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Le ombre del passato
Le ombre del passato
Le ombre del passato
E-book403 pagine5 ore

Le ombre del passato

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Info su questo ebook

“Un thriller pieno di colpi di scena, popolato di personaggi carismatici. Se avete già letto Roberto Re, questo ultimo romanzo della trilogia non tradirà le vostre aspettative. Se non lo avete ancora fatto, dovete semplicemente iniziare dal primo della serie. L’ispettore Luca Morelli, insieme ai fantasmi del suo passato, è lì. E vi attende”. (OUBLIETTE MAGAZINE)

Torino, Museo Egizio. Nel corso del suo ultimo giro di controllo serale, a pochi giorni dall’apertura di una nuova mostra che avrebbe attirato una moltitudine di studiosi e visitatori, una guardia viene barbaramente uccisa. E pochi giorni dopo, Luca Morelli e la sua compagna Morena Camogli, da poco dimessisi dalla Polizia, ricevono nuovamente la visita del misterioso Agente Sette, appartenente all’altrettanto misterioso ente segreto R.I.E.M.
Venendo catapultati nelle indagini all’interno del museo, affiancati dallo stesso agente, mentre intorno a loro altri fatti misteriosi continuano ad accadere ai colleghi che avevano lavorato insieme a loro nella cattura della sorella dell’ex ispettore, il killer delle fiabe Stefania Morelli.
Impegnati nelle indagini su quanto avvenuto al museo, e contemporaneamente sempre più preoccupati dalla fuga della ragazza dalla struttura dove era detenuta e da quello che succede ai loro amici, Luca e Morena si troveranno stretti in una tenaglia dove le radici sembrano affondare nel passato…

Roberto Re è nato nel 1976 a Lanzo Torinese. Con la GDS ha già pubblicato il romanzo fantasy “La Valle dei Dimenticati” e il racconto “L’ultimo tramonto” inserito nell’antologia “Dreamscapes – I racconti perduti”. Nel 2013 ha dato vita alla figura dell’ispettore Luca Morelli, protagonista della trilogia del “KILLER DELLE FIABE” iniziata con “Il killer delle fiabe” e “La stanza della morte” e che vede la fine con questo volume.
LinguaItaliano
Data di uscita3 lug 2015
ISBN9788867824267
Le ombre del passato

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    Anteprima del libro

    Le ombre del passato - Roberto Re

    Roberto Re

    LE OMBRE DEL PASSATO

    EDITRICE GDS

    Roberto Re Le ombre del passato ©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    www.gdsedizioni.it

    www.editoriunitigds.it

    Disponibile anche in cartaceo

    Collana ©Ombre & Misteri

    Progetto copertina ©Iolanda Massa

    Disponibili: Volume 1 - Il killer delle fiabe

    Volume 2 - La stanza della morte 

    Volume 3- Le ombre del passato

    Tutti i diritti riservati.

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale.

    I paesi che compaiono nella storia esistono veramente, anche se in parte sono stati modificati dall’autore ai fini della narrazione.

    Girl,

    close your eyes for the one last time

    sleepless nights

    from here to eternity

    No fear, destination darkness

    No fear, destination darkness

    No fear

    (No fear – The Rasmus)

    CAPITOLO 1

    Torino, Museo Egizio

    Erano all’incirca le nove di sera quando la guardia iniziò il suo abituale giro d’ispezione all’interno del museo. I visitatori erano defluiti da poco meno di un’ora: la solita calca che tutti i giorni movimentava le stanze dell’enorme edificio ed era composta principalmente da comitive di turisti che giravano per le sale con sguardi attenti, rapiti dal fascino esercitato dalle migliaia di reperti che il museo offriva.

    Anche i tecnici che lavoravano al restauro dello Statuario e all’allestimento della nuova mostra erano da poco andati a casa.

    Finalmente, l’uomo poteva godersi quel silenzio che lo circondava. Mancava un’ora alla fine del suo turno, poi finalmente sarebbe tornato a casa. Se si fosse sbrigato, avrebbe fatto in tempo a piazzarsi sul divano e guardare i nuovi episodi di The Walking Dead in seconda serata, una birra e un pacchetto di patatine come cena.

    Aveva lasciato il suo collega davanti ai monitor della sala di controllo e questi, allungando le gambe sulla sedia libera accanto alla propria, aveva preso in mano il quotidiano e si era messo a sfogliarlo, distogliendo lo sguardo dagli schermi che riportavano solamente immagini ferme delle stanze deserte.

    Anche le guide avevano smontato da mezz’ora, e di fatto in tutto l’edificio erano rimasti solo lui e il collega. Alle dieci, terminato l’ultimo pigro giro di perlustrazione, avrebbero attivato i sensori automatici e chiuso tutto fino alle sei del mattino successivo, quando sarebbe cominciato il nuovo turno.

    Attraversò senza fretta le stanze illuminate dalle luci soffuse del piano terra, lanciando qua e là occhiate alle ormai note vetrine colme di oggetti. Quello era il turno che preferiva, perché c’era ben poco da fare ora che il museo era chiuso e i visitatori se ne erano andati.

    Piuttosto, non trovava particolarmente simpatico il collega: un ragazzetto di poco più di trent’anni convinto di saperne sempre più di lui, che invece aveva un’esperienza più che ventennale alle spalle. Era infastidito anche dal suo atteggiamento sul lavoro, sempre poco attento a quello che succedeva sui monitor e troppo preso dal suo smartphone. Non aveva idea cosa facesse sempre con quell’aggeggio tra le mani, ma di fatto era più il tempo che lo vedeva trafficare che quello che passava concentrato sul proprio lavoro.

    Superò la passerella e arrivò allo Statuario, sorridendo con una punta di divertimento quando lo sguardo gli cadde sulle statue, impacchettate e sigillate come se fossero pronte per un trasloco in piena regola. Sapeva che erano state conciate in quel modo per proteggerle mentre lì e nella stanza accanto si svolgevano i lavori per l’allestimento della nuova mostra, la quale, stando alle voci di corridoio, avrebbe portato al museo ancora più visitatori di quanti ne arrivassero abitualmente. Cosa che di certo non gli dispiaceva, dato che ciò avrebbe significato lavoro assicurato per molto tempo ancora.

    La guardia si fermò ancora una volta ad ammirare il sistema d’illuminazione creato dal famoso scenografo premio Oscar Dante Ferretti per osservare la maestosità di quelle opere del passato, ora racchiuse in una speciale carta bianca trattenuta dal nastro adesivo. Camminò sul pavimento ricoperto da teli di nylon che gli scricchiolavano leggermente sotto i piedi. Unico rumore nel silenzio ovattato del museo.

    Benché adesso nascoste ai suoi occhi, sapeva che davanti a lui c’erano le sculture di Ramesse II, di Iside, del sacerdote astronomo Aanen, il sarcofago Gemenefherbak, il colosso di Sethy II e altri capolavori dei quali non rammentava i nomi. Sul lato destro della stanza, ammucchiati, c’erano gli strumenti dei tecnici e degli operai del cantiere. Un lavoro iniziato tre mesi prima e che, se tutto fosse andato bene, sarebbe finito di lì a tre giorni, esattamente il sabato di Ferragosto.

    Aveva sentito parlare molto della nuova mostra che sarebbe stata allestita nella stanza di fianco, ma non se n’era interessato più di tanto. Una volta pronta, avrebbe avuto modo di gustarsi i millecinquecento e passa reperti durante i suoi giri notturni, lontano dalla calca dei turisti e nella tranquillità del fine turno.

    Aveva però sentito dire che il pezzo forte era la tomba di Akumteph. Peccato che non sapesse chi fosse, né cosa contenesse esattamente l’allestimento. Era un faraone? Un sacerdote? Di certo c’era che millecinquecento reperti sarebbero stati un richiamo importante per tutti gli appassionati dell’antico Egitto, dagli studiosi ai semplici curiosi.

    La stanza era ancora sigillata e la porta blindata veniva chiusa alla fine di ogni giornata lavorativa, lasciando a secco la sua curiosità su cosa potesse nascondersi là dietro.

    Guardò l’orologio che portava al polso e vide che segnava le nove e mezza. Ancora mezz’ora e avrebbero potuto chiudere e andare via, lasciando tutto in mano ai sistemi di sorveglianza notturna.

    Stava per voltarsi e tornare indietro, quando gli arrivò all’orecchio un fruscio.

    Si voltò di scatto nella direzione da cui l’aveva sentito provenire: dietro di lui alla sua destra. Assomigliava al rumore di qualcosa che striscia sul nylon.

    Deglutì a fatica mentre una scarica di adrenalina si liberava nel suo corpo, più per la sorpresa che per paura vera e propria. Si guardò intorno quasi trattenendo il respiro per non far rumore, ma non scorse nulla.

    Sorrise tra sé e sé, come a volersi prendere in giro per essersi lasciato spaventare alla stregua di un bambino; il posto, l’ora e la solitudine in quell’ambiente deserto intriso di storia dovevano aver giocato un brutto tiro alla sua immaginazione.

    Si schiarì la gola e si voltò, preparandosi a tornare verso la passerella dalla quale era arrivato pochi minuti prima. Aveva fatto solo qualche passo, quando lo sentì di nuovo.

    Più prolungato questa volta.

    E più vicino.

    Ma capì che non si trattava di uno scherzo della sua immaginazione quando intravide qualcosa sparire nella semi-oscurità dietro le statue sigillate.

    Si bloccò dove si trovava, il cuore che gli batteva furiosamente nel petto. Era sicuro di non esserselo immaginato: un’ombra era davvero sparita rapidamente alla sua vista. Senza sapere bene cosa fare rimase fermo, poi gli venne un’idea.

    Prese la ricetrasmittente che portava appesa alla cintura e premette il tasto per mettersi in comunicazione con il collega nella sala dei monitor.

    Antonio, sei sveglio?.

    Il segnale gracchiò un attimo prima che gli arrivasse la risposta del collega. Certo, perché?.

    Fammi un favore, controlla sullo schermo se vedi qualcosa di sospetto nello Statuario.

    Il ragazzo attese un attimo prima di rispondere. Che cosa intendi precisamente per ‘sospetto’?, chiese infine con tono perplesso.

    La guardia sollevò gli occhi al cielo, certa che l’altro avrebbe trovato qualcosa da ridire prima di dargli retta. Mi è sembrato di scorgere un’ombra muoversi dietro le statue, prova a vedere se riesci a zoomare e controllare.

    Perché l’uccellino mi dice che te la sei quasi fatta sotto?.

    La voce del ragazzo era divertita, e la guardia capì subito che lo stava sbeffeggiando. Tu guarda e basta, ok? E fammi sapere.

    Va bene, aspetta lì. Controllo se c’è qualche fantasma in giro che te l’ha fatta fare addosso.

    Vaffanculo, borbottò lui disattivando la comunicazione per non farsi sentire. Già sapeva che il giorno dopo le voci di quel suo attimo di paura avrebbero fatto il giro dei colleghi, ma gliene importava ben poco. Prima o poi avrebbe trovato il modo per vendicarsi di quel ragazzetto troppo sicuro di sé.

    Qui non c’è nulla, tornò a farsi viva dopo poco meno di un minuto la voce del collega. Non è che magari è passato un topo?.

    Non era un topo, sbottò l’uomo, infastidito dal tono condiscendente della voce dell’altro. Non era né un visionario, né un deficiente! Sembrava una figura umana.

    "Senti, Toni, magari ti è sembrato di vedere qualcosa. Forse si è abbassata la corrente per un attimo, o forse, che ne so, sei semplicemente stanco e l’hai immaginato. Dagli schermi non si vede nulla".

    Stava per dirgli di aver anche sentito il rumore di qualcosa che strusciava sul pavimento, ma decise di lasciar perdere. Oltre a non essere creduto, avrebbe solamente peggiorato la situazione.

    Probabilmente hai ragione, ammise invece, continuando però a guardare nella direzione delle statue.

    Certo che ho ragione, cazzone. Ora torna qui dai, che manca mezz’ora alla fine del turno. Ci sentiamo un po’ di notizie per radio, poi smontiamo e ce ne andiamo a casa. E ‘fanculo il museo.

    La guardia chiuse la comunicazione senza rispondergli, infastidito da quella mancanza di rispetto verso il lavoro che, alla fin fine, gli permetteva di portarsi a casa lo stipendio che spendeva in discoteche e bar.

    Appese la ricetrasmittente alla cinta e fece per riprendere il suo giro quando, alzando la testa, vide nuovamente qualcosa muoversi dietro le statue.

    Ma che cazzo…, borbottò restando di pietra. Altro che calo della corrente elettrica: era sicuro di aver visto qualcosa, anzi qualcuno, che si spostava lì dietro.

    Per farsi coraggio, portò la mano alla fondina e mosse qualche passo incerto in direzione delle statue, il respiro quasi bloccato. Arrivò davanti alla statua impacchettata di Ramesse II senza mai staccare la mano dall’arma, indeciso se proseguire con l’ispezione oppure no. Mancavano pochi minuti alla fine del suo turno e avrebbe potuto fare finta di nulla e tornarsene nella sala con il collega anziché rischiare un infarto.

    Con la coda dell’occhio vide un rapido movimento alla sua destra, e il fruscio si fece più intenso. Si voltò di scatto e questa volta vide chiaramente una figura che si spostava.

    Strizzò gli occhi più volte per cercare di capire se si trovasse di fronte a qualcosa di reale oppure a uno scherzo della sua fantasia, giacché la figura che aveva visto muoversi veloce nel buio gli era sembrata ricoperta di bende.

    Ma che cazzo…, ripeté ancora, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Estrasse la pistola istintivamente, tenendola nella mano attraversata da un leggero tremore. Chi c’è?, alzò la voce, accorgendosi lui stesso del suo tono insicuro, quasi spaventato.

    Nessuna risposta, solamente il fruscio di qualcosa, o qualcuno, che si spostava.

    Si guardò intorno per capire dove si fosse nascosta la figura che stava cercando di tenere sott’occhio.

    Se si tratta di uno scherzo, sappi che non è divertente.

    Ancora nessuna risposta.

    Mosse qualche altro passo verso il centro della stanza, lanciando sguardi nervosi tutt’intorno. La mano che impugnava la pistola tremava ora visibilmente, e il suo respiro si era fatto pesante, quasi fosse sotto sforzo.

    Cercò di spostarsi verso la passerella per guadagnare l’uscita, camminando all’indietro per non perdere di vista il resto della stanza. Una volta a pochi passi dalla porta si voltò.

    E si paralizzò dalla paura, ritrovandosi la figura a pochi centimetri.

    Non riuscì a urlare, né a muoversi. Strabuzzò gli occhi davanti a quell’incubo che si era materializzato all’improvviso, e non riuscì a fare nulla.

    Nemmeno quando la lama lo sventrò tagliandogli la pancia da un lato all’altro.

    CAPITOLO 2

    Seduto al tavolo della cucina, circondato da un silenzio assoluto e sotto lo sguardo attento di Morena, Luca fissava le due lettere che teneva una per mano.

    La donna era rientrata quel pomeriggio dalla settimana di vacanza trascorsa a Roma in visita ai suoi genitori. Era arrivata a Torino con il Frecciarossa delle sei di quel pomeriggio afoso e dal cielo terso e Luca era andato a prenderla alla stazione. Da quando era scesa dal vagone avevano scambiato solo poche parole, più che altro frasi di circostanza che li avevano tenuti lontani dall’argomento che, lo sapeva bene, riempiva i pensieri del compagno.

    Il viaggio di ritorno si era svolto per le strade di una Torino semideserta a causa dell’esodo estivo, e avevano raggiunto Lanzo a tempo di record; Luca teneva l’autoradio ad un volume particolarmente alto, e Morena aveva preferito non fare commenti, certa che fosse un espediente per non parlare di quello che era successo una settimana prima.

    Non ne avevano parlato né il giorno in cui era accaduto e nemmeno i successivi.

    Morena lo aveva chiamato appena arrivata a Roma quando, scendendo dal treno, aveva trovato ad aspettarla davanti alla porta del vagone uno strano personaggio, il cui abbigliamento e atteggiamento sembravano usciti da un film di spionaggio. Lo sconosciuto l’aveva presa da parte, senza usare le maniere forti ma con un tono e un modo di fare che non lasciava adito a repliche o rifiuti.

    Morena lo aveva seguito fino all’interno di uno dei bar della stazione Termini, dove si erano accomodati a un tavolino isolato e dove, lontano da occhi e orecchie indiscreti, l’uomo aveva avuto modo di spiegarsi.

    Ciò che le aveva raccontato l’aveva lasciata a bocca aperta e incapace di reagire o replicare. Una sensazione che non era abituata a sperimentare, e che l’aveva letteralmente spiazzata. Così come era rimasta di stucco quando, dopo aver distolto per un attimo l’attenzione dall’uomo per prendere il cellulare che le stava suonando nella borsetta, aveva rialzato gli occhi e si era accorta che lo sconosciuto era come svanito dalla sedia che aveva occupato di fianco a lei.

    Morena si era guardata intorno, il telefono ormai silenzioso dopo aver suonato a lungo e, ancora frastornata dall’accaduto, aveva richiamato la madre tranquillizzandola e spiegandole che aveva solamente avuto un contrattempo. Poi, continuando a pensare a tutto quello che il tizio misterioso le aveva detto, aveva allungato la mano verso il foglio rimasto sul tavolino, l’aveva ripiegato rimettendolo nella busta e si era alzata, lasciando il bar per uscire dalla stazione.

    Era stata tentata di chiamare Luca in quello stesso momento, ma non voleva impensierire i genitori che la stavano aspettando fuori, quindi aveva ritardato la chiamata fino a sera. E il modo in cui Luca aveva cercato di evitare la discussione, il suo tono distaccato, le avevano fatto capire che quanto raccontatole dallo sconosciuto corrispondeva a verità. Anche Luca era stato contattato da loro, anche se non aveva voluto confermarglielo.

    Non parliamone per telefono, aveva tagliato corto quando Morena aveva cercato di entrare nell’argomento dopo i saluti iniziali. Affronteremo il discorso quando tornerai qui, ma per telefono preferisco non parlarne. Se hanno contattato anche te capirai come posso sentirmi, quindi credo sia il caso di prenderci un po’ di tempo per ragionare a mente fredda. Ne parleremo una volta che sarai qui.

    Morena avrebbe voluto replicare, ma sapeva che sarebbe stato tempo perso.

    Nel corso della settimana trascorsa a Roma si erano sentiti poco. Lui aveva chiamato una volta sola per sincerarsi su come stesse andando la vacanza, ma senza soffermarsi su argomenti specifici. Morena non ne era stata sorpresa: ormai lo conosceva bene e aveva accettato quella sua sfaccettatura. Durante la telefonata Luca l’aveva informata riguardo i lavori in corso nella loro casa ormai in fase di completamento.

    In qualche modo era così riuscito a distogliere la sua attenzione da quello che occupava quasi costantemente i suoi pensieri. Morena aveva fatto il possibile per nascondere ai genitori le sue preoccupazioni cercando di tenere occupata la mente e dedicandosi assieme a loro allo shopping e alle visite di luoghi e monumenti come non faceva da anni. Avevano parlato poco del suo lavoro e, ovviamente, aveva tralasciato la parte riguardante l’ultima novità. Avevano invece parlato molto di Luca, della ripresa della loro relazione e della decisione di andare a vivere insieme.

    Anche se non completamente favorevoli, non lo avevano dato a vedere. D’altronde Morena era ormai una donna adulta che aveva intrapreso la sua strada da anni. Trasferendosi in un’altra città aveva dimostrato di sapere quello che voleva, inutile quindi che loro si intromettessero.

    Aveva incontrato vecchi amici con i quali era rimasta in contatto nonostante il tempo trascorso e la distanza, e le serate passate in loro compagnia avevano allontanato l’ombra di quell’incontro.

    Poi era arrivato il giorno della partenza: una settimana era volata più velocemente di quanto avesse pensato possibile e, una volta in treno durante il viaggio di ritorno a Torino, i pensieri erano tornati inevitabilmente a quell’incontro. Messi da parte il quotidiano e il lettore mp3, dopo aver giocherellato un po’ con l’iPhone, aveva provato a cercare qualche notizia che riguardasse la R.I.E.M. senza tuttavia trovare nessuna informazione.

    Adesso, seduti al tavolo con le valigie in corridoio ancora da disfare, il desiderio di farsi una doccia accantonato e la voglia di cenare scesa a zero, l’unica cosa che catturava la sua attenzione erano i due fogli che Luca teneva tra le mani, facendo correre lo sguardo dall’uno all’altro come se li stesse controllando lettera per lettera, incurante di tutto il resto.

    I posacenere pieni di mozziconi, segno tangibile del suo nervosismo, Luca non le aveva nemmeno mostrato i cambiamenti che aveva apportato al resto della casa, e anche lei stessa vi aveva prestato poca attenzione. La sua mente, come quella del compagno, era occupata da un solo pensiero.

    Alla fine, dopo averle rilette per l’ennesima volta, l’uomo appoggiò le due lettere sul tavolo accanto alle buste aperte.

    Non c’è che dire, sono uguali in tutto e per tutto, sentenziò. Prese il pacchetto delle sigarette e ne tirò fuori un’altra, che accese subito, tirandone una lunga boccata.

    E quindi, cosa facciamo?. Morena si alzò di scatto, dirigendosi verso il frigo della nuova cucina. Accanto al frigorifero, una scala a chiocciola collegava la cucina alla stanza di sotto che avevano adibito a magazzino, e da cui si accedeva al giardino. Morena non l’aveva ancora vista, ma qualcosa le diceva che nemmeno Luca gli avesse prestato attenzione in quella settimana che era stato da solo. D’altronde, il giardinaggio non era una tra le sue attività preferite.

    Tirò fuori dal frigo la bottiglia di acqua frizzante e se ne versò un bicchiere.

    Non credo che ci sia molto da fare, ribatté Luca. Oserei quasi dire che siamo stati messi con le spalle al muro senza neanche una possibilità di replica. Ammetto anche che, per qualche momento, ho temuto che ci avrei rimesso le penne.

    Ti ha minacciato?, gli chiese Morena mettendo il bicchiere vuoto nel lavandino.

    Avevo un mirino puntato nel bel mezzo della fronte. Onestamente non ho avuto modo di verificare se fosse vero o si trattasse di un bluff, ma non avevo nemmeno troppa voglia di provarlo sulla mia pelle.

    Non credo fosse un bluff, ribatté lei riprendendo posto sulla sedia. La finestra del balcone alle sue spalle era aperta, ma non entrava un alito d’aria in quel tardo pomeriggio afoso. Il tizio che mi ha fermata alla stazione aveva con sé una pistola. Non vuol dire che l’avrebbe usata, ma quando uno sconosciuto dall’aspetto inquietante vuole scambiare quattro parole con te e non fa nulla per nascondere di avere un’arma sotto la giacca, ti viene da pensare che potrebbe anche non avere nessuna remora a farlo.

    Di cosa ti ha parlato, esattamente?. La sigaretta consumata andò a fare compagnia alle altre nel posacenere.

    Morena tolse l’elastico ormai lento dai capelli, e li legò di nuovo per non farli ricadere sulla pelle accaldata e abbronzata delle spalle e del collo. Quindi, cercando di non tralasciare nessun particolare di quell’incontro, ripeté a Luca la discussione che avevano avuto all’interno del bar. Dal fatto che li avessero tenuti sotto controllo da quando avevano iniziato a indagare per conto loro sugli eventi soprannaturali accaduti nella casa e all’interno della famiglia di Luca, alla richiesta forzata di lavorare con loro.

    Gli parlò della lettera di dimissioni già firmata che le aveva posato davanti, e di quello che le era stato prospettato sia se avesse accettato l’incarico sia se non l’avesse fatto.

    Certo che hanno un modo di mandare avanti le trattative alquanto bizzarro, commentò Luca una volta che Morena ebbe finito il suo racconto. Aprì il frigo e si prese una lattina di birra. Morena lo fissò di nuovo e pensò che avrebbe dovuto fare una spesa decente, visto che Luca in quella settimana non se n’era minimamente preoccupato. Era un pensiero assurdo in un momento del genere, se ne rese conto da sola, ma forse la sua mente stava cercando un appiglio razionale in quella circostanza che di razionale sembrava avere davvero poco.

    "Definirla trattativa mi sembra alquanto fuori luogo. Aveva tutto il tono di un ultimatum, del tipo accetta o muori. Non è stato molto piacevole".

    "Hai avuto anche tu la sensazione di trovarti come sulla scena di Men in Black o qualcosa di simile?".

    L’unica sensazione che ho avuto è quella di essere stata messa spalle al muro, replicò Morena. Si alzò dalla sedia e si appoggiò contro lo stipite della portafinestra, alla ricerca di uno sfuggente filo d’aria. Il fatto che avessero già tutti i documenti pronti significa che si aspettavano una sola risposta al loro invito… se così vogliamo chiamarlo.

    Guarda, se proprio devo dirla tutta, alla fine non è che ne sia così tanto dispiaciuto, sai?, ammise Luca.

    Morena lo guardò con aria interrogativa, senza rispondere.

    Non sto scherzando, riprese lui. Terminò con una sorsata quello che restava della birra, accartocciò la lattina col palmo della mano e la lanciò nel lavandino che aveva alle spalle. Ok, all’inizio della discussione ero abbastanza scazzato per il modo in cui il tizio si era presentato. Essere sbattuto contro il muro e minacciato con un mirino laser non è il modo che preferisco per intavolare una trattativa, ma più me ne parlava più la cosa non mi dispiaceva. Dopo tutti questi anni mi sono un po’ rotto il cazzo di scartoffie, criminali, rapporti da compilare e Pederzoli da sopportare. Probabilmente la famosa crisi di mezza età mi ha raggiunto in anticipo, e non mi dispiacerebbe affrontare qualche esperienza nuova. Non hai pensato anche tu la stessa cosa mentre te ne parlava?.

    Morena rimase in silenzio qualche istante, lasciando vagare lo sguardo verso le colline che circondavano Lanzo. Poi spostò l’attenzione al giardino, compiacendosi di ritrovarlo in condizioni migliori di quanto si aspettasse. I fiori che aveva piantato sembravano essere stati annaffiati regolarmente, le pere erano state raccolte dall’albero e sul fico si vedevano ancora dei frutti in via di maturazione.

    Nonostante fosse combattuta, dovette ammettere di trovarsi d’accordo con quanto detto da Luca. In un modo del tutto imprevisto, si era aperto loro davanti un orizzonte tutto da scoprire. Un orizzonte fatto di misteri e di situazioni sconosciute da esplorare.

    Devo ammettere che non hai torto, ammise infine, voltandosi verso di lui. Mentre il tizio me ne parlava, sentivo una strana forma di euforia farsi largo dentro di me. Un po’ come quando sei bambino e aspetti che passi la notte di Natale per poterti alzare e andare a scartare i pacchi. Magari, alla fine è solo dovuto alla loro capacità di persuasione, ma rimane il fatto che ogni dubbio avessi in proposito, un po’ alla volta è venuto meno, lasciando il posto alla curiosità e alla voglia di scoprire di cosa si tratti. Ma a te ha detto qualcosa di più di questa fantomatica R.I.E.M.?.

    Luca scosse la testa. A quanto pare ci hanno raccontato la stessa versione. Agenzia non-governativa misteriosa che entra in scena quando i fatti vanno oltre l’umana comprensione e il razionale. Ti hanno fatto l’esempio di Ustica?.

    Lei annuì. Se fosse vero, e non credo che ci abbiano mentito, mi viene da pensare che abbiano le mani in pasta in parecchi degli avvenimenti che sono rimasti senza una spiegazione ufficiale. Anche se chissà quante delle cose che sappiamo sono semplicemente delle montature per nascondere qualcos’altro….

    Ho anche provato a fare qualche ricerca su internet, ma non esce un solo risultato. Si vede che sanno mantenere bene i loro segreti.

    Ho provato anch’io, ammise Morena, con i tuoi stessi risultati. Non esce nulla. Questo dimostra che sono molto interessati a tenersi nell’ombra. E mi fa anche pensare a quante cose abbiano da nascondere.

    Perché dici nascondere?.

    Pensaci, Luca. La donna spostò la sedia e tornò a sedersi, incrociando le braccia sul tavolo e sporgendosi verso di lui. Per quale motivo una qualche agenzia non governativa dovrebbe proteggere in modo così esagerato la propria esistenza? Lo so che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si prende, e quando ti mascheri così bene agli occhi del mondo vuol dire che hai qualcosa che non vuoi far sapere.

    Può darsi che sia dovuto agli argomenti che si trovano ad affrontare, cercò di trovare una spiegazione Luca. Se trattano indagini oltre l’umana spiegazione, tenersi nascosti potrebbe essere un mezzo per non far girare strane voci. Guarda il nostro caso, Morena, quanto saremmo stati disposti a credere a quello che abbiamo visto e vissuto se quegli avvenimenti ci fossero stati raccontati e basta?.

    Sicuramente ci saremmo fatti molte più domande se non li avessimo vissuti in prima persona, ammise lei appoggiandosi allo schienale della sedia. Ma penso che questo sia ben poca cosa rispetto a ciò che dovremmo aspettarci lavorando per loro. Se quello che ci hanno raccontato corrisponde a verità, e non vedo nessuna ragione plausibile per la quale avrebbero dovuto mentirci, dobbiamo essere pronti a riconsiderare la maggior parte delle cose in cui crediamo. Pensi davvero che ci avrebbero uccisi se avessimo rifiutato?.

    Lui ci pensò su un attimo. Qualcosa mi spinge a dire di sì. Era troppo convinto di quello che stava dicendo, e credo che non si sarebbe fatto troppi scrupoli. Sembra gente addestrata ad agire così, senza andare troppo per il sottile. Ma credo che, in fondo, fossero convinti che non avremmo rifiutato.

    Morena annuì alle sue parole. È come se avessero toccato le corde giuste per convincerci. Come se sapessero quello che ci avrebbe spinti ad accettare quest’opportunità. Lo fissò per qualche istante negli occhi. Hai paura?.

    Lui ricambiò in silenzio lo sguardo. No, ammise infine. Cioè, non credo che possa definirsi paura. È comunque una sensazione strana. Euforia? Inquietudine? Perplessità? Non lo so, non ho la minima idea di come chiamarla. Quello che so è che si tratta di un’opportunità unica che potrebbe farci vivere avventure inimmaginabili. E devo ammettere che lo stipendio che ci hanno offerto non è niente male.

    Morena sorrise a quell’ultima osservazione. Non ti facevo così venale.

    Lui scrollò le spalle. Bisogna sempre valutare ogni aspetto di un nuovo contratto lavorativo, no? Con due stipendi simili in casa, penso che non avremmo troppi problemi a pagare le bollette e le spese della ristrutturazione.

    Pensavo che quest’ultima spesa te la fossi accollata tutta tu….

    E permetterti di vivere qui a sbafo? Te lo puoi scordare.

    Stronzo.

    Luca le strizzò l’occhio e si alzò. Penso che farò anche installare un impianto per l’aria condizionata, il ventilatore da solo serve a poco.

    In effetti non volevo dirtelo, ma quella doveva essere la prima cosa da prendere in considerazione quando sono iniziati i lavori….

    E non avresti potuto dirlo prima?, domandò lui azionando il ventilatore che si trovava sotto l’arco della parete che divideva la cucina dalla sala.

    Sei tu l’uomo di casa, nonché il proprietario. Ero sicura che il tuo grandissimo spirito pratico non avesse bisogno dei suggerimenti di una donna….

    Eccola che attacca con le frecciatine. Non sai quanto sono stato tranquillo, in questa settimana che eri giù a Roma.

    Posso sempre tornarci.

    Sarebbe chiedere troppo alla fortuna. E poi, la tua mancanza in parte si è sentita. Non ho avuto nessuna voglia di andare a fare la spesa e bagnare tutte le sere i fiori in giardino è stata un po’ una seccatura.

    Ammetto che è stata una sorpresa non trovare il giardino appassito con tutta la cura che ci avevo messo per renderlo nuovamente presentabile.

    Perché volevo evitare di sentire lamentele al tuo ritorno. Vedi come sono affettuoso?.

    Morena gli si avvicinò, bloccandolo col corpo contro il muro. Sapeva che la camicetta bianca a maniche corte con i primi due bottoni slacciati metteva in risalto le sue forme generose, e la sua pelle liscia e abbronzata offriva un richiamo al quale era difficile resistere.

    Hai finito i lavori nelle altre stanze?, gli domandò tenendo volutamente basso il tono della voce.

    Direi che sono tutti a buon punto, replicò lui prendendola saldamente per i fianchi.

    Bene. Morena si spostò per guardarlo con un’espressione decisa. E allora perché non mi fai vedere com’è venuta la camera da letto?.

    Fecero una doccia per lavare via l’umidità che aderiva al corpo come una seconda pelle, e quando Luca uscì dal bagno dirigendosi in accappatoio verso la cucina trovò Morena intenta a preparare un’insalata con quello che aveva recuperato dal frigorifero. L’orologio appeso sopra l’arco segnava le otto e mezza passate, il sole era scivolato dietro le montagne e l’afa aveva deciso di offrire un po’ di tregua. Dalla tendina di bambù della porta aperta del balcone entrava un refolo d’aria.

    "Dovresti vergognarti di come

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