Una pecora viola nel profondo Est
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Anteprima del libro
Una pecora viola nel profondo Est - Gianluca Memmi
Gianluca Memmi
Una pecora viola nel profondo est
UUID: 6dc2c972-7531-11e6-a5f6-0f7870795abd
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Indice dei contenuti
Gianluca Memmi
UNA PECORA VIOLA NEL PROFONDO EST
L’eccezionale impresa di essere normali
A mio padre,
che mi ha insegnato l’arte
della comunicazione essenziale e
il modulo all’italiana
***
La incontrai una sera d’estate.
Un lounge bar, terrazza sul mare, musica vintage.
L’afa dell’agosto salentino e il ghiaccio affogato nel rum dei mojito disegnavano sulle camicie le silhouette dei nostri corpi mentre la brezza marina ci regalava istanti di illusorio benessere.
Il volume della musica, non troppo alto, permetteva conversazioni più futili del canto delle cicale. Un sottofondo talvolta fastidioso, un frinio che ti si insinuava nella testa senza che te ne rendessi conto.
Attorno a me, decine di persone di età diverse. Sedicenni che si atteggiavano da trentenni, cinquantenni che cercavano di apparire ventenni. Decine di cloni: stessi vestiti, stesse acconciature, stesse risate idiote.
Era forse l’alcol a rendermi insofferente, o forse l’afa, o forse le cicale.
Scolai il mio bicchiere.
Nel mio campo visivo tutto divenne scolorito e il mio sguardo si focalizzò su di lei.
Capelli castani, un po’ mossi, non troppo lunghi. Grandi occhi marroni fissi verso un ignoto punto oltre l’orizzonte marino. Labbra sottili inumidite da un Vodkatini e mani che giocherellavano con lo stuzzicadenti che infilzava un’oliva.
D’improvviso le cicale interruppero il loro canto e, dalle casse, la calda voce dei Flamingos saturò l’atmosfera sulle note di I Only Have Eyes For You.
Un venticello delicato carezzava i suoi capelli, mentre lo sfondo di luce , dovuto a un lampione acceso alle sue spalle, la rendeva di aspetto divino.
Sbattei più volte le palpebre per essere certo di non sognare.
Mi sembrava di vivere una scena di un mieloso film di Hollywood degli anni cinquanta.
Io William Holden, lei Jennifer Jones.
Intorno a noi nessuno, solo l’aria salmastra e quella musica ammaliante. E, mentre la mia mente si abbandonava ad afrodisiache suggestioni, lei, mia inconsapevole musa, infilò il dito indice nella narice ed estrasse una caccola che appiccicò con disinvoltura sotto il tavolino.
***
Se ne parlava da mesi di fare tutti insieme qualche giorno di vacanza in Salento.
Ne parlavano soprattutto Rosy e Jo, lo avevano saputo da Mary e Dany, che c’erano state l’anno prima: l’estate in Salento è qualcosa di estremamente cool, per via della miriade di locali trendy frequentati da gente fashion.
«Sai perché ci vanno tutti?» Ripetevano. «Perché è un’esperienza da vivere!»
I loro fidanzati, seppur con meno entusiasmo, erano in fondo favorevoli all’idea: «Un posto vale l’altro. L’importante è stare insieme e divertirsi».
Poi c’era l’opinione di Alex: «Salento uguale Movida; Movida uguale Gnagna; Gnagna uguale ZinZin!» Pensiero troglodita, sì, ma di logica indiscutibile.
Io, in fin dei conti, ero d’accordo un po’ con tutti e così, messa la mia quota, mi ero ritrovato, in un umido lunedì di agosto, su un sette posti noleggiato all’aeroporto di Brindisi, direzione Sud.
Fabio, il fidanzato di Giovanna, cioè Jo, aveva prenotato quattro camere doppie in un B&B nell’entroterra.
«Perché non sul mare?» aveva chiesto Rosy.
«Perché costava di più!» era stata la risposta asciutta di Fabio.
«E perché quattro camere doppie se siamo in sei?» aveva continuato un’incalzante Jo, zittita solo dalla muta ma eloquente risposta dello sguardo di Alex.
Eravamo arrivati in serata, accolti da una gentile e anziana signora la cui cordialità rasentava l’invadenza.
Il tempo di una doccia e ci eravamo ritrovati al lounge bar con la terrazza sul mare.
Quella sera avevo continuato a bere fino all’alba e mi ero risvegliato nel letto intorno a mezzogiorno, con addosso i vestiti della sera prima e nelle orecchie la musica dei Beach Boys e il frinio delle cicale.
L’odore forte dei peperoni grigliati che proveniva dalla cucina e i fumi alcolici che tormentavano ancora il mio stomaco stavano rendendo nauseante quel mio primo risveglio salentino.
In quella fase di disgustoso dormiveglia avevo allungato con indolenza la mano verso il comodino per prendere il cellulare.
Quattordici chiamate perse e un sms: «Noi andiamo al mare. Fatti sentire quando ti svegli».
Avevo lasciato cadere con fiacchezza il braccio sul letto emettendo un suono simile a un muggito soffocato dal cuscino. Pensando fosse opportuno fare una doccia, ero rotolato giù dal mio giaciglio e mi ero trascinato verso il bagno, grattandomi la faccia decorata da una barba incolta.
«Buongiorno.»
«Ops… Buongiorno… Mi scusi» - avevo risposto richiudendo la porta, come se fosse normale trovare una donna seduta sul water del proprio bagno.
Soprattutto quella donna!
Dopo qualche istante di disorientamento, a fronte aggrottata avevo riaperto con decisione la porta.
«Che diamine ci fai tu lì?»
«Pipì!» aveva risposto con naturalezza.
«Si, ma… Insomma, tu… » - balbettavo.
«Ti spiace richiudere la porta? Mi sento un po’ a disagio.» era stata la sua serafica replica.
Avevo obbedito con una confusione crescente in testa, prontamente chiarita dalla voce di donna che proveniva dal mio bagno.
«Sei rientrato alle sei ubriaco fradicio e sei letteralmente crollato sul letto. Il mio!» - nel frattempo era uscita sorridendo sarcastica.
«Vuoi dire che…»
«Sì, hai sbagliato camera» - stavo iniziando a capire di aver fatto una pessima figura.
«E vuoi dire che…»
«Sì, hai dormito nel mio letto fino a cinque minuti fa» aveva replicato prendendo della biancheria pulita dal comodino.
«E vuoi dire che…» - era impossibile non incalzare con allusioni crescenti.
Lei mi era passata accanto ed era rientrata in bagno con un sorriso beffardo che valeva più di qualsiasi risposta.
«Forse è il caso che vada in camera mia a prepararmi per il mare» era difficile riempire quell’improvviso silenzio.
«Eh, sì, forse è il caso».
***
Mezz’ora dopo ero in strada, pronto per il mare, al telefono con Fabio che avevo mandato a quel paese dopo pochi minuti spegnendo con uno sbuffo il cellulare.
Ero solo, in un paesino nel cuore del Salento, in pieno agosto, senza un mezzo di trasporto.
«E ora? Che si fa?" – mi ero detto ad alta voce.
«E ora si va al mare, no?»
Ancora lei.
Con quel copricostume dai colori sgargianti, i grandi occhiali da sole e l’ampio cappello, sembrava Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, solo in una versione più colorata, come in un quadro di Andy Warhol.
«È quello che speravo» - avevo risposto.
«Dai entra! » – era stata imperativa mentre saliva a bordo della sua vecchia Panda
Non potevo che obbedire.
Obbedire è il verbo più adatto a un invito che aveva tutta l’aria di un ordine.
Ma, forse per aver involontariamente dormito nel suo letto, forse per le altre gaffe della mattinata, avevo verso di lei un involontario atteggiamento remissivo, come quello di un bambino pentito di una sua marachella e rimproverato dalla madre.
Aveva messo in moto, acceso lo stereo ed era partita per strade che pareva conoscere già molto bene.
Prima di uscire dal paese e prendere la strada