Io, Alex e Trump
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Anteprima del libro
Io, Alex e Trump - Alessandro Nardone
TRUMP
Introduzione
QUELLA che si è conclusa la notte dell'8 novembre scorso è stata, per molti aspetti, la campagna elettorale più pazza e imprevedibile dell'intera storia americana. Sfido chiunque ad affermare che il 16 giugno di un anno fa, giorno in cui Donald Trump annunciò la sua candidatura alle primarie repubblicane, avrebbe scommesso anche un solo euro sul successo del magnate newyorkese. Allora non ci credeva nessuno, compreso il sottoscritto. Eppure, settimana dopo settimana, stato dopo stato, dibattito dopo dibattito, provocazione dopo provocazione, The Donald
ha avuto la capacità di smentire tutte le previsioni non soltanto vincendo le primarie, ma addirittura ridicolizzando i malcapitati avversari repubblicani. Per dirla in gergo calcistico, li ha presi a pallonate.
Un gioco da ragazzi? Niente affatto, perché per comprendere appieno la portata del ciclone Trump
è indispensabile contestualizzare la sua discesa in campo, considerando fattori come la candidatura di Jeb Bush che, è bene ricordarlo, per la sua campagna elettorale poteva contare su di un budget monstre, ben più cospicuo rispetto a quello racimolato dalla potentissima rappresentante di un'altra dinastia, ovvero Hillary Rodham Clinton. Purtroppo per lui, l'ex governatore della Florida è stato il candidato migliore nel momento peggiore. Dico questo in virtù del fatto che Jeb, sopratutto in materia di immigrazione, ha sempre rappresentato l'ala più moderata del Grand Old Party e, al netto del suo cognome, in un ipotetico scontro con Hillary avrebbe potuto catalizzare attorno a sé una fetta larghissima del malcontento democratico rispetto alla candidatura mai veramente digerita di Hillary. Tuttavia, il buon Jeb ha avuto la sventura di trovare sulla sua strada due ostacoli che, ben presto, sono divenuti insormontabili: il primo è stato indubitabilmente il grande sentimento di malcontento nei confronti dell'establishment che è covato per anni principalmente sotto le ceneri della middle class e il secondo, Donald Trump, che altro non è che la conseguenza del primo.
Così, l'aspirante terzo presidente di casa Bush, ex governatore, moderato, marito della messicana Columba, dopo aver rapidamente conquistato il favore dei pronostici ha dovuto fare i conti con l'impossibile che poco a poco si è fatto realtà, materializzatasi in un candidato a lui speculare che gliele ha date di santa ragione. Un epilogo reso inevitabile anche a causa degli errori marchiani commessi dallo stesso Bush e dal suo staff, evidentemente frustrati dal fatto di non essere mai stati veramente in partita.
Quanto agli altri candidati, l'unico capace di procurare qualche grattacapo a Trump è stato l'ultraconservatore Ted Cruz, non a caso anch'egli sostenitore di posizioni molto forti e in taluni casi estreme su questioni rivelatesi fondamentali come la lotta all'immigrazione e la difesa del diritto di acquistare e possedere armi sancito dal Secondo Emendamento. Mentre, per i vari Rubio, Kasich, Paul, Fiorina e Carson la corsa alla nomination è stata, eufemisticamente, assai avara di momenti di gloria.
A bocce ferme appare ancor più evidente come quella concatenazione di eventi costituisse l'habitat naturale per la mia performance nei panni di un altro outsider, Alex Anderson, il candidato fake con cui, attraverso la Rete, sono riuscito a costruirmi un seguito di quasi 30.000 followers su Twitter ricevendo inviti a programmi televisivi, radiofonici, e perfino a un dibattito pubblico con gli altri candidatati. Un'esperienza unica e straordinaria, che mi ha consentito di vivere in prima persona questa campagna elettorale, prima confrontandomi per circa dieci ore al giorno (anzi, a notte) con decine di migliaia di americane e americani, molti dei quali parte dei cosiddetti Deplorables
(così, commettendo un madornale errore, li aggettivò la Clinton), cioè il popolo di Trump e successivamente, grazie all'intuizione del Direttore Luca Dini, nei panni di inviato di Vanity Fair Italia a Cleveland per la Convention Repubblicana, e poi a Philadelphia, New York e Washington DC a cavallo delle elezioni.
Capirete bene che per me, che sono appassionato di politica e innamorato degli Stati Uniti sin da quando portavo i calzoni corti, è stato come entrare nella tana del Bianconiglio.
Come ho detto alla fine del mio videoreportage, che non poteva che concludersi alla Casa Bianca, Alex è stato il mio lasciapassare per partecipare a decine di eventi collaterali alla National Republican Convention, dove mi sono potuto confrontare con alcuni dei protagonisti della cavalcata di Donald Trump, tra cui la sua campaign manager Kellyanne Conway, ma anche per partecipare a eventi oggettivamente straordinari come il concerto con cui Bruce Springsteen e John Bon Jovi, insieme a