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Nocturna: Suggestioni d'incubo
Nocturna: Suggestioni d'incubo
Nocturna: Suggestioni d'incubo
E-book123 pagine1 ora

Nocturna: Suggestioni d'incubo

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Info su questo ebook

In questa raccolta, terrori classici (il vampiro, la casa stregata, il licantropo...) convivono con nuovi - ma non per questo meno terrificanti - orrori. Così potrete trovare una pianta di vite anomala, un armadio che sopravvive al passare del tempo, un viaggiatore affamato...
Venti brevi racconti, venti storie da brivido che riusciranno ad evocare nel lettore l’emozione più ancestrale: la paura.
LinguaItaliano
EditoreMike Papa
Data di uscita7 mar 2020
ISBN9788835382034
Nocturna: Suggestioni d'incubo

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    Anteprima del libro

    Nocturna - Mike Papa

    https://www.virgiliomago.it

    1° Maggio

    Cominciavo a maledire l’idea che mi era venuta di arrivare fino a Roma in autostop e ad odiare quel cazzone di Ciro che si era tirato indietro poco prima della partenza. I miei ultimi benefattori, una coppia attempata e simpaticissima, mi avevano lasciato al casello di Frosinone ormai quasi due ore prima, la sera avanzava e nessuno pareva disposto a caricarmi per gli ultimi chilometri. Mi stavo rassegnando a trovare un posto al riparo dove passare la notte dentro il mio sacco a pelo, quando un antiquato furgoncino Volkswagen si fermò una decina di metri dopo avermi sorpassato. Era uno di quei furgoni hippy, decorato con fiori colorati e Peace&Love. Sulla fiancata, quando arrivai a tiro, lessi  La locanda di Avalon scritto con caratteri psichedelici. Aprii lo sportello e una signora con i capelli turchesi mi fece cenno di salire.

    «Getta lo zaino dietro» mi disse con un marcato accento inglese «Ma attento agli strumenti.»

    I sedili posteriori del VW erano stati tolti per ricavare uno spazio di carico, ora ingombro di strane custodie. Ubbidii e mi sistemai comodo, per quanto possibile, sul sedile. Solo allora buttai lì un «Grazie mille».

    «Figurati, so cosa significa girare con un sacco a pelo in spalla. Ci puoi giurare. Vai al concerto?»

    «Sì, l’idea è quella. E lei?»

    «Cominciamo a togliere quel lei, per pietà! Mi fa sentire così vecchia… D’altronde ho solo duecentoquarantatré anni!»

    Mi parve di sentire proprio quel numero, quindi mi girai di scatto verso la conducente, che intanto era ripartita.

    «Perché, quanti me ne dai, di più? Spero di meno!» Ed emise un risolino.

    Mi diedi dello stupido, mentre mi affrettavo a dire: «No no, solo che… Niente, un po' di stanchezza… Quindi va anche lei… Vai anche tu al Concertone?»

    «Sicuro, baby, yes! Solo che io sarò sul palco a soffiare dentro il mio carnyx*

    «Suoni? Sul serio?»

    «Suoniamo, sì. Siamo in sette, le meravigliose, sole e inimitabili Locandiere di Avalon! Mai sentite?»

    «Veramente...»

    «No, eh? Non è che siamo così famose. Almeno non qui. Ma dalle nostre parti...»

    Un Suv le tagliò la strada per imboccare l’uscita per Anagni. Lei pigiò sul freno e iniziò a imprecare in una lingua incomprensibile. Nello stesso momento il suo volto cambiò, diventando grigio e rugoso.

    E cattivo.

    La visione durò solo un secondo, ma tanto bastò per farmi serpeggiare sotto la pelle un unico brivido di paura.

    «Ti... dispiace se fumo?» chiesi con la voce un po' roca, cercando di scacciare dalla mente quello che credevo di aver visto.

    «Ma ci mancherebbe altro!»

    Tirai fuori tabacco e cartine.

    «Sei attrezzato, vedo. Guarda, ho dell’erba gallese che è una favola. Che ne dici?»

    «Perché no?»

    Allungò la mano verso il portaoggetti dalla mia parte e, nel farlo, mi sfiorò, non capii quanto per caso, la patta dei pantaloni. Eccola qua, pensai, la romantica donna inglese un po’ in là con gli anni che ci prova col ragazzetto. E adesso come dovrei comportarmi?

    Lei parve leggermi nel pensiero e rimase a guardarmi dritto negli occhi, mentre mi porgeva una scatoletta ovale col coperchio di giada sui cui erano incisi due strani simboli.

    Io arrossii un poco e abbassai lo sguardo, con la scusa di decifrare  le figure sulla scatoletta.

    «Sono rune» mi spiegò sorridendo con malizia «Una rappresenta l’Inferno, l’altra il Paradiso. D’altronde, dopo una buona fumata, non si sa mai dove si può andare a finire, no?»

    «Oh, sicuro! E che musica fate?» chiesi mentre rollavo.

    «Celtica, che altro? Esiste forse qualche genere diverso?»

    «Che io sappia… no, non mi pare» risposi cercando di fare lo spiritoso.

    «Guarda, nel portaoggetti c’è una nostra demo. Puoi prenderla? O devo farlo io?»

    «Veramente ho le mani impegnate.» Vediamo dove vuoi arrivare, bella celta!

    Questa volta si attardò un po’ di più sulla patta, emise un leggero Uh uh! di approvazione e pescò una cassetta. Sul dorso c’era scritto a macchina L.d.A.-DEMO. Qualcuno aveva aggiunto, con una penna rossa e la scrittura incerta, nio.  Ma non ci feci troppo caso, stavo decidendo che avrei ceduto alle avances dell’inglese.

    Lei intanto aveva infilato la cassetta nello stereo. La musica più noiosa che avessi mai sentito inondò l’abitacolo.

    «Vuoi accenderla tu?» le chiesi passandole la canna.

    «Per carità, se tu l’ospite. Fai pure.»

    Tirai due boccate. Era sul serio molto buona, quell’erba gallese, mi arrivò direttamente in testa. Feci altri tre quattro tiri e stavo per passargliela ma mi accorsi che non potevo muovermi. Ero completamente paralizzato, con gli occhi sbarrati a vedere i fari che solcavano la notte che ormai era arrivata senza che me ne rendessi conto. Cercai di parlare ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Un terrore assoluto si impadronì di me.

    «Sei cotto, baby? Direi proprio di sì» sentii dire alla mia sinistra. Solo che la voce non era quella della piacente donna di prima, no, era gracchiante e roca, come quella di una vecchia di… duecentoquarantatré anni!

    «Sai, piccolo, ti ho mentito su quelle rune. Una significa sul serio Inferno, ma l’altra… la potremmo tradurre con Peggio. E se ti stai chiedendo cosa può esserci peggio dell’Inferno… tranquillo, lo scoprirai presto!» La risata che seguì fece rabbrividire tutto il mio corpo inerme. Urlai, ma il grido echeggiò solo nella mia mente.

    L’essere al mio fianco tirò fuori un cellulare mentre imboccava l’uscita per Valmontone: «Bridget, sono io. Avvisa le altre, l’agnello per stasera lo porto io. Che Valpurga** abbia inizio!»

    ~~~

    Ora sono qui, legato ad un palo, in un bosco nei dintorni di Labico. Ai miei piedi ci sono fascine di frasche e intorno sette dannate che ballano al ritmo forsennato di una musica che solo loro possono sentire. Hanno tutte in mano una torcia fiammeggiante, ma l’onore di appiccare il fuoco spetta di diritto all’autista del pulmino. È lei che ha procurato l’agnello!

    *Strumento musicale celtico a fiato  (N.d.A.)

    **In alcune leggende del nord Europa la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio è chiamata notte di Valpurga. Si narra che per l’occasione le streghe escano dai loro rifugi per festeggiare con canti e balli. In nessuno di questi miti si fa cenno a sacrifici umani, ma evidentemente negli ultimi tempi le streghe devono essersi evolute. (N.d.A.)

    Buffet

    Aveva perso la coincidenza per i nove minuti di ritardo accumulati dal Regionale in solo un’ora e mezza di percorso. La galoppata verso il binario 12 aveva avuto il solo risultato di farlo piegare in due per la mancanza di fiato e di rompere una ruota del trolley. Niente da dire, il viaggio verso quello che doveva essere il suo radioso futuro era cominciato nel migliore dei modi!

    Si diresse al tabellone delle partenze, vergognandosi per il rumore che faceva il trolley zoppo: cri-iiii, cri-iiii. La stazione era affollata e piena di confusione, ma nonostante ciò almeno un paio di passeggeri lo guardarono storto, facendolo arrossire. Lesse che il prossimo treno utile ci sarebbe stato alle 14:47, vale a dire da lì a due ore. Porchiddinci!, pensò con stizza, che immensa rottura di scatole. E adesso? Quasi in risposta un borbottare dello stomaco gli ricordò che l’ora canonica del pasto era già passata da un pezzo, quindi si guardò intorno in cerca di un posto di ristoro. Che, come da copione, era all’estremità opposta della stazione, a non meno di cinquanta metri.  Porchiddinci!

    Si avviò con passo lento, cercando in qualche modo di attenuare il cri-iiii, cri-iiii del suo bagaglio, senza nessun risultato. Giunto a due passi dalla destinazione gli venne in mente quello che, intontito dalla fame, aveva serenamente dimenticato: avvertire che sarebbe arrivato in ritardo. Altro giro d’orizzonte a cercare qualche telefono; eccoli là, in pratica di fronte al tabellone delle partenze.

    Ma porchiddinci!!!

    Per un attimo si chiese se avesse potuto chiamare dopo il pranzo, valutò le conseguenze, scosse la testa e tornò sui suoi passi, ricacciando in fondo alla gola un ululato di frustrazione.

    Davanti ai telefoni pubblici la fila era lunga e lenta, e lo stomaco si fece sentire un paio di volte in maniera spropositata. La donna anziana davanti a lui si girò lanciandogli un’occhiataccia, a cui non seppe rispondere che con un’alzata di spalle e diventando roseo in volto.

    Preso possesso della cornetta compose il numero a memoria. Dopo due squilli una voce di donna rispose: «Tesorino, sei tu? Vero che sei tu?»

    «Si, ciccina, sono io.»

    «Oh, lo sentivo col mio cuore. Ma non sei in viaggio?»

    «Sono in stazione, ho perso il treno, porchiddinci!»

    «Evita questo linguaggio scurrile, per il bene del Signore!»

    «Sì, sì, scusami, tesoro. È che...»

    Alle sue spalle qualcuno cominciava già a dar segni di impazienza, un giovane coi

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