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I tempi, il tempo, un tempo - Petunia
I tempi, il tempo, un tempo - Petunia
I tempi, il tempo, un tempo - Petunia
E-book161 pagine2 ore

I tempi, il tempo, un tempo - Petunia

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Info su questo ebook

Questo libro racconta una sensazione dell'autrice.

Presto tutto questo, in qualche modo, accadrà.
LinguaItaliano
Data di uscita2 gen 2023
ISBN9791221455090
I tempi, il tempo, un tempo - Petunia

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    Anteprima del libro

    I tempi, il tempo, un tempo - Petunia - Rita Salvini

    Inizialmente c’era stata una bruma che copriva i prati a perdita d’occhio.

    Poi adagio adagio si era diradata.

    Si poteva scorgere un rigagnolo percorrere longitudinalmente la strada.

    Dopo che aveva smesso di piovere e l’aria ne aveva subito asciugato le parti lisce.

    I punti dissestati della via erano ancora invece colmi di acqua piovana, che ci avrebbe messo un tempo maggiore a svaporare.

    Le casette malmesse ai lati della strada avevano quasi tutte delle corde tese tra una abitazione e l’altra, corde sulle quali erano stesi ad asciugare i panni lavati, che però in quel momento erano ancora fradici di pioggia.

    Alcuni cani camminavano lungo i bordi della strada ed ogni tanto si fermavano davanti alla porta di una casa, abbaiando e chiedendo cibo.

    Dopo avere smesso di piovere, infatti, gli ingressi delle abitazioni erano stati aperti per far uscire l’umidità che si era creata negli ambienti.

    Alcune persone allungavano ai cani qualche avanzo, che questi si affrettavano ad ingoiare, scondizolando felici.

    Reeva Hamilton stava seguendo tutto questo dalle finestre di una palazzina discosta dal gruppo di case cadenti.

    Guardava, senza però vedere, immersa nei suoi pensieri.

    Non era più giovane, tutt’altro.

    Qualcosa stava accadendo.

    Lo sentiva in modo palpabile, come quando si allungano le mani per toccare un oggetto.

    L’oggetto era il passare del tempo.

    Il suo passare, che sino a quel momento aveva considerato come un gomitolo sempre più piccolo, stava rimpolpando il gomitolo, il cui srotolarsi si era fermato e aveva preso ad ingrossarsi.

    Sentiva che le stavano facendo un enorme regalo: il tempo, che è vita.

    Quasi non respirava, assorta in questa condizione, senza vedere praticamente quanto si stava svolgendo oltre i vetri della finestra.

    Chi glielo stava regalando, e perché?

    E perché stavano facendo in modo che ne fosse così consapevole?

    Una voce muta le stava sussurrando qualcosa e Reeva ascoltava stranita.

    Forse perché attendevano che lei facesse qualcosa, che lo impiegasse nel migliore dei modi, ma come?

    Sensazioni e pensieri la attraversavano.

    Il tempo a sua disposizione stava allungandosi, sempre più.

    Cosa poteva dare lei, piccola donna?

    Non possedeva nulla di valore.

    Pensò che volessero che continuasse a scrivere, ecco …. Si …

    Le donavano il tempo perché lei a sua volta donasse al mondo, sotto forma di scrittura, tutto quello che ancora conservava nello scrigno del suo cuore.

    Avrebbe avuto tutto il tempo sufficiente per poter donare al mondo i gioielli di quello scrigno.

    Non erano pietre preziose, grosse e importanti, come i tesori dei re.

    Erano come granelli di sabbia sulla riva del mare, quelli che formavano la spiaggia su cui le onde si infrangevano, avanti e indietro, come se ogni volta fuggissero e poi tornassero al sicuro tra le pareti di casa, per poi subito tornare a fuggire.

    Chi muove le corde dell’esistenza provvederà a far sì che i suoi tesori, i suoi racconti, le sue parole, venissero conosciute al mondo, si spargessero in tutto il pianeta per portare serenità nei cuori degli uomini.

    Era questo il più grande desiderio di Reeva Hamilton.

    Donare tutto quello che sentiva dentro.

    Il suo timore che, a causa dell’età già avanzata, non avesse il tempo materiale per realizzare e portare alla superficie tutto questo, era adesso fugato.

    Le stavano regalando il tempo, e quindi la vita, stavano rispondendo al suo desiderio.

    Tutto interiormente vibrava a questo riversamento di ore e di anni aggiunti, erano come note a cascata suonate da uno xilofono.

    Ringraziò, chiunque fosse.

    Chissà per quale magica cosa si stava attuando tutto questo.

    Il suo desiderio, il suo pensiero, aveva creato questo, allungato il suo tempo di vita ancora a disposizione.

    E contemporaneamente, all’improvviso, come lo schiudersi dei petali di un fiore, tutta la creatività possibile si stava riversando dentro di lei, quasi che dal cielo qualcuno tirasse le fila e costringesse ad uscire come un flusso ciò che aveva dentro, nascosto, dormiente.

    Desideravano che il mondo si accorgesse di lei, in un modo o nell’altro.

    Reeva da sempre aveva percepito dentro di sé che la sua sarebbe stata una vita straordinaria, ma sino a quel momento non aveva avuto riscontri.

    Ed ora … il solo fatto che le regalassero il tempo era al di là dello straordinario.

    Si era aperta la porta che l’avrebbe fatta conoscere al mondo, travolgente come uno tsunami.

    Lei pensava che fosse attraverso il suo lavoro di scrittrice, altro non avrebbe saputo come.

    Tutte queste informazioni sorte dentro di lei si fermavano per ora ad essere solo tali.

    Non sapeva ancora come comportarsi.

    Decise di non pensare troppo e di fare in modo che il flusso della vita si presentasse senza forzature.

    Non pioveva più e non c’era più nebbia.

    Un sole timido si stava affacciando, alquanto slavato e appena tiepido.

    Reeva decise di uscire.

    Si infilò gli stivaletti e un pesante giaccone blu, tipo quelli da marinaio, si sistemò ben bene una sciarpa colorata intorno al collo e un cappellino di lana sui capelli di un biondo chiaro.

    Li portava lunghi, ma raccolti dietro la nuca.

    Detestava i capelli corti e trovava che una donna in là con gli anni stesse male con i capelli lunghi sciolti.

    Per questo li teneva lunghi e raccolti.

    Il viso scoperto acquattato tra sciarpa e cappello era liscio, quasi senza rughe.

    L’età era rivelata dalle ombre sotto gli occhi e ai lati della bocca, nonché da qualche cedimento al contorno del viso.

    Si mise i guanti e uscì.

    C’era poca gente in giro e solo tra circa un’ora le donne sarebbero andate a fare la spesa.

    Sicuramente stavano ancora tutte rassettando casa.

    L’unico negozio del paese aveva però già aperto i battenti e il proprietario stava ramazzando sul marciapiede prospicente alle vetrine, dalle quali occhieggiavano ceramiche, prosciutti, bambolotti e giornali.

    Di tutto un po’.

    L’uomo era vestito in modo molto ordinato, i calzoni grigi, un maglione blu da cui spuntava il colletto bianco della camicia e un grembiule blu allacciato dietro con un doppio nodo.

    Quando Reeva fu a portata di voce la salutò sorridendo e con modi cordiali, e lei rispose al saluto.

    Imboccò poi una stradina sterrata, praticamente un sentiero, che si addentrava nel bosco situato appena al confine del paese.

    Passeggiò per un po’ fra gli alberi, per trarre da loro forza.

    C’era un tronco tagliato, che pareva uno sgabello.

    Reeva si sedette e, soprappensiero, con un legnetto tracciò sul terreno le iniziali del suo nome.

    RH.

    Sorrise a se stessa, rammentando che RH, oltre ad essere le sue iniziali, era soprattutto il simbolo di un sistema di gruppi sanguigni.

    Lei era RH positivo, gruppo zero.

    Sempre con il legnetto cancellò le lettere e si alzò, ritornando poi sui suoi passi.

    Nella mente aveva un turbinio di pensieri.

    Pensò che l’unica cosa da fare, a questo punto, fosse ritornare a casa, a Londra.

    Dal Dorset, in cui ora si trovava, ci sarebbe arrivata circa in un paio di ore di treno.

    Era venuta nel Dorset per allontanarsi un po’ dalla città, ma bisognare ritornare a casa, perché sentiva che soltanto a casa si sarebbero svolti gli avvenimenti che certamente avevano preparato per lei, sicuramente chi le aveva regalato il tempo doveva anche essere in possesso di un copione, di una storia nella quale lei, Reeva, era la protagonista.

    Ritornata che fu sui suoi passi, raggiunse il piccolo appartamento che aveva affittato per una settimana per cambiare aria, lontano da Londra.

    Riempì un borsone con gli indumenti che si era portata appresso da casa, controllò bene di non avere dimenticato nulla.

    L’affitto era già stato pagato.

    Chiuse la porta e lasciò la chiave sotto lo zerbino, come da precedenti accordi con il padrone di casa.

    Si incamminò quindi verso la vicina stazione ed acquistò un biglietto di sola andata per Londra.

    Il treno era già in attesa sui binari e Reeva salì.

    Non era affollato, cercò un posto vicino al finestrino, si sedette e chiuse gli occhi, pensando e ripensando a cosa l’attendeva.

    Perché qualcosa sicuramente l’attendeva.

    Cosa?

    O forse … niente?

    Il tempo le era stato regalato così, senza nessuno scopo?

    Chi lo sa.

    Si addormentò al rullio del treno.

    Quando si svegliò mancava un quarto d’ora all’arrivo alla stazione di Londra.

    Qui giunta prese un taxi e si fece portare a casa.

    Abitava in un appartamento situato in una vecchia casa vittoriana, un po’ cadente.

    Questo suo piccolo regno era composto da tre stanze, arredate con mobili di legno scuro.

    Nel salotto troneggiavano un divano a tre posti e due poltrone, tutti rivestiti di una stoffa scozzese rossa, verde e marrone.

    La cucina abitabile, non troppo grande, aveva invece gli stipetti color miele, un tavolo e quattro sedie.

    Alle finestre delle lunghe tende color beige.

    Reeva si tolse il giaccone, i guanti, sciarpa e cappello.

    Mise in ordine quanto contenuto nella borsa e scaldò dell’acqua per fare un the,

    Pronto che fu, aggiunse una fetta di limone e un cucchiaino di zucchero.

    Lo bevve lentamente con alcuni biscotti, seduta sul divano.

    La sua mente continuava ad essere un vortice.

    Ormai si stava avvicinando la sera e lei si sentiva stanca.

    Si preparò per la notte, indossando un pigiama celestino con i bordi bianchi, e si coricò.

    La casa era buia, il letto caldo e soffice.

    Si addormentò.

    Il mattino seguente decise di recarsi dal suo editore per prendere accordi circa la pubblicazione dell’ultimo libro scritto.

    Doveva avere ancora il suo parere.

    Sino ad ora, purtroppo, le vendite dei suoi libri precedentemente pubblicati erano state scarse.

    Tanti erano i libri proposti nelle librerie e i lettori erano divenuti un numero sempre inferiore.

    La gente era distratta da altre cose.

    Il lavoro, la famiglia, la difficoltà di vivere.

    I pochi soldi, la televisione.

    Il cinema.

    Ma Reeva non demordeva.

    Chissà, prima o poi ….

    Per ora qualche conoscente e pochi altri avevano acquistato i suoi libri.

    Non sapeva nemmeno se li avessero mai letti.

    Il cielo sopra Londra era grigio e aveva iniziato a cadere una fitta pioggia.

    Dopo avere fatto colazione e rassettato la casa, si preparò ad uscire.

    La pioggia battente non aveva certo fermato la città, erano abituati al suo scrosciare.

    Reeva aprì l’ombrello e decise di andare a piedi dall’editore, camminare le avrebbe fatto bene.

    Si diresse quindi verso il quartiere di Bloomsbury, situato nel centro di Londra.

    Dopo circa un’oretta di cammino varcò il portone dove si trovavano gli uffici dell’editore.

    Questi era un ometto sui sessant’anni, non troppo alto, con dei baffoni rossicci che lo facevano parere più anziano di quello che in realtà fosse.

    Ricevette Reeva nel suo studio ammobiliato con pregiati pezzi antichi.

    Parlarono dell’ultimo libro pubblicato di Reeva e di quello che lei stava ora scrivendo.

    Il signor Pickwich, Gerald Pickwich,

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