 3392494874
Cod. Fisc. 90038540366
Partita IVA 03653290365
©2015 Eclypsed Word per Associazione Culturale KREATTIVA
Tutti i diritti riservati
Indice
All'alba saremo liberi
Introduzione
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Nota dell'autrice
Elenco Note
APPENDICE
Il campo Dora: dalla Liberazione ad oggi
Breve Storia delle V1 e delle V2
BIBLIOGRAFIA
FONTI WEB
RINGRAZIAMENTI
Deborah Muscaritolo
All'alba saremo liberi
Il racconto biografico di Antonio Muscaritolo,
deportato militare del lager di Dora
Edizione Aggiornata
A te, nonno,
che hai trovato la forza di raccontare.
Ancora una volta le tue parole,
insieme alle mie,
narrano la tua storia.
A tutti coloro
che hanno vissuto a Dora
e a chi vi ha lasciato la vita.
Introduzione
Quello che leggerete non è un saggio storico ma il racconto di una storia vissuta, per usare le parole con cui l’ha definita il suo protagonista, mio nonno paterno, Antonio Muscaritolo. È la testimonianza di un uomo che appena ventenne è stato deportato in Germania nel Lager nazista Dora-Mittelbau, nel quale ha trascorso due drammatici anni, dal 1943 al 1945, per la sola sfortuna di essere un giovane militare nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
La tragicità della vicenda ha rappresentato un vero e proprio trauma per lui e tutti deportati dei Lager¹, che li ha accompagnati per tutta la vita. Tra gli effetti di questo trauma vi è il fatto che per sessant’anni Antonio ha tenuto questa storia dentro di sé, senza raccontarla a nessuno e tentando di dimenticare, pur sapendo che non ci sarebbe mai riuscito. Dopo il rimpatrio in Italia nel 1945, inoltre, ha dovuto subire, come gli altri militari, un ulteriore colpo che ha influito su questa sua decisione di non raccontare l’esperienza del Lager, ovvero quello di non essere creduto e di non vedere riconosciuti i propri sacrifici.
Nei miei ricordi c’è un nonno amorevole e premuroso, ma allo stesso tempo ricordo i suoi sguardi a volte sfuggenti o fissi nel vuoto, i suoi silenzi, le sue passeggiate in solitudine, il suo sorriso solo accennato, tutti aspetti di cui mi ero sempre chiesta il motivo. Solo dopo aver saputo la sua storia, nel 2003, l’ho capito e da quel momento ho sentito la necessità, il dovere e la responsabilità di scriverla, per trasmettere la testimonianza di quanto accaduto ed evitare che cada nell’oblio con il passare degli anni e per dare a mio nonno quel riconoscimento che merita per i suoi sacrifici e che purtroppo raramente aveva avuto. Questo racconto è rivolto in particolar modo ai giovani, i quali, come ho potuto osservare attraverso la mia esperienza di insegnante, percepiscono sempre piùcome molto lontano da loro il periodo della Seconda Guerra Mondiale (anche se poi così lontano non è), mentre è necessario, invece conoscere il passato che ci ha preceduti ed evitare che si ripeta ciò che è accaduto in quegli anni.
I frutti delle mie ricerche personali negli archivi storici (condotte non come ricercatrice professionale storica ma come nipote che cerca di ricostruire nel dettaglio e documentare gli eventi raccontati), delle letture inerenti l’argomento e delle mie visite nei luoghi in cui sono accadute le vicende, hanno portato alla pubblicazione non solo della prima edizione di questo libro ma anche a questa nuova e necessaria edizione aggiornata. La storia vissuta da Antonio a Dora si presenta qui, infatti, arricchita di nuovi dettagli ed estratti da nuovi documenti rinvenuti, che hanno permesso una ricostruzione dei fatti più esatta e per alcuni aspetti nuova. Nel momento in cui ho potuto utilizzare dati riportati anche nella documentazione relativa alla prigionia di Antonio reperita negli archivi storici ne è stata citata la fonte in nota durante la narrazione. Ove questo non sia stato possibile per mancanza di atti scritti del periodo della deportazione ho fatto riferimento ai ricordi e al racconto di Antonio e, quando possibile, a testimonianze di altri deportati dello stesso campo di concentramento che hanno vissuto le medesime situazioni.
Un’ultima osservazione riguarda le scelte stilistiche da me compiute, che rimandano alle problematiche che ho dovuto affrontare nella scrittura di questo testo. Come testimone, non avendo vissuto l’esperienza del Lager, ho scelto di narrare le vicende dall’esterno
(poiché è tale la posizione che sento di occupare rispetto al racconto di questa storia) e quindi di utilizzare una narrazione in terza persona che mi permettesse di distaccarmi dagli eventi e di fornire una descrizione più oggettiva possibile, pur cercando di trasmettere, in misura maggiore in questa edizione, l’emotività indissolubilmente legata agli aspetti narrati. Tra le difficoltà riscontrate vi è anche la scelta delle espressioni più adeguate per descrivere le vicende, le quali, oltre al fatto di non essere state vissute, a volte sono rimaste, e rimangono, in parte o totalmente indicibili per la loro crudezza. Come affermato anche da Sonia Branca-Rosoff, parlando delle stesse difficoltà nel raccontare la storia di prigionia della madre, «è di questo problema di scrittura che io posso dare testimonianza» (qui sì, testimonianza diretta), «non possiamo immaginare; lo sappiamo e dobbiamo tuttavia provare»². Per queste ragioni in alcuni tratti del testo ho volutamente riportato parole o frasi in corsivo: sono le parole di Antonio, quelle usate da lui stesso nella descrizione dei fatti accadutigli, e non ci sarebbero state altre espressioni più eloquenti delle sue per riportarli. Ѐ proprio dal suo racconto, infatti, che è nata questa testimonianza, che mi è stata trasmessa e che ora, a mia volta, tramando.
Deborah Muscaritolo
Capitolo I
Oramai mi ero arresa, sai. Questo non te l’ho mai detto ma ormai ci avevo rinunciato. Con tristezza, perché non ero riuscita a sapere cosa avevi vissuto e non avrei mai potuto avere la possibilità di capirti e conoscerti fino in fondo. Ma la sofferenza che appariva sul tuo viso ogni volta che ti facevo qualche domanda sulla guerra, seppur delicatamente, era più grande e mi aveva convinta a non chiederti più di raccontarmi di quella parte del tuo passato. Avrei conservato quei pochissimi ma preziosi ricordi di bambina che contenevano informazioni minime sulla tua storia, ma che erano bastate a sconcertarmi, e quelle poche parole ermetiche che eri riuscito a dirmi. Mi sarei accontentata di quelli, non erano tutto ciò che volevo sapere ma significavano già tanto: i tuoi risvegli con le urla nel cuore della notte e il tuo racconto accennato di un sogno agitato, ho sognato che un tedesco mi inseguiva e mi voleva sparare
, la mia scoperta improvvisa, un giorno in cui facevamo i compiti insieme, che conoscevi un po’ di tedesco, la mia sorpresa e subito le mie domande, piene di curiosità. Tu, serio, dicesti: Ho lavorato in Germania. Tanto tempo fa. Facevo il muratore
. Lo stupore di quando ho scoperto che conoscevi a memoria l’alfabeto Morse e ti vedevo esercitare la tua abilità giocando con me a decodificare le parole.
Così gli anni passavano e io crescevo, e talvolta ripensavo a quegli episodi ma mantenevo il silenzio che mi ero ripromessa. Finché un giorno mi dicesti: Ti racconto la mia storia …
Erano gli anni che separavano i due conflitti mondiali avvenuti nel secolo scorso. La maggior parte delle famiglie, a quel tempo spesso numerose, conduceva una vita non facile, fatta di fatiche e di duro lavoro nei campi o nell’artigianato per cercare di sostenersi. Le risorse scarseggiavano e venne imposto il razionamento dei beni alimentari. Persino i bambini aiutavano fin da piccoli i genitori nelle campagne e solo pochi di loro ebbero l’opportunità di frequentare la scuola. Tuttavia, anche nei casi più fortunati la disponibilità economica raramente era sufficiente per proseguire gli studi dopo il conseguimento della licenza elementare. In Italia e nell’intera Europa,