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In cambio di un erede: Harmony History
In cambio di un erede: Harmony History
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E-book238 pagine4 ore

In cambio di un erede: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1831
Il Duca di Alderworth decide di partire per l'America subito dopo le nozze con Lucinda Wellingham, lasciando la sua sposa sola e facile preda dei pettegolezzi del ton. Passati tre anni, si ripresenta a casa con una proposta a dir poco irriguardosa: un erede in cambio di una rendita e di una casa indipendente. Scandalizzata da quella richiesta, con il passare dei giorni Lucinda si scopre sempre più intrigata da quel marito che non conosce ma che l'attira, e finisce per accettare. Ma anche lei ha una clausola da aggiungere al loro contratto...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2019
ISBN9788858997499
In cambio di un erede: Harmony History
Autore

Sophia James

Neozelandese, laureata in Letteratura inglese e Storia all'Università di Auckland, ha scoperto la passione per la scrittura leggendo insieme alla sorella gemella i romanzi di Georgette Heyer.

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    Anteprima del libro

    In cambio di un erede - Sophia James

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Dissolute Duke

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2013 Sophia James

    Traduzione di Maria Pia Smiths Jacob

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-749-9

    1

    Inghilterra, 1831

    I suoi fratelli l’avrebbero uccisa per ciò che aveva fatto, Lady Lucinda Wellingham ne era certa. Di tutte le stupidaggini nelle quali si era lasciata coinvolgere, questa era la più folle di tutte. Sarebbe andata incontro alla rovina e la colpa sarebbe stata unicamente sua.

    «Solo un bacio» sussurrò l’uomo, spingendola contro il muro del corridoio e sfiorandole il viso con l’alito che puzzava di liquore. Le mani dell’ubriaco si mossero sul vestito di stoffa impalpabile che Posy Tompkins l’aveva convinta a indossare e Lucinda intuì le sue intenzioni.

    Richard Allenby, terzo Conte di Halsey, l’aveva sempre affascinata quando si erano incontrati durante gli esclusivi balli dell’alta società, ma lì, a quel ricevimento di campagna nel Bedfordshire, si stava comportando in modo disgustoso. Lucinda lo allontanò da sé con una spinta e raddrizzò le spalle, fiera che la propria altezza le permettesse di sovrastarlo di qualche pollice.

    «Credo, signore, che vi siate fatto un’idea sbagliata del mio desiderio di...»

    «Siete qui, al ricevimento più licenzioso della Stagione e la mia camera non è lontana.» Le strinse le dita intorno all’avambraccio e salutò con un cenno altri due che parevano aver bevuto almeno quanto lui. Entrambi guardarono la giovane con la stessa espressione lasciva del conte. Un errore. Lucinda sarebbe dovuta fuggire nel momento in cui, qualche istante prima, ne aveva avuto la possibilità e le camere da letto non erano state così pericolosamente vicine. In quel covo di iniquità sembrava che non vigesse alcuna regola e che la morale del padrone di casa fosse ormai al di là di ogni possibilità di redenzione.

    In preda alla paura, Lucinda sbatté il gomito contro il muro, liberò il braccio dalle grinfie di Halsey e approfittò della libertà così duramente conquistata per scappare.

    Un labirinto di corridoi tortuosi si aprì di fronte a lei. Sul piano vi erano almeno una ventina di camere da letto. Muovendosi rapida, Lucinda scoprì, in fondo, una porta a doppio battente. Essendosi eclissata dietro una serie di angoli, era certa che i suoi inseguitori non avessero avuto modo di vedere in quale delle stanze avesse deciso di rifugiarsi. Così, senza neppure guardarsi alle spalle, girò la maniglia d’avorio intarsiata e sgattaiolò dentro.

    La stanza era buia, a eccezione di una candela che ardeva accanto al letto, sul quale stava seduto un uomo con un paio di occhiali dalla spessa montatura in bilico sulla punta del naso.

    Lo sconosciuto la guardò e lei si mise un dito sulle labbra implorandone il silenzio e girandosi, poi, in direzione dell’uscio. Udì, nel corridoio, il rumore dei suoi molestatori e sperò che non decidessero di tentare la fortuna iniziando ad aprire tutte le porte chiuse che incontravano al loro passaggio. Trascorsi alcuni minuti, il brusio si affievolì fino a scomparire del tutto. Se n’erano andati. Lucinda sospirò, sollevata.

    «Posso parlare, adesso?» La voce che riecheggiò nella camera era profonda, laconica e con qualcosa nell’intonazione che lei non riuscì a decifrare.

    «Credo che sarebbe più sicuro se non vi faceste sentire.» Incerta, Lucinda si guardò intorno.

    Per tutta risposta, l’uomo mormorò un improperio e scostò il lenzuolo che lo copriva, svelando alla vista di lei una sagoma nuda che la lasciò a bocca aperta. Lo guardò in faccia e solo in quel momento si rese conto di trovarsi al cospetto non di una persona qualsiasi, ma dello scandaloso ospite di quel fine settimana di licenziosità: Taylen Ellesmere, sesto Duca di Alderworth, meglio conosciuto come il duca dissoluto, un mascalzone che disattendeva ogni regola morale, disprezzava le buone maniere ed esibiva una condotta da degenerato.

    Attraversò la stanza nudo come un verme, si avvicinò alla porta che stava alle spalle di Lucinda e fece scattare la chiave nella serratura.

    Paralizzata, lei lo fissò. Era splendido. I lunghi capelli scuri gli ricadevano sulle spalle e gli occhi avevano il colore delle foglie bagnate come dopo un temporale nel bosco di Falder. Lucinda non osò abbassare lo sguardo al di sotto della linea del collo, anche se ogni fibra del suo corpo sembrava volerla spingerla a contravvenire a quel divieto. Il sorriso di lui indicava che doveva averle letto nel pensiero. Piccole rughe gli incresparono gli occhi accesi di divertimento.

    «Lady Lucinda Wellingham?»

    Conosceva il suo nome. Lei annuì e tentò di ritrovare la voce perduta. Che sarebbe accaduto, adesso? Si sentiva come una gallina nella tana di una volpe.

    «I vostri tre fratelli sanno che siete qui?»

    Lucinda scrollò il capo. Il panico le impediva quasi di respirare. Sin dall’alba ogni cosa era andata per il verso sbagliato. Così, quando le sue mani cercarono di aprire un po’ il bustino, fu sollevata nel sentire che si allentava, permettendole di prendere fiato più agevolmente. La curva piena del décolleté sparì non appena i lacci indebolirono la loro stretta e i seni, non più compressi verso l’alto e meno voluminosi di prima, scivolarono nella loro posizione naturale. Lo scollo del vistoso abito rosso si abbassò in maniera provocante, attirando l’attenzione del duca.

    «Forse nascondervi in camera mia non è stata la più saggia delle alternative.» Gli occhi del duca si appuntarono in maniera eloquente sul letto.

    Lucinda ignorò l’allusione. «Richard Allenby, Conte di Halsey, e i suoi amici non mi hanno lasciato scelta, Vostra Grazia. Ho avuto la necessità di trovare un posto sicuro.»

    Nel sentire quella risposta, lui rise e quel suono divertito riecheggiò per la camera.

    «L’alcol scioglie i pressanti lacci e laccioli imposti dalla società. Le buone maniere e la vanitosa decenza sono cose che la maggior parte degli uomini non riesce a tollerare per più di alcune settimane. Questo posto offre loro la possibilità di svaporare, se mi permettete l’espressione.»

    «A spese delle donne che dicono di no?»

    «Molte signore incoraggiano un simile comportamento e si abbigliano di conseguenza.»

    Gli occhi del duca scivolarono sul profondo scollo della sua interlocutrice.

    «Qui non siamo a Londra, milady» riprese, «né fingiamo di esservi. Se Halsey vi ha mancato di rispetto, lo ha fatto solo perché vi reputava... disponibile. Il libero arbitrio è un concetto tenuto in gran considerazione, qui ad Alderworth.»

    Negli occhi del nobiluomo si accese una luce sfrontata di sfida. Se Lucinda avesse dovuto descrivere i suoi tratti, avrebbe detto di scorgervi una misurata indolenza, pari a quella di una lucertola intenta a giocare con una mosca alla quale fossero state già staccate le ali. Appoggiò le dita sulla maniglia della porta e ne cercò le chiavi, già prontamente rimosse senza che neppure se ne accorgesse.

    «Considerata l’importanza che attribuite al libero arbitrio, vorrei esercitare il mio e chiedervi di aprire il battente.»

    Per tutta risposta, lui si protese su una pila di abiti gettati disordinatamente su una sedia e prese un orologio da taschino.

    «Per vostra sfortuna, l’orario non vi è propizio. È troppo presto perché gli ospiti siano ubriachi al punto giusto, e quindi incapaci di nuocere, ed è troppo tardi per aspettarsi un comportamento irreprensibile da parte dei gentiluomini presenti. A questo punto della serata, muoversi per la casa è più pericoloso che restare in mia compagnia.»

    «Dovrei restare... qui?»

    Gli occhi del duca sfavillarono. «C’è posto a sufficienza.»

    «Mi conoscete da appena un paio di minuti, metà dei quali trascorsi in silenzio» replicò Lucinda, cercando di assumere un tono di voce autoritario.

    «Un motivo in più per dedicare del tempo a osservare le vostre... innumerevoli grazie.» I suoi occhi erano velati da un invito languido e sensuale.

    «Parlate come il lupo della favola dei fratelli Grimm, Vostra Grazia, anche se dubito che un qualunque personaggio di fiabe per bambini abbia la tendenza a esibire le proprie nudità come fate voi.»

    Lucinda si scostò e fu con piacere che lo vide indossare una lunga camicia bianca, le cui maniche gli ricaddero in morbide pieghe sulle spalle ampie.

    «Così va meglio, milady?»

    Lei annuì. Il duca sorrise e prese due bicchieri da un mobiletto. «Forse un po’ di vino potrebbe essere utile a sciogliere le vostre inibizioni» osservò riempiendoli.

    «Certo che no.» La voce risuonò tesa persino alle sue orecchie. Lucinda appuntò lo sguardo sul libro appoggiato sul copriletto. «Il Principe di Machiavelli» osservò. «Una scelta davvero sorprendente per un uomo che sembra non curarsi del nome delle generazioni di Ellesmere che lo hanno preceduto.»

    «Siete forse del parere che i miscredenti debbano pure essere illetterati?»

    Sorprendentemente Lucinda scoppiò a ridere. Quella conversazione era davvero ridicola. «Be’, di solito non se ne stanno a letto, alle dieci di sera, con indosso solo un paio di occhiali a leggere un libro di filosofia politica scritto in italiano, Vostra Grazia.»

    «Credetemi, milady, quando vi dico che condurre una vita debosciata può essere spossante e che, con l’avanzare degli anni, le sempre maggiori aspettative che si nutrono verso un degenerato come il sottoscritto possono essere davvero snervanti.»

    «Quanti anni avete?»

    «Ventisette. Ma sono in ballo da lungo tempo.»

    Era solo un anno più grande di lei.

    «Vostra madre non vi ha insegnato le basi della gentilezza verso il prossimo, Vostra Grazia?»

    «Oh, sì. Lo ha fatto. E io le ho capite un marito e sei amanti più tardi. Ero il suo unico figlio, sapete, e per di più imparavo in fretta.»

    Lucinda aveva sentito spesso raccontare la sordida storia della famiglia Ellesmere, ma non dal punto di vista di un figlio disincantato. Patricia Ellesmere era morta lontano dai suoi parenti. Alcuni affermavano che fosse perita per via del cuore spezzato. Sei amanti, però, erano una complicazione piuttosto ingarbugliata.

    «Cosa è accaduto a vostro padre?» Non avrebbe dovuto essere così indiscreta, lo sapeva, ma la curiosità ebbe la meglio sulla buona educazione.

    «Ha fatto ciò che ogni duca con il rispetto di sé farebbe, se scoprisse di essere stato cornificato per ben sei volte dalla moglie.»

    «Si è ucciso?»

    Lui scoppiò a ridere. «No. Ha dilapidato il patrimonio al tavolo verde e annegato i dispiaceri nel brandy. I miei genitori sono morti a un giorno di distanza l’uno dall’altra, in due diversi angoli del Paese e in compagnia dei loro nuovi amanti. Un attacco epatico fulminante e una pallottola in testa esplosa con cognizione di causa. Almeno, così, i funerali non sono costati un occhio. Due al prezzo di uno è un risparmio considerevole.» Tay arricciò le labbra. I suoi occhi verdi erano taglienti. «Avevo undici anni, all’epoca.»

    Un simile candore era sorprendente. Nessuno aveva mai parlato a Lucinda in maniera così brutale.

    In confronto a quelli di lui, i problemi di Lucinda impallidivano. In cuor suo ringraziò il cielo di godere del supporto incondizionato della sua famiglia, i cui membri erano strettamente legati gli uni agli altri. «Avevate altri parenti ai quali... appoggiarvi?»

    «Mary Shields, mia nonna, mi ha accolto sotto il suo tetto.»

    «Lady Shields?» Santo Iddio! Chi, in società, non conosceva la propensione di quella donna al pettegolezzo e alla cattiveria? Era morta da tre anni, ormai, ma Lucinda rammentava ancora i suoi profondi occhi neri e i commenti al vetriolo che le uscivano dalla bocca. Era lei a essersi occupata di un povero orfanello?

    «Dalla vostra espressione arguisco che l’avete conosciuta.» Il duca diede fondo al proprio bicchiere, per poi riempirlo di nuovo. Generosamente.

    Portava un anello a ciascun dito della mano sinistra, notò Lucinda. Tutti gioielli vistosi, a eccezione di una semplice fascia sul medio, abbellita da un’incisione. Impossibile leggerne le lettere che la componevano.

    Doveva far riferimento a una donna, senza dubbio. Si vociferava che avesse avuto parecchie amanti, giovani e vecchie, nubili e sposate. Non fa distinzione alcuna quando gli appetiti reclamano, ecco cosa si diceva sul suo conto in società.

    Il Duca di Alderworth. Lucinda sapeva che molte gentildonne lo contemplavano con il cuore palpitante e con la speranza di riuscire a cambiarlo. Lei, tuttavia, era del parere che a ventisette anni difficilmente il nobiluomo si sarebbe lasciato redimere da qualcuno.

    Le sciocche fantasie erano una prerogativa delle fanciulle inesperte. In quanto sorella minore di tre fratelli allegri, chiassosi e travolgenti, Lucinda era immune alle astuzie del sesso opposto e di rado si faceva romantiche illusioni su di esso.

    Stupita, si accorse di non sentirsi a disagio nonostante il lungo silenzio calato nella stanza e si sorprese persino a pensare che se il duca si fosse avvicinato come aveva fatto Richard Allenby, il Conte di Halsey, le sarebbe piaciuto vedere quali sarebbero stati i risultati. Lui, però, non accennava a tentare alcunché. Oltre la porta riecheggiarono, di nuovo, grida di piacere e risate femminili, miste ai toni più profondi dei loro alticci inseguitori.

    «Dai rumori sembra che la serata sia un successo. Cacciatori e prede alla ricerca dell’estasi. Tra non molto calerà un silenzio infernale.» Alderworth la fissò con attenzione.

    «Mi state prendendo in giro, Vostra Grazia. Credo che siate molto meno cattivo di quanto si dice in giro.»

    L’espressione di lui cambiò del tutto. «Quanto a questo, Lady Lucinda, vi sbagliate. Sono esattamente ciò che si dice e anche di più.» Un’aura di pericolosità lo avvolse come un manto. Gli occhi si fecero duri, implacabili, conferendogli un aspetto più adulto. «Il fatto è che potrei portarvi a letto in men che non si dica e voi mi implorereste di continuare a sollazzarvi con le mille, deliziose cose che mi piacerebbe fare con il vostro corpo.»

    La franchezza di quelle parole le fece battere più forte il cuore perché in esse vi era più di un fondo di verità. Lucinda era attratta da lui come non lo era mai stata da nessun altro uomo. Spaventata, si girò verso la finestra e guardò i giardini illuminati per l’occasione dalle torce disseminate lungo gli innumerevoli sentieri. Due amanti giacevano, allacciati, tra i cespugli, la pelle traslucida sotto la pallida luce. Intorno a loro, sostavano altre coppie le cui intenzioni erano visibili persino dalla distanza alla quale si trovava lei, sconcertata da tanta intemperanza.

    «Se mi toccaste, molto probabilmente i miei fratelli vi ucciderebbero.» Lucinda tentò di non fargli percepire la propria paura, ma fallì.

    Il duca rise. «Suppongo che potrebbero provarci, tuttavia...» La frase venne lasciata a metà, ma la sua aria minacciosa si fece ancora più palpabile. L’indolenza immaginata poco prima da Lucinda si era trasformata nella gelida determinazione di un uomo che viveva nelle pieghe più nascoste della bassa società londinese, pur essendo di nobili natali. La contraddizione che lo caratterizzava la confondeva e i suoi mutamenti repentini la snervavano.

    «Sono venuta alla festa con Lady Posy Tompkins dopo aver ricevuto rassicurazione che la circostanza fosse più che rispettabile. È evidente che lei e io abbiamo un’idea del tutto diversa dell’aggettivo rispettabile e che mi sarei dovuta informare meglio della meta, prima di acconsentire ad accompagnarla. Lei, però, ha tanto insistito su quanto ci saremmo divertite. Inoltre, il fatto che ci sarebbe stata anche la sua madrina ha reso tutto ancora più convincente...»

    Il duca la zittì posandole un dito sulle labbra. «Parlate sempre così tanto, Lady Lucinda?»

    A quel contatto lei sussultò. «Sì, Vostra Grazia. Quando sono nervosa non riesco a fermarmi, anche se non ricordo di esserlo mai stata quanto in questo momento. Così, se mi lasciaste uscire subito da questa stanza, sarei felice di andarmene per cercare...»

    La bocca di lui si posò nel punto in cui, fino a un istante prima, aveva indugiato il dito e il mondo di Lucinda si dissolse in una miriade di frammenti colorati e incandescenti. La testa si svuotò da tutto ciò che era realtà per lasciare spazio a una pericolosa sensazione di piacere nella quale si sciolse.

    2

    Tay desiderava solo che smettesse di parlare. Il panico che percepiva nella sua voce, infatti, aveva il potere di far riaffiorare in lui un senso di colpa che non provava da anni. La piccola curva del suo seno gli poggiava contro il torace e quella morbidezza lo affascinò. Dì solito, si doveva chinare leggermente quando stava con una donna, ma lei era appena qualche pollice più bassa di lui. La snella flessuosità che la caratterizzava le dava l’aspetto di una ragazzina ancora acerba.

    La giovane aveva le unghie corte e i calli tra il secondo e il terzo dito lasciavano intuire che fosse mancina e praticasse qualche particolare tipo di sport. Tiro con l’arco, forse. Il pensiero di lei in piedi davanti a un bersaglio e con i capelli biondi mossi dalla brezza gli suscitò un’insolita eccitazione. Avrebbe dovuto accompagnarla senza indugio a casa e assicurarsi che vi arrivasse sana e salva.

    Sapeva, però, che non lo avrebbe fatto e quando le catturò le labbra con le proprie, in lui si fece strada un’altra sensazione, che si rifiutò anche solo di prendere in considerazione.

    Lei non doveva avere molta esperienza in fatto di baci; teneva ben strette le labbra carnose e quando Tay

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